ME
NU

Gesù e l'ascesi

Gesù e l'ascesi

 

Io non sono capace di digiunare, né di vegliare, né di far l'elemosina e nemmeno di pregare. Se guardo a me stesso l'unica cosa che potrei fare sarebbe lo stare zitto.

 Non so se il mio desiderio di iniziare un dialogo su questi aspetti della vita cristiana sia puro e libero. So che vorrebbe essere un atto d'amore per Gesù: Egli ha vissuto queste realtà, le ha rese luminose e ha dato loro il significato e il contenuto più vero e santo: l'amore.

Per amore di Gesù ne parlo, perché Egli risplenda anche in questo aspetto della sua vita, aspetto che con facilità dimentichiamo, complici lo spirito di comodità, lo spirito della mente, l'appoggio del mondo e la nostra volontà indebolita dal benessere. 

Gesù non si è presentato come un grande asceta, come uno di quelli che hanno rinnegato se stessi cercando pratiche eccezionali di rinuncia. 

Qualcuno che se l'aspettava da Lui, gli ha persino rimproverato di non farlo. E' stato tacciato d'essere mangione e beone, di non digiunare nei giorni di digiuno! 

Eppure, se osserviamo bene la sua vita la troviamo ricca di ascesi, di quella che non si fa notare, vissuta nel cuore, portata nel segreto, frutto e sostegno di amore. 

Trascorse una vita nell'indifferenza di Nazareth, circondato da parenti di corte vedute, senza dialoghi spirituali con loro; passò quaranta giorni nel deserto, nascosto a tutti. 

Negli anni di vita pubblica mangiava quel che trovava, dipendeva dalla bontà di alcune donne, era senza sicurezze, sopportava senza lamentarsi le durezze dei discepoli ed il persistente atteggiamento egocentrico di Giuda in particolare. Rinunciava a momenti di sonno: questo sembra essere stato l'unico moto ascetico del Signore volontariamente scelto, mentre gli altri sono tutte situazioni in cui s'è trovato senza averle cercate: le ha volute, come atti di sottomissione al Padre, che manifestava così i passaggi della Sua Volontà! 

Ma anche la rinuncia al sonno era piuttosto un cercare tempo di preghiera, dedicare al Padre le primizie delle forze spirituali e corporali, vivere l'amore più profondo e più puro del suo cuore. Non era certamente un cedere al desiderio di perfezionare se stesso!

 

Il cristiano e l'ascesi

 

Gesù è l'unico modello per il cristiano; Egli è modello per il nostro camminare da cristiani nel mondo, camminare che richiede passi nell'ascesi, altrimenti rimaniamo semplicemente nel mondo, succubi delle sue leggi e risucchiati dalle sue mode, senza portare alla luce nulla della gloria e santità di Dio.

Ogni cristiano in qualche misura è un asceta, uno che domina se stesso, che non lascia libero corso a tutti i desideri della carne e della psiche. Il dominio di sé è una delle manifestazioni del frutto dello Spirito Santo che il cristiano riceve da Dio (Gal 5,22).

Dove c'è Spirito Santo c'è dominio di sé, dominio del corpo, della sensualità, della gola, della lingua, degli occhi, dell'affettività, della volontà!

Un cristiano vero, che porti in sé lo Spirito di Dio, dev’essere accompagnato e aiutato in un cammino ascetico costante, cammino di liberazione dalle costrizioni dei propri sensi e delle proprie spontaneità. 

Il cristiano è destinato a dar gloria a Dio con la sua vita, a portar cioè alla luce gli aspetti meravigliosi e preziosi della vita di Dio, del suo amore e della sua sapienza. Gli sarà possibile se saprà dominare «quella parte di sé che appartiene alla terra», (Coi 3, 5) se saprà incanalare secondo le leggi dello Spirito le proprie facoltà, che si trovano sotto il domino del peccato, continuamente disorientate dall'egocentrismo.

 

 

L'ascesi e l'amore

 

La vita di Dio è tutta amore! e la vita di Dio in noi è ancora tutta amore, amore puro, libero da egoismi d'ogni sorta.

Il cuore dell'uomo è già capace di amare, è vero. Grazie a Dio è così! Ma l'amore del nostro cuore ha bisogno di purificazione, perché l'egoismo entrato già con Adamo nella situazione umana e coltivato da tutti i suoi figli, sia personalmente che socialmente, fa capolino in ogni cuore e in ogni età! Noi amiamo, ma il nostro amore è impuro, mescolato con molti movimenti di amor proprio, manifesti o nascosti a noi stessi. Perché il nostro amore possa contenere e manifestare la purezza dell'amore del nostro Dio e Padre ha bisogno di... lunga e continua purificazione. 

Il nostro amore è limitato e spesso deviato da desideri dell'anima e del corpo: di un'anima che cerca gratificazioni e primati, di un corpo che pretende piaceri e comodità. 

La purificazione dell'amore è possibile, ma costa. Essa costa fatica, sofferenze, umiliazioni. 

Gesù ci vuoi portare al Padre, cioè a vivere l'amore perfetto ricevendo la perfezione dell'Amore; Egli ci assicura che per poterlo seguire in questo viaggio è necessario dimenticare se stessi, rinnegare se stessi! 

E' un rinnegare se stessi che comincia coi considerare indifferenti i legami affettivi di parentela e d'amicizia! e continua nell'abbandono delle sicurezze materiali; e prosegue nel rinunciare ai propri desideri di realizzazione, di autodeterminazione, di comodità. 

Gesù stesso non pone un limite a questo rinnegamento di sé. I santi hanno oltrepassato tutti i limiti che i miei ragionamenti cercano di innalzare. Ma i miei ragionamenti sono... interessati! 

Chi cerca la gloria di Dio non cerca i limiti, cerca l'infinito! anche nel rinnegamento di sé.

 

 

Rinnegare se stessi 

 

Rinnegare se stessi non è un valore in sé: Gesù non è un tipo che propone masochismo. Rinnegare se stessi è solo una condizione di autodominio realizzata dall'amore per amare. E' un atto d'amore come l'atto d'amore di una madre che rinuncia alla coperta perché il figlio non abbia a soffrire il freddo. 

Persino l'ambizione dell'atleta è motivo di rinnegamento di sé, tanto più l'amore vero può essere occasione di sofferenza. 

Viviamo il rinnegare noi stessi come amore a Gesù, perché Egli possa aver spazio libero e sovrano nella nostra anima e nel nostro spirito, e anche il nostro corpo offra servizio alla sua Presenza. Chi ama la Presenza di Gesù sa quanto essa sia importante per tutto il mondo: Egli è l'unico che salva. 

Chi rinnega se stesso per lasciar risplendere in sé le parole e la presenza di Gesù sta amando tutto il mondo. 

L'amore può anche costare! Quale amore non costa? 

Gesù è degno dell'amore più puro e più prezioso. Per Lui si può quindi soffrire. 

Egli stesso, è scritto nella lettera agli Ebrei, «pur essendo Figlio, imparò tuttavia l'obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono» (5, 7). 

Gesù, per portare a compimento nel suo essere uomo l'amore filiale al Padre, ha affrontato sofferenze atroci: la sua vittoria continua a fruttificare per noi! 

C'è un rinnegamento di noi stessi offertoci dalle occasioni normali della vita. Ce n'è uno presentatoci dalle incomprensioni degli uomini. Ce n'è un altro che noi stessi dobbiamo cercare. 

Nell'uno e nell'altro caso è completo e risplende solo se vissuto come martirio: come testimonianza a Gesù, come testimonianza che Gesù è il Salvatore, che Lui è la gioia e la pace e la ricchezza del cuore. Un martirio che è amore.

 

 

Martirio 

 

In tal modo, come martirio-testimonianza posso vivere di buon grado il malessere della febbre, quello del mal di denti, quello della mancanza di alcune comodità, la fatica delle scale e la sofferenza di un compito e di un lavoro che mi è affidato, un'obbedienza difficile, la presenza di una persona che dà fastidio... 

Dentro queste sofferenze mi comporto con naturalezza e tengo viva la gioia del Signore: allora sono testimone, allora queste difficoltà sono piedistallo all'amore e riconoscenza per Gesù, che risplende come mia vera vita. 

Di per sé non è la sofferenza né l'ascesi direttamente la vera testimonianza, il vero «martirio», ma la pace e la gioia che io trovo in Gesù pur dentro queste situazioni di per sé negative. 

Il lamentarsi dentro simili situazioni non farebbe che il gioco di tenere in luce me stesso, il mio io... straziato... e il mio io sarebbe come un vetro opaco che non lascia passare la luce che viene dall'Alto.

Vivo questi momenti come occasioni preziose per far risplendere la bellezza dell'amore di Gesù, che riempie il cuore, anche mentre il corpo soffre. 

Occasione di sofferenza, e quindi di ascesi, possono essere le incomprensioni degli uomini: esse possono nascere da loro cattiveria o da loro ignoranza. Talora nascono pure da una mia poca chiarezza, se non proprio dal mio essere peccatore. In ogni caso esse sono sofferenza, sono stimoli efficaci d'insonnia, di agitazione, di ansia, e talora d'angoscia. 

Possono divenire causa di cambiamento di lavoro, obbligo ad evitare certi ambienti, ad assumere atteggiamenti che non ci sono abituali. Possono giungere a far cambiare la nostra vita sensibilmente, a toglierci qualunque gusto del lavoro e del servizio che svolgiamo. 

Ebbene, quale occasione di ascesi! Offrire volontariamente le nuove situazioni create da queste contrarietà che sembrano malvagità, offrirsi al Padre con un volto sereno, mantenendo amore, ci fa diventare segni che ciò che conta per noi è il dono di Dio, suo Figlio Gesù, che nessuno ci può strappare dal cuore e che è l'unica fonte di gioia e pace della nostra vita. E' testimonianza, è occasione per essere martiri nel senso etimologico del termine, cioè testimoni dell'Invisibile. 

Essere testimoni di Gesù è l'opera che lo Spirito Santo porta a compimento in noi, come Gesù è stato testimone del Padre. Egli lo ha testimoniato nella maniera più forte sul Calvario, in croce, dentro i tormenti della morte. Così i martiri sono coloro che tra i tormenti della morte hanno testimoniato e testimoniano con la forza dello Spirito, che Gesù è vera salvezza e gioia e forza dell'uomo. Per questo i ,santi, nostri fratelli, hanno desiderato il martirio come il dono più grande, per poter offrire al loro Signore una testimonianza chiara e decisiva. E in moltissime occasioni proprio la testimonianza del martirio è stata luce e forza per la conversione di pagani e di atei: «il sangue dei martiri, seme di nuovi cristiani!».

La vita nasce dal grano che muore!

 

 

Il martirio quotidiano 

 

I cristiani che non hanno avuto occasione, come tanti loro fratelli, di offrire la vita e il sangue nel martirio procurato dall'odio altrui, hanno cercato essi stessi un martirio, procurato dal proprio amore. Hanno cercato di sottomettere il proprio corpo alle sofferenze e la propria anima agli insulti e ai disprezzi, per non lasciar scomparire la testimonianza a Gesù. 

Ed ecco schiere di uomini inoltrarsi nel deserto a vivere una vita grama, nelle grotte e nei sepolcri. Ecco altri nelle steppe e nelle foreste della Russia, sulle montagne della Siria, in luoghi impervii delle Alpi e degli Appennini, ecco donne che si costringono a vivere l'una accanto all'altra nel chiuso di monasteri sbarrati come prigioni, ecco persone che si privano di ciò che tutto il mondo ritiene necessario: della consolazione e sicurezza di uno stipendio, dell'affetto di un coniuge, della libertà nel decidere i propri orari e i propri servizi, persone che limitano o rinnegano il comune desiderio di essere informati, persone che scelgono la povertà in famiglia ecc. ecc. 

Ma, ecco la stranezza: a me sembra che rinuncino a essere uomini, ed essi vivono un'umanità più forte e armonizzata; a me sembra che essi cerchino la sofferenza, ed essi invece trovano la gioia: perché essi cercano Gesù, lo trovano spogliandosi di tutto ciò che tende a diventare idolo e a sostituirsi quindi, anche in modi impercettibili, a Dio. 

Essi vogliono far risplendere la salvezza che viene da Dio, e perciò rinunciano a quelle forme di salvezza che l'uomo - spinto dal suo istinto personale o dal quello sociale o persino dal demonio - tende a crearsi. 

Essi s'attendono la salvezza da Dio, come Gesù nel deserto: Vogliono dare a Dio l'occasione di manifestarsi nella loro esistenza come l'unico vero bene. Vogliono essere testimoni, e cercano perciò il martirio quotidiano! 

 

Le «esagerazioni» 

 

Così vedo il significato delle catene di S. Teodosio, della scelta di un sepolcro come abitazione fatta da S. Antonio il Grande, della quaresima trascorsa in un'isoletta del lago di Bolsena con mezzo pane da S. Francesco di Assisi, dei cilici e flagelli di molti altri santi, della catapecchia di cartone di P. Romano Bottegal, delle stranezze operate per attirarsi disprezzo dai Santi Yurodivje in Russia o quelle di S. Filippo Neri a Roma, la vita senza denaro - e quindi senza luce elettrica e senza riscaldamento - di M. Chiara Francesca Scalfi e sorelle. 

La mentalità comune dei secoli trascorsi e quella di oggi sono concordi nel rifiutare simili... «esagerazioni»! Essi le vivevano o le vivono come atti d'amore, spinti dallo Spirito, come Gesù, spinto dallo Spirito, entrò in quel deserto dove non trovò né pane né acqua. Essi però, con queste loro «esagerazioni» sono dei segni per noi, che per amore di Dio non siamo capaci nemmeno di trattenerci dal lamentarci per qualche piccola difficoltà. 

lo, ti ripeto, non sono capace di vegliare, né di digiunare e nemmeno di sopportare le intemperie senza lamentarmi. 

Eppure S. Paolo scrive: «tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù, perché non succeda, che dopo aver predicato agli altri, venga io stesso squalificato» (1 Cor 9,27). 

L’Apostolo tratta duramente il suo corpo: egli ha di mira benefici spirituali e si accorge che il benessere materiale può vanificarli, come dice il Salmo: «L'uomo nella prosperità non comprende: è come gli animali che periscono» (Sal 48, 19). 

Trattare duramente il corpo è conseguenza, quindi, di un attento discernimento spirituale, quello stesso discernimento che ha permesso a Gesù di riconoscere Satana nella esclamazione di Simon Pietro: il discepolo avrebbe voluto evitare la sofferenza e la croce al Maestro! 

 

Amare il corpo 

 

Quando decidiamo di ignorare le esigenze del corpo e non le assecondiamo, ricevono spazio le ricchezze dello spirito; queste possono svilupparsi e trasfigurare il corpo stesso fino a farlo divenire trasparenza di luce divina. Trattare duramente il corpo quindi è un amore ancora più grande per il corpo stesso, che da strumento di egoismo può diventare luogo di manifestazione di Dio! 

Questo lo si legge di molti santi e sante: il loro volto diffondeva luce, il loro sguardo, il loro camminare, la loro voce, il loro ascolto davano l'impressione a chi li avvicinava di trovarsi a contatto di un'altra vita, fuori o al di sopra di questo mondo, a contatto della Presenza di Dio. 

Per non entrare in tentazione 

Trattare duramente il corpo e accettare volentieri le ingiurie è cosa che non piace al maligno, che si vede togliere il suo normale campo d'azione.

Le mortificazioni volontarie tolgono forza alle tentazioni. Per questo Gesù ha detto ai suoi: «Pregate e vegliate, per non cadere in tentazione».

La tentazione si appoggia su ciò che i nostri occhi vedono, su ciò che gli orecchi ascoltano, su ciò che i nostri organi sentono, su ciò cui sono attratte le nostre voglie, su ciò che la nostra fantasia avverte. Se dominiamo queste realtà e togliamo loro spazio, la tentazione si affloscerà, qualunque tentazione: non solo quella del piacere che ci rende sempre più egoisti e chiusi, ma anche quella dell'idolatria che c'inganna col sogno di ricchezze e di onori, e quella dell'ira, che ci farebbe dominare gli altri.

Pregate e vegliate, per non entrare in tentazione. Restate cioè in rapporto filiale a Dio e togliete spazio e importanza alle presunte necessità del corpo, e il maligno non potrà intaccare il vostro spirito. 

«Lo spirito è pronto, ma la carne è debole» (Mc 14,38). A Pietro Gesù ha fatto quest'osservazione. Lo spirito del discepolo era pronto a soffrire, ma la debolezza della carne avrebbe potuto vanificare quella prontezza. Bisogna rendere anche la carne pronta a soffrire, farle perdere la paura del dolore, perché essa non abbia il sopravvento sullo spirito.

 

Violenza e credibilità 

 

L'ascesi come dominio di se stessi può diventare persino violenza. Non lo nascose Gesù quando disse: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrarvi, ma non ci riusciranno» (Lc 13,21).

E ancora: «Chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo» (15, 33). «Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre... e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo» (15, 26-27).

Quando l'amore diviene così forte da non esser più ostacolato o limitato dalle proprie normali esigenze corporali o affettive, allora diviene credibile.

Infatti non sono forse credibili ai nostri occhi quei testimoni di Gesù che non si risparmiano? Giovanni Battista era stato ricercato dalle folle: la sua ascesi dava credibilità alle sue parole. E così Pacomio e Antonio il Grande, così il Curato d'Ars e oggi i santi che sopportano il disprezzo dei benpensanti: la loro vita dura dà peso alle loro parole di fede e comunica sicurezza alla fede dei poveri e dei piccoli, di quelli che sono grandi nel cuore di Dio.

Un predicatore che non pratichi un minimo di ascesi sul proprio corpo e sui propri affetti parla parole senza forza di penetrazione e di persuasione, benché siano inconfutabili sul piano intellettuale e logico! 

 

Memoria e preghiera 

 

Ci sono altri moventi provenienti dalla fede che ci portano ad amare un po' di violenza su noi stessi.

Il nostro corpo non ci appartiene. Appartiene a Colui che ci ha acquistati e che lo vuole trasformare in tempio di Spirito Santo. Questa non appartenenza del nostro corpo ce la dobbiamo ricordare in maniera «corporale»! Il nostro corpo deve rendersi conto che non si appartiene. Questa «memoria» concreta è di grande aiuto alla nostra disponibilità al Regno di Dio.

L'ascesi inoltre può essere considerata una particolare forma di preghiera. Non possiamo offrire al Signore solo parole e canto, denaro e candele. «Vi esorto ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale» (Rom 12, 1). 

L'offerta dei nostri corpi, cui ci esorta l'apostolo, ha un significato molto ampio di disponibilità a Dio, ma comprende certamente anche quei modo particolare di «offrire» che chiamiamo «soffrire»! 

Questo modo di offrirsi a Dio dà particolare vigore a valore alla preghiera. Ricordiamo le preghiere degli apostoli accompagnate da veglie e digiuni (Atti 13,3), e la preghiera di Ester e quella di Giuditta, accompagnate da penitenza concreta e prolungata! Gesù stesso prima di scegliere i dodici vegliò in preghiera. 

La nostra eventuale ascesi, piccola o grande che sia, è un onorare quella di Gesù: Egli resta sempre il nostro Maestro in tutto. Quel che facciamo lo facciamo perché Lui è stato il primo: imitazione obbediente, accoglienza del suo stesso Spirito di offerta di sé. 

 

Come vivere l'ascesi? 

 

Fare cose grandi, quali veglia di tutta la notte? Digiuni completi o settimane a pane e acqua? Attenzione: non vorrei buttar acqua sul fuoco, ma è importante tener a bada l'orgoglio spirituale, che trova porte segrete anche in queste grandi pratiche per entrare nell'animo e impedire allo Spirito Santo di dimorare in noi. I digiuni dei farisei non erano un aiuto alla loro vita spirituale: non venivano dall'amore, ma dall'orgoglio e dall'ipocrisia, e perciò non portavano all'amore e alla conoscenza di Dio. 

Quindi ti proporrei anzitutto questa prima ascesi: accetta quanto capita con animo sereno. Non arrabbiarti mai con nessun contrattempo. Non prendertela per nessuna offesa che puoi ricevere o per nessun ultimo posto che ti vien dato né in parrocchia, né nella società, né in famiglia. Questa ascesi è la prima, che permette spazio allo Spirito del Signore, che, oltraggiato, non opponeva oltraggi.

Puoi passare poi a delle piccole rinunce: piccole e insignificanti in sé, ma l'amore con cui le fai sarà grande. Rinunce a tavola: talvolta non mettere zucchero nel caffè, in altri casi bevi il vino annacquato, domani una porzione ridotta, dopodomani un pasto ridotto: nessuno si accorga. Dominio degli occhi: non guardare tutto, salta alcune pagine del giornale... Dominio della curiosità: sul più bello tronca un interessantissimo programma televisivo... Dominio del sonno: mezz'ora di preghiera in più al giorno, al mattino o alla sera... Dominio dell'istinto del possedere: dona la decima del prossimo stipendio...

Ma queste cose, prima di impegnarvici in maniera stabile, esponile al tuo padre spirituale, o - se non sai chi è - al tuo confessore: Senza il suo consenso non continuare nulla. Oppure qualcuna confrontala con i familiari: marito. moglie, o genitori, se sono persone amanti di Dio.

Se queste mortificazioni sono obbedienza, allora è diminuito il pericolo dell'orgoglio spirituale e dell'ipocrisia, e possono per davvero diventare aiuto positivo nella costruzione del Regno di Dio. 

Altre forme più grosse di ascesi? digiuni, veglie, ... Solo se lo consiglia o ordina, e nella misura in cui te lo consiglia o ordina il tuo padre spirituale, e sotto il suo diretto controllo, come le medicine più preziose e impegnative: potrebbero diventare pericolose per effetti collaterali o per errore nella misura. 

Ti ripeto che io non sono capace di vegliare, né di digiunare, né di sopportare. Non me ne dispiace. Mi spiacerebbe se in me non ci fosse nemmeno l'ombra dello Spirito Signore. 

Prega tu per me, perché il Padre me lo riversi in seno, nonostante la debolezza della mia ascesi. 

 

Lo sposo c’è e non c'è 

 

Per qualche tempo io ho giustificato la mia mancanza di ascesi, la mia pigrizia in questa lotta spirituale, addirittura con una parola del Signore: «Possono forse gli invitati a nozze digiunare quando lo sposo è con loro? Fin che hanno lo sposo con loro, non possono digiunare!» (Mc 2, 19). 

Sapendo che Gesù è con me sempre, mi son ritenuto dispensato da ogni forma di digiuno. Ma sono stato ingannato. Mi ha ingannato il mio ragionamento. Quella parola di Gesù devo certamente viverla, ma devo essere aperto allo Spirito Santo che mi può ricordare e annunciare anche altre parole del Signore. Il mio ragionamento mi impediva di riconoscere «i giorni in cui lo sposo sarà loro tolto» per soffrire il digiuno. 

La grazia del Signore mi ha permesso di accorgermi che ci sono sì i tempi in cui «lo sposo è con loro»: in quanto sono evangelizzato, in quanto accolgo la Presenza di Gesù come mio sposo, allora posso far festa, godere, batter le mani e mangiare la torta e stappare lo spumante. Potrei farlo tutti i giorni!. 

Ma la grazia dello Spirito Santo mi ha illuminato anche sui tempi in cui «lo sposo è loro tolto». In quanto sono evangelizzatore trovo spazi ove Gesù, lo sposo, non è ancora giunto, non è ancora accolto. E questi spazi sono anche dentro di me, peccatore, e sono attorno a me e sono là dove sono mandato a portare l'amore di Dio. Ci sono tempi occupati dall'egoismo, invece che dallo sposo: allora è il tempo del digiuno.

Ci sono tempi in cui sofferenze spirituali o prove particolarmente intense ci mettono in condizione di tenebra interiore: sono momenti da offrire, vivendoli in comunione con Gesù morente, abbandonato persino dalla visione normale del Padre.

In questi momenti abbiamo la sensazione che ci «venga tolto lo sposo», perché colui che ci ama davvero per sempre, ed è l'unico motivo di speranza e di festa, non si fa più sentire!

16 non posso esonerarmi da questa sofferenza che accompagna tutta la vita della Chiesa, corpo di Cristo. Ogni giorno è questo tempo di assenza dello Sposo.

Solo lo Spirito Santo mi potrà guidare, o attraverso le indicazioni della Chiesa, o quelle del padre spirituale, o attraverso ispirazioni interiori, a discernere «i giorni»! 

 

Condivisione 

 

Guardando alla Chiesa sparsa nel mondo e sofferente del disprezzo e del rifiuto e della persecuzione del mondo, vedo ancora un altro motivo per vivere anche nel mio corpo le sofferenze di Cristo Gesù. Fin che i miei fratelli soffrono condivido anch'io l'amore che essi offrono al Padre, lo condivido sottomettendomi volentieri a qualche rinuncia. 

Osservando poi il mondo che soffre fame di pane e fame di Parola di Dio e fame di giustizia, voglio ancora mettermi in ginocchio e supplicare il Padre per tutti gli uomini, e fare dei tagli nei miei programmi economici, anche rinunciando ad accontentare in pieno lo stomaco, per poterli aiutare e per dire al Padre che la mia supplica è vera. 

Digiuno, elemosina, preghiera con veglie: non costituiscono la salvezza, ma preparano il terreno per riceverla. Sono passaggi necessari perché la vita del cristiano non venga travolta di nuovo dagli spiriti del mondo e si lasci invece occupare, impossessare, invadere dallo Spirito del Signore! 

 

Morire! 

 

Gesù non è morto come muoiono tutti gli uomini. Per lui la morte non è stata una disgrazia, ma un passo liberamente accolto per fare della propria vita un'offerta d'amore al Padre. Egli offrì se stesso: «lo offro la mia vita», «La offro da me stesso» (Gv 10, 17-18).

La sua ascesi era anticipazione dell'offerta totale, atto di amore puro al Padre.

Noi impariamo da Lui. Noi vogliamo convertirci «per non perire tutti allo stesso modo» di coloro che sono stati schiacciati dalla torre di Siloe e di quelli fatti trucidare da Pilato mentre offrivano sacrifici. 

Vogliamo vivere in modo che la nostra vita non ci sia tolta dalla morte, ma in modo da prepararci a farne un'offerta totale, completa, un atto d'amore.

Per questo, come dice l'abate Matta el Meskin 1, facciamo già ora morire qualcosa di noi, accettiamo o decidiamo privazioni per introdurre nel nostro vivere la capacità di offrire noi stessi, di accettare e decidere la nostra morte come dono d'amore.

L'ascesi in questo modo ci porta nel movimento più puro e sublime della vita di Gesù, del suo rapporto col Padre, ci fa partecipare della purezza e gratuità del suo amore e anticipa nella misura in cui moriamo anche la resurrezione alla Vita Eterna!

Tanto quanto offriamo la vita da noi stessi già ora, altrettanto ci vien donato di gustare quella Eterna con i suoi doni e la sua pienezza!

Non c'è più separazione tra questo mondo e quello Eterno: la morte di Gesù ha rotto le barriere!

La nostra morte inserita nella Sua già fin d'ora nei piccoli atti di mortificazione, di cui lo Spirito Santo ci fa capaci, è porta aperta per godere la luce e la pace e la pienezza di vita di Dio Amore!

  

Se moriamo con Lui

vivremo anche con Lui!

(2 Tm 2, 11)

 

Matta el Meskin, Comunione nell'amore, Qiqajon, 1986, pg. 156.

Nihil Obstat: Mons. Iginio Rogger, Trento, 26 agosto 1997