OMELIE / Omelie IT
15 mag 2022 15/05/2022 - 5ª Domenica di Pasqua - anno C
15/05/2022 - 5ª Domenica di Pasqua - anno C
Iª lettura At 14, 21-27 dal Salmo 144 IIª lettura Ap 21, 1-5 Vangelo Gv 13, 31-33. 34-35
“È necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio”. Con queste parole Paolo e Barnaba istruivano le comunità da loro radunate. Essi non promettevano ai nuovi cristiani una vita bella e comoda, ricca di piaceri e consolazioni, come del resto non l’aveva mai promessa Gesù. Proprio Gesù aveva detto chiaramente che “se hanno odiato me, odieranno anche voi” e “vi scacceranno…, vi perseguiteranno, vi consegneranno ai giudici e ai magistrati”, ma anche: “Rallegratevi ed esultate, quando diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia”! Le tribolazioni fanno parte della vita del cristiano. E noi lo scopriamo, ogni volta che desideriamo vivere con un po’ di serietà la nostra fede.
Ogni giorno, proprio quella televisione che pagate perché vi offra informazioni serie o passatempi dignitosi e formativi, vi sbatte in faccia invece quanto ci può essere di più nocivo per la vostra fede, vi offre parole offensive e discorsi ingiuriosi contro di noi e contro i nostri pastori; lo stesso si può dire di quei giornali e rotocalchi con cui riempite le vostre case e la vostra fantasia, o i tablet che mettete in mano ai bambini e ai ragazzi.
“È necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio”. Quando dice questo, San Paolo è già stato scacciato da alcune città, è dovuto scappare da Damasco calato dalle mura nella cesta, è stato lapidato e creduto morto a Listri. Soffrirà ancora percosse e prigioni, ma sempre con la gioia di essere fedele al suo Signore Gesù Cristo.
La lettura evangelica oggi ci presenta un momento particolare della sofferenza di Gesù: Giuda esce dalla sala della cena pasquale. Uscendo di là egli esce dalla comunione con gli altri discepoli e soprattutto dalla comunione con Gesù. Che cosa farà? Che fine farà? Gesù soffre per lui, e per sè. Tuttavia lo lascia libero, non gli manda dietro nessuno a convincerlo o a tirarlo indietro. Egli intuisce che sta arrivando per lui il momento della passione e della morte. Per lui questo momento è l’Ora in cui può mettere in evidenza l’amore più grande, può quindi “glorificare” il Padre. E con quello stesso amore verrà manifestata la sua grandezza divina, la sua gloria. Egli entrerà nella morte: non è questo il momento per i suoi di accompagnarlo, però ogni momento è sempre adatto per fare quello che fa lui, cioè per manifestare l’amore del Padre. E lo faranno amandosi l’un l’altro con la stessa intensità di Gesù.
Che significa amarsi l’un l’altro? Non significa soltanto amare gli altri: amare gli altri potrebbe essere anche una spinta all’orgoglio che ci fa credere di essere bravi, meritevoli, persino migliori o superiori. Amarsi l’un l’altro è accogliere l’amore del fratello, apprezzarlo, interpretare come amore i suoi gesti nei miei riguardi. Quanto i miei fratelli fanno a me, è amore di Dio per me, anche se può non piacermi, anche se non lo capisco o se talvolta potrebbe farmi soffrire. Ma il Signore sa che cosa mi fa bene. Amarsi l’un l’altro comporta anzitutto l’umiltà di accettare d’aver bisogno delle attenzioni dei fratelli, e di ritenerli più bravi di me, di ritenerli un dono del Padre. E poiché Gesù ha amato sempre tutti, anche noi amiamo, fissando il nostro sguardo su di lui.
Alla domanda “Perché ami?”, risponderemo quindi dicendo sempre, anzitutto a noi stessi, “Perché Gesù ci ha amati”, “perché Gesù ha amato te e anche me”. Meritevole è lui. Vivendo questo amore gli uni gli altri faremo risplendere la gloria di Gesù, e noi saremo riconosciuti discepoli suoi. Non sono le nostre parole o le nostre preghiere a contraddistinguerci come discepoli del Signore, ma la comunione reciproca che ci unisce anche nel linguaggio, anche nella preghiera, ma soprattutto nella serena e fedele attenzione ad ascoltarci, sopportarci e aiutarci. Amarci “gli uni gli altri” è certamente bello, ma senz’altro costa. Se hai provato, lo sai che costa. Questa è la prima tribolazione che offriamo a Dio perché egli ci possa accogliere nel suo regno.
La tribolazione dell’amore reciproco sarà leggera e ci riempirà di gioia, di quella gioia che riuscirà ad asciugare le lacrime di tutte le altre tribolazioni, quelle di chi parla male di noi e quelle di chi opera ingiustizie contro la nostra fede. Così ci accorgeremo di essere gli abitanti di quella città che scende dal cielo, città che realizza qui i cieli nuovi e la terra nuova di cui parla Gesù a Giovanni nella visione che lo sorprende mentre è perseguitato sull’isola di Patmos.
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