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OMELIE / Omelie IT

27 gen 2013
03/02/2013 - 4ª Domenica del Tempo Ordinario - C

03/02/2013 - 4ª Domenica del Tempo Ordinario - C

in Italia: Giornata della Vita!
1ª lettura Ger 1,4-5.17-19 * dal Salmo 70 * 2ª lettura 1Cor 12,31 - 13,13 * Vangelo Lc 4,21-30

Geremia ci racconta la sua vocazione di profeta del Signore. Dio lo ha chiamato ad un compito difficile, perché ciò che avrebbe dovuto predicare sarebbe stato inviso ai grandi del suo tempo. Essi avrebbero cercato di farlo tacere, arrivando persino a progettare la sua morte violenta. Dio quindi gli ha chiesto di porre in pericolo la vita per la sua Parola, ma nello stesso tempo gli ha assicurato la sua presenza e protezione. Egli, non solo con il messaggio che avrebbe comunicato, ma con tutto quanto sarebbe successo nel suo percorso di predicatore, sarebbe stato profeta di colui che doveva venire, del Messia.
Quanto Dio disse a Geremia, Gesù lo sapeva, e sapeva perciò che per lui le cose non sarebbero andate diversamente. Egli dunque non tergiversa quando a Nazaret presenta la propria missione, non cerca compromessi o accomodamenti per farsi accogliere. Che lo accettino o no, è lui colui di cui parlarono i profeti quando annunciarono la buona notizia. Ed egli perciò assicura che vivrà il suo compito con tutta libertà, con la libertà di Elia e con la libertà di Eliseo. Egli non si lascerà condizionare dal fatto che qualcuno è suo parente ed altri suoi conoscenti fin dall’infanzia: egli sarà obbediente a Dio; potrà quindi succedere che grazie a lui non avvengano prodigi a Nazaret, mentre invece potrebbero avvenire in luoghi lontani, nei luoghi pagani. E infatti la figlia della donna Cananea guarirà mentre egli rientrerà dalla regione di Tiro e Sidone, città pagane, dove, a suo tempo, dal profeta Elia era stata beneficata una povera vedova. E come ad Eliseo era stato mandato un ufficiale nemico per essere risanato dalla lebbra, così, grazie alla fede riposta in lui, a Cafarnao guarirà persino il figlio di un centurione pagano.
Coloro che lo stanno ascoltando a Nazaret non accettano correzioni delle loro aspettative, e nemmeno rimproveri, e soprattutto non accettano di non essere riconosciuti più meritevoli dei pagani, di non essere i suoi preferiti. Il loro amor proprio, la vanagloria e l’ambizione sono così forti da far sì che si sentano offesi e che reagiscano con violenza. Non li sfiora nemmeno il pensiero che la sua parola potrebbe avere autorità divina: lo rifiutano e lo scacciano, tentando persino di ucciderlo.
Che cosa può dire a noi una pagina come questa? Ci può aiutare a guardare a Gesù in modo maturo? Non lo guardiamo come uno venuto soltanto ad accontentarci e a risolvere i nostri problemi, anche se da lui stesso siamo autorizzati a rivolgerci a lui per questi: cercheremo soprattutto di ascoltarlo, di donargli amore piuttosto che chiederglielo (ci ha già preceduti!), cercheremo di godere di tutto ciò che egli fa, per imparare e non per insegnargli. E non avremo gelosia se ci accorgeremo che qualche persona, arrivata dopo di noi alla fede, viene esaudita da lui e ci supera nell’amore!
Dell’amore ci parla oggi San Paolo. Egli usa il termine “carità”, per esprimere quel tipo di amore che proviene dal cuore del Padre e che solo Gesù ha vissuto in modo perfetto, “fino alla fine”. Egli definisce quest’amore “carisma”, e ce lo presenta come “la via più sublime”. Riuscire ad amare come Dio ama è carisma, dono cioè dello Spirito Santo, ed è perciò pure il tracciato segnato per la nostra vita di credenti. Questo è tanto vero che, se la carità non fosse presente nel nostro vivere e nel nostro operare, l’apostolo dice che non servirebbe a nulla riuscire a comunicare con migliaia di persone di altra lingua o altra cultura, non servirebbe a nulla nemmeno quella fede decisa e forte che trasporta le montagne, non servirebbe a nulla tutto il volontariato cui ci sappiamo dedicare anche con evidente sacrificio. La carità è quel carisma che ci rende simili al Figlio di Dio, che ci unisce a lui nella morte e risurrezione, che ci fa essere suoi senza alcun altro pensiero. La carità è un amore che non ci fa mai e poi mai rinunciare alla fede e smettere la speranza: è l’amore non alla nostra ambizione e alla nostra perfezione, ma alla persona del Signore Gesù! È, solo per questo, un amore che dà eternità al comunicare, all’operare meraviglie, allo spendersi per gli altri! È l’amore che ci rende obbedienti a Gesù, anche se, per ciò stesso, incompresi e maltrattati da parenti e conoscenti. Ciò può succedere, che cioè i nostri parenti ci tolgano la stima perché ci vedono vicini a Gesù, e non condividano le nostre scelte, se percepiscono che siamo impegnati con lui. Essere cristiani è essere di Gesù, e non più del nostro paese o del nostro clan familiare. Per essere veri cristiani perciò è sempre necessaria una qualche nostra piccola conversione: coraggio, Gesù merita che la realizziamo!

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