Gioia - Sofferenza
La gioia
Rallegratevi nel Signore!
ve lo ripeto!
(Fil 4, 4)
Gioia
« Un cuore lieto fa bene al corpo,
uno spirito abbattuto inaridisce le ossa! »
Queste parole, cui fanno eco molte altre espressioni sia nelle Sacre Scritture che nei proverbi di tutti i popoli, sono già esperienza di ogni persona, per quanto giovane ed inesperta possa essere! La gioia è necessaria alla vita, e l'uomo la cerca e la insegue in ogni luogo ove essa possa esser nascosta. Ma in questa ricerca quanti abbagli! quante delusioni! Quando credo d'aver raggiunto finalmente il nascondiglio della gioia trovo il posto vuoto, buio, se non addirittura occupato da amarezza e inganno. In quante direzioni sbagliate è stata ed è cercata la gioia! Il figlio prodigo - e con lui i figli d'oggi - non cercava forse la gioia allontanandosi da chi l'aveva nutrito e cresciuto? Il ricco epulone la cercava dove molti ancor oggi la pensano: nel godimento spensierato, nell'appagamento dei desideri del corpo. E molti altri oggi ripercorrono la strada che Zaccheo ha ormai abbandonato: quella del possesso di denaro, molto e comunque! Strade per arrivare alla gioia, ma questa è solo l'intenzione che si rivela sempre più lontana dalla meta. Strade che si perdono e che bisogna ripercorrere a ritroso per non perdere se stessi.
Donde viene all'uomo la gioia?
Qual è quella gioia che dura oltre i fatti concreti e mutevoli? Come tenerla nel cuore?
Viviamo in situazioni che tentano ogni giorno di strappare la gioia, situazioni personali di malattia e peccato, situazioni familiari, situazioni sociali.
È solo un sogno la gioia?
C'è una risposta, una risposta buona. È stata chiamata eu-angelion, evangelo. È la buona notizia che fa riaprire occhi fiduciosi e fa rialzare il capo all'uomo oppresso in vari modi e a vari stadi. La buona notizia che rende nuovamente generoso l'uomo precipitato nell'apatia e nell'incertezza.
Chi ha motivi - e chi ne è privo? - per essere triste, trova in questa notizia buona la forza di sorridere, di aprirsi alla vita degli altri, di correre incontro ad ogni uomo! I ciechi vedono i fratelli, i sordi non si lasciano sfuggire un invito, gli zoppi dimenticano l'infermità e i poveri non attendono più ricchezze: ciò che serve alla vita viene donato: ecco la gioia!
La gioia non è un sogno, se la si prende là dov'è donata!
Gioie naturali per l'uomo naturale
Le prime esperienze di gioia che l'uomo accumula sono esperienze di gioia naturali! « Il vino rallegra il cuore dell'uomo » canta un Salmo! Il vino non manca mai alle nozze, ed è addirittura promesso per il banchetto nel Regno dei cieli!
Una donna fedele e saggia forma l'orgoglio dell'uomo onesto, e figli buoni sono gioia per i genitori!
La vicinanza di un amico dà sollievo e rallegra l'amico, che sente così di non esser solo a portare la responsabilità della vita. E ci sono poi gioie per tutto il popolo e che tutto il popolo esprime come fosse un cuor solo: la vittoria sui nemici è esultanza, l'arrivo alla meta del pellegrinaggio è occasione di canti di letizia e danze, le feste cultuali sono tutto un inno di gioia!
Cause e occasioni di gioia non solo per gli uomini la cui esperienza è narrata nella Bibbia, ma per tutti, come anche noi spesso possiamo provare.
La gioia è sempre buona quando è gioia, un dono gradito che rende luminoso tutto il resto.
Ma questa gioia, legata alla materia che si consuma e al tempo che passa, o a persone che mutano, è una gioia destinata prima o poi a svanire: non oltrepassa i giorni o i mesi, e non riesce a superare i momenti di dolore e i momenti di tristezza.
È una gioia questa che fa desiderare un'altra gioia meno impastata di tempo e materia, fa desiderare un'altra fonte, quella perenne della gioia pura!
La gioia vera: annuncio
La gioia vera ha bisogno d'esser preparata, prima d'esser goduta. Anzitutto viene annunciata.
I profeti annunciano una gioia che non c'è mai stata: « si rallegrino il deserto e la terra arida,
esulti e fiorisca la steppa » (Is 35,1)
È una gioia che non viene fornita dalla terra, viene dall'alto. La terra si corrompe e passa, l'uomo finisce come appassisce l'erba, i regni del mondo vengono divisi, solo ciò che viene dall'alto ha garanzia di durata.
Solo la gioia che viene dal di fuori dell'esperienza terrestre può esser chiamata a pieno titolo "gioia" e solo su di essa ci si può fondare: « La gioia del Signore è la vostra forza » (Neem 8,10).
I profeti annunciano la vera gioia e annunciano la transitorietà e falsità delle altre gioie che il mondo cerca in se stesso.
Questa gioia vera viene pure profeticamente gustata da alcuni! A Maria è stato detto dall'Angelo: « Rallegrati, il Signore è con te! » ed Ella « esulta in Dio »!
Giovanni ancor prima della nascita si agita nel grembo e sua madre sente che è la gioia per un'altra Presenza nascosta che lo muove! Ai pastori è indicata una grande gioia, il bambino Gesù! La gioia vera sarà ed è Gesù!
Preparazione
Gesù sa d'aver a che fare con noi, uomini che cerchiamo cose palpabili, che apprezziamo le gioie materiali, sensibili.
Egli è costretto a percorrere con noi un cammino terreno prima di metterci in contatto con la sua presenza spirituale, fonte della gioia vera.
Gesù perciò procura agli uomini le gioie cui essi tendono perché s'accorgano che Egli stesso è la gioia!
Gli uomini cercano la gioia nella sazietà dello stomaco ed ecco Gesù li sfama e li disseta.
Gli uomini cercano la gioia nella salute? ed ecco Gesù li guarisce e li rende capaci di vita normale.
Gli uomini cercano la gioia nella difesa dalla natura e nel guadagno? ed ecco Gesù calma la tempesta di vento e fa riempire le reti di pesci.
Gli uomini cercano la gioia nella vittoria della morte? ed ecco Gesù ridà vita alla figlia di Giairo e a Lazzaro.
Gli uomini però non sanno ancora che possono essere perdonati e ristabilire così armonia in se stessi, con gli altri e con Dio: e Gesù realizza questo miracolo: il perdono!
Una gioia superiore alla salute, superiore al successo, superiore ad ogni altra gioia.
Gesù col perdono comincia a dare all'uomo la speranza di una gioia più intima, più profonda, mai nemmeno sognata! La presenza stessa di Gesù comincia a dar gioia all'uomo. Solo la sua presenza; all'inizio la sua presenza porta e sostiene la speranza di gioie terrene come la guarigione, la sazietà, il benessere.
Ma poi l'uomo s'accorge che la gioia più grande non è l'attesa delle "cose", ma la sola presenza della Persona, di Gesù.
L'uomo s'accorge che la gioia di Dio non è quella che viene dall'aver trovato in Gesù colui che può soddisfare tutti i desideri umani: in tal caso Gesù sarebbe accolto ... egoisticamente, per averne vantaggio, e dall'egoismo non può venire gioia stabile!
Fin che l'uomo è preoccupato di se stesso, non potrà godere pienamente! è difatti ancor lontano dalla pienezza, è lontano da Dio!
C'è infatti la possibilità di una gioia nell'incontro con Gesù ancora imperfetta, perché ancora un po' egoistica, benché proveniente da Lui. San Luca annota nel suo Vangelo (24,41) che i discepoli, nel vedere Gesù Risorto « ancora non credevano per la grande gioia! ». Quella gioia era impedimento alla fede! Erano contenti per la presenza di Gesù, il loro amico che credevano ormai perduto per sempre. Ecco - devono aver pensato - siamo di nuovo al sicuro, con Lui, abbiamo di nuovo il Maestro e Signore che ci guiderà, possiamo star di nuovo tranquilli.
Era una gioia che veniva dall'egoismo, si vedevano scaricati di responsabilità troppo grandi; era una gioia transitoria, perché Gesù non avrebbe dato a lungo una presenza come quella tra loro. Era sì un dono di Dio, un'esperienza forte e utile per arrivare alla fede, ma se i discepoli si fossero aggrappati a quella gioia non sarebbe maturata in essi la vera fede!
La gioia vera, allora, quando la potrò godere? Gesù me la promette e me la indica.
Quando avrò rinunciato a me stesso e avrò fatto di me stesso un dono, allora ecco la gioia!
Quando per me non cerco nulla, quando mi offro all'amore, allora raggiungo la pienezza di Dio, che è amore - dono di sé. Dopo che avrò donato la mia vita godrò la gioia vera, che non terminerà!
« Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia » (Gv 16,20).
« Beati voi quando vi insulteranno e perseguiteranno per causa mia: rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli ».
Dopo che avrò fatto dono della mia vita a Gesù verrà la gioia vera, anche se donare la vita a Gesù significa croce e martirio. San Pietro dice: « Esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre conseguite la meta della vostra fede, cioè la salvezza delle anime »! (1 Pt 1,8s) e ancora: «Beati voi se venite insultati per il nome di Cristo, perché lo Spirito della gloria e lo Spirito di Dio riposa su di voi! » (4,14).
Gli fa eco l'apostolo Giacomo (1,2): « Considerate perfetta letizia quando subite ogni sorta di prove! ».
Esperienze vissute dagli apostoli che avevano preso sul serio la parola del Maestro: chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà! (Mt 10, 39).
La gioia perfetta
La gioia perfetta è quella che viene dalla fede!
E una gioia che non dipende da esperienze, non viene procurata dai successi della propria opera o della propria persona, né da risultati entusiasmanti.
Ai discepoli che si mostravano contenti perché erano riusciti a scacciare demoni, Gesù ha detto: « Non rallegratevi però perché i demoni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto che i nostri nomi sono scritti in cielo ». C'è un motivo di gioia più alto e più durevole dei motivi di successo, addirittura di successo apostolico.
La gioia perfetta non si lascia portar via dagli insuccessi, dai fallimenti, da esperienze di sofferenza, nemmeno - al limite da esperienze di peccato.
Gli apostoli erano « lieti di esser stati oltraggiati per il Nome di Gesù! ».
Qual è la gioia perfetta? Quali i motivi che la sostengono? Ci sono dati dalla fede.
Noi vediamo quali sono i motivi della gioia del Padre e i motivi della gioia del Figlio. Questi motivi sono stabili, continui, eterni. Ne verrà una gioia incorrotta e incorruttibile, stabile, eterna.
Sappiamo che il Padre si compiace del Figlio: « In te mi sono compiaciuto ». Il Padre gode che il Figlio unigenito sia sempre figlio obbediente, gode che in lui l'amore arrivi al culmine, che in Lui vita e amore si identifichino.
La gioia del Padre è Gesù!
Io so e vedo che quella è la causa della gioia del Padre: provo anch'io a lasciarmi influenzare da questa stessa motivazione. Contemplo il cuore del Padre lieto del Figlio e vengo trascinato a godere insieme a Lui per lo stesso motivo!
So che il Figlio si gloria del Padre e lo benedice perché ha un modo di agire sempre nell'amore tanto da innalzare il povero e l'umile alle sue confidenze intime. Sono contento di ciò di cui il Figlio è contento, sono contento di ciò di cui Gesù si rallegra.
La mia gioia viene così dalla fede. Viene dalla contemplazione di Dio, viene in me come influsso diretto del Padre e del Figlio. Questa gioia non la potrà cancellare mai nessuno, né potrà essere offuscata dagli insuccessi o dai peccati.
Gli insuccessi, i peccati, le sofferenze mie e altrui potranno distogliermi dal contemplare il Padre ed il Figlio: ed allora ricado nella tristezza.
Ma come rialzo lo sguardo ritrovo la gioia!
« Se guardo a me sono triste, guardo a te e sono nella gioia » diceva una santa. Questa gioia, che viene solo dalla fede, non è una gioia che si esprimerà in manifestazioni entusiastiche o in modi da attirare gli sguardi sulla mia persona. È una gioia mite, semplice, inosservata, ma profonda e forte, tale che può esser portata nel bel mezzo del mio esser rifiutato da parte degli uomini, nel bel mezzo dell'insuccesso, durante la persecuzione, nel corso della sofferenza.
La gioia perfetta non elimina il dolore, lo supera!
La gioia perfetta non esclude la sofferenza, ma non si lascia vincere! La gioia perfetta non mi impedisce l'insuccesso, ma non lo lascia vittorioso sul mio spirito. La gioia perfetta non è nel mondo, è in Dio. Il mondo mi darà ancora dolore e sofferenza, ma so prendere anche dal cuore di Dio ciò che vi è preparato per me!
In cammino
Il Signore mi da e mi darà ancora gioie naturali. Egli non dimentica che sono fatto di terra! Potrò gustare ancora un buon bicchiere di vino, e goderne! Potrò rallegrami per il volto di un amico, per l'affetto di una persona cara, per l'esultanza di una festa di paese! Lo ringrazierò, ma so che non sarà questa la mia gioia piena.
Il Signore mi farà ancora godere qualche buon frutto della mia opera, qualche successo del mio lavoro. Lo ringrazierò, ma so che non è ancora tutto.
Il Signore mi darà ancora la gioia di vincere qualche tentazione, di allontanare da me il Maligno, ma so che non è vittoria definitiva. Il Signore mi darà prove del suo amore concedendomi consolazioni interiori, o doni speciali, ma so che questi regali non sono per sempre!
Farò dei piccoli passi verso la gioia perfetta!
Io ora inizio a camminare in questa direzione: farò ogni giorno un esercizio, o due esercizi, con umiltà: provo ad esser contento di te, Gesù, insieme al Padre. Ecco, ti faccio un sorriso, Gesù, perché te lo merita Sei stato bravo - non perché mi hai dato salute o intelligenza (non ti voglio considerare egoisticamente) - sei stato bravo ad obbedire al Padre, ad amarlo tanto da perdonare perfino ai tuoi nemici e ai tuoi rinnegatori. « Di te gioisce il mio cuore, di te esulta la mia anima! ».
Farò un esercizio di gioia perfetta nel momento d’insuccesso, quando sembra che vada tutto storto, quando accade qualche contrattempo: quello è il momento buono per sperimentare la gioia che viene dalla fede.
Anzi, farò un esercizio di gioia, ti sorriderò quando mi ritrovo caduto nel peccato. Anche allora tu rimani fonte di gioia.
In quel momento - nonostante il mio peccato - il Padre continua a compiacersi di Te!
E anch'io vorrò distogliere lo sguardo dal mio peccato e sorriderti, non solo e non tanto perché sei pronto al perdono, ma perché sei la gioia del Padre!
Verrà anche per me il giorno in cui entrerò definitivamente « nella gioia del mio Signore »! Allora canterò senza fine la lode perenne e ti ringrazierò per le sofferenze e difficoltà che ora sono sul mio cammino, perché se avrò sofferto con te e per te, sarà grande la mia gioia!
Proprio così il tuo apostolo Pietro ha avuto il coraggio di scrivere: « nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi! » (1 Pt. 4,13).
La gioia vivifica e rende gloriosa la sofferenza del tuo discepolo!
La gioia di Dio
Ci preoccupiamo anche della sua gioia?
Quante volte viene da dire: sarà contento di me il Signore?
È una domanda che suona un po' male. Suona un po' egoistica, ci preme far bella figura, esser qualcuno davanti a Dio. Sarà contento di me il Signore?
No, non mi preoccupo più di questo.
Dio Padre trova la sua gioia nel Figlio e il Figlio nel Padre! Certamente il Padre è contento di vedermi unito al Figlio suo; e il Figlio è contento al vedermi entrare nel cuore del Padre! Ma non mi preoccupo che Dio sia contento di me. Piuttosto sono io che devo esser contento di Dio! Io lascio crescere in me la gioia per il mio Dio.
Ed allora succederà quello che succede ad una madre! Un figlio, anche se un po' scapestrato, ma che dimostri di esser contento della sua mamma, forma già la gioia per lei! La madre è contenta che il proprio figlio si glori di lei! Così noi siamo la gioia di Dio quando siamo fieri di lui!
Senza affermare che, se siamo contenti di Lui, cresce in noi anche la volontà di obbedirgli, di ascoltarlo, di fargli far bella figura!
Dio è contento di noi, quando noi siamo contenti di Lui! Maria non si è chiesta se Dio fosse stato contento di lei: ella ha esultato di Lui: « Il mio spirito esulta in Dio »!
Col salmista (15) dirò anch'io:
« Io pongo sempre innanzi a me il Signore,
sta alla mia destra, non posso vacillare.
Di questo gioisce il mio cuore,
esulta la mia anima;
anche il mio corpo riposa al sicuro! »
Quando sono contento del Padre e di Gesù e del loro Spirito Santo allora io sono la gioia di Dio!
Non so se tu hai sperimentato prima la gioia o la sofferenza.
Né so in quale di queste due situazioni ti trovi ora.
So che l'una e l'altra fanno parte del cammino dell'uomo,
fanno parte del mistero del Figlio di Dio che ci vuole assumere nella sua vita.
Sofferenza
In tutte le tribolazioni noi siamo più che vincitori
per virtù di Colui che ci ha amati!
(Rom 8,37)
Sofferenza
A nessuno piace soffrire. E se qualcuno gode di soffrire, costui è malato, malato di masochismo o di autolesionismo.
È normale che gli uomini evitino la sofferenza, tanto normale che gran parte delle energie del mondo sono impiegate nella lotta contro la sofferenza.
Anche Pietro non voleva sentir parlare di sofferenza. Questa parola in bocca al suo Maestro lo ha messo in stato d'allarme: ha reagito con le solite frasi d'occasione: « no, a te non succederà...». Credeva, con questi complimenti, di esprimere amore per Gesù. Riteneva che amore fosse augurare di non soffrire. Si faceva in tal modo portavoce del senso comune di tutti gli uomini che sono in continua lotta contro la sofferenza propria o altrui. La vedono come il principale nemico dell'uomo e dell’umanità.
Ma Gesù rispose decisamente a Pietro: Va' via Satana! tu non pensi con la mentalità di Dio, tu porti in cuore le paure degli uomini!
Pietro aveva messo al centro dell'attenzione la sofferenza, cioè, in fin dei conti, l'uomo! L'uomo che bada a se stesso ha paura della sofferenza e della morte, e questa paura aumenta l’attenzione a se stesso. Così Dio rimane fuori gioco, fuori di ogni calcolo e ragionamento. L'uomo si ritrova nudo, come Adamo dopo il peccato, solo, in balia di se stesso, senza difese, senza protezione, ateo, senza relazione d'amore né con Dio (dimenticato) né con l'uomo (gli diventa nemico!).
L'uomo che rifiuta ad ogni costo la sofferenza si ritrova a rifiutare, alla fin fine, anche Dio.
L'adesione a Dio, alla Sua paternità, può comportare talvolta anche sofferenza: se la rifiuto in partenza posso rifiutare la mia figliolanza a Dio.
La sofferenza non deve stare al centro dell'attenzione, né deve essere elemento da prendersi in considerazione nelle decisioni. Non si può decidere qualcosa in base a maggiore o minore sofferenza, decidere quello che fa soffrire di meno o quello che fa soffrire di più! In questo caso la sofferenza diverrebbe idolo, qualcosa che sta al posto di Dio.
Al centro dell'attenzione lascerò Dio; Egli è degno di occupare il posto centrale, ed io sono figlio se decido ogni cosa in base ai Suoi progetti, alle sue chiamate.
È quanto ci mostra Gesù pregando nella notte nell'orto degli ulivi. « Non la mia, ma la tua volontà sia fatta ». In questo modo Egli allontana quella tentazione che gli era pervenuta anche tramite Pietro: distoglie gli occhi dalla sofferenza, « il calice amaro », per posarli sul Padre: Egli va amato, anche se quest'amore comporta grandi sofferenze.
Tre tipi di sofferenze
Si possono classificare le sofferenze dell’uomo?
Una semplice osservazione mi fa scoprire la differenza tra le sofferenze del corpo e quelle dell'anima e quelle dello spirito. Le sofferenze del corpo le chiamiamo dolore, e sono causate da privazioni e malattie, dalla fragilità delle nostre membra e dal loro esaurirsi!
Le sofferenze dell'anima sono più complesse e provengono in genere dalla rottura di rapporti affettivi o dalle loro esagerazioni, da accentuazioni d'importanza del proprio passato o del proprio futuro, da paure e incertezze di vario genere.
Le sofferenze dello spirito, talvolta nemmeno consciamente percepite, sono procurate dalla distanza da Dio, dal rifiuto del suo amore; e ciò porta nello spirito dell'uomo tensioni e ansie, confusioni e aberrazioni che lasciano una sofferenza tale che s'estende all'anima e pure - a lungo andare - al corpo.
Siccome poi anima e spirito e corpo sono un'unità inscindibile, la sofferenza che inizia in una parte può invadere tutta la persona. A meno che lo spirito non sia saldamente unito a Dio. Allora le sofferenze dell'anima e del corpo possono esser incanalate nell'offerta e nell'amore: così non danneggiano la persona, anzi, la fanno crescere interiormente fino alla somiglianza col Figlio di Dio che offre se stesso al Padre attraverso la croce.
Le cause
Ci sono sofferenze che incontriamo, direi, naturalmente. L'evolversi naturale della vita diviene causa di dolore già fin dalla nascita, sia per la madre che per il figlio!
Lo spuntare dei denti, compresi quelli del "giudizio", non fanno parte di un dolore naturale, inevitabile?
Così pure le sofferenze psichiche dell’adolescenza o di altri stadi della vita sono semplicemente attribuibili alla maturazione dell'uomo e ne divengono strumenti provvidenziali.
Un limite insito nella nostra carne, o, meglio, nella nostra natura, ci rende costantemente vigilanti, prudenti e attenti a un'infinità di possibili nemici: freddo e caldo, malattie e ostacoli, cadute e incidenti.
Ma la capacità di peccare porta l'uomo a contatto con la sofferenza più indesiderata: quella che si trova ad essersi comprata con la propria disobbedienza. Che dire del mal di fegato dell'alcolista? o delle gambe rotte dell'imprudente? o dei disastri ecologici che causano sofferenze a popolazioni intere?
Gesù, quando può, quando è favorito dalla fede dell'uomo, toglie agli uomini le sofferenze del corpo e dell'anima e col perdono elimina quelle dello spirito. Le guarigioni, i miracoli, le risurrezioni, la moltiplicazione dei pani, il dominio del vento, il dono del vino agli sposi di Cana, ci fanno intuire che nessun tipo di sofferenza dell'uomo è gradito a Dio, né voluta da Lui. Non Dio vuole la sofferenza. Questa è conseguenza o della ribellione generale dell'umanità o del peccato di qualcuno o di qualche convivenza umana. Se Dio avesse voluto il male, Gesù non lo avrebbe tolto a nessuno. Egli, in piena unità col Padre, lo ha tolto a chi lo incontrava con fede: ciò significa che il male non è da Dio. E non era da Dio nemmeno in quelle ore e in quei giorni in cui ha toccato l'anima e il corpo di Gesù stesso.
Sofferenze benedette
Ma se le sofferenze non sono volute da Dio, io le posso però offrire a Lui! e allora, da segno del Male divengono strumento d'amore.
Talvolta le posso anche prendere come dono di Dio: il fatto che Dio le permette lo posso cogliere come suo dono. Se egli non ne è mai la causa, egli però non impedisce che arrivino a me. E ciò che egli non impedisce non mi potrà far del male, benché mi possa far soffrire.
Colui che ha scritto la lettera agli Ebrei vede le sofferenze dei cristiani in questa dimensione: « è per la vostra correzione che voi soffrite ». La sofferenza è occasione con cui Dio - Padre premuroso - corregge quelli che ritiene suoi figli. Diviene segno dell'amore di Dio!
E S. Paolo scrivendo ai Corinzi interpreta quasi allo stesso modo una grossa sofferenza che lo tormenta: « perché non montassi in superbia mi è stata messa una spina nella carne, un inviato di Satana incaricato di schiaffeggiarmi, perché io non vada in superbia ».
Così egli professa che il male non è da Dio, ma che Dio glielo permette per un bene spirituale, per una sorta di prevenzione dall'orgoglio, dalla superbia! Paolo riceve questa sofferenza come Dono di Dio!
Altre volte le sofferenze possono diventare segnali, segni della Volontà di Dio. Sempre S. Paolo dice ai Galati: « sapete che fu a causa di una malattia del corpo che vi annunziai la prima volta il Vangelo! ».
E anche noi conosciamo persone che - grazie alla malattia hanno conosciuto l'amore del Signore o ne hanno approfondito qualche aspetto. Forse a noi stessi è stata concessa questa grazia.
Molti Santi, grazie alla "disgrazia" della sofferenza, hanno conosciuto e accolto la Volontà di Dio! E molti malati che vivono nelle nostre case, grazie alla sofferenza, divengono testimoni di Gesù. Dal modo con cui sopportano nella fede e accettano il dolore e dal modo con cui continuano ad amare si può vedere la bellezza e la forza dell'amicizia con Gesù!
Sofferenze d'amicizia
C'è un tipo di sofferenza che sembra assurdo. E trova la sua occasione nell'amicizia con Gesù! L'amicizia con Gesù è sempre fonte di gioia e serenità, di pace e fortezza, ma è pure l'occasione di grandi sofferenze.
Gesù stesso lo aveva compreso e non ne aveva fatto mistero ai suoi: « Se hanno perseguitato me perseguiteranno anche voi » (Gv 15,20).
Il mondo, cioè le persone che ci stanno attorno, qualche volta addirittura parenti o amici e conoscenti, mi rifiutano in quanto cerco di essere obbediente a Dio. O mi calcolano un poveretto da lasciar in disparte perché sono e voglio restare in amicizia con Gesù. Rientro in quella classe di emarginazione che non viene calcolata tra i classici emarginati della società. Un tipo di emarginazione che non rientra nelle attenzioni di chi vuole eliminare ogni emarginazione!
Le scelte che uno opera in obbedienza al Vangelo lo mettono in situazione di esser rifiutato da molti.
E se annuncio il Vangelo senza tagli redazionali operati per incontrare il favore degli ascoltatori, mi ritrovo con qualche amico in meno e con sofferenze di vario genere.
« Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia, io ho vinto il mondo » (Gv. 16,33).
« Vi consegneranno ai supplizi e vi uccideranno e sarete odiati da tutti i popoli a causa del mio nome » (Mt. 24,9). Essere amici di Gesù comporta un prezzo alto di sofferenza! Quando il Signore chiama Paolo nella sua sequela, rivela ad Anania: « Io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio Nome! » (Atti 9,16).
In questo modo l'amico partecipa alla missione dell'Amico!
Il significato della vita di Gesù viene partecipato a quelli che lo vogliono amare condividendone i compiti. Gesù permette che il principe di questo mondo possa metterlo alla prova.
Il principe di questo mondo non ha potere sulla sua vita, perché Gesù ama il Padre e non smette quest'amore. Gesù non vuole avere altra volontà che quella del Padre, non collabora ad altri programmi che a quelli del Padre. Ma come facciamo a saperlo? Non basta che Gesù lo dica. Le parole sono parole. Gesù dev’essere messo alla prova. Nel corso di tale prova risulta evidente, straordinariamente evidente, che Egli continua l'amore del Padre, che Egli non si lascia trascinare nel vortice di questo mondo. L'amore al Padre da parte di Gesù diventa tanto evidente sul Calvario che il centurione pagano se n'accorge e lo dichiara pubblicamente a tutte le generazioni: « Veramente quest'uomo è il Figlio di Dio! ».
Gesù aveva accolto la propria sofferenza come il punto culminante della sua missione di annuncio: « Bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi ha comandato ». L'accettazione della condanna e della morte in croce è l'annuncio più forte che Gesù diffonde nel mondo. La croce è il suo ambone più vero e più autorevole. Dal modo con cui Egli soffre si capisce la sua figliolanza di Dio e quindi la sua importanza per noi.
I cristiani che soffrono possono partecipare a questa missione di Gesù, e diffondere il suo annuncio, donandogli forza proprio con l'amore con cui accettano la prova del patire.
Quando i cristiani soffrono la prova, la privazione dei beni, quelli stimati dal mondo, come la libertà e la stessa vita terrena, e soffrono senza smettere l'amore e la gioia della loro salvezza, allora essi sono testimoni. Allora la loro croce diviene annuncio - silenzioso - di un'altra sapienza e di un'altra vita, annuncio della presenza di un Padre che merita obbedienza e di un Signore degno d'amicizia.
La croce non è perciò mai assente dalla storia del vero discepolo. « Tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati » (2 Tim 3,12). « Dovete attraversare molte tribolazioni per entrare nel Regno di Dio » (Atti 14,21).
« Soffri anche tu insieme con me per il Vangelo » (2 Tim 1,8).
Ai due discepoli che Gli vogliono esser vicini, Gesù chiede semplicemente: « Potete voi bere il calice che io sto per bere? » (Mt 20,23).
E sappiamo che in cielo trionfano « quelli che vengono dalla grande tribolazione » (Ap 7,14).
Chi si fa figlio di Dio dona se stesso, poiché questa è la natura di Dio - Amore! Donare se stesso è perdere la propria vita.
La sofferenza della persecuzione è solo un modo « accettato » dal discepolo, un modo non cercato di donare se stesso, di rimanere amore fino alla morte, fino alla fine, un modo di partecipare al compito del Figlio di Dio.
Voler soffrire?
Il figlio di Dio sa che il Padre è amore che dona se stesso.
E sa che egli è per davvero figlio di Dio se dona se stesso, come il Padre. Egli cerca perciò il dono totale di sé, cerca il proprio morire.
Per questo lo Spirito Santo dice: « Preziosa agli occhi del Signore è la morte dei suoi fedeli » (Sal. 116,15) perché la morte è il compiersi della vita del figlio di Dio, che ama donandosi del tutto. Col termine "morte" non s'intende certamente l'attimo del diventare cadavere, ma ogni attimo in cui la mia persona cede il posto, si rinnega, si mortifica per far spazio all'amore. Questa morte è cercata dal figlio di Dio, è cercata, non per il gusto di morire o di annullarsi, ma per fare spazio alla vita del Figlio, all'amore di figlio, alla vita quindi del Padre!
Il cristiano cerca la propria "morte" per amore, per portare a compimento l'amore a Dio e agli uomini.
Porta a compimento l'amore a Dio donandogli spazio in sé: « Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me » (Gal 2,20). « vivere è Cristo, il morire un guadagno » (Fil 1,21).
« Voi siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio » (Col 3,3).
Porta a compimento l'amore agli uomini per essere un dono per loro, un dono di Dio, il dono migliore.
Il figlio di Dio cerca perciò la morte ogni giorno nei modi che gli sono possibili: muore ai propri desideri, al proprio gusto, ai propri progetti e abitudini, ai propri sentimenti e impulsi. Si serve dei contrattempi, delle ostilità, delle volontà dei fratelli, della propria attenzione agli altri: accettandoli muore a se stesso. Cerca la vittoria sui primi moti del cuore per far posto ai suggerimenti dello Spirito Santo.
La sofferenza diventa una strada, una strada maestra! L'uomo non cerca certamente la sofferenza, ma la percorre come si percorre la strada quando si vuol giungere alla meta. L'uomo cerca il Signore, cerca di collaborare con Lui, di fargli posto e perciò cerca di morire a se stesso, per offrirgli spazio in sé. È l'amore al Padre e al Figlio che fa sì che il cristiano cerchi anche la sofferenza della morte di se stesso.
Gesù ha avuto parole sufficientemente chiare in proposito:
« Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua ».
« Chi perderà la propria vita per me, la salverà » (Lc 9,23).
« Se uno non odia ... perfino la propria vita... » (Lc 14,26s). « Mortificate quella parte di voi che appartiene alla terra » (Col 3,5).
In tal modo l'uomo si prepara alla testimonianza di Gesù anche nella persecuzione che - poco o tanto - c'è per tutte le generazioni cristiane. Gli apostoli non ci lasciano illusioni né ci vogliono ingannare.
« È una grazia, per chi conosce Dio, subire afflizioni soffrendo ingiustamente. Se, facendo il bene, sopporterete con pazienza la sofferenza ciò sarà gradito davanti a Dio. A questo siete stati chiamati, perché anche Cristo patì per voi... » (1Pt 2,19).
« Se anche doveste soffrire per la giustizia, beati voi »! (3,14). « I vostri fratelli sparsi nel mondo subiscono le stesse sofferenze di voi » (5,9).
« Noi ci vantiamo anche nelle tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata, e la virtù provata la speranza! » (Rom 5,3-5). « Mi compiaccio nelle mie infermità... nelle angosce sofferte per Cristo » (2 Cor 12,10).
« Considerate perfetta letizia, miei fratelli, quando subite ogni sorta di prove, sapendo che la prova della vostra fede produce la pazienza » (Gc 1,2-4).
Sofferenza di vocazione
Quando non c'è la persecuzione aperta contro il cristiano, egli vigila ancora di più, per non esser sopraffatto nello spirito. Quando è cessata l'epoca dei martiri, nella Chiesa è iniziata l'epoca degli anacoreti, degli eremiti - asceti, di coloro che per amore del Signore rinunciavano a tutto, sottoponendosi a privazioni d'ogni genere: e così ricordavano a tutti che non c'è sequela di Gesù senza croce.
S.Antonio abate con i suoi discepoli, S. Pacomio, S. Benedetto, S.Romualdo, S. Francesco e un'infinità di altri testimoni hanno volutamente e consciamente continuato la vita di Gesù crocifisso, secondo la parola dell'Apostolo: « Completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo » (Col 1, 24) e « mi affatico e lotto, con la forza che viene da Lui » (1,26).
Egli, l'apostolo Paolo, continua la sofferenza della lotta contro impulsi interni ed esterni: « Nelle mie membra vedo un'altra legge che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo... » (Rm 7,23s). « Tratto duramente il mio corpo, e lo trascino in schiavitù perché non succeda che, dopo aver predicato agli altri, venga io stesso squalificato » (1 Cor 9,27).
Questa durezza con se stesso è il risultato dell’esperienza che se non c'è il dominio di sé, anche a costo di soffrire, l'uomo precipita nella schiavitù delle proprie passioni, e si allontana dalla somiglianza a Dio.
Il cristiano perciò accoglie nella propria vita spirituale di penitenza, di ascesi, cerca talvolta sofferenze volontarie quali il digiuno o altre forme - nascoste - di dominio e sottomissione della propria voglia di comodità.
Non cerca modi di vita eroica, né fa eventuali penitenze per il gusto di diventare "perfetto", cioè per amor proprio.
Se lo fa, lo fa solo per amore, per dire all'Amato la propria volontà di morire per Lui, di cedergli il posto della propria vita.
Ed allora succede che questa sofferenza genera gioia! quando l'uomo raggiunge il culmine dell'amore e il suo cuore si riempie! Proprio così ebbe a scrivere S. Pietro: « Voi esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre conseguite la meta della vostra fede »! (1 Pt 1,8).
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Nihil obstat: Mons. Iginio Rogger, cens. Eccl. - Trento, 3 marzo 1986
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