Gesù è risorto, alleluia
GESU' E' RISORTO, ALLELUIA!
«Io sono con voi tutti i giorni!» (Mt 28,20)
Gesù è risorto, alleluia! Alcuni pensieri forse sollecitazioni per amare Gesù. Egli ci permette di elevare in continuità, nei nostri giorni l'eterno ALLELUIA che si canta nei cieli. ALLELUIA, cioè LODATE IL SIGNORE! Si lodiamo il Signore, perché eterna è la sua misericordia. Egli ce l'ha mostrata e donata in molti modi. Particolarmente noi l'esperimentiamo vivendo a Tu per tu con Gesù crocefisso che ora vive risorto accanto e in noi! ALLELUIA!
1. Un angelo del Signore... Rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa (Mt 28,2)
2. Alcuni della guardia giunsero in città (Mt 28,11)
3. Neanche a loro vollero credere (Mc 16,13)
4. Ricordatevi come vi parlò (Lc 24,6)
5. Noi speravamo che fosse lui (Lc 24,21)
6. Sciocchi e tardi di cuore (Lc 24,25)
7. Quando fu a tavola con loro prese il pane (Lc 24,30)
8. Sono proprio io! (Lc 24,39)
9. Per la grande gioia ancora non credevano (Lc 24,41)
10. Nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono (Lc 24,47)
11. E io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso (Lc 24,49)
12. L'altro discepolo corse piú veloce di Pietro (Gv 20,4)
13. Donna, perché piangi? Chi cerchi? (Gv 20,15)
15. Se non vedo nelle sue mani... (Gv 20,25)
16. Mio Signore e mio Dio! (Gv 20,28)
17. Veniamo anche noi con te (Gv 21,3)
18. Si gettò in mare (Gv 21,7)
19. Mi vuoi bene tu piú di costoro? (Gv 21,15)
20. Pasci le mie pecorelle (Gv 21,17)
1. UN ANGELO DEL SIGNORE... ROTOLÒ LA PIETRA E SI POSE A SEDERE SU DI ESSA (Mt 28,2)
Un angelo del Signore!
Gli uomini contano sulle proprie forze. Io sono troppo abituato a calcolare le mie possibilità e le possibilità degli altri; e decido ogni cosa secondo i calcoli. E mi lascio prendere dal dubbio o dallo sconforto o da un senso di impotenza, proprio come le donne che si stavano avvicinando a quella pietra rotonda che ostruiva l'ingresso del sepolcro.
Dimentico che Dio ha i suoi angeli. Dimentico che gli angeli di Dio si alzano prima degli uomini e intervengono là dove Dio lo ritiene necessario e utile. Le mie difficoltà per Lui sono solo occasioni in cui vuol farmi vedere che esiste, che sa, che provvede, che è Padre. Le mie difficoltà sono luoghi dove egli manda i suoi angeli. Le mie situazioni senza via d'uscita sono momenti in cui sono obbligato a cedere il passo agli angeli di Dio: essi mi renderanno cosciente che io sono un figlio del Padre. I loro interventi puntuali risveglieranno in me lo stupore, la meraviglia e la gioia del mio essere figlio amato e osservato da Colui che tiene in mano l'universo.
Sì, Tu o Dio sei mio Padre. Io lo dimentico ogni giorno e ogni giorno mi preoccupo di ciò di cui Tu ti sei già occupato. Quando imparerò a fidarmi di Te?
Per le donne Tu hai fatto rotolar via la pietra... inutile, quella pietra che ormai non nascondeva più nulla...
Padre, che sei buono, sei benevolo, sei Padre! Lascia che canti: ALLELUIA!
2. ALCUNI DELLA GUARDIA GIUNSERO IN CITTÀ (Mt 28,11)
Gesù è risorto. Dio si è manifestato, ha agito con potenza. E gli uomini? Essi non possono impedire l'agire di Dio e allora cercano di tenerlo nascosto. Nessuno deve sapere ciò che è accaduto. Per ciò che è accaduto si trova una giustificazione umanamente comprensibile, che metta in cattiva luce i discepoli del Signore. Così i capi del popolo. E si fanno maestri di menzogna e corruttori degli animi.
Perché? Lo possiamo capire. Anch'io mi ritrovo nel cuore delle tentazioni di ignorare quanto Dio ha fatto nella mia vita, di attribuirlo alle mie capacità o a cause solo umane, o al caso. L'opera di Dio se è riconosciuta tale, richiede dei cambiamenti interiori, un abbandono più pieno a Lui, un occuparmi di più delle cose del cielo che di quelle della terra e di queste con un cuore distaccato e sereno.
Se riconoscessi gli interventi di Dio mi sentirei in dovere di lasciare a Lui d'essere protagonista della mia vita e della mia salvezza, ed io invece sono sempre soggetto alla tentazione di tener nelle mie mani le redini della mia storia presente e futura.
Gesù, voglio riconoscere che sei risorto. Proprio Tu, rifiutato dagli uomini, sei salvato dal Padre. Non sono io che posso far qualcosa né per me né per gli altri: io mi abbandono a Te con fiducia. Non faccio più la mia volontà, non opero più secondo i ragionamenti, ma sto alla tua Parola che mi conduce a morire a me stesso perché vuoi farmi risorgere in una nuova luce, nel ritmo di una nuova vita in cui non sono io ad amare, bensì ad essere amato.
Così potrò sempre gridare: alleluia!
3. NEANCHE A LORO VOLLERO CREDERE (Mc 16,13)
Le donne hanno tentato un gesto d'amore. I loro passi verso il sepolcro nel buio interiore ed esteriore erano piccoli atti di un grande amore. Gesù le ha premiate. Un premio? Forse no, solo un incarico. Gesù ha dato un incarico a chi lo amava.
Due discepoli s'erano scoraggiati ed hanno trasformato lo scoraggiamento in fuga da Gerusalemme, luogo pericoloso. Gesù li ha incontrati, li ha fatti ragionare, li ha messi a contatto con le Scritture.
Ed essi si sono trovati in corpo la gioia.
Gli altri hanno ascoltato le donne ed hanno visto la gioia dei due, ma sono rimasti indifferenti: la notizia era troppo distante dalle loro capacità di comprensione.
Anch'io sono portato a non credere a quanto gli altri mi dicono. Io stesso ho bisogno di «provare», di «toccare», di «vedere» per giungere a credere.
E Tu Gesù ti pieghi a queste esigenze del mio essere orgoglioso e ostinato. Tu ti pieghi ancora come ti sei piegato alla incredulità dei tuoi e finalmente ti sei posto innanzi a loro senza diaframmi, senza intermediari.
Tu mi fai sperimentare la gioia della tua Presenza, la certezza del tuo vivere accanto a me. Il tuo perdono, la gioia della verità delle Tue Parole, qualche luce improvvisa nel buio delle esperienze quotidiane mi danno la prova che Tu ci sei, che sei più vivo di me, che godi una Pienezza che chiamo risurrezione. Gesù, gli uomini mi dicono che Tu sei risorto, ma Tu me ne fai godere le conseguenze.
Gesù, ora si, credo.
E con questa fede vivo un'altra vita, che continua a cantare: Alleluia!
4. RICORDATEVI COME VI PARLÒ (Lc 24,6)
La memoria è dono prezioso: porta il passato nel presente, ravviva i rapporti con gli uomini e con Dio. Purtroppo, alcuni ostacoli impediscono alla memoria di rendersi utile.
Il primo è l'egoismo: questo mi fa essere attento a me stesso, mi fa cercare la mia comodità e così dimentico gli altri, dimentico Dio e le sue parole, dimentico i compiti che mi sono affidati.
Le preoccupazioni sono un altro ostacolo: esse sono l'idolatria di qualche cosa o di qualche sentimento. Cose o sentimenti divenuti idoli cancellano la memoria di Dio e dell'amore.
Ravvivare la memoria.
Le donne devono ravvivare la memoria delle parole già pronunziate dal Signore per poter capire l'esperienza che stanno vivendo. Al posto di Gesù trovano due angeli. Cosa significa? Turbamento e confusione, finché la memoria non viene in aiuto: Egli aveva già detto che sarebbe morto per mano degli uomini che amava e che sarebbe risorto dopo tre giorni. L'aveva già detto. Ecco, non è una novità. La Sua parola Si realizza.
Ciò che Egli ha detto è vero, avviene, si realizza. Prima la parola, poi i fatti. Così non ci troviamo impreparati, così non ci consideriamo in balia di un mago che opera alle nostre spalle e al di là del nostro coinvolgimento.
Gesù, Tu hai parlato. Io vivo delle tue parole. Quando le ricordo entro nei tuoi modi di agire e così i tuoi miracoli non mi sorprendono. Tu hai detto tutto già.
Spesso dimentico e allora i fatti cui mi fai partecipare risvegliano la memoria di ciò che ho udito dalla tua bocca e godo della tua fedeltà. Gesù, sei veritiero. Voglio ricordare, ricordare tutto, per vivere in pienezza e collaborare con Te.
E il mio cuore continuerà a sussurrare: alleluia!
5. NOI SPERAVAMO CHE FOSSE LUI (Lc 24,21)
I due incamminati ad Emmaus sono diventati i portavoce di molte persone che di fronte a Dio hanno coltivato le speranze non conformi alle promesse. È molto facile anche per me attendere o pretendere interventi di Dio che rendano più comoda la mia vita su questa terra. Mi è facile dimenticare che ho una patria al di fuori di questo tempo e di questo spazio e vorrei che il mio Dio intervenisse per non farmi soffrire le conseguenze del peccato mio e degli altri.
Quando Dio si degna mandare qualcuno accanto a noi, noi speriamo che questa persona risolva le difficoltà. E qualcuno, quando s'accorge che io gli sono mandato da Dio come un dono suo, comincia a nutrire speranze che io possa con un tocco magico togliere gli ostacoli dal cammino su questa terra. E invece Gesù non libera Israele dai Romani. Gesù non esaudisce quelle speranze. Gesù non favorisce l'illusione che la nostra patria sia questo mondo. Siamo pieni di speranze di corta visuale e mal orientate.
Gesù, Tu hai ben altro da donarci, hai un'altra libertà da farci godere. Tu conosci un modo di vivere che supera dall'interno le sofferenze e le ingiustizie del mondo. Sei proprio Tu colui che mette nel mio cuore la gioia di appartenere a Dio, sei Tu che metti nel mio cuore un amore per tutti gli uomini e mi fa desiderare per loro una salvezza insperata: la salvezza dal buio, dall'incredulità, dalla violenza del mondo. Tu sei colui che mi fa capace di portare i pesi dell'umanità, di sopportarli, di prenderli sulle spalle con Te perché ogni uomo possa essere alleggerito e conoscere la gioia.
Tu vuoi per noi non l'allegria, l'unica parvenza di gioia che dà la terra, ma vuoi per il nostro cuore la gioia continua che dà il cielo.
Gesù, sei risorto per la nostra vera, grande liberazione, che ci toglie dal dominio dell'orgoglio e dell'egoismo e ci mette a servizio dell'amore. Ci liberi dalla schiavitù della terra e ci fai sedere nei cieli.
Per questo ti canto: alleluia!
6. SCIOCCHI E TARDI DI CUORE (Lc 24,25)
Probabilmente queste due parole non rendono del tutto la forza e la gravità dei termini che Gesù ha usato verso i due fuggitivi in cammino verso Emmaus. Sciocchi e tardi di cuore! I due viandanti parlavano dei fatti accaduti a Gesù Nazareno: la sua morte ha chiuso una capitolo della loro vita.
L'annuncio della Sua Risurrezione non ne ha aperto un altro. Nelle vicende che sapevano raccontare non cercavano i segni di Dio, anzi lo escludevano dai loro ragionamenti.
Sciocchezza peggiore non c'è. A questa sciocchezza s'abbina per forza di cose una durezza di cuore che impedisce di riconoscere gli interventi straordinari della potenza e dell'amore del Padre.
Io non posso rinfacciare nulla ai due amici, perché io pure mi ritrovo spesso così schiocco e duro di cuore.
Qualsiasi delusione mi abbatte, qualsiasi piccolo fallimento o contrattempo mi fa star male. Nel mio ragionare non tengo conto che Dio è al di sopra dei miei buchi nell'acqua, non mi affido a Lui che sa scrivere diritto su righe storte, che vuole usare di ogni cosa e di ogni vicenda per guidare la mia vita su strade nuove, sue, che io non potrei prevedere.
Gesù, sgridami pure per la mia ostinata sciocchezza. Dovrai riprendermi ancora spesso per farmi notare che tutto coopera al bene per coloro che amano Dio. Non ci sarà più nulla che mi farà cadere nella tristezza o nello sconforto, se Tu continui a ricordarmi che tutto è già segnato nelle Sacre Scritture, che il Padre già conosce i miei passi e li ha avvolti nella nube luminosa del suo amore.
Affidarmi a Te in ogni circostanza.
Tu, che riempi di gioia il mio continuo: alleluia!
7. QUANDO FU A TAVOLA CON LORO PRESE IL PANE (Lc 24,30)
Il viandante che conosce le Scritture accetta l'invito. Non solo conosce le Scritture, ma le sa leggere nei fatti, le sa collegare con quanto successo in città. I fatti visti così assumono un significato di presenza di Dio, e le Scritture lette così parlano al cuore, lo infiammano, lo riempiono.
Un viandante sconosciuto, ma in tal modo si fa conoscere subito come uno che conosce Dio e lo sente vicino. È uno ricco di sapienza, di quella sapienza di cui il mondo è vuoto, di quella sapienza che non soddisfa solo la mente, ma soprattutto il cuore e lo convince portandolo alla pace.
Questo viandante accetta l'invito, entra, si siede là dove i due gli indicano, mentre le ombre della sera fanno evidenziare ancor più la luce dei suoi occhi. Le sue mani si muovono in un gesto... semplice, normale, comune: spezzano il pane. È Lui!
I due vedono le mani del maestro. Non è successo nulla di strano, nulla di grande, eppure tutte e due hanno visto Colui che li ha amati fino alla morte. Il pane che si spezzava è stato il lampo che li ha risvegliati, li ha rimessi a contatto con il Dio dell'amore, Colui che spezza il pane per tutti, che si offre come pane spezzato.
Gesù, Tu continui a spezzare il pane e continui a rileggere per me le Scritture. La mia vita è piena di fatti che solo Tu sai interpretare come segni dell'amore di Dio! Grazie perché continui a metterti al mio fianco per farmi vedere nelle Parole della Scrittura la sapienza di Dio per ogni circostanza del mio vivere e grazie che ancora tieni in mano il pane che mi nutre, che mi unisce ai fratelli, che - spezzandosi - mi fa riconoscere la Tua Presenza di Risorto e mi fa godere di gioia intima e piena.
Alleluia!
8. SONO PROPRIO IO! (Lc 24,39)
Mi pare che Gesù sia stupito e meravigliato dell'accoglienza che Gli riservano i Suoi: non lo conoscono più! Come mai? Ed essi come possono capire? Non era Egli morto e sepolto?
Ed io, come mi metto di fronte a questa situazione strana, incomprensibile, assolutamente nuova? Cosa devo pensare?
Gesù è risorto. È ancora Lui, ma non è più come prima. Le sue mani sono ancora forate, i suoi piedi mostrano una larga ferita. La sua voce è tenera e ferma, piena di amore e di sicurezza. I segni sono inconfondibili: Gesù di Nazareth crocifisso.
Ma non più quello di prima, nemmeno se mangia pesce arrostito. La sensazione che Egli sia totalmente diverso ed incomprensibilmente diverso continua a disorientare i suoi.
Toccatemi e guardate: sono proprio io!
Io continuo le perplessità degli undici: sarà vero? È proprio Lui in carne ed ossa? Come fare a credere?
Il cuore: solo il cuore può rivelarmi la verità. L'amore che da Lui continua a irradiare sprigiona amore nel mio cuore. La gioia che Egli gode contagia di gioia il mio cuore. La pace che lo riempie trasmette pace a tutte le fibre del mio essere.
Si, Gesù, sei veramente risorto. Sei Tu colui che incontro, sei Tu, Gesù di Nazareth! E t'incontro a porte chiuse, ti vedo nonostante i miei occhi increduli, ti riconosco presente a me e agli altri. Il mio cuore non s'inganna: è il tuo amore vivo e reale quello che Tu ora riversi in me, lo riconosco. Tu sei risorto e la tua vita ora supera le mie capacità d'incontrarti. Dalla tua pienezza un briciolo basta per conquistarmi e dirti ancora: Grazie, Gesù, mio Signore.
Il mio cuore ti sente vivo e la mia mente cede alle ragioni del cuore. Sei veramente risorto.
Per questo non cesso di dire: alleluia!
9. PER LA GRANDE GIOIA ANCORA NON CREDEVANO (Lc 24,41)
Per qualche tempo ho pensato che S. Luca si fosse sbagliato a scrivere. Se nei discepoli è sorta la gioia, è segno che credevano d'avere di nuovo tra loro il Signore che era stato crocifisso! Come può dunque l'evangelista scrivere che ancora non credevano?
Ma che cos'è credere? Qui sta il problema: forse non sempre la gioia grande è segno di fede. I discepoli hanno ritenuto vera la presenza del loro Maestro: egli era di nuovo con loro. Essi sono contenti: ma erano contenti perché il loro incubo era finito, si sono risollevati dalla delusione, potevano godere ancora i benefici della presenza di Gesù. Questa loro gioia era - probabilmente - frutto egoistico dell'egocentrismo. Questa loro gioia non era segno di fede, era entusiasmo, soddisfazione, vittoria.
Il vero credere è diverso. Il vero credere è quel movimento del cuore che porta ad offrire se stesso, a donarsi, ad affidarsi. Io credo a Gesù risorto quando mi presento a morire con Lui, quando offro obbedienza alla sua Parola, quando sostituisco i miei sentimenti con i Suoi, quando non reagisco a quel che succede attorno a me ed invece agisco in dipendenza di quell'amore che continua a muoversi nel cuore del Padre. Anche questo mio morire fa nascere gioia, ma non una gioia entusiastica, bensì profonda, serena, stabile, una gioia la cui fonte è in cielo e non in ciò che vedono i miei occhi, vedessero pure il Signore.
Gesù, sei buono e comprensivo. Tu accontenti anche i desideri superficiali dei tuoi discepoli e così li prepari ad incontrare i tuoi desideri profondi. Tu mi vuoi condurre a donare la mia vita a Te come un atto d'amore puro, ma hai compassione della mia povertà e di quando in quando soddisfi anche la mia ricerca di consolazioni. Questa tua condiscendenza fa sorgere in me una fede sempre più forte e la decisione di crescere in Te, che sei il Santo di Dio!
Tu sei il mio canto: alleluia!
10. NEL SUO NOME SARANNO PREDICATI A TUTTE LE GENTI LA CONVERSIONE E IL PERDONO (Lc 24,47)
Il frutto della nuova presenza di Gesù è proprio diverso da quello che s'aspettavano i due discepoli di Emmaus. Essi speravano in una liberazione d'Israele dal dominio dei Romani, mentre Egli di fatto porta la liberazione di tutti gli uomini dal loro comune nemico, il Maligno. L'uomo liberato dal dominio dell'uomo non è ancora libero, anzi, può diventare a sua volta dominatore e oppressore di altri più poveri di lui.
È solo l'uomo libero dal maligno che cerca pace e comunione. L'uomo che si converte e cui è tolto il peccato diventa benedizione. La presenza di Gesù risorto, la Sua presenza nuova e stabile, ha proprio questo scopo: portare l'uomo alla conversione e far giungere a lui il perdono del Padre. Egli, il Risorto, vuol mettere tutto il mondo sulla strada dell'umiltà. Con l'umiltà Egli ha vinto la tentazione, ha superato tutti gli ostacoli all'amore che un cuore d'uomo può incontrare. Con l'umiltà Egli è giunto al punto da apparire un fallito pur di non perdere l'amore, che è la presenza di Dio, e Dio lo ha fatto trionfare sulla morte. Ora all'annuncio della sua risurrezione dai morti, gli uomini si lasceranno convincere a dire il loro si a Dio, a piegare il proprio orgoglio, a piegare le proprie ginocchia per chiedere la misericordia a colui che ha amato il peccatore fino a dare il Figlio Unigenito.
Grazie Gesù che con la tua morte e risurrezione hai dato il via a un nuovo movimento nell'umanità: il movimento del ritorno al Padre, il movimento dell'umiltà che riconosce a Te il primato e che fa da piedistallo all'amore. L'amore nel mio cuore non regge senza l'umiltà e l'umiltà viene a me con il perdono che ricevo e col continuare a rivolgermi a Te e a lasciare a Te l'iniziativa della mia vita.
Gesù mi hai salvato e mi continui a salvare. Ti ringrazio e faccio risuonare il mondo del canto: alleluia!
11. E IO MANDERÒ SU DI VOI QUELLO CHE IL PADRE MIO HA PROMESSO (Lc 24,49)
Padre e Figlio sono uniti nell'agire verso di noi. Il Padre promette e il Figlio realizza la venuta di una nuova presenza su di noi.
«Io manderò...». Gli Apostoli si pongono in attesa fervida del Nuovo! E noi sappiamo che Colui che è mandato dal Figlio perché promesso dal Padre è la novità assoluta: è la Presenza di Dio nella povertà dell'uomo. Gesù Risorto può ormai realizzare le promesse del Padre, mandando lo Spirito Santo a rivestire i Suoi.
«Manderò su di voi!». I discepoli di Gesù ricevono un nuovo vestito, una nuova identità, un nuovo ruolo nell'umanità: essi saranno i portatori dello Spirito di Dio. La loro presenza nel mondo sarà preziosa proprio per questo, perché saranno il luogo dove lo Spirito di Dio alberga, saranno il faro da cui lo Spirito di Dio s'irradia, si diffonde, si effonde su tutta la terra. Quant'è preziosa la vita dei discepoli di Gesù dispersi in tutti gli ambienti, in tutti i luoghi, in ogni situazione! Essi non sono preziosi per il lavoro che eseguono, nemmeno quello umanitario; non sono preziosi per i miracoli che compiono a favore dell'umanità. Essi sono preziosi perché, segretamente, da essi si diffonde Spirito Santo!
La loro presenza benché silenziosa a nascosta in qualunque angolo della terra è garanzia e luogo di presenza divina e strumento della sua irradiazione benefica e salutare.
Signore Gesù, grazie del tuo Spirito Santo! Voglio esserti vicino e fedele, rimanere ostinatamente Tuo perché il dono del Padre mi rivesta e così la mia vita possa essere utile al mondo. Che io non sia mai trovato sale senza sapore, uomo senza Spirito di Dio. Rendimi pure incapace di parlare e incapace di compiere qualsiasi opera, ma non privarmi del tuo Spirito che rende prezioso il mio vivere agli occhi tuoi e al cuore degli uomini.
Così tutti potranno cantare: alleluia!
12. L'ALTRO DISCEPOLO CORSE PIÚ VELOCE DI PIETRO (Gv 20,4)
I due corrono. Hanno ricevuto una notizia incompleta. Anzi la notizia era completa, ma nella loro mente e nel loro cuore non trovava un posto tranquillo. Corrono per cogliere il significato. Corrono perché in essi c'è un'attesa. Non saprebbero esprimere che cosa attendono, ma in fondo sentono che qualcosa deve succedere.
Non avevano capito come mai era stato possibile che Gesù fosse morto, il Messia di Dio, e quell'incomprensione li tiene in attesa. Corrono. Uno corre più veloce dell'altro. Non siamo tutti uguali, non arriviamo tutti insieme. Le nostre capacità sono diverse, pur avendo un solo cuore che corre nella stessa direzione, che attende gli stessi eventi.
Mi piace vedere l'altro discepolo arrivare per primo, arrestarsi, attendere Pietro e lasciarlo entrare nel sepolcro. Un atto d'amore, un atto di delicatezza, un atto di obbedienza e di fede. Non c'è notizia così allarmante, né novità così sconvolgente che giustifichi il mettersi davanti all'altro, il dare al fratello il secondo posto, il prendere iniziative per conto proprio. L'altro discepolo è più veloce, ma cede il passo.
Fossi capace d'essere così attento al fratello! Questa prontezza all'amore è prontezza alla fede: egli «vide e credette»: la corsa è finita, ora si può riposare. Chi compie gesti d'amore riceve il dono della fede, e chi crede smette ogni affannosa attesa e inizia a godere la pace.
Gesù, Tu vedi il correre dei tuoi due amici e doni loro la possibilità di giungere a credere senza vederTi. Anch'io mi chino alla tua Presenza nascosta, dove trova riposo ogni mia attesa e dove ogni mio correre si placa nel tuo silenzio. Amerò il fratello che corre accanto a me, mi lascerò attendere e lo attenderò per esprimerti insieme un grande «alleluia».
13. DONNA, PERCHÉ PIANGI? CHI CERCHI? (Gv 20,15)
Ogni lacrima ha la sua ragione. Maria sa benissimo il perché del suo pianto. Il suo Signore è morto ed inoltre non c'è più il suo cadavere. Alle sue spalle risuonano due domande serene, forse con un leggero tono di rimprovero.
È uno sconosciuto che lei conosce colui che interroga. Perché piangi? Una domanda che viene dall'amore.
«Qual è il motivo del suo pianto?» certamente Gesù vuole portare Maria a dimensioni più profonde di vita. Quella domanda vorrebbe esprimere una nuova sapienza.
«Se Io ho accettato la morte, perché tu la piangi? Se mi ami fa quello che ho fatto Io, accetta la mia morte, offri la Mia vita al Padre, come Io l'ho offerta. Se Io ho amato fino alla fine, fino a dare la vita, non dovresti tu rallegrarti e godere della Mia fedeltà, essere fiera della Mia vittoria su ogni odio e su ogni tentazione di fare una Mia volontà diversa da quella del Padre?».
«Chi stai cercando? Stai cercando qualcosa che ti dà consolazione, sei dispiaciuta di non poter fare per Me quello che vuoi tu, invece che quello che Io m'aspetto da te?»
Dolci rimproveri i Tuoi, Gesù.
Avresti ragione di rivolgerti pure a me, spesso. Le mie tristezze sono manifestazione di un mio vivere terreno, carnale, che non ha accettato la Tua Croce, che non ha continuato ad offrire se stesso come Tu ti sei offerto. Gesù, guarderò a Te con attenzione più profonda. Quello che a Te è successo non è un male da piangere, ma un fatto da osservare come l'hai vissuto, e imitarti inserirmi in esso per condividere la Tua vita: la Passione e la Croce.
E Tu mi farai cantare: alleluia!
Con questa parola Gesù si presenta ai suoi riuniti nello sgomento e nel rimorso. E questa parola la ripete più volte. Gli preme che essa penetri nel cuore e rimanga impressa nella mente. È una parola che sottolinea un dono.
Sì, «pace a voi» non è un augurio né un saluto, è l'annuncio di un dono. Difatti Egli accompagna la parola con gesti ed altre parole che trasmettono vita nuova e nuovi compiti. Egli mostra le mani e il costato: le sue ferite accolte per amare fino alla fine sono ancora e sempre presenti nella sua carne: il suo amore per i suoi è ormai definitivo e stabile. Il Suo amore si riverserà sempre su di loro, la Sua vittoria sarà sempre fonte di gioia! Egli continua dicendo: «Come il Padre ha mandato Me, così Io mando voi!». Il suo compito Egli lo passa ai suoi. E infine alita il suo soffio su di essi: «Ricevete lo Spirito Santo. A chi rimetterete i peccati...».
Così Gesù completa la pace! Pace, che significa: godi anche tu di ciò che Io godo. Prendi parte alle mie ricchezze, vivi della mia vita. La più bella parola che Gesù avesse potuto rivolgere ai suoi è stata questa: pace! Il dono della sua vita d'amore! Egli stesso, Gesù - come ha scritto S. Paolo - è la pace: Egli è la nostra pace! Gesù è il dono di Dio, è la gioia del cuore del Padre, è la ricchezza di Dio di cui Egli ci vuol far godere.
Gesù, Tu sei la mia pace! L'unica comunione profonda che si può stabilire tra me e gli altri sei Tu, l'amore per Te. Solo la comunione fondata in Te è sicura, fidata e durevole, e oltrepassa le capacità umane! Gesù, sei proprio e solo Tu la nostra pace. Ti adoro e Ti accolgo per essere uno col Padre e uno con gli uomini!
E così ti posso cantare: alleluia!
15. SE NON VEDO NELLE SUE MANI... (Gv 20,25)
Chi si meraviglia? Non certo io. Tommaso, ti hanno capito tutti e una stragrande folla di uomini ti ha approvato.
Credo solo ciò che posso constatare con i miei occhi e con le mie mani. Il che vuol dire che credo solo a me stesso, alle mie percezioni, alle mie sensazioni, al mio io. Il che vuol dire che Dio non può far nulla senza di me, che Egli deve dipendere da me. E ciò significa che io sono orgoglioso, superbo, cuore chiuso, incapace di lasciarmi amare e quindi incapace di amare.
Tommaso ha detto quello che avrei detto anch'io, perché io sono così chiuso ed orgoglioso. Se fossi diverso sarebbe già miracolo, dono di Dio. Il mio «io» prevale dappertutto, anche senza che io me ne accorga e soprattutto senza che io mi opponga. E così divento motivo di sofferenza per gli altri che devono sopportarmi, se non subire umiliazioni e praticamente anche disprezzo. Gli altri non si sentiranno più liberi di dirmi nulla; percepiscono la mia sfiducia nei loro confronti. Divengo per loro un peso, un ostacolo alla gioia, una nube nel loro cielo.
Quanto hai fatto soffrire i dieci tuoi amici, Tommaso. Per una lunga settimana sei stato un freno, una spina, un tormento. Tutta colpa di quell'«io» che non cede ad una evidenza continua: sì, Tommaso vedeva il cambiamento di dieci uomini: la loro veste di sacco si era mutata in abito di gioia, ma Tommaso non voleva ammetterne la causa. Era ostinato, chiuso nel suo egocentrismo.
Gesù, Tu non hai solo da vincere la morte, devi anche vincere l'orgoglio ostinato della mia mente che chiude il cuore. Devi sempre esercitare pazienza e commiserazione, come hai fatto con Tommaso.
Chissà quante volte, anche senza accorgermi, ti faccio attendere e faccio soffrire i miei fratelli e tengo a freno tutta la Chiesa col mio orgoglio, con l'accondiscendere alle pretese del «mio io»!
Gesù, vieni a rompere questa durezza, perché ti possa cantare: alleluia!
16. MIO SIGNORE E MIO DIO! (Gv 20,28)
In ginocchio davanti a Gesù, Tommaso s'è vergognato della propria ostinazione, ha spezzato la durezza del cuore, ha riconosciuto la propria indegnità: le sue ginocchia si sono piegate fino a terra. «Mio Signore e mio Dio!»
Il passaggio dall'incredulità alla fede è brusco, improvviso. Non lascia il tempo per accorgersi di quel che succede. E non è solo un movimento che si gioca nella mente, ma coinvolge tutta la persona fino a far piegare le ginocchia.
La fede! è un dono di Dio. Un dono grande perché cambia tutto l'uomo, lo porta su un altro piano di esistenza.
Chi riceve il dono della fede e lo accoglie si trova come sbalzato dalle sue sicurezze, da tutti gli appoggi a cui si aggrappava e vive come immerso in un mare che lo culla con dolcezza. Egli stesso non sa darsi spiegazioni; sa solo che ora non è più lui a determinare tutto, a decidere tutto col rischio perenne di sbagliare e di perdersi, ma ora un altro si prende cura di lui. Egli, il credente, può abbandonarsi, può rilassare lo spirito e il corpo, lasciarsi portare da colui le cui braccia sostengono l'universo. La fede, dono grande! Essa mi permette di scoprire l'amore, di accorgermi che sono voluto, benvoluto, amato, accompagnato, accolto! Mi permette di dire a quel Dio che conosco come Creatore: eccomi, mi lascio guidare da Te, mi lascio cullare da Te, mi lascio perdere in Te.
Grande pace per chi crede! Nuova vita nel cuore di colui cui viene donata la fede.
Mio Signore e mio Dio! Tu Gesù sei oggi davanti a me con le braccia spalancate e con la ferita del costato scoperta per dirmi che chi s'abbandona al Padre, chi crede in Lui e in Te, anche se muore vivrà!
Permettimi perciò di continuare il mio canto: alleluia!
17. VENIAMO ANCHE NOI CON TE (Gv 21,3)
Di nuovo sul lago con le reti in mano. L'iniziativa è di Pietro, accolta, appoggiata ed eseguita da altri sei. Chissà che significato aveva quel remare nella notte! Nostalgia dei tempi passati? perditempo? necessità per sfamarsi? non lo sappiamo. Una cosa sembra probabile: Lui non è stato interpellato.
È un andare al largo senza Gesù. È tentare un'azione senza il mandato, senza averne ricevuto il compito. È faticare, faticare tutti insieme senza concludere nulla. Sembra che una mano invisibile abbia convogliato tutti i pesci verso un riparo irraggiungibile quella notte.
La fatica dei sette amici non riceve ricompensa.
Succede ancora così. Anche a me. Lavoro e faccio lavorare, sudo e faccio sudare, ma se non è Lui a dirmi i tempi e i modi del lavoro, tutto si scioglie e svanisce come bolla di sapone. È Gesù il Signore della Chiesa e della mia vita. È Lui il Signore unico del mondo. Le vere reti, quelle che contano e nelle cui maglie si possono impigliare i pesci le tiene in mano Lui. Inutile che io mi arrabatti. Prima devo attendere il suono della sua voce, il segno della sua mano. Prima devo sedermi ai suoi piedi e ascoltare. Quello che io voglio fare, anche se voglio farlo per Lui non avrà esito. Ciò che Lui mi dice di fare, nonostante tutto, porterà frutto insperato.
Gesù, senza di Te anche i tuoi sono... inconcludenti. Senza di Te per quanto ci arrabattiamo, facciamo ridere i pesci!
Ti voglio rinnovare la promessa di obbedirti, di attendere le tue indicazioni, di chiedere a Te luce per ogni decisione, per ogni attività, prima di iniziarla. Tu hai promesso di essere con noi ogni giorno, per questo ho speranza di poter mantenere questo mio voto, per offrirti attività e riposo secondo i tuoi desideri.
Manifestali, perché sorga sempre dal mio cuore e dal cuore di molti un nuovo: alleluia!
18. SI GETTÒ IN MARE (Gv 21,7)
L'acqua è bagnata... ma Pietro non se ne dà pensiero. Qualcuno gli ha suggerito che il forestiero sulla spiaggia potrebbe essere il Signore. Nulla lo può più fermare. Il Signore? Corre senza badare a ostacoli. Ed ecco Pietro, davanti a Gesù Risorto. Egli non l'aveva riconosciuto. Che abbia avuto gli occhi bendati? Quali sono gli occhi che lo possono riconoscere? Solo gli occhi dell'amore, e dell'amore puro, disinteressato.
Il discepolo che Gesù amava era il discepolo che amava Gesù senza interesse, senza ricerca di gratificazione, senza paura di far figuracce, senza timore di essere associato al Suo fallimento e alla Sua sofferenza. Questo cuore che ama di amore puro, può riconoscere il Signore là dove nessun altro potrebbe sospettarlo.
L'amore, dunque, riconosce.
E l'amore ascolta. Pietro, che, nonostante tutto, vuole amare così com'è capace, ascolta il suo amico, si fida di lui ciecamente.
Mi piace Pietro, il «Capo», ascoltare l'altro discepolo, prenderlo sul serio come fosse il suo superiore.
L'amore decide. Pietro non ha bisogno di spinte. L'amore, anche se non ancora provato - o meglio non ancora trovato perfetto - è capace di decisioni. La decisione di Pietro lo separa dal gruppo e lo avvicina a Gesù. Eccolo, ansimante, presso il suo maestro.
Gesù, il mio amore per Te è meno provato di quello di Pietro. Non so se avrei prontezza e decisione a lasciarmi giudicare folle e intempestivo per Te. Voglio però riconoscerTi sempre là dove chi ti ama ti indicherà ai miei occhi. E Tu, col tuo sorriso e la tua bontà, farai scaturire dal mio cuore tiepido un po' d'amore sincero, che ti sia gradito.
Allora nessuno mi impedirà di cantare: alleluia!
19. MI VUOI BENE TU PIÚ DI COSTORO? (Gv 21,15)
La veste di Pietro gocciola ancora. Quelle gocce dicono una ad una che Pietro ama il suo Signore. Non c'è bisogno di parole. Eppure è proprio il Maestro a porre la domanda inaspettata, quella domanda cui si vorrebbe sempre aver già risposto coi fatti senza aver bisogno di compromettersi con le parole.
«Mi ami tu più di costoro?». È una domanda adatta proprio per me. Ora non è la risposta di Pietro che interessa, ma la mia risposta. La domanda è ripetuta, intensa, più esigente. La mia risposta deve radicarsi, impiantarsi bene nella mente e nel cuore. Sì, ti amo, Gesù. tutto quello che faccio, lo voglio fare come per Te e non per gli uomini, né per me stesso. Voglio che tu viva in me fino a poter dire: non son più io che vivo, ma Tu in me!
Qual è l'amore che Gesù chiede a Pietro? io voglio dargli quell'amore che Lui chiede e non quello che io mi immagino. Mi sembra di capire che Gesù anzitutto chiede a Pietro un amore superiore a quello di tutti gli altri: non devo porre limiti all'amore. Il mio amore può - con umiltà - tendere al massimo del dono di me stesso. Se vedo come gli altri lo amano vedo la direzione dell'amore, ma non la quantità! Non dovrò mai dire: è abbastanza! Inoltre l'amore che Gesù merita di ricevere da me è quello stesso che il Padre ha per Lui. Il termine usato da Gesù nelle prime due domande sembra alludere a questo Suo desiderio: è essere amato dal discepolo con l'amore con cui il Padre lo ama! è un amore che dà tutto e che dà tutta la fiducia! Così vorrei amare Gesù. E la terza volta Gesù disse: mi vuoi bene? Hai l'amore dell'amico per me? Vuoi, cioè, stare al mio fianco per guardare nella mia stessa direzione, percorrere la mia strada, collaborare nel mio compito? Gesù, così ti voglio amare, non per avere qualche vantaggio dalla tua amicizia, o qualche considerazione, o per sentirmi meglio, ma per accompagnarti sulla tua via, esserti segno dell'amore del Padre!
E se quest'amore costerà, mi rallegrerò delle voci dei tuoi santi che riecheggiano: alleluia!
20. PASCI LE MIE PECORELLE (Gv 21,17)
Per chi ama Gesù non c'è tempo da perdere. Essi sono troppo preziosi nel mondo, dove gli uomini cercano a tastoni il loro nutrimento. Quelli che amano Gesù sono gli unici che godono di sazietà e che sono in grado di additare le sorgenti d'acqua e le praterie abbondanti. Perciò Egli stesso, il Signore, dice a Pietro: pasci le mie pecorelle. Fa' da pastore, guida ai verdi pascoli e alle fresche acque le mie pecore, quelli che pongono in me la fiducia.
Chi ama Gesù non ha tempo di bearsi... non ha tempo di pensar a se stesso. Dovrà rubarsi sì il tempo di pensare a Gesù, di guardarlo e ascoltarlo, interrogarlo e ripetergli l'amore, ma tutto questo per essere un segno di salvezza, una luce nell'oscurità del mondo, un indice puntato nella direzione delle verdi pasture, un bastone d'appoggio o di difesa nelle stanchezze e nei pericoli.
Chi ama Gesù riceve compiti d'amore.
Ho gradito sentirmi sottolineare come Gesù non abbia chiesto a Pietro se lo ha capito, né se ama le sue pecore. Solo chi ama Gesù sarà capace di assumere compiti nel Suo Regno, e non chi lo ha studiato, né chi ama gli uomini!
Chi conosce Gesù conosce la via dei suoi pascoli che non deludono e il luogo della sorgente che ristora: chi ama Gesù.
Me ne son potuto accorgere più volte, sia quando sono stato ingannato, che quando sono stato avviato al cibo che soddisfa ogni desiderio.
Gesù, voglio portare i miei fratelli là dove io ho trovato sazietà, voglio accompagnarli da Te. Tu sei e solo Tu colui che salva, Tu solo il Pastore, Tu solo il Pane, Tu l'acqua viva, Tu il vino della gioia. Coloro che mi dai di pascere li accompagnerò a Te.
Allora si leverà un coro di voci che faranno udire un gioioso alleluia!
Pietro è preoccupato. La sua preoccupazione, però, non è preoccupazione di salvezza, è solo uno spirito di curiosità con sfumature di gelosia che s'impadronisce di lui. È un atteggiamento per nulla utile al Regno di Dio. È un pensiero apparentemente innocuo, ma inutile. E ciò che è inutile nel Regno di Dio ruba il posto a ciò che è necessario. Il sale senza sapore prende il posto del vero sale!
Gesù s'accorge e difende Pietro. «Tu segui me».
Tre anni prima Pietro aveva udito queste parole e le aveva prese sul serio. Ora ancora le stesse parole risuonano rivolte ancora a lui. Come mai?
Il seguire Gesù non è un fatto che riguarda il passato. Non è un fatto compiuto. Seguire Gesù è un movimento che avvolge tutta l'esistenza, non solo i piedi! Seguire Gesù vuol dire seguirlo nei suoi pensieri, nel suo modo di fare, nel suo modo di essere, nelle sue intenzioni, nel suo donarsi.
Gesù risorto, colui che è ogni giorno con noi continua ogni giorno a dirmi: Tu segui me. Tu tieni d'occhio me, fa' piccoli passi sopra i miei. Non confrontarti con gli altri, confrontati solo con me. Tu segui me. Tu stai seguendo me: non hai il diritto di perdere tempo a considerare ciò che io chiedo agli altri. Tu fa' ciò che io chiedo a te, riempiti il cuore di me.
Pietro capisce che la risurrezione di Gesù non segna il termine della sua formazione. Egli è entrato in una scuola che non finirà mai. La sua è una formazione permanente. Il suo Maestro anche se è risorto, sta ancora davanti a lui come Maestro unico.
Gesù, perdonami. Spesso seguo e inseguo pensieri vani e inutili. Perdo tempo prezioso in parole inutili. Perdonami.
Voglio seguire Te, imparare da Te, lasciarmi formare mente e cuore da Te ogni giorno, finché potrò cantare per sempre, insieme a Te: alleluia!
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