Orsola Covi
Orsola Covi
Racconto di un martirio.
26 maggio 1900
Pubblichiamo uno scritto ormai antico, una testimonianza di fede semplice e decisa e di amore sincero a Dio e agli uomini.
Il suo autore è mio nonno materno. Io non l’ho mai conosciuto, perché è morto nel 1921 all’età di 72 anni. Ho però goduto della piccola cappella di cui egli parla alla fine delle sue pagine. Superando gravi difficoltà è riuscito a costruirla, e tuttora la si può visitare e vi si può sostare in preghiera. Quand’ero bambino, mia madre, quasi tutte le domeniche, mi accompagnava là. Si arrivava dopo mezz’ora di cammino in salita nel bosco: cambiavamo i fiori, toglievamo le ragnatele e la scopavamo. Si aggiungeva olio alla lampada. La tenevamo decorosa e accogliente per i pochi passanti, i contadini che lavoravano i campi che la circondano. Immancabilmente recitavamo il s. Rosario. C’era anche il tempo per giocare, cioè per vivere la nostra vita normale sotto lo sguardo di Maria, che non si occupava e non si occupa soltanto della ragazza di Caravaggio, raffigurata con il falcetto e un fascio d’erba davanti a lei vicino alla sorgente.
Oggi la cappella è ancora là a ricordare il sacrificio di Orsola, ventunenne, avvenuto due anni prima di quello di S. Maria Teresa Goretti (6 luglio 1902) a Nettuno. Questa memoria può aiutare ancora uomini e donne, ragazzi e ragazze, a valorizzare la propria vita, ad amarla e custodirla. Le mode attuali, benché ogni giorno propagandate dall’edonismo diffuso, sono pur sempre tentazioni pericolose: quando vengono seguite, generano fatti che straziano la vita propria e altrui, riempiendo tutta la società di sofferenze immani, di cui non si vede più la fine.
Orsola ha sofferto il suo “martirio” testimoniando la fede cristiana allo stesso modo di Santa Maria Goretti. Se questa, martirizzata a 11 anni, è stata canonizzata, a maggior ragione possiamo convenire con mio nonno che Orsola “ci dà fermo fondamento di sperare che sia lassù nei cieli che esulta cogli Angeli” e che “la Madonna, come è comune sentire, compì il desiderio della ragazza, assumendola con sé”.
La cappellina veniva chiamata dagli abitanti di Fondo “la Madonna brusada”. Infatti le prime due costruzioni furono in legno e finirono letteralmente in fumo. I parenti dell’omicida non gradivano il ricordo del fatto avvenuto in quel luogo. In seguito il nonno, determinato a lasciare un segno di riconoscenza a Maria Ss.ma, che lo aveva salvato da morte in gioventù, trovò gli aiuti per costruire in pietra e muratura. Di questa cappellina si sono occupate le sue figlie e nipoti per circa cent’anni; ora è proprietà della parrocchia di Fondo.
Propongo la lettura di questo scritto perché gli esempi di chi è descritto e anche di chi scrive comunicano una forza sana che può sostenere la fatica che noi quotidianamente sosteniamo per essere fedeli al nostro Signore.
Don Vigilio Covi
***
Non correggo il testo dell’italiano del 1900, benché oggi alcune parole abbiano assunto qualche diversa sfumatura di significato.
L’abbreviazione i.r. è da leggere: imperial regio
Morte straziante
Ma di religioso conforto
E di luminoso esempio
Massime alla gioventù
Narrata da
Giovanni Battista Rizzi
Di Castel Vasio
Con una piccola aggiunta
Morte straziante di
ORSOLA COVI
narrata da
Giovanni Battista Rizzi
di Castel Vasio
AL LETTORE
Nel mentre dò alla luce questo libretto, io non voglio che sia data, al contenuto dello stesso nessun’altra autorità, che quella che detta la sana ragione, unita a quel pio sentimento che deve investire ogni anima cristiana.
Gio: Battista Rizzi.
Il villaggio di Seio, nella valle di Annone, è un piccolo comune nel distretto di Fondo, che dista dalla borgata 3 km, e che è dipendente dalla Parrocchia antica di Sarnonico. La sua posizione è amena, circondata a sera e a settentrione da deliziosi boschetti, ed a mezzodì e mattina da estese campagne in altopiano. Quivi, il soggetto di questo racconto. Orsola Covi, trasse i suoi natali il primo marzo 1879, da onesti e probi contadini, fu Giuseppe ed Orsola Abram. Era la mattina del giorno 26 maggio 1900, del bel mese dedicato alla Madonna, in quel dì che comparve sul colle presso Montagnaga all’avventurata Domenica Targa, che la nostra Orsola si ricordò di quell’apparizione, e come di solito più in quel giorno, come da ragazza onesta e buona, di buon mattino ascoltò la Santa Messa; dopodiché, sbrigate le sue faccende di casa, indossò gli abiti da festa, ed alle ore sette e tre quarti del mattino, si diresse alla volta di Fondo, onde fare provviste pel signor Curato. – Percorse le strade di campagna, come quelle che più direttamente mettono capo a Fondo, ed arrivata che fu nella campagna di questo Comune s’incontrò in un giovinastro di costì, robusto e forte, che la salutò col buon giorno. La ragazza corrispose al saluto, e continuò per la via.- Quel giovane, che dalle antecedenze della sua vita, aveva, si può con certezza conchiudere, concepite turpi voluttà, la seguì a qualche distanza, pedinandola fino a Fondo, e quando la vide entrare nel pubblico macello, dirigevasi alla propria casa, ove si armò di un lungo coltello ben affilato, col preconcetto divisamento di uccidere quella ragazza, se appagate non avesse sue voglie; si diresse per le strade di campagna che conducono a Seio, ove avea transitato la ragazza, per nuovamente incontrarla nel suo ritorno.
L’Orsola non si fece attendere a lungo e presto comparve diretta pel suo paese con le provviste che fece a Fondo. Dalle grida, sentite da alcuni di Malosco, Arcangelo Rigos e altri, dalle braccia ammaccate della medesima, si può con sicurezza dedurre, che l’assassino, contro ogni di lei sforzo, cercava di violarla, la qual cosa risulta anche dalla confessioni del reo, il quale dietro saggie nonché argute domande del signor i.r. Capoposto di allora, Godetti, dichiarò che al comparire della ragazza, sbuccò da un nascondiglio e con blandizie le propose di accondiscendere a sue brame offerendole anche a tale infame scopo, denaro. - Ma siccome a lei stava a cuore più il suo candore che la vita stessa, a tutto si oppose con viva forza; ed in allora vedendo l’assalitore che non poteva convincerla né ridurla con la forza al suo nefando intento, trasse di tasca il coltello inferendole nel ventre dell’infelice giovane ed affinché più non potesse gridare, anche nel mento.
Un grido straziante uscì alla prima ferita dalla bocca della poverina, grido che fu sentito da me, autore di questo opuscoletto, Giovanni Battista Rizzi di Castel Vasio, che ritornavo da Sarnonico alla volta di Vasio, e a quel punto mi trovavo alla distanza di circa 600-700 metri, a levante della così detta “Croce da Fin”, ove successe il misfatto. Volgo l’occhio da quella parte, e scorgo un uomo e una ragazza in piedi, ma soltanto a mezza vita, i quali quasi subito sparirono per terra. - Qualche minuto dopo si alza il giovinastro e corre verso la croce, si alza pure la giovane e va alcuni passi verso Seio, ma l’altro le è subito alle spalle, la afferra ed ambidue novellamente scompaiono. L’assalitore ritorna alla croce, la giovane frattanto si rizza in piedi, fa alcuni passi, ma quel ribaldo le è di nuovo ai fianchi, la getta a terra e questa volta per non più rialzarsi.
Povera vittima! Sotto qual mano perfida e maliziosa sei mai capitata? Correva egli il perfido alla croce, ove s’incrocicchiano più strade, per timore che capitasse della gente, ed esser colto sul fatto, ed a te ritornava infliggendoti nuove ferite, perché a sue malnate voglie non cedesti, non cessando di martirizzarti, finchè la tua bell’anima a Dio rendesti. Diciotto ferite, come si constatò da due medici periti, delle quali non poche mortali, furono il guiderdone da quell’empio a te dato per la tua eroica resistenza. Ma se di tanta virtù ne andasti, adorna, non a te, ma al tuo Angelo tutelare e più di tutto all’aiuto di Maria dobbiamo attribuirlo, di Maria, della quale eri così divota in terra e le di lei lodi cantavi. Avevi cantato le di lei lodi in casa, per istrada e nei boschetti da piccina e da grandicella, ed avanzata un po’ in età eri come l’anima delle giovanette che inni di lode innalzan a Maria, specialmente nel mese di maggio. Anche quest’anno 1900, dopo aver con la tua melodica voce onorata Maria, per tutto il suo bel mese in sulla sera, pensavi sicuro ai 26 di detto mese assieme a tue compagne di esultare cantando novellamente: “Maria mar di pietade” ecc. quel inno a te sì caro che tante volte facesti in tua vita risonare in onor della vergine di Caravaggio. Ma i disegni di Dio a tuo riguardo furon diversi. Ad ore 9 e mezza del mattino del 26 maggio, ora in cui la vergine del Caravaggio suol operar prodigi a pro’ della misera umanità, essa Vergine come è comun sentimento, a sé ti tolse per aggregarti alle di lei figlie lassù nel cielo dopo chè eri stata aggregata anche qui in terra alle figlie di Maria.
Ora quell’infelice individuo ritornò di nuovo dalla croce alla vittima, che egli afferrò con forza e seco la trascino per ben 20 metri su per un campo di segala. Fu allora che come un baleno mi passò per la mente ciò che doveva esser successo e che prima nemmeno sospettava.
Corsi io allora verso il luogo del delitto, e percorsi circa 280 metri di strada vidi uscire dalla segala quel povero disgraziato, come un disperato, e giunto al luogo del primo assalto, non dimenticandosi del cesto e dell’ombrello della povera assassinata, li prese e con forza li slanciò nel vicino campo di segala, certamente per nascondere ogni traccia del suo atroce misfatto, dandosi poi a precipitosa fuga verso Fondo; ma vedendo da lungi venire da quella parte un individuo, tergiversando per vie indirette, si portò a casa sua.
Infilai la più breve ed entrato nel campo di segala, mi trovai davanti ad un ammasso di indumenti che al momento non distinguevo. Avvicinatomi scoprii il corpo di una ragazza, le cui vesti le coprivano il capo. Fui presto a scoprirla e mi si presentò il sembiante di una ragazza con la chioma arruffata e tutta intrisa di sangue, già spirata.
L’assassino sembra aver voluto vendicarsi di quella povera vittima anche nella segala.
Sbigottito e tutto ansante pell’orrendo misfatto, frettoloso mi portai a Fondo, quale apportatore del triste, fatale annunzio.
L’assassino venne ben presto catturato, e ammanettato tradotto nelle carceri; ci volle però tutta la saggezza e prudenza dell’i.r. gendarmeria, altrimenti sarebbe stato ucciso a furor di popolo.
Il cadavere dell’infelice vittima venne trasportato a Fondo, perché rinvenuto in questo territorio, e deposto nella Camera mortuaria del Cimitero, ove si eseguì da due medici periti, scelti dalla Commissione giudiziaria, l’autopsia. Il giorno appresso era domenica; in seguito ad iniziativa, la popolazione intiera si diede a preparare un imponente dimostrazione di cordoglio pel successo, coll’accompagnare la salma della derelitta fino al proprio confine comunale, dovendo essere trasportata per la tumulazione al suo paese natio. Difatti tutti andavano a gara per rendere più pomposo che fosse stato possibile il funerale e sino dal mattino sventolava il bruno vessillo sulla casa municipale, in segno di profondo lutto della Borgata. Alle ore 17 il corteo funebre si mosse dalla stanza mortuaria; portavano la bara 12 donzelle vestite a gramaglia, con in capo il bianco velo, circondate dal Corpo Pompieri di Fondo in alta tenuta con bandiera attorniata di nero greppo e preceduto dalla scolaresca d’ambo i sessi e dall’intero corpo corale e clero, funzionante il M. R. Parroco Decano. Dopo la bara seguiva il fratello dell’infelice Orsola con altri suoi parenti e dietro a questi le persone più colte del paese, coi signori impiegati dell’i.r. Giudizio e Censo, unitamente all’i.r. Gendarmeria e Finanza. - In lungo e interminato codazzo teneva dietro l’intera popolazione di Fondo di ogni sesso e classe, frammista a moltissimi forestieri, venuti dai limitrofi paesi.
Il lungo corteo mesto e piangente, attraversava la Borgata accompagnato da lugubri canti del coro della Chiesa diretto dal valente signor cooperatore, e silenzioso, procedeva a passo grave per le vie della Borgata parate a lutto e deserte coi negozi chiusi e vuoti i ritrovi. Ovunque regnava mestizia e pianto, il solo mortale rimbombo dei sacri bronzi, rompeva la monotonia del dolore. Varcata la Borgata, la bara veniva portata dal Corpo pompieri pel lungo stradale che mette a Sarnonico e fino alla croce di Finch, ove in quel punto si faceva sosta e deposto il catafalco. Colà era giunta la parrocchia di Sarnonico con quel R. signor Parroco per ricevere la salma. Venne impartita la benedizione e cantate le solenni melodie funebri, dopodiché il signor avv. dott. Bertagnolli con ben ordinata ed alta voce tesse la necrologia della povera sacrificata, concludendo che a questa vergine saranno aperte le porte celesti per una eterna beatitudine. Durante il triste e commovente racconto, non eravi persona che non singhiozzasse, e quelli di cuor meno duro si davano a dirotto pianto.
Susseguiva la lettura di una vispa ragazzina dalla bionda e sciolta capigliatura, che così si espresse:
“Nel mattino della vita sognavi, o giovinetta, un lieto avvenire, quando un atroce fatto ti schiuse precoce la tomba.
“La tua morte destò un fremito universale di indignazione, di compianto e pietà; e da ogni cuore “irruppe col grido di imprecazione la nenia eligiaca il canto d’Osanna. Sì, Osanna, o candida martire, Osanna.
“Il tuo spirito librantesi nelle sfere celesti, accetti questo tributo da noi giovanette, a da lassù “consoli, sorrida, benedica, perdoni. - Vale!”
Finalmente il Comandante il Corpo Pompieri dinnanzi alla bara pronunziò:
“Chi col ferro ferisce, col ferro perisce.
“Popolo di Fondo! Era necessario che fosse rivendicato l’onore del paese, e voi coll’odierna “dimostrazione lo avete fatto; al mostro che compì l’orrendo misfatto, sarà fatta giustizia divina ed “umana, a noi non resta che implorarne per lui clemenza.”
Dopodiché gli astanti proruppero in un fremito d’indignazione contro l’autore dell’assassinio. Il M.R. signor Parroco di Sarnonico, nell’atto che riceveva la salma ringraziò l’intera Borgata di Fondo per la solenne dimostrazione di cordoglio pel successo, avendo largamente comprovato col generale compianto ed accompagnamento, il proprio rammarico, assai dolente ancor lui che, il fatto
era avvenuto per opera di un suo concittadino.
Di poi il mesto e lungo corteo seguiva alla volta di Sarnonico e da questo al paese di Seio, sempre accompagnato da gran folla di popolo mesto e taciturno, ove fu data alla trapassata onorevole sepoltura in quel modesto cimitero.
Nello stesso giorno per impulso e cura del Sergente Pompieri di Fondo ed altri fu attivata nella Borgata una questua, allo scopo di provvedere una corona mortuaria alla defunta coll’iscrizione: “La popolazione di Fondo, dolente” che saldata la spesa, sopravvanzavano corone 60 e cent. 20, i quali furono dallo stesso Sergente consegnati alla desolata madre della povera giovane. Altra bella corona venne approntata dalla gioventù di Fondo, coll’iscrizione:
“La gioventù, alla martire”
E finalmente una terza coll’iscrizione:
“Il Municipio di Fondo, commosso”.
Ad omaggio della verità va ancora accennato che la povera Orsola Covi era giovane modesta e di bel sembiante, ritenuta in paese per giovane onesta e proba, e che quel signor Curato che la vide crescere sotto i suoi occhi potè asserire che in essa non ha mai scoperto tendenza a cattive inclinazioni.
Quest’anno più che mai aveva espresso il desiderio di recarsi alla Madonna di Caravaggio per compiere le sue devozioni, come ne è teste la madre, ma per certe circostanze non potè effettuare il suo disegno; la Madonna invece, come è comune sentire, compì il desiderio della ragazza, assumendola con sé lassù nel cielo, ove assieme con quella gran Madre canterà inni celesti incomparabilmente più melodiosi, dolci e soavi degli inni terrestri.
EPISODIO
Vi sarà taluno che penserà: come mai Iddio potè permettere un sì crudel macello contro una povera innocente creatura, che tanto combattè per la sua santa legge?
Rispondo: i decreti di Dio sono imperscrutabili, investigabili le sue vie, sarebbe temerità su di ciò voler scrutinare.
Dobbiamo piuttosto dire: Iddio è padrone, e il profeta diceva: Sei giusto o Signore, e retto è il tuo giudizio; e S. Paolo ai romani, Cap XI v. 33, 34 ci avverte che non siamo noi i segretari del Signore, e che non ci arroghiamo di investigare i suoi decreti e le sue vie. Gli arcani divini quindi lasciamoli a Dio, rivolgiamo piuttosto i nostri sguardi di nuovo alla Covi, la quale ci da molto e di che sperare per lei, ed a noi lascia un grande esempio di cristiana virtù da imitarsi.
Nel 1897 la nostra Orsola si trovava in primavera con delle sue compagne nei tedeschi a legar viti. Un giorno quelle compagne parlarono, fra altre cose, anche di qualche zitella che, comunque si fosse, era stata disonorata. Ciò sentendo la Covi esclamò: Ahimè! Credetemi, in anima mia, piuttosto di arrivare a tali passi brutali e rovinarmi l’anima, preferirei di venire uccisa*. (* testimoni di ciò: Caterina e Matilde Abram di Sarnonico). Sì, la giovinetta Orsola era buona, affabile con chi la avvicinava, viveva ritirata, fuggiva le cattive occasioni e compagnie, univa la laboriosità all’orazione, era amante della madonna e come tutto questo posso comprovarlo da più testimoni degni di fede, così potrei dietro testimonianze dei medesimi comprovare anche che essa, benché avesse i suoi difetti come tutti li abbiamo, però nessuno se ne accorgeva in lei che potesse venirle imputato a peccato mortale. Era poi in modo speciale gelosa pel candido giglio della purità e per questo si può certamente ritenere che la Vergine santissima abbia infuso a lei tanta virtù e coraggio da accettare piuttosto la morte che macchiare questo fior verginale.
Fanciulle! Voi tutte vorreste alla fine entrare nel bel paradiso; ma ricordatevi che per acquistarlo ci vogliono dei grandi sforzi, occorre farsi violenza. Voi vivete in un mondo più che mai corrotto, state in guardia, vegliate e pregate, fuggite tutto ciò che potesse indurvi al peccato, ma in modo speciale adoperateli questi mezzi al fine di non perdere il gran tesoro della verginità; ponetevi tutti i giorni sotto la protezione della Vergine santissima, siatene devote, invocatela qual stella di questo mar burrascoso in tutte le necessità, specialmente dell’anima, ed in allora Ella vi proteggerà, vi difenderà, vi benedirà ed avrete la bella sorte di arrivare a lodare ed esaltare questa madre assieme alla povera Orsola, la quale da quanto si può inserire ci dà fermo fondamento di sperare che sia lassù nei cieli che esulta cogli Angeli. Lieti quindi e pieni di speranza ci sembra con fondamento poter cantare:
I N N O
Da questo mar burrascoso
a Te, Maria, traesti la giovin donzella,
che in Te sua speranza poneva.
Ella da te aiutata, il tuo
gran nome invocando, spirava.
A Te, o Maria, di tutto ciò lode ne sia.
Beata lei che a Te anziché al reo si appoggiava
e tu adesso, Orsola cara, di lassù collo
stuolo delle vergini come qui in terra
facesti, assieme alla Vergine delle vergini in eterno
il Cantico dei Cantici innalzerai seguendo, inneggiando
l’agnello immacolato ovunque vorrà.
AGGIUNTA
Il perché del precedente racconto e di ciò che qui aggiungo nonché il motivo che mi indusse a dare alla stampa il precedente racconto è il seguente: io Giovanni Battista Rizzi, nato a Brez li 26 ottobre dell’anno 1849, ora domiciliato a Castel Vasio, mi sento come un sacro dovere di rendere manifesto un caso avvenutomi; per lo schiarimento del quale m’è di mestieri premettere un sogno o visione avuta nella mia gioventù. E’ vero che allora non prestavo e che anche adesso non presto tanta fede ai sogni o visioni, ma quando dopo averli avuti, unita agli stessi si trova una certa connessione di eventi, che hanno del misterioso e sorprendente come si aveva in quello che sto per narrare non mi si chiamerà temerario se di esso ne fo tanto calcolo. Ecco il sogno o visione:
L’anno 1872 al primo dell’anno mi trovavo in Boemia, a Platz, poche ore lontano da Pilsen, quale lavoratore in una galleria di rocca. La notte del 6 gennaio ebbi un sogno o piuttosto una visione:
Mi trovavo su d’una montagna tenendo in mano una berretta (cappuccio antico) con entrovi due uccelli, l’uno dei quali rimase morto nel fondo della stessa, mentre l’altro svolazzava senza poter sortire. Tutto d’un tratto mi si presenta una bellissima, maestosa e giovane signora, la quale prendendo in sua custodia la berretta la aperse facendomi conoscere che l’uccello svolazzante ero io stesso, rimanendomi nel medesimo tempo la persuasione che sarei andato incontro a grandi pericoli dai quali sarebbe stato impossibile liberarmi senza l’aiuto di quella signora, la quale poscia mi condusse sano e salvo sino vicino la mia casa, ove lasciandomi proferì queste precise parole: “nella tua gioventù avrai rossore a palesarmi, ma quando sarai avanzato in età mi paleserai senza verun rossore”. Ciò detto scomparve, lasciandomi col cuore inondato di gioia e con vivo desiderio di vederla ancora per starmene sempre con lei, nonché un forte sentimento di grande obbligazione verso la medesima. Fin qui la visione; passiamo al fatto. Correva il 9 gennaio 1872 ed io mi trovavo in cambio nella galleria che dista circa 20 minuti da Platz, in compagnia di un certo Giacomo Bertagnolli di Fondo, al fianco destro di detta galleria. Erano le ore undici e mezza di notte, quando all’improvviso cadde un ammasso di rocca in detto fianco che spezzò le longherine e tutto il legname dell’armatura, ed io colpito da quei frantumi di pietre e legnami mi trovai di botto capovolto, distante due metri dal luogo ove lavoravo, colla giacchetta rivolta sulla testa e tutto ricoperto di pietre, senza poter muovere nemmeno un dito; eppure , cosa singolare, io mi trovavo là col cuore tutto quieto e giulivo, come mai in vita mia, con un tantino di fede di poter ancora sortire. - Sopra il capo avevo circa trenta centimetri e sopra le gambe due metri di pietre. I lavoratori che stavano alla sponda sinistra parte fuggirono come disperati e parte si portarono all’altra bocca della galleria raccontando il triste caso e domandando assistenza. Alcuni però entrarono presto nella galleria nel mentre io stava facendo l’atto di contrizione e con il cuore tutto lieto da non potersi esprimere ringraziavo Gesù e Maria d’avermi lasciato tempo a domandare perdono dei miei falli. Intanto sento avvicinarsi persone, grido aiuto, mi si risponde: ove sei? E tenendo dietro la mia voce presto mi trovarono: furono lesti a levar via le pietre che mi coprivano il capo, sotto al quale posero per comodità un fazzoletto di lana; ed in allora rimasi libero fino ai fianchi. Ma ecco che d’un tratto altre pietre si staccano dalla rocca ed interamente mi sotterrano, riportando questa volta parecchie ferite al capo nonché sentivo un peso insopportabile sulla schiena ed acuto dolore da non poter quasi più respirare. Perdetti in quel momento quasi ogni speranza di vita e ripetevo l’atto di contrizione con una viva fede di ottenere dalla misericordia di Dio perdono delle mie colpe e tutto lieto e tranquillo guardavo in faccia la morte. I due uomini poi che volevano liberarmi che erano dei dintorni di Trento, ambidue rimasero un po’ feriti da una pietra sicchè dovettero alla meglio svignarsela. Frattanto capitarono dall’altra bocca della galleria altri uomini forti e robusti i quali saputo dai due primi dove mi trovavo, cominciarono con sollecitudine a sgombrare il materiale che su di me pesava. Questa volta lo stesso materiale calcante sul mio capo era alto circa cinquanta centimetri, le pietre che opprimevano le mie gambe metri 2 e mezzo. Sopra le piccole pietruzze che coprivano le gambe v’erano pezzi di pietra da uno a due metri cubi e dietro ai miei piedi si trovava morto il suddetto mio compagno Giacomo Bertagnolli di Fondo. Due degli arrivati, uomini robusti e coraggiosi poterono bensì levar via il materiale che pesava sul mio capo sanguinante dalle piccole ferite, ma ne necessitò un altro a rimuovere la grossa pietra che tanto premeva la mia schiena, dopodiché mi sentii sollevato. Arrivarono quella buona gente a liberarmi sino a tutta la coscia; poscia esaminarono come si potessero allontanare quelle stragrandi pietre che stavano ammonticchiate sulle mie gambe, ed uno di essi (me lo ricordo benissimo perché avevo, benché in quello stato, fresca memoria) sottovoce bisbigliò in un orecchio d’un suo compagno: è impossibile smuovere tali pietre, sono troppo pesanti, quindi è lavoro sprecato voler liberare questa persona. Ma io che al vedermi così sollevato avevo ripresa novella speranza, dissi: coraggio, siete sicuramente capaci di liberarmi; vedete io sono sano come voi; ed egli, il testè accennato, allora a me: in pochi minuti sarai libero. Esaminarono di nuovo l’affare e come si può fare; ripigliavano, a smuovere tali macigni ci vorrebbe la forza di Sansone; si potrebbe però fare un piccolo foro nel materiale minuto attorno alle gambe del povero infelice, ma allora andremmo incontro ad un pericolo grave che quei macigni cioè levando loro la base su cui poggiano anche per poco, crollino e schiaccino la povera vittima. Che fare dunque? Passarono ad altra decisione, di estrarmi cioè di colà a forza. Uno di loro stando sopra di me cavalcioni mi afferrò pel busto, mentre l’altro allo stesso scopo si pose nella medesima posizione dietro di lui, e secondavo anch’io per quanto possibile gli sforzi di quei due robusti onde poter esser messo in salvo, ma inutilmente, con tutta quella duplicata e si può dire triplicata forza non si riuscì ad altro che a farmi gettare un alto grido pel dolore che provavo in tutto il corpo, volendomi strappare di là in tal modo. Si desistè perciò dal voler liberarmi in quella guisa e passarono ad altro divisamento. Cercarono di appuntellare con legnami quella grossa pietra che perpendicolare pendeva sopra le mie gambe, ma invano. Come procedere? Senza levare il minuto materiale la cosa non va; ma ed il pericolo allora? ripetevano. Le mie gambe erano circa 70 cent sotto le piccole pietre ed al di sopra il grosso mortal macigno. La vada come Dio vuole, dissi loro, scavate, vi prego. Cedendo alle mie preghiere scavarono delle pietruzze al principar delle mie gambe per circa venti centimetri, e poscia, cosa inaspettata, con una facilità unica, sicuramente assistito da quella nobil, maestosa signora, liberai le mie gambe che erano ancora mezzo metro sotto quelle pietre senza lesione di sorta. Sano nelle gambe come qualunque altro, mi rizzai in piedi, avevo però rotto un braccio ed alcune piccole ferite, come predominai, alla testa. Alla schiena poi non sentivo che un po’ di duolo. Vedendomi gli astanti uscito in quel modo da sì immenso pericolo, dopochè dovea restar schiacciato le 2-3 volte, vedendomi camminare francamente senza l’aiuto di alcuno, tutti unanimi esclamarono: E’ successo un miracolo, sì un gran miracolo, sei nato una seconda volta.
Mi portai da me stesso all’ospitale, vi rimasi per la durata di 5 settimane, dopodiché ne partii perfettamente guarito, potendo così riabbracciare i miei cari di casa, che sotto a quell’ammasso di pietre più a questo mondo speravo rivedere.
Ora pongo la spiegazione del sogno riflettente al caso qui sopra esposto. La berretta altro non può significare che la sepoltura in cui io ritrovavo sotto quelle pietre. Nell’uccello morto chi non vede significato il povero Giacomo Bertagnolli di Fondo, che schiacciato giaceva sepolto dietro i miei piedi? Paragonati fummo a due uccelli. Chi non comprende che qui è simboleggiata la gioventù, età che si è come gli uccelli? Aprì quella maestosa signora la berretta, ed uno ancora svolazzava, e ad onta di tutti gli sforzi non poteva uscire. Chi non ravvisa qui lo sgombramento del materiale sotto cui giacevo sepolto, senza che da tutto ciò potessi liberarmi? E se si considera l’estremo mezzo usato scavando la base di quei grossi macigni senza che crollassero, se si considera la facilità unica con cui potei estrarre le gambe, mentre stavano ancora per ben 50 centimetri sotto quell’ammasso, si deve concludere che non fu temeraria quella brava gente a gridare unanime: E’ successo un miracolo; né si taccierà me di temerità se attribuisco il tutto a quella signora se ho ancora in dono la vita, signora che io sempre ritenni, ed ancor più oggi ritengo, essere stata la nostra amatissima, amorosissima gran Madre Maria.
CANZONCINA
Ferma speme nutro nel cuor mio
che la donzella di cui vidi i combattimenti,
per Te, o Maria, giunse a vedere Dio,
da Lui ora fruendo ogni sorta di ineffabili contenti.
Ma anche a me ora tocca cantarti,
una lode di riconoscenza, o Maria,
che da tanti perigli mi sottrasti,
un grazie di cuore verso Te ne sia.
Oh cuor mio, di Lei non mai scordarti.
Ma se di questa vita terrestre mi fosti liberatrice
molto più, prego della celeste siimi salvatrice.
CONCLUSIONE
La notte del 23 maggio 1900 ebbi di nuovo un sogno terribile, sognai di coltelli e di morte. Durante il sogno mi sembrava udire ancora la voce di quella signora che mi ripeteva: “Battista! è giunto il tempo di palesarmi”. Svegliato mi rivolsi a mia moglie dicendo: vedrai che mi succede qualche disastro. - Tre giorni dopo, il sabato 26 maggio, mi toccò invece di vedere l’orrendo spettacolo di quella ragazza.
Tre giorni erano trascorsi nella mia gioventù dal sogno sino ad esser sepolto sotto quelle pietre, tre giorni fra il secondo sogno e l’orrido misfatto sopra descritto. Vi ha anche qui del sorprendente. Trovata quella povera vittima le parole di quella visione: “Mi paleserai nella tua avanzata età senza rossore” si svegliarono in me così forti, che io non avrò requie, finchè non ho soddisfatto a quell’obbligazione che sentivo quando partiva da me quella maestosa Signora, e finchè in onore e ringraziamento a Maria, sì per l’assistenza prestata da Lei alla ragazza, come del gran beneficio a me compartito, non vedo sorgere una bella opera.
Se nella mia gioventù avevo rossore di mettermi in pubblico per opere devote, ora per nessun conto arrossisco in faccia a tutto il mondo, (me lo predisse già quella Signora) e voglio dietro suo ordine palesarla.
A tale scopo la mia risoluzione la si è di far fabbricare sul luogo del delitto o nelle vicinanze una Cappella in onore della Vergine del Caravaggio, idea del resto ormai insorta in molti, i quali promisero la loro assistenza: e con questi spero che anche molti altri concorreranno a quest’opera pia in onore della nostra comun Madre, la quale senza fallo saprà rimunerarci in questa e nell’altra vita.
VIVA MARIA!
SCHIARIMENTI
Io non potrei nel senso stretto chiamarmi testimone oculare del misfatto; vidi però chiaramente i giri e raggiri del reo; ed io sul principio credevo si trattasse d’una persona caduta in deliquio, che coll’acqua si volesse ritornarla nei suoi sensi; ma invece era il coltello che si maneggiava contro di lei, coltello che nell’ultimo assalto il reo lo conficcò per ben sette volte nel collo della vittima, come si constatò dalla perizia medica. Altro che versare dell’acqua, volevan dire i movimenti di quell’infelice contro la povera creatura. Che vedessi quei movimenti benché a 680 metri di distanza e man mano sempre più vicino, lo posso comprovare dalla Missione Giudiziaria, la quale fece con me ogni esperimento e nulla mi sfuggiva di vista cosicché più di uno se ne meravigliava. Il reo stesso poi fece sul tutto diverse confessioni, allettato dalla bontà del signor Capoposto, lasciandosi dal medesimo persuadere, che quanto più sincero sarebbe stato nel confessare il misfatto tanto più mite sarebbe la pena, nulla giovandogli del resto il voler tener nascosta qualunque cosa si fosse riguardo il delitto, essendo egli stato veduto da qualche persona. Che sul principio si trattava solo di uno stupro lo provano le forti grida della ragazza, poiché se il malfattore avesse subito il coltello, le grida sarebbero state sentite poco lungi, giacchè la prima ferita era già mortale. Alla più un sol grido al vedere il coltello, grido udito da me, mentre dopo non sentivo che un gemere del tutto flebile. Chi del resto considerasse le circostanze concomitanti il misfatto potrebbe facilmente capire da se come sia avvenuto.
Per la Cappella io del resto non intendo che un luogo dove i fedeli possono a loro agio compire le loro devozioni verso la Comun Madre, non però che si abbia a celebrare la S.Messa.
Il tutto fu letto anche dai superiori.
F I N E
Nihil obstat: P. Modesto Sartori, capp., cens. Eccl., Arco, 23 aprile, San Giorgio 2018
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