ME
NU

Vangelo secondo Matteo 04

Misericordia voglio

Mt 7,12-9,13

1. Porta stretta Mt 7,12-20

12Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti.

13Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che vi entrano. 14Quanto stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano!

15Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci! 16Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dagli spini, o fichi dai rovi? 17Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; 18un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. 19Ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. 20Dai loro frutti dunque li riconoscerete.

1.

Signore Gesù Cristo, quanti insegnamenti preziosi hai offerto ai tuoi discepoli, quante luci hai donato per illuminare la Parola del Padre, per farci comprendere come ogni sua parola è soltanto l’inizio di un insegnamento che ci porta nel suo cuore. E come abbiamo compreso da te che il cuore del Padre è solo amore, fontana di amore, cui attingeremo per ricevere forza, gioia, pienezza! Ci hai pure messi sulla strada per incontrarlo il Padre nostro, per vederlo, per essere partecipi della sua santità. E ci hai lasciato intuire che il Padre non è lontano da noi, anzi, che anche noi conosciamo la sua volontà buona osservando i nostri stessi desideri: noi stessi infatti desideriamo dagli altri gesti di amore; questa è la volontà del Padre per noi verso tutti i suoi figli. I gesti di amore che noi desideriamo sono spesso quelli santi e veri che ci possono aiutare a vivere ogni tua Parola, quella che ci rende “beati”.

I nostri desideri esprimono “la Legge e i Profeti”, cioè il modo con cui tutto l’amore di Dio si concretizza, e realizza quello che lui ha indicato nei secoli con la vita dei Patriarchi e con le parole illuminanti e forti di coloro che ha inviato a parlarci.

Fare agli altri quanto desideriamo per noi è una “strada angusta” che avvia verso una “porta stretta”. La tua città, la città dove tu abiti con i tuoi figli, è sul monte, e per arrivarci non ci sono alternative ad una strada in salita e ad una porta “stretta” per la quale non passano né grandi cortei, né carri veloci.

La “via spaziosa” si allontana dalla tua città. È spaziosa e perciò molti la scelgono, e la scelgono perché la vedono frequentata. Su di essa si trova facilmente la compagnia di molti uomini, ma su di essa, che non procura fatica e non richiede decisioni personali, ci si ritrova poi condizionati e dipendenti sempre dagli altri. Alla fine della “via larga” non c’è una porta, non si entra nella città, non si trova né sicurezza e nemmeno comunione con alcuno e neppure vera amicizia. La “via spaziosa” “conduce alla perdizione”: conduce alla solitudine, ad una situazione nella quale nulla ha un senso, nulla ha significato. I passi che si sono fatti, la fatica impiegata, le mete raggiunte manifestano un vuoto, una menzogna, una falsità che costringe ad essere ancora falsi e menzogneri.

Tu ci hai davvero amati, Gesù, quando ci hai esortati a cercare “la porta stretta”. Essa richiede fatica, sì, ma ci aiuta a maturare. Per cercarla non dobbiamo guardare a nessuno, se non a te soltanto. Sei tu quella porta, tu con la tua croce. È davvero stretta la porta che sei tu: non vi si può entrare carichi di cose che passano. Le uniche ricchezze che, semmai, possiamo portare con noi sono quelle interiori, quelle che hai indicato con le beatitudini e con le parole sale e luce, e ci hai mostrato con le esemplificazioni di chi vive l’amore ai nemici e la fedeltà alle benedizioni ricevute. Nella porta stretta si entra uno alla volta. Ognuno decide con tutta libertà, non con quella libertà facile di chi si sente appoggiato e apprezzato dagli altri, ma con quella libertà difficile da istinti e piaceri, libertà che procede dalla consapevolezza della verità e della bellezza della tua vita.

Chi entra dalla porta stretta è accolto da te, che ci attendi. Chi entra non è più fuori, non ha più paura né delle intemperie, né dei nemici, né dei ladri, né dei menzogneri, né dei seduttori. Questi pericoli e questi nemici non possono più danneggiare né disturbare. Chi entra ascolta te e gode della tua presenza. Chi entra non è più fuori nel disordine e nel caos, nell’incertezza e nella ricerca continua di qualcosa di vero e di buono! Gesù, tu sei la via e tu sei la porta. Sei via angusta, ma sicura, sei porta stretta, ma gioiosa.

Al di fuori ci sono i falsi profeti: parlano, e col loro parlare attraggono e affascinano, abbondando di parole senza verità. Per farsi accogliere e sedurre si vestono in modo attraente, offrendo quel sorriso che non procede da una vita interiore, ma da intenzioni nascoste. La veste da pecora copre le zanne al lupo, ma non ne cambia la voce, perciò è possibile, per chi è attento, discernere. Chi ama te e le tue pecore, si accorge anche del più piccolo inganno.

La vigilanza dovrà essere sempre viva nel cuore del tuo discepolo, Signore Gesù. Egli saprà notare se chi si dice fratello lo aiuta a venire a te per ubbidirti, per ascoltarti, per donarti se stesso, per vivere il tuo mistero pasquale entrando nella morte di sé per risorgere con te. Questo è il “frutto bello” dell’“albero buono”.

Il frutto permette di riconoscere la pianta da cui proviene. Il “frutto bello” di un albero non sarà ciò che piace al nostro egoismo, ciò che ci immerge in questo mondo, ciò che ci fa attenti alle cose che passano. Il frutto non è riconoscibile per il suo aspetto esteriore, ma per il nutrimento che offre. Spine e rovi sono solo il castigo per il peccato, come ha detto Dio ad Adamo disubbidiente.

Colui che mi porge opinioni attraenti, ragionamenti seducenti, proposte ricche persino di apparente carità, ma tende a mettere a rischio la mia unione con te, che sei l’unico frutto dell’amore del Padre, devo riconoscere che è un “albero cattivo”, senza vita. Quella non può essere “la via che conduce alla vita”, perché “la vita” sei tu.

L’albero che non dà un bel frutto lo si taglia e lo si brucia, come ci ha ricordato Giovanni parlando del popolo che non voleva accogliere te, Gesù. Così l’amicizia che allontana da te, Gesù, o non permette a te di essere il primo e l’ultimo nel mio cuore, o mi distoglie dal vivere la tua parola, non la posso considerare amicizia. Non posso collaborare con chi ti disprezza o semplicemente ti vuole ignorare. Trascinerebbe anche me lontano da te.

Con il tuo aiuto anche la mia vita diventerà un albero che porta frutti belli, quando porterò a te ogni persona che amo o che incontro, tutti quelli che posso. E tu mi darai la grazia di non diventare mai un falso profeta: il mio vivere sarà annuncio di te, mio Signore!

  

2. Colui che fa 7,21-23

21Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. 22In quel giorno molti mi diranno: “Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demoni? E nel tuo nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi?”. 23Ma allora io dichiarerò loro: “Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l’iniquità!”.

Chi passerà la porta stretta? Chi arriverà al traguardo della propria vita? Chi sarà riconosciuto “albero buono” che produce “frutti belli”? Chi risponderà a queste nostre domande più ovvie?

Le persone che ritengono di avere familiarità con Dio, facilmente pensano di ricevere accesso a lui se sanno usare bene la parola, se hanno imparato a pregare come i farisei o come i pagani, se formulano le domande a Dio secondo criteri di ragione, o moltiplicano parole in modo da risultare convincenti, o formulano preghiere in lingue antiche.

Tu, però, Gesù, ci hai insegnato che la vera preghiera, quella che il Padre gradisce, non è né quella dei farisei e nemmeno quella di chi non lo conosce e non sa donargli sicura fiducia. Ci hai insegnato che il vero pregare è l’esprimergli, anche senza parole, ma con verità, la propria piccolezza, il proprio essere figlio ubbidiente, e il desiderio di essere immersi nel desiderio suo e nella sua volontà. Ci hai insegnato che volontà del Padre è l’avere misericordia di chi ha bisogno di misericordia, anche se peccatore, anzi, proprio perché peccatore.

Ora ribadisci con chiarezza che il traguardo, l’ingresso nel regno dei cieli, non verrà raggiunto da chi si limita a rivolgerti belle parole. Chi sa dirti “Signore, Signore”, cioè sa usare belle preghiere, non è detto che le pronunci in verità. Infatti, quando io ti ritengo Signore della mia vita, do importanza a te e ad ogni tua parola. Tu sei mio Signore in verità quando sei il mio costante punto di riferimento, quando non faccio nulla se non me l’hai detto tu, quando non formulo pensieri e ragionamenti tra me e me senza di te.

Ti dice “Signore, Signore” colui che costruisce liturgie perfette, chi canta le tue lodi in modo da entusiasmare e farsi applaudire, chi organizza opere sociali chiamandole col tuo nome. Ma a cosa serve questa bella apparenza? Se il cuore di tutti costoro non è tuo, tutto il loro operare sarà adoperato dal nemico, dal divisore che strazia la Chiesa.

Io ti dico “Signore” in verità, quando ti ubbidisco, quando le mie mani e i miei piedi sono mossi dal tuo amore e dai tuoi pensieri. Il tuo amore e i tuoi pensieri sono del Padre, come ci hai ricordato, poiché tu sei con noi per realizzare la volontà del Padre nostro.

Volontà del Padre, tu ci hai ripetuto, è l’essere misericordioso, sempre. Volontà del Padre è che viviamo quanto hai inteso dire con le beatitudini e con tutte le indicazioni che ci hai dato per realizzare la Legge e i Profeti! Se io riuscissi a dirti anche mille volte “Signore”, ma fosse lontana da me la misericordia, non farei la volontà del Padre. Se non amassi i nemici suoi e tuoi e miei, sarebbe lontana da me la volontà del Padre nostro. Quando non ritengo pane “nostro” il pane giunto alle mie mani, non realizzo la volontà del Padre di tutti. Quando non perdono quelli che si comportano da nemici, non faccio la volontà del Padre. Quando faccio differenza tra buoni e cattivi usando comportamenti diversi per gli uni e per gli altri, non faccio la volontà del Padre. Quando dimentico o tradisco gli impegni di fedeltà assunti con le altre persone, marito o moglie o figli, non faccio la volontà del Padre. Quando uso il mio parlare senza esprimere l’amore del Padre, che è l’unica verità, non faccio la volontà del Padre.

È lui che mi attende nei cieli, al di là della porta veramente stretta, ma benedetta e luminosa! Lui riconosce che ha fatto la sua volontà chi è vissuto distribuendo misericordia e fedeltà con umiltà. Questi sono i nomi, le caratteristiche del suo amore, vivo ed eterno.

Noi diamo importanza a quanto abbiamo realizzato di bello e grande, a quanto della nostra opera ha mostrato la straordinarietà dell’amore del Padre e la grandezza del tuo nome, a quanto Dio stesso ha operato grazie alla nostra fede in lui. Ma se tutto questo non è stato accompagnato e riempito di umiltà e di amore misericordioso, e se chi ha compiuto opere meravigliose non è stato fedele nel portare la croce, tu, Gesù, non ne potrai andare fiero.

Noi diamo importanza ad azioni che risultano straordinarie per gli uomini, da loro ammirate, come profezie, liberazione dai demoni, miracoli di vario genere. Anche per te, Gesù, queste opere sono sante e addirittura divine, ma possono diventare persino menzogna. Infatti, se esse non sono da noi vissute come misericordia del Padre, allontanano da lui chi le compie e chi le gode. Quando viviamo queste opere divine per attirare lo sguardo dei poveri e dei sofferenti a noi, invece che usarle per il loro incontro con te e con il Padre, esse sarebbero considerate da te “iniquità”: noi saremmo “operatori di iniquità”. Tu non potresti fare altro che allontanarci da te. In quel caso tu saresti disgustato dalla nostra presenza.

Già il profeta Isaia aveva detto che le belle parole possono nascondere un cuore vuoto, un cuore dove tu sei assente (Is 29,13), e anche che le nostre buone opere potrebbero essere come “panno immondo” (Is 64,5), che rende impuro tutto ciò che tocca. I miracoli stessi che tu compi con le nostre mani o con la nostra bocca non testimonieranno a nostro favore: soltanto l’amore del Padre e la sua misericordia presente nel profondo del nostro cuore umile attireranno su di noi la sua benevolenza per accoglierci nel suo regno. Tu infatti non sei re di coloro che mangiano con te e di te, ma solo di coloro che si lasciano amare dal Padre e gli restituiscono lo stesso suo amore, che è perfetto perché misericordioso.

Tu puoi conoscere e riconoscere come tuoi solo coloro che tengono lo sguardo alzato per dire sempre: Padre nostro. Gli altri li devi allontanare, perché ingannerebbero tutti addirittura con il tuo nome. Quale sofferenza per te doverci dire: “Allontanatevi da me” perché non siete figli piccoli e umili! Quale sofferenza per te doverci dire: “Non vi ho mai conosciuti”! Sarai costretto a dirlo se il nostro cuore non somiglia a quello del Padre, e quindi al tuo. Tu ci conosci quando siamo liberi da noi stessi, protesi verso il Padre e immersi nel tuo amore filiale. Gesù, vero Signore, ci vuoi davvero coperti e pervasi dell’amore libero, umile, santo e misericordioso!

3. Uomo saggio 7,24-29

24Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. 25Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia. 26Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. 27Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la sua rovina fu grande».

28Quando Gesù ebbe terminato questi discorsi, le folle erano stupite del suo insegnamento: 29egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come i loro scribi.

3.

Signore Gesù, potrebbe il tuo insegnamento essere inutile? Se chi l’ascolta si limita ad ascoltare, o anche ad ammirare la tua sapienza, egli non diventa figlio del Padre e non diventa testimone di te, Figlio di Dio.

Dall’esperienza secolare del tuo popolo tu ricavi una parabola per aiutarci a perfezionare il nostro ascolto delle tue parole.

Queste parole tu le chiami “mie parole”: esse non sono ripetizione di parole dei saggi, e nemmeno dei profeti o del grande Mosè, che ha ricevuto le Dieci Parole sul monte (Es 20). Quelle parole tu le hai prese sul serio e le hai considerate e ripetute con il tono della voce tenera del Padre. Un Padre, che ha dato vita ai figli, parla loro con amore, con desiderio di vederli tutti uniti a sé e uniti tra di loro, come Giacobbe i suoi dodici figli. Quanto ha sofferto Giacobbe per la gelosia che i suoi figli, fratelli tra loro (Gen 37,4), hanno manifestato verso Giuseppe, e per la loro azione, mossa da pensieri omicidi contro di lui (37,20)! Essi ascoltavano il loro padre, ma non vivevano le sue parole, non accoglievano in sé l’amore del suo cuore.

Tu, Gesù, hai ascoltato il Padre che è nei cieli, e vuoi fare tuo il suo amore e coinvolgere anche noi, perché con la nostra vita lasciamo vedere le sue intenzioni, la sua bontà e anche la sua misericordia per chi è stato debole, fragile, e si è lasciato vincere dal nemico. Le tue parole hanno ripetuto e spiegato bene come l’amore del Padre può e deve essere presente nel cuore dei suoi figli. E ci hai anche testimoniato che il vivere l’amore del Padre è per noi beatitudine, ricchezza di vita, felicità vera (Mt 5,3ss).

L’uomo “saggio”, colui che non vuole sprecare la propria vita, e non intende costruire la propria infelicità diventando causa di sofferenza per sé e per altri, quest’uomo saggio non si limita ad ascoltare le tue parole, ma le accoglie come base delle proprie decisioni e delle proprie scelte, cosicché diventino fatti concreti.

È davvero saggio colui che mette in pratica tutto quanto hai detto, perché diventa sale utile e necessario che trasforma tutta la vita sociale, sarà lampada accesa, utile e necessaria a chi cammina su strade che altrimenti rimarrebbero buie e insidiose (5,13-16). È saggio chi realizza le tue parole, perché le sue opere, invece di essere solo occasione di ambizione e di vanagloria ingannevole, avranno valore nel cuore di Dio, e, perché compiute in obbedienza, saranno davvero buone della bontà divina (6,1ss). È saggio chi realizza le tue parole perché vivrà un’obbedienza alle parole di Mosè ricca di amore, quindi vera presenza di Dio stesso sulla terra (5,17).

Quel saggio sarà come colui che costruisce la propria abitazione in modo stabile e sicuro. Egli potrà vivere sereno e dare serenità a quanti ospiterà nella propria casa. Persino durante la tempesta e l’alluvione egli potrà riposare, non dovrà temere, e sarà rifugio sicuro anche per lo stolto. Pioggia, fiumi, venti faranno temere e diventeranno pericolosi, ma il saggio ha costruito sulla roccia.

Roccia è la tua parola, Gesù. Roccia è Dio stesso, come ripetono i salmi e i profeti. Dalla roccia è venuta l’acqua, dono della fedeltà di Dio al suo popolo (Es 17,6). “Egli è la roccia… un Dio fedele”, testimoniò lo stesso Mosè (Dt 32,4). “Signore, mia roccia” (18; 28; 62; …) ripetono in continuazione i salmi cantati da tutto il popolo.

E il profeta ci invita: “Guardate alla roccia da cui siete stati tagliati” (Is 51,1), per darci la gioia di sapere che anche noi abbiamo la vocazione di essere roccia, quindi sicurezza per i fratelli, dal momento che proveniamo dalla vita del Padre. “Bevevano da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo” ci dice San Paolo (1Cor 10,4). Costruire la casa sulla roccia significa costruire su di te, Gesù. Per questo terrò preziosi tutti i tuoi insegnamenti e cercherò di viverli, di metterli in pratica, con la luce e la forza che tu mi darai.

Tu ci rendi consapevoli che è possibile anche somigliare a colui che costruisce sulla sabbia: se infatti ignoro la tua parola, dove poggerò le mie scelte e le mie decisioni? Soltanto sulle opinioni e sulle false certezze che dona il mondo, o sulle opinioni che io stesso, nella mia superficialità e ignoranza, mi sono costruito? Queste sono sabbia che frana facilmente. Queste vanno bene fin che non ci saranno difficoltà, fin che non sarò messo alla prova da inimicizie, da preoccupazioni e da tentazioni, fin che non arriverà la malattia.

Signore Gesù Cristo, concedimi di rimanere rivolto a te sempre. Donami di avere sempre le tue parole come luogo di appoggio per ogni mia azione.

Le folle si meravigliano dei tuoi insegnamenti, Gesù. Si rendono conto che tu non dici quanto altri ti hanno comunicato: tu infatti parlavi e parli sempre per esprimere il tuo amore al Padre. E perciò la tua bocca è divenuta una sorgente di acqua viva e zampillante, da cui si riceve vita e gioia. I tuoi insegnamenti hanno riscontro nel cuore di ogni uomo, che è proprio fatto per riceverli e per farli fruttificare. È con essi che il cuore dell’uomo raggiunge la propria pienezza e perfezione. Essi hanno autorità: provengono dal cuore del Dio che ci ha creati e amati, e ci portano a lui come al cuore forte e sicuro di un padre, tenero e dolce di una madre.

Grazie, Signore Gesù.

4. Puoi purificarmi 8,1-4

8,1Scese dal monte e molta folla lo seguì. 2Ed ecco, si avvicinò un lebbroso, si prostrò davanti a lui e disse: «Signore, se vuoi, puoi purificarmi». 3Tese la mano e lo toccò dicendo: «Lo voglio: sii purificato!». E subito la sua lebbra fu guarita. 4Poi Gesù gli disse: «Guardati bene dal dirlo a qualcuno; va’ invece a mostrarti al sacerdote e presenta l’offerta prescritta da Mosè come testimonianza per loro».

4.

Signore Gesù, le folle ti avevano seguito quando sei salito sul monte a insegnare. Sul monte hai dato risalto alla Parola, la Parola di Dio che deve essere accolta dal popolo perché sia illuminato e diventi luce ai suoi passi. Sul monte Mosè aveva accolto la Parola di Dio scritta sulle tavole di pietra. Sul monte tu fai risuonare la parola e la scrivi nel cuore dei discepoli e della folla: tu infatti sei riconosciuto autorevole da tutti. Sul monte la tua Parola è riconosciuta autorevole dal popolo, cioè parola divina, parola che dà vita all’uomo.

Scendendo dal monte non sei più immerso e quasi nascosto nella nube della presenza di Dio, ma ti immergi nella situazione misera e tragica degli uomini. Quando Mosè è sceso dal monte ha trovato il popolo immerso nel peccato, intento ad adorare il vitello d’oro. Così anche tu, scendendo dal monte scopri che qui è il peccato che prevale, con le conseguenze di sofferenza, di emarginazione, di solitudine, di divisione. Come risplenderà la tua luce e la tua autorità in questa situazione tenebrosa, dove gli uomini non solo soffrono di malattia, ma dove la malattia stessa invece di unire per soffrire insieme, divide, separa, aumentando la solitudine e la segregazione?

Dopo aver insegnato, ora tu stesso trovi il luogo per agire. Avevi detto che chi ascolta deve fare, deve mettere in pratica per essere riconosciuto saggio. Tu cominci per primo: la tua parola trova ora il luogo per manifestarsi azione, concretizzazione dell’amore del Padre nelle situazioni che imprigionano noi uomini, escludendoci dal rapporto con il nostro Dio.

La folla ti segue. Non è ancora sequela vera: quella la chiederai ai singoli, dopo che non solo avranno ascoltato, ma avranno anche assistito alla tua opera. Ora le folle ti vengono dietro con un impulso spontaneo, dove ha peso non solo la tua presenza, ma anche e soprattutto quel che fanno tutti. Chi ti segue viene spinto e attirato da una solidarietà sociale. Vengono come trascinati gli uni dagli altri.

Invece il lebbroso che si avvicina a te, questi sì viene perché mosso da una spinta interiore non condivisa da altri. Egli dovrebbe allontanarsi e gridare a tutti che stiano lontani da lui per non contaminarsi e diventare immondi. Come mai invece si avvicina? Egli sa già che l’autorità che hai manifestato con le tue parole è anche autorità su tutto ciò che tiene l’uomo lontano dal Dio della vita e dalla vita, dono di Dio. Egli ti vuol dare l’occasione di farlo vedere. È lebbroso, e perciò emarginato dalla stessa Legge, costretto ad allontanarsi dai luoghi di santificazione del tuo popolo, considerato castigato da Dio perché ritenuto colpevole di qualche grave peccato. Egli non ti chiede nulla, Gesù, ma riconosce alla tua volontà la bontà e la potenza di purificazione. Tu, e tu soltanto, puoi riportarlo all’amicizia di quel Dio che hai rivelato Padre, un Padre che sa ciò di cui noi abbiamo bisogno ed è in grado di provvedervi, come provvede ai passeri del cielo.

Gesù, ciò che tu hai detto sul monte, ora lo devi far vedere. Qui ora è in gioco la verità delle tue parole che sono entrate negli orecchi della folla e dei discepoli.

Il lebbroso è in ginocchio davanti a te, come si pongono gli uomini davanti a Dio nel tempio. La tua autorità è ritenuta divina da quest’uomo rimasto escluso dai riti santi e dalla comunione di lode del popolo. Egli ti sta adorando con tutta la sua vita: è in ginocchio e ti chiama “Signore”, anticipando il titolo che i tuoi discepoli ti daranno quando ti vedranno risorto dai morti.

Egli crede che tu vivi la vita che non muore, la vita divina, puoi far risorgere lui dalla morte nella quale si trova a causa della malattia. È la morte sociale e religiosa, ancor più terribile e decisiva della morte fisica, che ha la speranza di risorgere all’inizio del giorno del Signore.

Se vuoi, puoi”: tutto è possibile a te, come tutto è possibile a Dio. Questa è la certezza, la fede di quest’uomo, che incontri per primo e che ora dà esempio alla folla che ti ha ascoltato, un uomo che ha la tua parola nel cuore, ma non ha ancora cominciato a metterla in pratica. Il lebbroso ora “fa” il tuo insegnamento: ti dà fiducia, si affida alla tua volontà e alla tua decisione: tu sei il Figlio, obbediente a colui che è Padre per “cattivi e buoni”.

Gesù, Signore, ora ti senti costretto, gioiosamente costretto a realizzare l’amore del Padre che dà la vita e accoglie il misero nel proprio cuore. Certo che tu vuoi purificare, sei venuto apposta: per questo sei stato mandato dal Padre. Così ti aveva annunciato l’angelo a tua madre e a Giuseppe, così ha parlato Zaccaria profeticamente, continuando le rivelazioni degli antichi profeti. Ora tu tendi la mano, quella mano che era disposta a consegnare il mantello a chi chiede la tunica, la mano tesa a fare l’elemosina in segreto, la mano che dà il pane al figlio che lo chiede e mai una pietra al suo posto, la mano pronta a togliere la pagliuzza dall’occhio del fratello dopo aver spostato la trave dal proprio. Tendi la mano verso la lebbra che fa soffrire l’uomo inginocchiato davanti a te e lo scomunica dall’alleanza del popolo divino. La tua mano lo tocca, e non rimane immonda, come parrebbe per la Legge. La tua mano comunica santità, e quindi purificazione immediata. E la tua Parola è Parola divina: “Lo voglio”; manifesti così che l’autorità della tua parola è più di quella che le folle le hanno riconosciuto. Prima purifichi e poi guarisci. La guarigione è conseguenza di un vero e sano rapporto con Dio, conseguenza del suo amore che raggiunge l’uomo che non ha la vita, perché lontano da te come Adamo, nascosto nel giardino.

Tu, Gesù, chiedi all’uomo purificato una duplice ubbidienza. Anzitutto esigi il suo silenzio. Nel nascondimento sotto terra matura il seme, così nel silenzio matura la conoscenza di Dio, e la fede in lui. La guarigione non sarà completa se non ha il tempo di maturare. La tua opera è più che parola, e parla più della parola. La parola dell’uomo, invece di essere rivelazione di verità, sarebbe menzogna, se non fosse accompagnata da profonda conversione della vita. Il Padre tuo vede nel segreto, e nel segreto opera. L’uomo purificato non ha bisogno di parlare. Il suo dire oscurerebbe la luce del tuo gesto, rovinerebbe la sua efficacia e la sminuirebbe davanti agli uomini. È il silenzio il luogo dell’agire di Dio. “Poni, Signore, una guardia alla mia bocca, sorveglia la porta delle mie labbra” dice la preghiera santa (Sal 141,3).

Tu, Gesù, sei circondato dal silenzio: questo parla e comunica la bella notizia e la verità senza equivoci.

E poi chiedi un’altra obbedienza. L’uomo purificato deve ubbidire alla Legge, non deve distinguersi dagli altri. La tua opera sarà compiuta quando l’uomo partecipa del tutto alla vita e alla fede del popolo, con umiltà. In questo modo, Gesù, pensi anche ai tuoi possibili nemici, i falsi profeti, coloro che “diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia”. Essi devono sapere che tu sei venuto non come nemico della Legge di Mosè, ma che sei attento a viverla e perfezionarla. Per questo mandi il lebbroso non più lebbroso e non più impuro, lo mandi “al sacerdote” per presentare “l’offerta prescritta da Mosè”. Sarà “testimonianza per loro”, sarà segno che tu non solo guarisci, ma sei anche più che sacerdote: tu non solo constati, ma operi la purificazione. La tua autorità così diventerà manifesta a loro, e ti potranno ascoltare e ubbidire. La purificazione del lebbroso è testimonianza di te, non solo amico di Dio, ma vero Signore che hai autorità sulla morte dell’uomo!

Abbi pietà anche di me, Signore Gesù. Tu certamente vuoi toccare anche la mia povera vita, che diventi segno della ricchezza della tua vita santa.

5. Io non sono degno 8,5-13

5Entrato in Cafarnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava e diceva: 6«Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente». 7Gli disse: «Verrò e lo guarirò». 8Ma il centurione rispose: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. 9Pur essendo anch’io un subalterno, ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa».

10Ascoltandolo, Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: «In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande! 11Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, 12mentre i figli del regno saranno cacciati fuori, nelle tenebre, dove sarà pianto e stridore di denti». 13E Gesù disse al centurione: «Va’, avvenga per te come hai creduto». In quell’istante il suo servo fu guarito.

5.

Signore Gesù, ora stai arrivando al villaggio che hai scelto per abitarvi. Chissà se le folle continuano a seguirti nelle viuzze brulicanti di persone! Ma ecco uno che già ti conosce, o ritiene di conoscerti. È uno dei capi militari che abita qui. Questi ti viene incontro, vuole incontrare proprio te. Sta soffrendo perché ha un ragazzo in casa, figlio o servo, che soffre “terribilmente”. Se non fosse entrata questa sofferenza nella sua casa non ti cercherebbe, non ti disturberebbe, e non avrebbe occasione di incontrarti per manifestare la fiducia che ora gli apre la bocca. Ti esprime la sua sofferenza, sapendo che tu ti commuovi per ciò che fa soffrire gli uomini. Quest’uomo, come tutti gli assoldati di Erode, è un pagano.

La tua reazione alla notizia della paralisi del ragazzo che preoccupa quell’uomo è duplice: ti dispiace la sofferenza, che è sempre segno della presenza del nemico, ma sai anche d’essere mandato prima di tutto alla Casa d’Israele. Per questo alcuni interpretano la tua risposta come una domanda: “Devo venire io a guarirlo?”, ma il tono della tua voce permette di intuire il tuo desiderio profondo, la tua pronta disponibilità a renderti presente dove domina la malattia: “Verrò e lo curerò”.

Com’è delicata la reazione del militare! Egli sa che la Legge non permette all’ebreo di entrare in casa di pagani. Ma pare sappia che anche i pagani possono sperare nel Dio d’Israele, il Dio che ti ha mandato. Infatti il profeta Isaia dice: “Io verrò a radunare tutte le genti e tutte le lingue…” (66,18). Il centurione non si meraviglierebbe se la tua risposta somigliasse a rifiuto, ma ti manifesta la sua fede, come farà la donna Cananea (15,22) quando ti pregherà per sua figlia. Egli conosce l’autorità che le sue parole hanno sui suoi soldati e sui suoi servitori, che eseguono quanto lui dice, pur essendo lui stesso un subalterno, quindi con potestà limitata. La sua parola è efficace, tanto da riuscire a far muovere gli uomini. Ma la sua parola non può nulla contro i mali che fanno soffrire il suo ragazzo. Per questi è necessaria l’autorità della Parola di Dio, come dice il salmo: “Mandò la sua parola, li fece guarire” (107,20).

Egli ritiene che la tua parola ha autorità di Dio, l’autore di tutto e di tutti: ti ha chiamato infatti “Signore”, proprio come il lebbroso da te purificato. La tua parola, egli è sicuro, può comandare anche alla malattia. Perciò egli non pretende che tu disobbedisca alla Legge, anzi, proprio perché sei obbediente a Dio, è certo che la tua Parola realizzerà quello che dice. La tua obbedienza assicura autorità alla tua parola.

Quale parola pronuncerai, Gesù, per accontentare il centurione? Quale tua parola solleverà dalla sofferenza il ragazzo e allontanerà da lui la malattia? La tua Parola ha lo stesso valore della tua presenza e del gesto della tua mano. Come devo amare io la tua Parola e accoglierla! E tenerla preziosa nel cuore: dov’è la tua Parola ci sei tu!

Per un attimo tu dimentichi l’uomo che ti interpella e i dolori del suo ragazzo. La fede di quest’uomo è così semplice e bella che non deve passare come scontata. No, non è scontata: nessuno del popolo di Dio, nessuno che si dice credente e si ritiene amico di Dio ed erede delle sue benedizioni, ha mai manifestato una fede così sicura e così confidente. Nessun figlio di Abramo si è rivolto a te, Gesù, con questa fiducia. Il lebbroso, emarginato dal popolo, e ora questo pagano, escluso dalla Legge, ti hanno accolto e riconosciuto pubblicamente come colui che ha l’autorità del Dio che dà la vita oltre la morte.

Tu quindi alzi ora lo sguardo da questo istante e lo fissi nei secoli a venire: “Molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli”. Grande la tua gioia, Gesù, in questo momento. Il centurione sofferente che ti sta davanti supplicante è profezia e primizia di un popolo numeroso proveniente da culture e religioni differenti, da molte lingue e da molti luoghi. Questo popolo sarà commensale dei santi patriarchi che hanno preparato, con la loro fede e la loro obbedienza, la tua venuta nella carne. Essi hanno preparato la tua accoglienza sulla terra. Proprio essi sederanno a mensa con i pagani, con questo centurione afflitto, ma pieno di speranza in te. E ora devi aggiungere con amarezza: “I figli del regno saranno cacciati fuori, nelle tenebre, dove sarà pianto e stridore di denti”. Chi sono questi? Sono quella folla scesa con te dal monte, che riconosceva sì la tua autorità, ma non metteva in pratica la tua Parola? Quelli che si dimostreranno stolti, perché ascoltano sì, ma non fanno? Lo diceva il profeta che Dio si accorge che il popolo “mi onora con le sue labbra, ma il suo cuore è lontano da me” (Is 29,13).

Il soldato è ancora lì, silenzioso, che attende la parola che pronuncerai per il suo ragazzo. Quale parola dirai? Qualsiasi parola diventerebbe parola magica. No, non dirai una parola: sei tu la Parola, la Parola del Dio vivente. Quell’uomo ti ha già accolto nella sua casa, cioè nella vita della sua casa, nel mezzo della sua comunione con il suo servo. Tu sei già presente nelle sue relazioni e perciò il prodigio è già avvenuto. “Avvenga come hai creduto”: la sua fede ti ha introdotto sotto il suo tetto. Ne è e sarà segno la vita che il ragazzo continuerà a vivere. Quest’uomo non potrà più vedere il suo servo se non nella tua luce, anzi, lo vedrà sempre vivificato dalla tua Parola, non quella che si aspettava come formula di guarigione, ma quella che hai proclamato sul monte e continui a proclamare dicendo: “Beati voi quando vi insulterannoper causa mia” e “Non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento” e “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”. Questa è la Parola che continua a trasmettere vita a tutti, sia ebrei che pagani, tutti eredi della benedizione di Abramo.

Avvenga come hai creduto”: che significa? Il centurione ha creduto che tu, Gesù, sei il Signore, che la tua Parola è vita e dà vita a chi muore. Che la tua Parola è già presenza del salvatore del mondo intero nella sua casa. Così “avvenga”: non solo il servo guarisce, ma tutta la casa diviene luminosa della luce della tua Parola e della presenza di te, Gesù Signore.

6. Lo serviva 8,14-17

14Entrato nella casa di Pietro, Gesù vide la suocera di lui che era a letto con la febbre. 15Le toccò la mano e la febbre la lasciò; poi ella si alzò e lo serviva.

16Venuta la sera, gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la parola e guarì tutti i malati, 17perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia:

Egli ha preso le nostre infermità

e si è caricato delle malattie.

6.

Signore Gesù, scendendo “dal monte” ti ha avvicinato il lebbroso, “entrato in Cafarnao” ti è venuto incontro il centurione pagano, ora tu entri “nella casa di Pietro” e vedi “la suocera di lui che era a letto con la febbre”. Tre incontri con gli uomini, tre attenzioni che li guariscono dalle loro infermità e li purificano dall’impurità legale, tre momenti che rivelano l’autorità della tua parola. La tua attenzione è per tre categorie di persone emarginate: ad esse basta incontrarti e ascoltarti o essere toccate da te, e sono riammesse alla comunione con Dio, quel Dio che è Padre e non vuole esclusioni per i suoi figli.

Eccoti ora nella casa di Pietro. Matteo non dice, come altri evangelisti, quando e con chi sei entrato: egli fa in modo che il nostro sguardo sia fisso solo su di te, senza distrazioni.

Ora siamo “nella casa di Pietro”: è la casa dove si raccoglie la Chiesa, una Chiesa ancora piccola e imperfetta. I tuoi pochi discepoli infatti ancora non ti conoscono pienamente: hanno ascoltato la tua parola sul monte, ma non l’hanno ancora messa in pratica. Hanno iniziato a seguirti lasciando le reti, la barca e il padre, e ad ascoltarti insieme alla folla. Ora essi vedono come tu realizzi l’amore del Padre per uomini e donne, ebrei e pagani.

Sotto il tuo sguardo ecco “la suocera di lui che era a letto con la febbre”. La suocera è la madre della sposa, e fa parte di diritto della famiglia. La sposa è la Chiesa, e sua madre, che fa parte della sua vita, è il popolo d’Israele, quel popolo che è in attesa della redenzione. Insieme con la tua Chiesa, ancora inoperosa, ecco il popolo che ti attende: questo è immobile, incapace di stare in piedi e di camminare da solo. La febbre lo rende immondo, come il lebbroso e come il pagano. Questa “suocera” deve incontrare te, essere toccata da te per ricevere purificazione e la capacità di essere utile. E infatti tu che cosa fai? Le tocchi la mano: con la mano realizzerà la Parola, e lei sarà pronta ad amare, a servire, a donare. La tua mano tocca la sua mano: con lei non usi la parola, perché il popolo d’Israele è in possesso della Legge ed è in ascolto dei Profeti. Il tocco della tua mano è parola senza voce, parola che trasmette amore che agisce. La febbre “la lasciò”: non rimane più l’inoperosità né l’impurità che la febbre procura e manifesta impedendo l’amore. La tua mano dà vita. Ora la donna può alzarsi e servirti: i giusti di Israele sono al servizio della tua gloria, come già Simeone e Anna che hanno accolto te nel Tempio.

La Chiesa, con l’Israele fedele a Dio che vive in comunione con lei, sta in piedi grazie a te, quando la tua mano lo tocca. Da essa riceve la capacità di operare. Senza di te nessuno fa nulla. Senza di te la Chiesa non sarebbe utile a nessuno. Il tocco della tua mano fa sì che essa possa servire, e servire te, soltanto te, anche quando la sua fatica diventa dono e gioia per molti. Il suo servizio diventa insegnamento per chi entra nella casa con te. Ogni tuo discepolo vivrà servendo solo te: qualsiasi cosa faccia per il bene di chiunque, la farà come per te “e non per gli uomini” (Col 3,23). Sei tu l’unico degno di essere servito, tu che servi tutti noi offrendo la tua vita.

Venuta la sera”: ora sappiamo che era sabato, il giorno della gioia del Padre. La sera, passato il sabato, è l’inizio del tempo dell’agire degli uomini. Essi cominciano il lavoro venendo da te e portando a te quanti soffrono e fanno soffrire. Noi cominciamo la settimana con te, iniziamo ogni attività osservando il tuo volto, presentiamo a te ogni fatica prima di realizzarla. A te portiamo chi soffre, chi è debole, chi preoccupa tutti, chi non può vivere da solo e ha bisogno dell’aiuto degli altri.

Tutti hanno bisogno di te, sani e malati. Prima di tutto arrivano a te coloro che soffrono perché nella loro vita non c’è l’obbedienza a Dio, perché in essi non agisce l’amore per lui. Sono gli indemoniati, coloro nei cui pensieri non c’è posto stabile per la Parola del Padre, e così ogni loro voce è menzognera. Essi arrivano portati dagli altri: da soli non sarebbero in grado di venire, non riuscirebbero nemmeno a deciderlo. Devono essere portati. Tu “con la parola” scacci da loro “gli spiriti” che li paralizzano, li svuotano, li rendono peso per gli altri. La tua Parola mette in fuga i demoni, omicidi da sempre. È potente la tua parola, liberatrice, fonte di vita e di gioia: la tua Parola! Essa è luce, è forza, è sostegno, è orientamento, è pace. La tua Parola spaventa i demoni, che fuggono, essi che possiedono la parola del mondo che inganna e confonde. “Lampada per i miei passi è la tua parola” (119,105): senza la Parola l’uomo cammina a tentoni, inciampa, danneggia se stesso, gli altri e il mondo senza accorgersi; “dona intelligenza ai semplici” (130): senza la Parola l’intelligenza dell’uomo è demoniaca, le manca la sapienza e la saggezza e porta addirittura alla discordia, all’odio e alla morte; “i tuoi insegnamenti sono la gioia del mio cuore” (111): senza la Parola i cuori sono tristi e nemmeno si accorgono di esserlo, sembra quasi godano di essere scontenti; le tue Parole sono “verità” (142), infatti è la Parola che rivela il volto del Padre e ci trasmette luce e forza per fare la sua Volontà di amore! La tua Parola davvero dona la vita e allontana la morte.

E, con la Parola, Gesù, guarisci “tutti i malati”. Tutta la città riceve sollievo dalla tua presenza, dalla tua Parola. Ciò che fa soffrire, e rende la vita pesante e opprimente, scompare, grazie alla tua parola e all’amore con cui la pronunci. Nessun altro ha mai agito così, a nessun altro mai gli uomini hanno portato i malati perché siano guariti. Tu stai portando a compimento la Legge, l’amore del Padre per il suo popolo e per tutte le famiglie dei popoli.

Quando Dio ha creato l’uomo, la sua vita era molto buona (Gen 1,31). Quando l’uomo ha escluso Dio con il suo amore dalla propria storia, questa è diventata castigo, catena di dolori, di illusioni e menzogne (Gen 3,16.18). Ma Dio ha avuto pietà, ha continuato ad amare gli uomini, inviando Mosè con la Legge, ma essi non hanno compreso che il suo amore chiedeva amore. Hanno accolto le sue indicazioni non come dono prezioso, ma come imposizioni, vivendo come servi e non come figli.

Ora vieni tu, Gesù, mandato perché ti sei offerto a compiere l’amore del Padre con il tuo amore di Figlio. “Le nostre infermità” le prendi tu, e le porti con te sulla croce. Anche le malattie le carichi sulle tue spalle con il peso della croce. E noi restiamo leggeri. Alleggeriti da te, Gesù, iniziamo ad amare, a ringraziare il Padre, a scoprire che gli uomini sono fratelli, ad accogliere il loro amore come tuo amore, a offrire i giorni della nostra vita insieme a te. E il mondo non sarà più mondo di sofferenza, ma luogo della tua dimora, paradiso di fraternità e di figliolanza.

7. Passare all’altra riva 8,18-22

18Vedendo la folla attorno a sé, Gesù ordinò di passare all’altra riva. 19Allora uno scriba si avvicinò e gli disse: «Maestro, ti seguirò dovunque tu vada». 20Gli rispose Gesù: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». 21E un altro dei suoi discepoli gli disse: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». 22Ma Gesù gli rispose: «Seguimi, e lascia che i morti seppelliscano i loro morti».

7.

Signore Gesù, tu vedi attorno a te ancora la folla che ti ha ascoltato con attenzione mentre rivelavi i segreti profondi e santi della Legge di Mosè, la folla che ora deve cominciare a metterli in pratica. È la folla che ha visto come tu ti avvicini alle persone emarginate dal popolo di Dio per riammetterle nell’amore del Padre. Questa folla rimane vicino a te, nell’attesa di nuovi benefici o di nuovi insegnamenti. Tu però non sei venuto per completare con l’amore solo la vita del tuo popolo, ma per invitare tutti i popoli a convertirsi, con quella conversione che predicavi fin dall’inizio. Tutto il mondo deve ricevere la grazia di convertire i pensieri e i desideri: gli uomini tutti non dovranno guardare al Padre anzitutto per ricevere da lui qualcosa, ma per donarsi a lui, per offrirsi come figli per compiere il suo volere e la sua benevolenza.

Ordinò di passare all’altra riva”: a chi hai dato quest’ordine? L’ordine è deciso, sicuro, e vale per tutti. Tutti quelli che vogliono stare con te e mettere in pratica la tua Parola devono “passare all’altra riva”. L’altra riva è quella del lago, la riva dei pagani; ma tu lasci intuire che con questa parola intendi anche un’altra riva, cioè un altro modo di essere. Chi sta con te vivrà una vita diversa, con altro orientamento, con altre sicurezze, con altre prospettive e finalità. La vita con te non sarà la vita di chi pensa a salvare se stesso, di chi cerca benessere, di chi vuole costruire un futuro sicuro sulla terra, di chi cerca una sistemazione nella società e nell’economia di questo mondo. Chi sta con te passa all’altra riva, assume la prospettiva del regno dei cieli e si predispone ad accogliere te come unica ricchezza, unica sicurezza e unico scopo.

Altra riva è anzitutto la riva dei pagani, quella del mondo che non conosce il Padre, e perciò è nella tenebra, immerso nei vizi che gli uomini coltivano per esprimere e soddisfare i propri egoismi, diventando violenti e menzogneri con se stessi e con i propri figli. Tu, Gesù, sai di essere venuto per tutti i popoli, come cantò Simeone nel tempio al compiersi dei tuoi quaranta giorni: “luce per rivelarti alle genti” (Lc 2,32), e come tu stesso hai promesso a Pietro e Andrea quando li hai chiamati: “Vi farò pescatori di uomini” (4,19); non hai detto loro pescatori di fratelli ebrei, ma di uomini, indistintamente. Altra riva è il mondo che attende il sale che dia nuovo sapore ai giorni, e attende la luce per riuscire vedere tutto come dono ricevuto dal Padre e per orientare i passi con sicurezza verso la meta.

L’evangelista non ce lo dice, ma tu realizzi ciò che scrisse il profeta: “Dissi: «Eccomi, eccomi» a una nazione che non invocava il mio nome. Ho teso la mano ogni giorno a un popolo ribelle; … abitavano nei sepolcri, mangiavano carne suina” (Is 65,1-4). Vuoi raggiungere “l’altra riva”, la riva di chi non ti conosce, di chi non ti segue, di chi non sa d’avere un Padre nei cieli.

È poi altra riva anche questa novità: chi è osservante della Legge ora deve imparare ad avere te al posto della Legge, deve imparare a vivere non più nella sicurezza di regole fisse e conosciute, ma nella continua attesa dell’amore che tu vivi e che tu chiedi.

Mentre ti prepari a partire per l’altra riva, ecco che uno scriba ti avvicina. È conoscitore delle Scritture, quindi della volontà di Dio. Egli ha riconosciuto che tu puoi essere per lui guida, perché le Scritture non solo le conosci, ma le realizzi. Per questo ti chiama “Maestro”. È lui che sceglie di venire con te, e dichiara persino “ti seguirò dovunque tu vada”. Pare ben intenzionato, ma le sue parole manifestano un malinteso. Egli è pronto a raggiungere il luogo dove tu sarai: non comprende che sei tu stesso la meta, sei tu il dono, sei tu la ricchezza, e non ci sarà qualcos’altro da raggiungere. Per questo tu vai all’altra riva, quella del mondo: là il tuo discepolo dovrà essere libero da se stesso, là ci sono situazioni che esigono che noi siamo convertiti, pronti a donare noi stessi, ad amare fino alla fine.

Tu parli chiaramente: così com’è, lo scriba non è adatto a stare con te, le sue attese non saranno esaudite. Gli animali che vengono sempre scacciati, come le volpi e gli uccelli, hanno tane e nidi, luoghi di rifugio, mentre colui che l’aspirante discepolo chiama Maestro, sarà cacciato sì, ma non ha rifugio. Intendevi pure che volpi sono Erode con i suoi, e uccelli del cielo i romani pagani? I primi hanno fatto di Israele la loro tana e gli altri il loro nido: solo i nemici cercano un rifugio sicuro.

Ci lasci capire che tu sarai sempre rifiutato e cacciato, come avverrà tra poco proprio sull’altra riva (34). Inoltre tu, Gesù, allo scriba richiami una Parola che si avvera per te: “L’uomo geme randagio… non ha un nido” come là dove “non c’è moglie” (Sir 36,24). Gli prospetti così una rinuncia possibile o necessaria, la scelta del celibato, perché “il Figlio dell’uomo” è l’uomo maturo che è completo in sé, e la sua vita è perfetta anche senza la presenza di una moglie accanto a lui, ma è anche colui che vive nella condizione di perseguitato come tutti gli autentici profeti di Dio. Lo scriba con la sua volontà non riuscirà a seguirti: lo potrà solo se tu lo chiamerai e gliene darai la forza.

Un altro, uno di quelli che già ti seguivano ti chiama ora “Signore”. Egli già riconosce te come suo riferimento, riconosce che hai autorità sulla sua vita. La tua autorità però lo mette in contrasto con i doveri della Legge. Egli dovrà seppellire il padre: vuole attenderne la morte per compiere i doveri di figlio. Ti riconosce Signore, ma non in modo pieno. Tu glielo fai notare. Seguire te è tutto, è il compimento della Legge. Chi segue te non può avere altra Legge. Questa aveva valore come dono per preparare la tua venuta e la tua accoglienza. Ora che tu sei tra noi, non puoi cedere il posto nemmeno ai doveri più sacri. Chi sta con te si occupa del regno dei cieli, il regno dove si vive la risurrezione dei morti. Chi viene con te non si occuperà di seppellire morti, ma di dare loro la vita. Se il discepolo viene con te annuncerà la vita eterna anche a suo padre, e gliene farà gustare la luce e la gioia. Seppellire i morti è considerare la morte come realtà definitiva. Tu sei la vita, la vita vera ed eterna, la vita e la luce per tutti “quelli che abitavano in regione e ombra di morte” (4,16). Coloro che muoiono in te, non muoiono, ma avranno in sorte la vita.

Lo scriba e il discepolo ti hanno seguito? Non lo voglio sapere, Gesù; cercherò invece di rispondere io a te. Cercherò te e non la mia sistemazione, e tu, risorto, sarai importante e degno più delle persone amate. “Avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38)!

8. Chi è mai costui? 8,23-27

23Salito sulla barca, i suoi discepoli lo seguirono. 24Ed ecco, avvenne nel mare un grande sconvolgimento, tanto che la barca era coperta dalle onde; ma egli dormiva. 25Allora si accostarono a lui e lo svegliarono, dicendo: «Salvaci, Signore, siamo perduti!». 26Ed egli disse loro: «Perché avete paura, gente di poca fede?». Poi si alzò, minacciò i venti e il mare e ci fu grande bonaccia. 27Tutti, pieni di stupore, dicevano: «Chi è mai costui, che perfino i venti e il mare gli obbediscono?».

8.

Signore Gesù, anche noi, come Matteo, teniamo fisso lo sguardo su di te. Sei tu che prendi l’iniziativa, tu che sali sulla barca per andare all’altra riva. Non interessa di chi è la barca e nemmeno chi l’ha preparata. Su di essa ci sei tu e i discepoli che ti seguono. Ti seguono con trepidazione: hanno udito infatti le parole scoraggianti che hai rivolto allo scriba, che presumeva di sé e aveva delle attese mondane, e quelle incoraggianti al discepolo titubante e indeciso, trattenuto dagli affetti e dalla Legge.

Sulla barca sei in un luogo circoscritto e limitato, che raccoglie i tuoi discepoli insieme con te, e li obbliga a stare sotto il tuo sguardo. È facile per noi pensare alla Chiesa, piccolo gregge, gruppo ben definito di persone che stanno con te per seguirti. Tu in essa non solo sei importante, ma l’unico che le trasmette un’identità precisa e una direzione motivata. La barca si avventura sull’acqua, al largo. La sua esistenza sembra provocare il mare. Esso non solo si agita, ma viene sconvolto in modo del tutto innaturale e “grande”. Noi vediamo l’immagine della tua Chiesa nel mondo di sempre, e soprattutto quando il mondo si mette in moto per farla sparire, per fagocitarla e sommergerla, come se fosse nemica di tutto e di tutti.

Le onde coprono la barca. Si può distinguere ancora la barca dall’acqua delle onde? Ci sono dei momenti nella vita della Chiesa in cui parrebbe che il mondo si sia impadronito di essa? O l’abbia riempita a tal punto che chi entra in essa si bagna come se fosse immerso nell’acqua del mare? “Ma egli dormiva”, questo è detto di te. Tu dormi, ma sei presente.

Gesù, ricordiamo il sonno di Giona durante la tempesta che terrorizzava i marinai. Ma Giona, mandato a predicare ai pagani di Ninive, stava disobbedendo a Dio. Il suo sonno era il sonno di chi si ribella e non vuol vedere nemmeno cosa succede. Tu invece sei l’obbediente: vai dai pagani perché sai di essere “luce delle genti”. Il tuo sonno è la fiducia di chi sa che le mani del Padre guidano tutta la storia del mondo, oltre la propria vita. Tu, Gesù, avevi imparato questo sonno sulle braccia di Maria durante la fuga in Egitto (2,14). Tutti gli avvenimenti compiono la volontà di Dio espressa nelle Scritture.

Quando Giona è stato svegliato ha potuto solo chiedere ai marinai che lo buttino nell’acqua del mare per calmare le sue onde; tu invece ascolti quelli che si avvicinano a te e ti svegliano. Essi si rendono conto di non potersi salvare, di essere impotenti, proprio come la tua Chiesa nei secoli a venire. Le onde, come immensi movimenti di ostilità distruttiva, non possono essere affrontate dall’abilità o dalla forza dell’uomo. Ora è necessario l’intervento della potenza di colui che ha creato il mare, come quando “minacciò il mar Rosso e fu prosciugato” (Sal 106,9), o quando “la tempesta fu ridotta al silenzio, tacquero le onde del mare” (107,29).

Non lo sapevano ancora i tuoi discepoli che “Tu plachi il fragore del mare, il fragore dei suoi flutti, il tumulto dei popoli” (65,8). Tu, proprio tu, il Figlio dell’uomo manifesti che la potenza di Dio soccorre i suoi figli. Essi si avvicinano a te e con coraggio ti svegliano. Sì, hanno coraggio. Altre volte non riescono nemmeno a interrogarti, quando non capiscono qualche tua parola. Ora vedono che senza il tuo intervento è impossibile continuare a vivere: avvertono d’essere già preda della morte. Ma se tu risorgerai dal sonno, essi risorgeranno da questo pericolo che incombe sulla vita di ciascuno e di tutta la Chiesa. Essi confidano che, come Giona è uscito dal pesce per ubbidire alla parola di quel Dio che voleva misericordia per i pagani, anch’essi, grazie alla tua ubbidienza, usciranno da questo incubo, per raggiungere “l’altra sponda”, quella dei pagani alla quale sono diretti.

Essi si rivolgono a te con quelle parole con cui la tua Chiesa ti si farà presente nei secoli: “Salvaci, Signore, siamo perduti!”. Anch’io, Gesù, partecipo a questa preghiera che pare di disperazione. No, la fiducia c’è, altrimenti non ci rivolgeremmo a te. È vero che senza te saremmo perduti, non una volta, ma tutti i giorni. Ma è vero che tu ci sei, e porti il nome che ti ha dato Giuseppe, obbediente all’angelo (1,21), il nome che ci garantisce la salvezza di Dio.

Hai ubbidito ai discepoli, Gesù, e ti sei svegliato. Quale il nostro stupore! Prima di occuparti delle onde spaventose e pericolose, ti occupi della fede dei discepoli. Essi hanno fede in te, perché ti hanno seguito superando la paura della tua povertà e accogliendo di porre te al di sopra di tutti i legami affettivi. Hanno fede in te, ma non ancora quella fede che fa dire: faccio anch’io quello che fai tu! Non sono stati capaci di dire a se stessi, e ai loro compagni: se Gesù dorme, dormo anch’io, se lui non si preoccupa, nemmeno io mi preoccupo, se lui si fida del Padre in questa situazione, del Padre mi fido anch’io e gli affido il mio spirito. La paura ha impedito di vivere la fede in modo completo. Avevano paura non a causa delle onde del mare, ma a causa della loro poca fede! Tu perciò ti occupi della pochezza della loro fede. Questa pochezza è davvero preoccupante. Come affronteranno i marosi lungo i secoli, le difficoltà, le persecuzioni delle ideologie che il nemico seminerà come zizzania nel campo del buon seme? La tua domanda suona come rimprovero, ma anche come impetuoso incoraggiamento: “Perché avete paura, gente di poca fede?”.

È bello vedere come ti alzi risorgendo dal sonno, come risorgerai dal sonno della morte, minacciando i venti e il mare. La vita dei tuoi discepoli, la vita e la missione della tua Chiesa, è preziosa ai tuoi occhi.

Gli uomini, tutti quelli che udranno nella predicazione della Chiesa il racconto di questo fatto, e tutti quelli che assisteranno lungo i secoli ai tuoi interventi che placheranno i flutti mossi contro di essa, diranno: “Chi è mai costui, che perfino i venti e il mare gli obbediscono?”.

Nessun uomo, nemmeno l’imperatore di Roma, che vuole gli sia riconosciuta autorità divina da tutti i popoli, riuscirà a farsi obbedire dai venti e dal mare.

La risposta alla domanda degli uomini rimane ancora segreta nella loro mente e nel loro cuore, ma suscita attenzione ad ogni tuo gesto e ad ogni tua parola, Signore Gesù!

9. Figlio di Dio 8,28-34

28Giunto all’altra riva, nel paese dei Gadareni, due indemoniati, uscendo dai sepolcri, gli andarono incontro; erano tanto furiosi che nessuno poteva passare per quella strada. 29Ed ecco, si misero a gridare: «Che vuoi da noi, Figlio di Dio? Sei venuto qui a tormentarci prima del tempo?».

30A qualche distanza da loro c’era una numerosa mandria di porci al pascolo; 31e i demoni lo scongiuravano dicendo: «Se ci scacci, mandaci nella mandria dei porci». 32Egli disse loro: «Andate!». Ed essi uscirono, ed entrarono nei porci: ed ecco, tutta la mandria si precipitò giù dalla rupe nel mare e morirono nelle acque.

33I mandriani allora fuggirono e, entrati in città, raccontarono ogni cosa e anche il fatto degli indemoniati. 34Tutta la città allora uscì incontro a Gesù: quando lo videro, lo pregarono di allontanarsi dal loro territorio.

9.

Signore Gesù, la paura sulla barca è stata vinta ed ha lasciato il posto allo stupore. La paura, frutto della solitudine, mette l’uomo di fronte alla morte, dove sta impotente. Chi ha paura non sta in relazione con nessuno, nemmeno con te. Lo stupore è frutto del sentirsi abbracciati, amati, del costatare che c’è chi difende e salva, che non siamo più soli. Davanti a te, Gesù, c’è solo stupore.

Ora sei finalmente arrivato all’altra riva. Sei nel territorio abitato dai pagani. I tuoi discepoli, dove sono? Hanno paura e non vogliono seguirti su quella terra? Ti lasciano solo? Tu vai senza paura, ma non puoi procedere. C’è chi ti sbarra la strada. La strada per incontrare i pagani e annunciare anche a loro il regno dei cieli ti è impedita: due uomini, i primi che incontri, resi furiosi dai demoni, ostacolano il tuo cammino impedendoti di realizzare il tuo desiderio di salvezza. Hai vinto la potenza del vento e del mare, ed ora non puoi vincere questo ostacolo per realizzare il tuo progetto. I due posseduti, per di più, escono dai sepolcri: motivo ulteriore che li rende immondi e rende immonda la via, venendo essi dal regno della morte. Quando tu uscirai dal sepolcro, che non sarà tuo, soltanto le guardie si spaventeranno, esse che servono il principe dei demoni, nemico degli uomini. Tu invece allora darai gioia a tutto il creato.

I demoni vogliono impedire il tuo incontro con gli abitanti di questa regione, che hai raggiunto nonostante la tempesta sul lago, anch’essa manifestazione dell’inimicizia che ostacola i tuoi progetti. I demoni continueranno ad impedire il cammino della tua Parola, anche quand’essa sarà annunciata dai tuoi discepoli. Eppure, proprio i demoni sanno chi tu sei, ma non riescono ad amarti. Sanno che sei “Figlio di Dio”, e lo dicono, ma questo sapere e questo dire non giova loro. Ti vedono come nemico. Davvero sei loro nemico, ma non degli uomini che essi tengono schiavi, occupando la loro mente e la loro volontà. I demoni sanno che tu non vuoi che essi occupino il cuore e il corpo degli uomini, perché proprio per gli uomini tu sei Salvezza di Dio, sei Gesù, Figlio umile e obbediente del Dio che è Padre dell’uomo. Essi sanno, e sanno dire, ma non permettono agli uomini, da essi posseduti, di trarne conseguenza. Sanno persino che tu ti sei inoltrato nel loro territorio, pagano, “prima del tempo” fissato dal Padre per la sua salvezza, il tempo della Chiesa, che inizia con la tua vittoria sul loro regno, una vittoria che li vince “prima del tempo” della loro sconfitta definitiva che avverrà con la tua croce.

Questo territorio è veramente pagano; c’è qui infatti una mandria di porci, animali immondi, che rendono immonda la terra che calpestano. I demoni intuiscono: quei porci sono il posto adatto a loro. Essi sono spiriti immondi e devono occupare ciò che è immondo, non gli uomini, destinati ad essere figli di Dio come il Figlio. Nemmeno negli uomini pagani tu permetteresti loro di fissare la dimora, perché anche i pagani sono in attesa della luce, della pace, della salvezza del Figlio dell’uomo. Tu vuoi che tutti gli uomini, non solo i figli d’Israele, lodino il Padre e benedicano il suo nome (Sal 117,1), perché dovranno partecipare alla benedizione che Abramo ha ricevuto per tutte le famiglie della terra (Gen 12,3).

Gesù, la tua sola presenza ottiene che quei demoni vogliano sistemarsi nei porci, tanto che essi stessi te lo chiedono. Alla tua presenza essi non possono fare quello che vogliono, se tu non lo permetti. E tu permetti loro quanto domandano: “Andate!”. È un premio o una condanna? Tu dirai ancora “andate”, a quelli che si troveranno alla tua sinistra (25,41), che nella vita erano stati ubbidienti proprio al principe dei demoni evitando di vivere l’amore e la misericordia. Andranno dove saranno i suoi angeli. Qui ora ti ubbidiscono, ma questa loro ubbidienza non è gesto d’amore; è la loro inimicizia che li costringe. Non potranno più impedire nemmeno ai pagani di incontrare te.

La mandria di porci precipita nel mare e i demoni diventano impotenti in esso. Nemmeno il mare sarà più nemico per i tuoi discepoli: vi scompaiono gli spiriti che ostacolano il loro Signore. Essi percorreranno i sentieri del mare per raggiungere altri popoli pagani portando il tuo nome.

I mandriani raccontano nella città il fatto dei porci, ma anche la tua opera, la tua vittoria che ha liberato i due uomini. La raccontano con paura, la raccontano come una sconfitta: il loro benessere, quello proveniente dal possesso della mandria, è finito. Non sanno e non vogliono invece raccontare la bellezza della vita nuova dei due uomini liberati, non sanno raccontare che ora la strada non è più sbarrata per quelli che vogliono venire a portare loro salvezza. Il loro racconto è mosso dall’amore alle cose del mondo. Che cosa potrà ottenere?

Tutta la città allora uscì incontro a Gesù”: tutti riconoscono la tua potenza, ma non ne accettano la ricchezza. E, peggio ancora, non si prendono tempo per ascoltarti. Nessuno ha suscitato in loro questo desiderio. Non ti offrono la possibilità di donare loro la Parola, quella Parola che, permettendo di conoscerti, vincerebbe ogni tristezza.

La strada per venire a te è libera, tu l’hai liberata dal pericolo. Il loro cuore però ha altri impedimenti. Vengono incontro a te, ma non per accoglierti: ti chiedono, con gentilezza, di andartene dal loro territorio, prima che altri indemoniati si presentino e altri demoni ti domandino di poter entrare in altre mandrie di porci. Sono garbati questi pagani, nonostante il loro rifiuto. Non ti cacciano, come faranno gli abitanti di Nazaret, non ti trattano come pazzo, come diranno i tuoi parenti, non ti giudicano indemoniato, come insinueranno scribi e farisei, e nemmeno ti condannano come il Sinedrio. I Gadareni sono tutti posseduti dai demoni, eppure paiono persino ‘migliori’ dei figli d’Israele, di coloro che si vantano di godere l’alleanza con Dio!

10. Coraggio, figlio 9,1-8

9,,1Salito su una barca, passò all’altra riva e giunse nella sua città. 2Ed ecco, gli portavano un paralitico disteso su un letto. Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: «Coraggio, figlio, ti sono perdonati i peccati». 3Allora alcuni scribi dissero fra sé: «Costui bestemmia». 4Ma Gesù, conoscendo i loro pensieri, disse: «Perché pensate cose malvagie nel vostro cuore? 5Che cosa infatti è più facile: dire “Ti sono perdonati i peccati”, oppure dire “Alzati e cammina”? 6Ma, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di perdonare i peccati: Alzati – disse allora al paralitico –, prendi il tuo letto e va’ a casa tua». 7Ed egli si alzò e andò a casa sua. 8Le folle, vedendo questo, furono prese da timore e resero gloria a Dio che aveva dato un tale potere agli uomini.

10.

Signore Gesù, ti sei manifestato come colui che vince il nemico di tutti, e sei andato a vincerlo là dove egli regna! Ora eccoti di nuovo in barca. Ritorni là da dove eri partito, la città che tutti ormai riconoscono come la tua. Anche questo luogo è chiamato “altra riva”, perché ogni situazione richiede cambiamento e conversione. Qui ti “portavano un paralitico disteso su un letto”. Anche ora Matteo non dice dove e come, quanti e chi: i particolari, che soddisfano le curiosità, non giovano alla nostra conversione. Egli ci abitua così a osservare solo te, a fare attenzione ai tuoi gesti e alle tue parole.

Alcune persone portano un uomo che non può camminare, ed è perciò disteso su un letto; e non può venire da solo: deve dipendere in tutto dagli altri. Essi non ti chiedono nulla, ma sono lì. Tu vedi fede in quel loro silenzio, la fede che non ha bisogno di parole per esprimersi, fede vera e semplice, però decisa ed esplicita, fede che ha fatto fare loro fatica per arrivare fino a te. Hai visto la fede: l’hai vista nel fatto che sono venuti da te, che ti riconoscono l’autorità divina che può ciò che all’uomo è impossibile. La fede quindi è accogliere te. Questa fede li ha anche uniti per offrire un servizio, e per accoglierlo. Questa fede non è senza conseguenze. Tu ora ti senti in dovere di metterle in evidenza. Tu sei il dono di Dio: venendo da te essi dichiarano di accogliere il dono di Dio che sei tu: per questo sono amati e accolti dal Padre. Chi è nel cuore del Padre non è più lontano da lui, cioè non è più nel peccato, e gode già il suo perdono. Tu glielo devi dire. Chi accoglie te, entra nel cuore del Padre tuo. Tu puoi dire quindi: “Coraggio, figlio”. Queste tue parole vincono la tristezza dell’uomo. Egli si sente rinascere, perché si sente amato. In lui non pesa più il peccato che la malattia mette in evidenza. Ormai quest’uomo non è più soltanto un uomo lasciato solo, ma è ricuperato nella relazione col Padre. Se è figlio è perché ha un Padre che lo ama e si occupa di lui. Ora che si sa amato può riconoscersi peccatore senza disperare. Adesso gli puoi dire perciò: “Ti sono perdonati i peccati”. Chi perdona è certamente Dio, come dicono i salmi: “Vedi la mia povertà e la mia fatica e perdona tutti i miei peccati” (25,18), “Tu hai tolto la mia colpa e il mio peccato” (31,5), “Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue infermità” (103,3).

Quest’uomo, con coloro che lo portano, riconosce te, Gesù, come dono di Dio, e riconosce a te l’autorità sulle malattie, un’autorità che pure è solo divina. E non solo la riconosce, ma pone in essa la sua speranza. Egli è già tutto aggrappato a te come a Dio. Tu perciò non puoi fare a meno di dirgli: “Ti sono perdonati i peccati”, cioè «sei ricuperato all’amicizia del Padre, sei di nuovo nella casa da cui ti eri trovato lontano, sei nel suo cuore». Tu, Gesù, non gli dici: «Io ti perdono», perché, grazie alla sua fede che ti ha accolto come salvatore e come dono di Dio, il perdono è già arrivato al suo cuore e alle sue membra.

Come mai gli scribi non capiscono? Eppure sanno come Dio si è fatto conoscere a Mosè: “Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso… che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato…” (Es 34,6s) e anche: “Io, io cancello i tuoi misfatti per amore di me stesso, e non ricordo più i tuoi peccati” (Is 43,25). Essi non desiderano il ricupero dei peccatori nella casa del Padre. Non ti conoscono ancora, non vedono chi sei, non hanno la fede, e perciò non sono in grado di riconoscere l’amore del Padre, che tu manifesti con decisione.

Gesù, hai letto i loro pensieri, proprio come Dio li legge. Sono pensieri malvagi. Sono malvagi perché rifiutano te, perché non sanno riconoscersi essi stessi peccatori, e non apprezzano la misericordia del Padre per gli altri. Nemmeno ora sanno riconoscere che tu, dal momento che conosci i loro pensieri segreti, sei vicino a Dio.

Tu, con un grande atto di amore per loro, proponi ad essi di giudicare: tu rivolgerai al paralitico la parola di comando per alzarsi, cosa possibile solo a Dio; se egli si alzerà, dimostrerà, si o no, la tua autorità divina? Non avrà la stessa autorità anche la parola che gli hai già rivolto per riconoscere il perdono?

Non ti rispondono. Il loro cuore è chiuso, gonfio di orgoglio, quell’orgoglio che impedisce di conoscere la verità e la comunione. Il cuore chiuso a te è peccato davvero grave, che non chiede e quindi non riceve perdono.

Il paralitico è là, in attesa, e quelli che l’hanno portato sono silenziosi. Tu non chiedi loro nulla, non c’è bisogno. Essi si sono già espressi, e ora attendono con pazienza e fiducia. Nella stanza c’è un peccato più grave e pericoloso di quello di colui che giace sul lettuccio. Il peccato dei superbi sarà perdonato solo quando l’orgoglio diventerà umile e si piegherà ad accettare comunione con i fratelli peccatori. Senza questa comunione non può tornare nemmeno quella col loro Dio, il Padre.

Ora tutti osservano il paralitico che si alza e va a casa sua: dopo l’incontro con te, grazie alla tua parola egli è di nuovo in piedi, libero, capace, e in pace con “casa sua” e con tutti. L’incontro con te!

Anche le folle, cioè le persone semplici, finora spettatrici mute di tutto, ora aprono la bocca, non per criticare gli scribi, ma per lodare la misericordia e la potenza del Padre, di cui tu sei l’espressione. Egli l’ha manifestata concedendo il perdono con la tua parola, e l’ha resa evidente rimettendo in piedi, sempre con la tua parola, e rendendo operoso l’uomo debilitato dalla mancanza di vita interiore. “Le folle… furono prese da timore”: è ciò che avviene sempre quando gli uomini percepiscono d’essere alla presenza di Dio. E così rendono gloria a lui e a te, che lo hai manifestato, e ti sei manifestato come suo.

Anch’io perciò riconosco che tu sei il Salvatore, il Figlio di Dio venuto a redimere il mondo dal peccato di Adamo.

11. Misericordia io voglio 9,9-13

9Andando via di là, Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì.

10Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. 11Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?». 12Udito questo, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. 13Andate a imparare che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori».

11.

Sei di nuovo in cammino, Gesù, attento alle persone che vedi impegnate al lavoro. Anche questa volta il tuo sguardo si posa su un uomo. Non è un pescatore, come gli altri che sono con te, ma è uno di quelli che svolgono un lavoro odiato e malfamato, un pubblicano, esattore delle tasse a servizio di Erode. Il suo nome, Matteo, allude al dono di Dio: ogni uomo lo è, anche il meno simpatico o il più peccatore. Tu lo vedi in questa luce, e fissi il tuo sguardo su di lui.

Come mai lo chiami a stare con te? Pareva che egli attendesse la tua voce. Infatti, subito abbandona tutto, e segue te. Ti aveva già conosciuto? Ti aveva già incontrato? Non sappiamo. Ora è con te e con gli altri che hanno mosso i loro passi sulle tue orme. Essi hanno già visto che seguire te non è avventura senza pericoli, che non richieda impegno e fatica. Anche lui si muove subito. Ti segue, lasciando lavoro e amici, lasciando il guadagno e i progetti che esso permette di sognare. Ti segue mettendosi a fianco degli altri. Essi diventano sì gioia per la comunione che nasce tra loro nel seguirti, ma anche piccola, costante croce per lui: infatti il loro carattere, i loro difetti, le loro superficialità e incapacità a comprenderti creano difficoltà nelle relazioni. E anche lui di certo diventa croce per loro, perché nemmeno lui è perfetto: non conosce ancora le tue abitudini né il tuo modo di pregare, non riesce ancora a desiderare solo il tuo regno. Tra i suoi desideri ci sono ancora le grandezze del mondo, le ambizioni, le vanaglorie che riescono a far litigare anche gli uomini benevoli e dediti a Dio. Il tuo invito: “Seguimi” impegna Matteo ad avere te solo come punto di riferimento, a imparare solo da te, a essere umile e perseverante.

Anche questa volta l’evangelista, che dev’essere proprio lui, il chiamato, non appaga del tutto le nostre curiosità. È stato proprio lui, Matteo a offrire un banchetto per festeggiare l’incontro con te? In quale casa ti sei seduto a tavola? Matteo ha voluto imitare il profeta Eliseo, che ha dato un banchetto quando Elia ha gettato su di lui il proprio mantello (1Re 19,21) chiamandolo alla propria scuola?

Eliseo aveva chiamato il popolo a banchettare, e anche con Matteo e con te e i tuoi discepoli arriva gente del popolo, arrivano pubblicani e peccatori e siedono a mensa. La loro presenza dà gioia a tutti: essi infatti ti accolgono, e ti ascoltano, e lasciano intuire che cambieranno la loro vita, stando con te e sentendo le parole sagge e ricche di amore autorevole che escono dalla tua bocca.

Ma ecco coloro che già avevano pensato fosse bestemmia la parola con cui tu hai riconosciuto che il paralitico era perdonato, mormorano ora con i tuoi discepoli. Non si rivolgono a te. Si rivolgono ai tuoi discepoli, tentando di distoglierli dall’amore per te, dalla fiducia nella tua autorità, e di screditarti ai loro occhi.

Tu subito intervieni al loro posto. Sei il pastore che difende le pecore: prendi la parola con decisione. E offri un semplice ragionamento: che cosa fa il medico? Se egli stesse lontano dai malati, questi potrebbero guarire? Il medico non si avvicina forse agli ammalati? Sono essi, deboli e fragili, che lo devono incontrare. È di essi che egli si deve occupare.

Malati bisognosi sono i peccatori, tutti i peccatori. Medico sei tu, perché il Padre ti ha mandato a salvare, ad avvicinare tutti a lui.

Essi, scribi e farisei, proprio le persone che più si vantano di essere vicine a Dio, dovrebbero sapere qual è la sua volontà. Lo dice anche il profeta, proprio quello che parla dell’amore di Dio al suo popolo infedele, che lo cerca come lo sposo cerca la sposa che l’ha abbandonato e la vuole nuovamente attirare a sé.

Andate a imparare”, dice loro Gesù. Il che è come dicesse: volete insegnare al popolo, ma non lo amate. Volete essere d’esempio, ma a chi? Non conoscete ancora la volontà di Dio, il suo desiderio di Padre, che vorrebbe tutti attorno a sé come figlioli, seduti alla sua mensa “come virgulti d’ulivo” (Sal 128,3). Gesù li manda a imparare dal profeta Osea, che ha scritto l’amore del Padre-Sposo per il popolo-sposa infedele, che scappa e va in cerca di amanti. Lo Sposo non si rassegna e continua a cercare la Sposa per riportarla al proprio amore. Ebbene quel profeta così conclude: “Misericordia io voglio, non sacrificio” (Os 6,6). La misericordia si rivolge a chi ne ha bisogno, cioè ai peccatori. Questo è l’amore che Dio esige da chi lo ama: l’amare chi non ama ancora, cosicché possa imparare l’amore.

Offrire sacrifici nel tempio è facile, ma anche illusorio. I sacrifici degli animali non cambiano il mondo. Non danno a Dio gloria, se non apparente, effimera e superficiale. È l’uomo vivente la gloria di Dio, quando vive in obbedienza a lui. Chi riporta un peccatore sulla via di Dio è benedetto. Lo dicono i profeti, ma lo pensa chiunque è puro di cuore, chiunque riceve misericordia e si impegna a farla conoscere.

I giusti, se ci sono, sono già nel cuore di Dio: per loro Dio non manda nessuno. Se egli manda qualcuno, lo manda per gli altri, per le persone fragili, incapaci di ubbidire, di pregare, di amare. Coloro che si ritengono giusti invece, questi sono maggiormente bisognosi, perché lodano se stessi invece di lodare Dio. Questi non conoscono il Padre, e quindi nemmeno possono conoscere il Figlio. Essi sono più bisognosi dei peccatori, che con umiltà chiedono misericordia, o perlomeno l’attendono anche inconsapevolmente.

Andate a imparare” è il tuo invito, Gesù: dove possono andare? Dal profeta? Anzitutto l’andare suggerisce che non siamo noi i maestri di noi stessi, ma ci dobbiamo rivolgere a qualcun altro per avere l’esempio, le motivazioni e le indicazioni. E l’imparare dice ancora che è necessaria umiltà, accettare che qualcun altro sia davanti a noi. Da chi andremo, Signore? Solo tu sei veramente umile, solo tu sei maestro di vita e di vero amore. Solo tu hai nel cuore la misericordia del Padre per farcela vedere e per donarla.

Imparerò da te, mio Signore e mio maestro. Seguo te per imparare, come Matteo: ti ha seguito imparando la misericordia e passando per la porta stretta!

Nihil obstat: mons. Lorenzo Zani, Cens. Eccl., Trento, 22/04/2021