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Vangelo secondo Matteo 01

Ed egli lo chiamò Gesù

 

Vangelo secondo Matteo 01

Matteo 1,1 - 4,17

 

(Traduzione CEI 2008)

 

  1. Il libro Mt 1,1-17
  2. Ed egli lo chiamò Gesù Mt 1,18-25
  3. Stella e Scrittura Mt 2,1-11°
  4. Scrigni vuoti Mt 2,11b-12
  5. Prese il bambino e sua madre Mt 2,13-15
  6. Morto Erode Mt 2,16-23
  7. Il regno dei cieli Mt 3,1-3
  8. I suoi sandali Mt 3,4-12
  9. Ogni giustizia Mt 3,13-17
  10. Il diavolo Mt 4,1-11
  11. Gesù cominciò a predicare Mt 4,12-17

 

Questo è il primo opuscolo dedicato alla lettura del Vangelo secondo Matteo. Al testo evangelico (traduzione CEI del 2008) viene affiancata una meditazione in forma di preghiera rivolta a Gesù, il Signore risorto che ci rivela se stesso, termine e compimento delle Sacre Scritture, pienezza ed eternità della nostra vita.

 

Le undici meditazioni potrebbero accompagnarti per sei giorni in un cammino di esercizi spirituali col metodo della Lectio Divina.

Puoi leggere e rileggere adagio il brano del Vangelo, con pace e tranquillità. Una prima lettura della meditazione può aiutarti a fissare l’attenzione sull’una o sull’altra frase del Testo evangelico. Ripeti queste frasi una ad una, molte volte, con calma, al ritmo del tuo respiro. Gli antichi Padri paragonavano questa ripetizione al ruminare degli animali, passaggio necessario al cibo per diventare energia vitale. La Parola, passando e ripassando dalla nostra mente al nostro cuore, continuamente “rimasticata”, ci allieta e ci nutre con ciò che essa contiene. Essa è piena e pregna d’amore, anzi, di Spirito Santo, quello Spirito che fa risplendere sul tuo volto l’immagine e la gloria del Figlio!

Come la spugna, pregna d’acqua, passando sul tavolo, lo bagna e lo pulisce, così la Parola, passando e ripassando, purifica la nostra mente dai pensieri mondani e ci riempie il cuore dello Spirito del Dio vivente!

 

Nihil obstat: don Lorenzo Zani, Cens. Eccl., Trento, 20 maggio 2019

Copertina: San Matteo, icona, Ricostruttori nella preghiera, S. Basilio, Piedimonte Etneo (CT)

 

 

1. Il libro      Mt 1,1-17

 

1,1 Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo. 2Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, 3Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esrom, Esrom generò Aram, 4Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmon, 5Salmon generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, 6Iesse generò il re Davide.

Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Uria, 7Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abia, Abia generò Asaf, 8Asaf generò Giòsafat, Giòsafat generò Ioram, Ioram generò Ozia, 9Ozia generò Ioatàm, Ioatàm generò Acaz, Acaz generò Ezechia, 10Ezechia generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosia, 11Giosia generò Ieconia e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia.

12Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconia generò Salatièl, Salatièl generò Zorobabele, 13Zorobabele generò Abiùd, Abiùd generò Eliachìm, Eliachìm generò Azor, 14Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd, 15Eliùd generò Eleazar, Eleazar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, 16Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo.

17In tal modo, tutte le generazioni da Abramo a Davide sono quattordici, da Davide fino alla deportazione in Babilonia quattordici, dalla deportazione in Babilonia a Cristo quattordici.

 

1.

Signore Gesù, il tuo evangelista vuole presentarti, facendoci gustare la bellezza e la profondità dei significati della tua presenza nel mondo e nella storia dell’umanità.

Egli si aggancia, come vero scriba, alle Scritture, anzi, le riassume richiamando i nomi di personaggi noti. Esse sono state scritte in vista di te, Gesù, perché tu continui e completi il loro scopo di rivelarci l’amore con cui Dio, il Padre, segue gli uomini e lo svolgersi della loro storia. Tu inizi la fase definitiva e ultima dell’agire di Dio, quindi la tua importanza è decisiva. E come nelle Scritture ogni persona importante per i disegni di Dio viene introdotta da un breve riassunto della sua provenienza, così egli fa per te. Anzi, tu sei tanto importante da obbligare a ricordare tutti i tuoi antenati fin dagli inizi. Matteo comincia da Abramo, cui Dio aveva rivolto la prima promessa e la prima benedizione, che deve arrivare a tutti i popoli della terra.

Anzitutto osserviamo il titolo che Matteo dà al suo libro: “Libro della ‘storia’ di Gesù Cristo figlio di Davide figlio di Abramo”. Tu infatti sei il compimento delle profezie consegnate da Dio ad Abramo e quindi a Davide. Per questo ti chiami Gesù, colui che offre la salvezza definitiva, quella di Dio. E per questo sei chiamato Cristo, consacrato ad essere il dono che è benedizione per il popolo e per tutti i popoli. Ad Abramo infatti era stato detto: “In te si diranno benedette tutte le tribù della terra”. E a Davide, come suo discendente, è stato promesso il re che avrebbe portato definitivamente la giustizia e la pace nel mondo con un “regno che non avrà fine” (1 Sam 7,16; Lc 1,33).

Matteo, come era consueto tra gli scribi del suo tempo, adopera i numeri per parlarci. Trentanove sono le generazioni che si susseguono, di uomo in uomo, fino a Giuseppe. Tu sei la quarantesima, l’ultima, quella che completa l’esperienza umana. Ma per la tua venuta nel mondo viene cambiato il modo d’ingresso: per te infatti non è l’uomo che agisce. Tu arrivi tra noi per intervento divino, come dono di Dio dato a Maria, già legata a Giuseppe dal contratto sponsale. Arrivando nel mondo tu sei già “Gesù”, il salvatore divino, e puoi già essere chiamato “Cristo”, il consacrato con tutte le consacrazioni: regale, profetica e sacerdotale.

L’evangelista, nell’elenco delle generazioni, si sofferma quattro volte a raccontare le incongruenze umane. Quattro volte la generazione è proseguita grazie a unioni illegittime o peccaminose. Il peccato è stato presente tra gli uomini che ti precedettero. Dio ha usato per il suo progetto anche le situazioni irregolari. Per di più quattro donne entrate nella tua storia erano persino straniere. Anche per questo sono state ricordate, per dare un incoraggiamento, una giustificazione e una certezza all’accoglienza degli stranieri, pagani, nella tua Chiesa. E, chissà, anche per prepararci al grande dilemma in cui si è dibattuto Giuseppe, quando seppe che tu eri già entrato nella storia senza che lui fosse intervenuto quale sposo di Maria.

L’agire divino supera tutte le nostre capacità di comprensione, cosicché non possiamo mai usare la facoltà di giudicare, che spetta solo a Dio. Egli agisce con la potenza del suo amore per redimere il male, ma può anche adoperare il suo amore per stupirci con interventi del tutto inaspettati e per noi impensabili.

Non solo le donne ricordano i peccati dell’umanità. Molti dei nomi dei re che si sono susseguiti dopo Davide sono accompagnati, nelle Scritture, dalla laconica frase: “Egli fece ciò che è male agli occhi del Signore”. Così Matteo aiuta i suoi cristiani, e anche noi, ad accogliere nella comunione della Chiesa persino coloro che prima di convertirsi a te fossero stati grandi peccatori.

La storia degli uomini è sempre storia di disobbedienza, di peccato. Proprio per questo tu ti sei offerto al Padre dicendo: “Ecco io vengo, per fare, o Dio, la tua volontà”. Volontà di Dio è appunto salvare, salvare gli uomini dal loro peccato, ricuperarli dalla strada della disobbedienza sulla quale sono incamminati.

Le generazioni ricordate, senza preoccupazione di precisione aritmetica, l’evangelista le raggruppa in tre grandi periodi storici: pressappoco sono quattordici per ogni periodo. Che con il numero quattordici Matteo abbia voluto mettere in evidenza il nome di David (DVD = 4+6+4 = 14), di cui tu sarai chiamato Figlio? Oppure che abbia pensato a tre fasi lunari, ascendente fino a Davide, discendente fino alla vergogna della deportazione, e di nuovo ascendente fino a te? Oppure a sei settimane di generazioni che ti hanno preceduto? In tal caso tu sei venuto per iniziare l’ultima, la settima, che conclude i tempi, portando a compimento i disegni d’amore del Padre e instaurare finalmente il suo regno.

Ormai non ci interessano tanto le intenzioni e le particolarità di chi scrive il tuo Vangelo, perché lo Spirito Santo rivela te a noi e ci fa amare ogni cosa e ogni parola che ti riguardano; da lui soltanto conosciamo la tua importanza, che supera ogni tentativo e ogni capacità degli uomini di presentarcela. Tu sei “Gesù” chiamato “Cristo”!

Sei venuto da Maria, donna ancora sconosciuta. È la sposa di Giuseppe, l’uomo che con il suo nome (‘aggiunto’ alla famiglia) ci fa ricordare il figlio prediletto di Giacobbe, grande nei sogni da lui avuti, passato nella grande sofferenza affinché si potessero realizzare.

Proprio il nome di Maria ci attrae: l’evangelista ci offrirà subito le motivazioni per comprendere quanto ella sia degna di attenzione. Il suo nome infatti sembra mettere in evidenza la missione della sua vita: Dio è il Signore; infatti lei vive pensando: «ascolto lui, mi faccio sua serva, per realizzare la sua Parola».

Guardando la tua storia non ci vergogneremo della nostra, né dei nostri antenati: non sono peggiori dei tuoi, Gesù! I loro peccati non impediscono a te e al Padre di amarci e di servirti di noi! Li ameremo tutti, perché tutti strumento di Dio per il suo regno in noi. E nemmeno, pur pentendoci, continueremo ad essere tristi per i nostri peccati: non potranno impedirti di chiamare i nostri figli e nipoti al servizio del tuo regno!

  1. Ed egli lo chiamò Gesù Mt 1,18-25

 

18Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. 19Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva (rivelare) accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. 20Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; 21ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».

22Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:

23Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa Dio con noi.

24Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa; 25senza che egli la conoscesse, ella diede alla luce un figlio ed egli lo chiamò Gesù.

 

2.

Signore Gesù, l’evangelista ora ci aiuta a comprendere, o meglio, ci rivela il mistero del tuo rapporto con Giuseppe e con Maria. È lei, Maria, scelta ad essere tua madre. Attraverso di lei sei venuto al mondo. E lei, Maria, da dove viene? Sapere questo non è importante. Invece riguardo a Giuseppe, il discendente di Davide, lo sposo di lei, è importante il collegamento con tutte le Scritture: sarà lui a far sì che tu possa adempierle. Egli non comprende. Deve ancora scoprire di essere al centro di un disegno divino importante. Egli è sposo di lei, e lei, prima ancora di entrare nella sua casa, e senza che egli con lei abbia avuto rapporti, diviene incinta: c’è chi se ne accorge. Lei sa cos’è avvenuto, sa d’aver risposto all’angelo di Dio (Lc 1,38). È riuscita a rivelare a Giuseppe la richiesta divina e la sua risposta? E, caso mai, lui le ha creduto? Si è compiuto davvero un mistero divino: la madre ti concepisce continuando ad essere vergine, rimanendo con lo sguardo e con il cuore pienamente donati a Dio senza mai rivolgerli su di sé.

Giuseppe è un uomo “giusto”, un uomo che vuole compiere la volontà del Padre e non mettersi contro di lui, ma nemmeno mettersi al suo posto. Se il figlio che sta per nascere viene da Dio, chi è lui per farsi chiamare suo padre? Giustizia vera vuole che egli si ritiri, che non prenda il posto di Dio, che non si arroghi diritti su quel figlio che viene nel mondo in modo tanto misterioso! Egli è “giusto”, non vuole inoltre nemmeno far danno ad una creatura di Dio: se denunciasse ciò che è avvenuto metterebbe a repentaglio la sua vita.

Che cosa fare? Giuseppe non sa trovare una soluzione. Che cosa vorrà il Padre da lui? Maria è impegnata con Dio, o meglio, Dio si è impegnato in modo sorprendente con lei. Lei non merita di essere accusata, né di essere lapidata: lo farebbero senza esitazione gli uomini che danno importanza alla Legge. Anche per lui la Legge è importante, ma ancor più colui che ha donato la Legge, e che ora ha dato un figlio alla sua sposa in modo nuovo e misterioso.

Dio non dimentica il suo servo, non lascia che egli si dibatta a lungo a cercare una soluzione che non riuscirà a trovare. Le soluzioni dell’uomo ai disegni di Dio sono sempre rischiose, venendo da un modo di ragionare rovinato dal peccato presente ovunque. No, l’uomo non deve cercare soluzioni al di fuori della rivelazione dell’amore del Padre. Dio non dimentica colui che tende, con tutto il suo agire, ad essere “giusto”. Anzi, lo renderà ancor più “giusto”, consegnandogli un ruolo singolare nella manifestazione di colui che sarà “salvezza del Signore”.

Ed ecco l’angelo. Ecco il portatore di una parola che nasce fuori da questo mondo, nel cuore di Dio. Arriva nel sogno. Potevamo aspettarcelo, perché l’uomo “giusto”, lo sposo di Maria, porta il nome del figlio prediletto di Giacobbe, Giuseppe! Egli era “il sognatore” e colui che poteva rivelare il significato dei sogni. I sogni di quel Giuseppe rivelavano in anticipo i grandi disegni di salvezza per i suoi fratelli, disegni che usavano e attraversavano il loro peccato, prima di giungere alla loro realizzazione.

L’angelo lo chiama per nome, lo conosce. E gli dà quel titolo che sarà poi usato soltanto per te, Gesù: quel titolo spetta prima di tutto ancora a lui, a Giuseppe: “Figlio di Davide”. Egli aveva timore a prendere tua madre, Maria, nella propria casa, a dare un riconoscimento definitivo al promesso legame sponsale. Dio stesso infatti è entrato nella vita di lei come sposo: Giuseppe “giusto” non vuole usurpargli il posto. L’angelo del Signore comincia proprio a risolvere questo timore: “Non temere di prendere con te Maria”. “Non temere”: è sempre Dio che dice così quando incontra qualcuno per affidargli una missione. Quest’invito è la firma di Dio! È un invito che aiuta a riconoscere che è proprio lui che parla. Il figlio che sta crescendo in Maria ha origine divina: “Viene dallo Spirito Santo”. “Tu lo chiamerai…”, sarai tu a dargli il nome, cioè lo riconoscerai come tuo figlio. E sarà riconosciuto da tutti come tuo figlio. Sarà il “figlio di Davide”.

Il nome con cui Giuseppe dovrà chiamarti ha un significato profetico: “Dio salva”. Sarai tu, Gesù, non solo ad annunciare, bensì ad essere la salvezza di Dio. Sei tu la risposta alla domanda che tutti i pellegrini, arrivando a Gerusalemme, cantavano e gridavano: “Osanna!”: “Da’ salvezza, Signore!”. Sei tu la salvezza: chi ti accoglie nella propria vita è salvo.

L’angelo deve spiegare a Giuseppe questo significato, perché egli non ceda alla tentazione di intendere la salvezza di Dio come salvezza precaria, politica o sociale, come la sognavano tutti gli ebrei. La salvezza indicata dal tuo nome è una salvezza che sradica il male alla radice: salvezza dai peccati. Sono i peccati del popolo che hanno portato alla grande prova della deportazione e ora del dominio degli stranieri, di Erode e dei Romani. Sono i peccati del singolo uomo che portano, a lui e a chi lo circonda, sofferenza e confusione, che alimentano gli egoismi, che sostengono i potenti e gli iniqui nel creare ingiustizie e sofferenze a tutto il popolo. “Salverà il suo popolo dai suoi peccati”, dice l’angelo con gioia e compiacimento.

Il sogno di Giuseppe finisce, e Giuseppe comprende che nel sogno Dio gli ha parlato e lo ha interpellato.

Ma l’evangelista ci dice ancora una cosa importante. Tutto ciò era previsto, era nel disegno di Dio, quel disegno che Dio ha voluto preannunciare per mezzo dei profeti. Il profeta Isaia ad un re iniquo aveva solennemente parlato di una vergine, di un concepimento, di una nascita. È quanto proprio ora si sta avverando. La vergine è Maria, la nascita è la tua, Gesù, e il nome è luce e sicurezza.

Così il libro che ora sta uscendo dalla penna del tuo evangelista, narra il compimento di quanto era stato predetto. È il libro del compimento, che descrive la realizzazione: è il Nuovo Testamento, che mette in luce e dà significato e valore nuovo alle Scritture che da ora chiameremo ‘Antico Testamento’. Esse, senza di te, sono incomplete.

Sei tu Gesù quell’ “Emmanuele” tanto desiderato in tutti i tempi: “che Dio sia con noi”, dicevano i fedeli desiderosi di vivere una vita a lui gradita! Ora “Dio è con noi”. Con questa rivelazione di te inizia il libro, che terminerà con la tua parola: “Io sono con voi tutti i giorni”!

Tu sei veramente il “Dio con noi”, per questo sei la salvezza data da Dio all’uomo peccatore. Tutta la tua storia su questa terra è inclusa in questa rivelazione: sei “Dio con noi” che ogni giorno ci ripeti: “Io Sono con voi”.

Giuseppe, ormai tuo ‘padre’, capisce che il sogno non è un sogno, ma una rivelazione e una chiamata. E ubbidisce, non al sogno, ma a Dio, che lui ama più di se stesso. Egli prende tua madre in casa sua, e accoglie te, “figlio di Abramo”, come suo figlio, donandoti così di essere e di venir chiamato il “Figlio di Davide”.

Giuseppe e Maria sono sposi veri: l’uno e l’altra hanno risposto alla chiamata di Dio, si sono reciprocamente accolti per volere di Dio. Davvero sono l’uno per l’altra quell’aiuto “simile” di cui ognuno di loro ha bisogno per continuare ad essere “a immagine e somiglianza di Dio”; essi si aiutano per conoscere la volontà buona e bella del Padre di tutti. Sono l’uno per l’altro aiuto a ubbidire per compiere il disegno incomprensibile di Dio. Sono veri sposi perché non si guardano l’un l’altro per cercare sentimenti interpretati come amore o gratificazioni, ma si aiutano a portare te nel mondo. Sei tu, Gesù, la loro unione, tu il loro amore, tu la certezza e la pienezza del loro servirsi e amarsi l’un l’altro.

  1. Stella e Scrittura Mt 2,1-11°

 

2,1Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme 2e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». 3All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. 4Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. 5Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta:

6E tu, Betlemme, terra di Giuda

non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: 

da te infatti uscirà un capo

che sarà il pastore del mio popolo, Israele».

7Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella 8e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».

9Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. 10Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. 11Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono.

 

3.

Signore Gesù, la tua venuta ha cambiato il mondo, tutto il mondo. Ora cominciamo a rendercene conto. Il mondo è la nostra situazione concreta sia nello spazio che nel tempo: tu vi sei entrato a Betlemme, villaggio della Giudea, regione particolarmente legata a Davide, e vi sei entrato al tempo di “Erode il re”. Erode è chiamato re, ma non è discendente di Davide. La sua regalità è mondana, non divina. Sono stati i temibili dominatori di Roma a dargli il titolo e a confermargli l’autorità che egli esercita in modo da opprimere con immani sofferenze, che continuano ad alimentare odi e paure.

L’evangelista Luca ci racconta della venuta dei pastori, abitanti dei deserti, poveri e oppressi, chiamati dagli angeli del Signore a conoscerti ed incontrarti. Matteo invece si incarica di dirci in che modo tu sei stato manifestato alla città di Gerusalemme e ai suoi capi, ai sacerdoti e alle persone che si ritengono degne sia di Dio che del suo tempio. Per loro, animati dalla pretesa di superiorità e grandezza, un angelo è troppo poco, o è poco affidabile: chi ritiene d’essere importante tra gli uomini, forse che riesce a credere ad un angelo? L’amore di Dio è rispettoso di tutti per incontrare tutti sul loro tappeto, i ‘grandi’ su quello rosso, steso davanti alla loro presunta ‘grandezza’. Così viene loro rivelato subito, in modo inaspettato, che il fatto che ancora non conoscono è di importanza internazionale, interculturale, interreligioso!

Ecco arrivare da oriente i Magi. Essi sono i ‘sapienti’, interpellati dai re e dagli imperatori d’Oriente, che osservano e interpretano anche i movimenti degli astri per formulare le loro risposte. Questi vengono di propria iniziativa oppure a nome dei loro signori? Essi sono qui perché cercano un re, la cui nascita è stata loro rivelata da una nuova stella che hanno visto sorgere. Dove può nascere il re, pensano ovviamente gli uomini, se non nella casa di un re? Arrivano a Gerusalemme, dove risiede un re.

Proprio la stella li guida: è stato addirittura un profeta pagano, Balaam, a dire: “Una stella spunta da Giacobbe, e uno scettro sorge da Israele” (Nm 24,17), la stella rivelatrice del re. La stella li ha messi in movimento, ed eccoli in Giudea: infatti il re che viene è conosciuto “re dei Giudei”.

Signore Gesù, solo i pagani possono chiamarti in questo modo: così ti chiamerà anche Pilato, interrogandoti e poi facendo scrivere questo titolo sopra la tua croce. Gli ebrei invece conoscono solo il titolo di ‘re d’Israele’!

Continuando la loro ricerca, perché la stella non è sufficiente, i Magi annunciano la tua nascita, Gesù. Stranieri, ignoranti e senza fede, parlano di te! La nascita di un re, diverso dai re, era attesa da tutti i popoli, anche dai Giudei, ed era attesa come un evento di grande gioia per tutto il mondo. La città di Gerusalemme, però, con tutti gli scribi del popolo e i capi dei sacerdoti, non si rallegrano. Prendono la notizia con apparente freddezza, sperando rimanga senza conseguenze, ma vengono presi da grande paura, prevedendo la reazione di Erode, che sarà del tutto a loro svantaggio. Allo stesso modo si comporterà Caifa, pauroso di fronte a Pilato e alle sue possibili reazioni alla tua manifestazione.

È proprio Erode che, invece, ritiene vera la rivelazione dei Magi e vuole indagare la loro notizia con precisione di particolari. Fa riunire addirittura il Sinedrio, perché prenda sul serio la novità della stella e faccia lavorare gli scribi per interrogare le Scritture al fine di sapere in quale luogo deve nascere il re della gioia. Per quanto riguarda il tempo egli interroga accuratamente i Magi, ma segretamente: che cosa teme venga conosciuto, il re bambino o la propria intenzione? Li interroga per sapere quando la stella ha iniziato il suo sorgere.

Le Scritture vengono consultate a Gerusalemme: è “da Gerusalemme che esce la Parola del Signore” (Is 2,3). Le Scritture confermano i dati della stella, e li completano. Né i dati offerti dalle creature da soli, né le Scritture da sole bastano ad incontrare te, Gesù!

Le Scritture parlano di te: è Betlemme il luogo dove tu arrivi nel mondo. Michea (5,1-3) lo aveva scritto con precisione e sei il vero pastore del popolo di Dio atteso dalle tribù di Israele. (2Sam 5,2). Temendo Erode, già conosciuto per la sua crudeltà, gli scribi riferiscono il passo scritturistico con qualche addolcimento, per renderlo meno duro per i suoi orecchi.

Le Scritture diventano prezioso aiuto per avvicinarci a te, ma sei tu che dai ad esse il vero valore. Senza di te sarebbero vuote, come vuote sono rimaste per gli orecchi di quegli stessi scribi e sacerdoti, che le hanno scrutate con attenzione, hanno saputo di te e hanno trovato il nome della tua città, ma non hanno fatto un passo per venire a incontrarti, a ricevere la pienezza della tua gioia e della tua vita.

I Magi invece, senza sospettare il progetto di Erode, si rimettono in viaggio per cercarti. E di nuovo la stella conferma e completa il dato scritturistico consegnato da coloro che ora si manifestano tuoi nemici. È proprio vero che, come tu dirai, bisogna «fare quello che dicono, ma non imitare il loro comportamento». Sì, proprio così: può succedere che coloro che studiano le Scritture si limitino a studiarle, e si vantino di conoscerne molti particolari e di saperle interpretare. Se non amano te, le Scritture serviranno solo a condannarli.

La stella ora è diversa: ha ricevuto nuova luce dalla Parola del profeta. Essa non è da ignorare, anzi, continua a guidare verso di te con l’autorità della Parola.

 

Così diventano pure quegli eventi della vita, a volte belli e a volte dolorosi, che ci fanno iniziare un percorso per incontrare te. Le Scritture li illuminano, ed essi, così illuminati, ci fanno da guida per conoscerti, amarti, e ricevere da te la vera vita.

La gioia è davvero grandissima, quando i magi sono vicini alla tua presenza, Gesù. Ancora prima di vederti, appena fatti i primi passi verso Betlemme, godono il frutto dell’obbedienza alle Scritture, benché quelli che le hanno rivelate a loro non ti abbiano accolto, anzi, ti abbiano rifiutato. È la gioia che provano coloro che ti incontrano per la prima volta, provenendo da religioni vuote, che si limitano a far paura e a porre l’uomo sotto il dominio di altri uomini.

Ora i Magi sono davanti a te: cadono sulle ginocchia, con la gioia nel cuore. Ti adorano: ti riconoscono, cioè, loro Signore, vero re, non più dei Giudei, ma della loro vita, e mettono te al di sopra di ogni loro interesse, pronti a servirti.

Tu stai davanti a loro sulle braccia di Maria. Anche lei prende parte a questo incontro. Senza di lei non può esserci incontro con te, vero uomo venuto dal Padre. Dove ci sei tu c’è tua Madre, dov’è tua Madre là ci sei tu. Chi ti incontra, incontra prima di tutto lo sguardo di Maria. È lei che ti alza, o Figlio di Dio, per porgerti con le sue braccia e con il suo cuore, a noi che ti abbiamo cercato. Cercandoti, ti troviamo sulle ginocchia della Madre, che con i suoi occhi ci garantisce la verità del tuo amore e della tua salvezza. Il tuo amore è quello di chi si lascia amare: tu non puoi ancora amare facendo o dicendo qualcosa: il tuo amore, il tuo primo amore per noi consiste nel lasciarti amare da noi, anche se i modi e i gesti del nostro amore non sono proprio quelli che tu vorresti. Qui, in braccio a Maria che accoglie i Magi, tu scopri i segreti dell’amore, che poi ci comunicherai nella forma del tuo “comandamento nuovo”, “amatevi gli uni gli altri”: prima accettate l’amore dei fratelli, riconoscendoli dono di Dio, superiori a voi, così avrete l’umiltà necessaria a compiere atti d’amore vero verso di loro! Tu, Gesù, accetti l’amore dei Magi, ed essi si scoprono amati da te, perché in modo misterioso la loro vita si apre a nuove dimensioni con “grandissima gioia”.

 

4. Scrigni vuoti       Mt 2,11b-12

 

Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. 12Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.

4.

I Magi sono in ginocchio davanti a te, che riposi in braccio alla Madre. Tu, piccolo bambino, nemmeno ricordi cos’hanno fatto quei sapienti, vestiti riccamente, nella povertà della casa in cui Giuseppe ti ha portato. Lo ricorda però Maria.

Si sono messi in ginocchio per “adorarti”: danno cioè importanza a te, ascoltano la tua parola, che ora è ancora silenziosa. Avranno te come Signore della loro vita. Essi vogliono esprimere con alcuni segni simbolici e significativi il loro grazie per averti incontrato, perché l’incontro con te in braccio a Maria è salvezza per loro, gioia grandissima: tu sei il loro traguardo.

La salvezza è dono inatteso. Essi si accorgono di essere salvati da tutta la menzogna che il mondo impone, dalle costrizioni in cui chi vive per far piacere agli uomini si trova a soffocare, dalle ambiguità cui si è obbligati per convenienze e convenevoli, da interessi e da regole fissate dai potenti di turno. Incontrato te, tutta questa zavorra non pesa più. Essi si sentono liberi. Ora possono vivere come te, nella povertà, come te nell’affidamento alla Madre, come te, ignorando le soffocanti imposizioni della diplomazia. Possono portare te nel cuore: sei davvero un re diverso, un re vero, non investito di autorità dagli uomini per soddisfare i loro interessi, ma un re donato dal Cielo.

Sono ancora in ginocchio per adorarti: esprimono adorazione aprendo gli scrigni portati con sé. Gli scrigni si svuotano ai tuoi piedi: ed ecco i doni di cui parlano i salmi e i profeti (Sal 72,15; Is 60,6): “Tutti verranno da Saba portando oro e incenso”. Anche queste Scritture sono qui a parlare, a rivelarci chi tu sei.

Tre sono i doni che adempiono le profezie, ma anche che a loro volta profetizzano. Come ci hanno spiegato i santi Padri della Chiesa, l’oro rivela e annuncia che tu sei il re, riconosciuto tale da quei sapienti d’oriente, dalla stella e dalle Scritture. L’incenso rivela la tua divinità: esso infatti viene bruciato dai pagani davanti ai simulacri degli dei e dai sacerdoti nel tempio di Gerusalemme per il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. La mirra rivela che tu sei uomo mortale, che morirai, e che il tuo corpo sarà unto con oli profumati come quello degli uomini degni di venerazione. Doni rivelatori di te, Signore Gesù. Maria e Giuseppe possono comprendere il significato di questi doni, ed esserne consolati e rafforzati nella fede. Questi doni per loro sono prova della verità delle parole dell’angelo, nonostante la situazione di povertà e nonostante il rifiuto da parte del popolo di cui tra poco verranno a sapere e a soffrire.

Ora, con la luce del tuo Spirito che ci hai donato, possiamo vedere anche altri messaggi che questi doni ci presentano.

Svuotando gli scrigni davanti a te, i Magi hanno riconosciuto che nelle tue mani i loro doni avrebbero trovato la loro pienezza, sarebbero stati liberati da quella corruzione che li rendono strumento del peccato, fomentatori di sempre nuove schiavitù (cf Rom 8,22s).

Nelle mani degli uomini infatti l’oro è strumento di vanità, di prepotenza, di orgoglio, e diventa occasione e causa di violenza, di sopraffazione, di sfruttamento dei poveri e dei popoli. Nelle tue mani invece, l’oro è al posto ‘giusto’, il posto cui è stato destinato da Dio al momento della creazione: tu sei capace di usarlo solo come strumento di amore e di pace. Nelle tue mani esso è liberato dalla corruzione del peccato, perché diventa strumento di bontà, di carità, di misericordia: nelle tue mani realizza lo scopo per cui è stato creato.

Gli uomini usano l’incenso per dar gloria a se stessi oppure a chi appaga le proprie voglie: lo usano come strumento di superbia e di vanagloria. Nelle tue mani invece alimenta l’attenzione al Padre, l’umiltà, la mitezza, la discrezione. Tu userai l’incenso solo per adorare quel Dio vero che ha fatto di te un dono del suo amore a noi peccatori. Lo adori facendocelo conoscere e offrendogli la tua vita, i tuoi passi, le tue parole, e così a lui dai ogni onore e gloria.

Nelle mani dell’uomo la mirra alimenta il suo desiderio di imporre la propria vanità e il proprio dominio persino dopo la propria morte. Essi vorrebbero continuare ad occupare il mondo con la propria vergognosa presenza. Quanto più hanno fatto soffrire, tanto maggior numero di monumenti su strade e piazze alimenta il loro triste ricordo. La mirra dovrà essere usata per te, perché tu sei degno di rimanere qui, nel mondo, con noi, tutti i giorni, anche dopo la tua morte! 

Gli scrigni sono rimasti vuoti. Non a noi, Signore, la gloria, non a noi! 

Anch’io posso mettere nelle mani di Gesù il mio oro, così divento povero. Lo posso fare una volta, ma lo posso volere per sempre: vivo un voto di povertà. Con te, Gesù, questo è possibile: tu sei la ricchezza. Chi ama te donando case e campi, non rimarrà sulla strada: tu doni il centuplo. Non importa come e quando, perché tu mantieni le tue promesse. Per te, Gesù, posso e voglio essere povero.

Pure io posso mettere nelle tue mani, Gesù, il mio incenso, la mia voglia di essere ammirato. Non mi preoccupo di essere considerato, lodato, benedetto dagli uomini. Non cerco di imporre le mie volontà, nemmeno a me stesso. A te l’incenso, a te obbedisco, quando tu ti servi della voce degli uomini per mostrarmi la via, come hai abituato i tuoi discepoli. Essi hanno ubbidito a te, quando hanno gettato la rete ascoltando la voce dello sconosciuto sulla spiaggia. A te e solo a te ogni lode e ogni considerazione. Donando a te l’incenso divento obbediente. L’obbedienza caratterizzerà la mia vita. Così tu stesso sarai presente e operante prodigi nelle azioni e nei pensieri con cui ti ubbidirò.

E la mia mirra? Anch’essa nelle tue mani, Gesù. I miei desideri di sopravvivere, il mio istinto di occupare la storia dei miei fratelli, di essere presente nel loro cuore, l’aspirazione di seminare figli nel mondo e far sì che il nome che ho ereditato diventi eredità, tutto pongo nelle tue mani. E divento casto. Tu sei degno di occupare il mio cuore; solo il tuo nome è degno di essere nominato nei secoli, perché solo il tuo nome porta salvezza e ricuce divisioni, risana fratture e crea comunione.

Ormai i Magi, divenuti poveri e liberi dal peso delle vanità del mondo, possono tornare in pace. E tornare in pace significa non aver più contatto con chi non vuole te, con chi ti esclude dalla sua vita. Essi, così, tornano in pace, salvati. Non daranno aiuto a chi li vorrebbe strumentalizzare per realizzare disegni di odio, progetti escogitati per eliminarti. Nemmeno tornano a ringraziarli per l’aiuto che hanno dato per trovare te, Gesù. Saresti proprio tu, Gesù, la ricompensa anche per loro, ma ti stanno rifiutando.

I Magi tornano a casa diversi, amanti del nascondimento.

L’amore per te li ha resi liberi dalle grandezze umane, li ha salvati dall’essere succubi e strumento di quelle prepotenze, violenze, vanaglorie e superbie che oro, incenso e mirra posseduti, tendevano a coltivare.

I Magi sono diventati poveri, obbedienti e casti, a gloria tua, Gesù.

Sono scomparsi nel nulla? Nessuno conosce il loro nome, nessuno sa donde provenivano, nessuno sa dove sono approdati e cosa hanno fatto dopo l’incontro con te.

Perché l’evangelista non soddisfa la nostra curiosità? Egli, ispirato dal Signore, realizza un altro progetto: raccontando il loro incontro, quanto è costato e quali frutti ha portato, noi scopriamo come deve svolgersi la nostra vita, e come dobbiamo amare e stimare la vita di coloro che, venendo dal nulla, tornano nell’oscurità portando te nel loro cuore.

Sono io, e ciascuno di noi oggi uno di quei Magi. Il loro amore e la loro profezia continua in me, e continua in ciascun di noi!

  1. Prese il bambino e sua madre Mt 2,13-15

 

13Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse:

«Alzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo».

14Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, 15dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:

 

Dall’Egitto ho chiamato mio figlio.

 

5.

Signore Gesù, riesco a mala pena ad immaginare come tu possa continuare a dormire tranquillo in braccio a Maria avvolto nelle sue fasce. Attorno a te pare che tutto si muova vorticosamente. Profezie antiche si avverano, fatti nuovi si succedono diventando a loro volta profezia o spiegazione di eventi futuri che riguardano te e saranno vissuti dai tuoi discepoli e dalla tua Chiesa.

Proprio la Chiesa è presente al cuore dell’evangelista, la Chiesa con le sue gioie e difficoltà interne e rifiuti all’esterno. Egli può aiutare i credenti a leggere le proprie vicende, intrise di gravi difficoltà e persecuzioni, alla luce delle tue: tu dai risposta ai loro interrogativi spesso inconsci, o perlomeno difficili da esprimere. Allorché egli scriveva, i credenti in te, in maggior parte ebrei, cominciavano ad essere rifiutati dal loro popolo. La distruzione del tempio ha peggiorato la loro situazione: sono dovuti fuggire, esuli dalla terra dove tu eri vissuto insieme a loro, dove essi avevano i ricordi più belli degli incontri con te e dei tuoi segni prodigiosi, della tua passione e della tua risurrezione. I credenti erano chiamati con disprezzo ‘nazareni’, eppure sapevano di vivere nella protezione di Dio: egli era al loro fianco, e se ne accorgevano. Tutto questo è presente a Matteo, che per loro racconta.

 

I magi sono partiti da Betlemme. La loro adorazione è terminata, anzi no, continua in altro modo. Hanno ubbidito, anch’essi come Giuseppe, alla Parola che Dio ha fatto loro udire in sogno. Nessuno perderà tempo ad indagare dove essi ora si trovano. Gesù è nel loro cuore, questo basta sapere. Così è per quei fratelli che hanno dovuto lasciare la propria terra e la propria casa a causa di Gesù, perseguitato e rifiutato.

 

Ed ecco un altro sogno, ed è ancora Giuseppe a viverlo. Di nuovo un angelo del Signore lo chiama, gli parla, gli ordina quanto dovrà fare e gli rivela il motivo di questo cambiamento di programma. Giuseppe deve alzarsi nella notte, agire di nascosto. Deve prendere con sé “il bambino e sua madre” e fuggire. Egli, il padre e lo sposo, ora diventa il custode della vita del bambino e di sua madre. La loro vita è preziosa, e Dio la vuole proteggere: per questo chiede l’aiuto e l’impegno di Giuseppe. Ora egli comincia a comprendere perché è stato chiamato a prendere con sé nella propria casa la sposa e a dare il nome al bambino.

L’angelo non lascia nulla all’iniziativa di Giuseppe, se non i piccoli particolari. Egli è l’ubbidiente, che prepara per il Figlio di Dio un ambiente dove l’ubbidienza è la via più sicura e benedetta.

Egli, con “il bambino e sua madre”, deve fuggire: non dirà a nessuno dove andrà, tornerà nella clandestinità là dove il popolo di Giacobbe si era rifugiato per sfuggire la morte a causa della carestia. Egli, Giuseppe, ripercorrerà la strada che l’altro Giuseppe, il figlio di Giacobbe, ha percorso ubbidendo, venduto come schiavo, protetto così dall’invidia e dall’odio dei suoi fratelli. Fugge in Egitto, quell’Egitto che aveva dato salvezza al popolo, ma una salvezza precaria. Così qui ci sarà salvezza provvisoria per Gesù e sua Madre dall’ira di Erode, il re che non cerca la volontà di Dio né per sé né per gli altri.

L’angelo stesso rivela a Giuseppe che l’Egitto non è una scelta definitiva. È quel posto sbagliato da occupare, con riconoscenza, per prepararsi al posto giusto, il posto voluto da Dio. Egitto è il mondo nel quale i figli di Dio si sentono e sono sempre forestieri. In questo luogo si deve vivere finché la prudenza lo esige. Chi fa la volontà di Dio può e deve evitare le situazioni in cui la vita è in pericolo. Tu stesso, Gesù, hai imparato, e più volte cercherai rifugio lontano da Gerusalemme, quando i capi del tuo popolo tenteranno di lapidarti.

Giuseppe obbedisce prontamente ad ogni comando dell’angelo. In tal modo tu, Gesù, sei sfuggito alla ricerca di Erode. Egli, il potente che si credeva onnipotente, non faceva conto che nel mondo c’è anche Dio che agisce, e che la storia degli uomini è nelle sue mani. Anche la sua è nelle sue mani, ma egli preferisce agire da “stolto”, come quel tale che progettava un lungo futuro e un sicuro benessere senza interrogare colui nelle cui mani è la vita di ogni uomo.

Gesù, quanto tempo in Egitto? Dove precisamente? Quali e quante le privazioni e le sofferenze tue, nonostante la preoccupazione e la fatica della madre e di Giuseppe?

Le nostre domande dimenticano che tu vuoi soltanto, ed è ciò di cui noi abbiamo veramente necessità, renderci consapevoli della tua presenza in ogni situazione di sofferenza in cui si troveranno e si trovano i tuoi discepoli nel mondo, in ogni tempo. Tu sei passato e sei ancora presente nelle nostre tribolazioni: là ti incontriamo con tua Madre, sempre custoditi dall’amore del Padre.

E come tu, bambino ancora senza parole, non facevi domande, perché sicuro delle braccia che ti cullavano e dell’obbedienza di Giuseppe che permetteva a Dio di essere protagonista della sua e della tua storia, così noi lasciamo tacere la fonte dei lamenti. Nelle nostre sofferenze non facciamo domande. Viviamo come tu sei vissuto in Egitto, fiduciosi delle cure di tua madre, abbandonati all’obbedienza alla Parola di Dio ricevuta e donata da coloro che ci guidano.

Erode morirà: nessun uomo, nemmeno se potente e ricco, sfuggirà questo evento. Giuseppe sa che verrà avvertito, non dagli uomini, ma ancora dall’angelo di Dio. Questo è l’unico corrispondente sicuro e tempestivo, l’unica agenzia di notizie da tenere in considerazione. Il discepolo sarà sempre in ascolto della Parola. Da essa conosce i modi e i tempi del proprio agire, del proprio andare e ritornare.

 

Si adempiono le Parole di Dio, senza forzature da parte dell’uomo. È scritto “Dall’Egitto ho chiamato mio figlio”: per questo Giuseppe si trova con la famiglia in Egitto, per poter essere chiamato da quel luogo, come era stato chiamato il popolo guidato da Mosè. Come allora così oggi, e così sempre, i tempi e la storia sono nelle mani del Padre, e ai disegni dell’amore del Padre devono servire. Tu, Gesù, sei figlio di Giuseppe, ma né lui né alcuno deve dimenticare che tu sei sempre stato e sei ancora e sempre sarai chiamato da Dio “mio Figlio”. Nemmeno tu in braccio a Maria lo puoi dimenticare: “mio Figlio”!

Tu, Gesù, sei il Figlio, prefigurato dal tuo popolo. Sei tu l’inizio del vero popolo di Dio che compie il suo mistero di amore.

Il popolo tutto è Figlio del Padre, in particolare il popolo dei credenti, quello che sarà chiamato “Corpo di Cristo” e “Chiesa”. “Dall’Egitto” veniamo chiamati, ad uno ad uno, dal pastore, come le pecore quando escono dal recinto, e tutti insieme, come il gregge che segue il pastore quando va verso il pascolo. Ogni luogo che possa essere paragonato all’Egitto è un luogo di passaggio: in esso non ci possiamo sistemare come fosse la nostra patria. L’Egitto è il luogo della sicurezza umana, mondana, luogo del benessere materiale, che seduce, ma è pronto a tradire, se viene considerato luogo definitivo. Sempre la Chiesa deve fare attenzione a non illudersi delle sicurezze materiali ed economiche, né di quelle politiche o di quelle sociali. A lungo andare diventeranno veleno mortale, sicurezza che distoglie il cuore dall’ascolto e dall’obbedienza al Signore.

Il credente vivrà nel suo Egitto come sulla croce, ben sapendo però che ogni croce non è definitiva. È luogo dove ci troviamo con la sicura speranza di essere raggiunti dalla Voce che ci chiama a lasciarlo. La nostra vita è attesa: faremo attenzione alla Voce, a non lasciarla passare senza udirla, a non udirla senza ubbidirla.

  1. Morto Erode Mt 2,16-23

 

16Quando Erode si accorse che i Magi si erano presi gioco di lui, si infuriò e mandò a uccidere tutti i bambini che stavano a Betlemme e in tutto il suo territorio e che avevano da due anni in giù, secondo il tempo che aveva appreso con esattezza dai Magi. 17Allora si compì ciò che era stato detto per mezzo del profeta Geremia:

18Un grido è stato udito in Rama,

un pianto e un lamento grande:

Rachele piange i suoi figli

e non vuole essere consolata,

perché non sono più.

 

19Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto 20e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino». 21Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. 22Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea 23e andò ad abitare in una città chiamata Nazaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno».

 

6.

Signore Gesù, Matteo deve aiutare i suoi fratelli ebrei, che hanno accolto il tuo vangelo, a rispondere a molte domande. «Perché i nostri capi non riconoscono, nonostante l’evidenza, che Gesù è il Messia? Perché lo hanno rifiutato e continuano a rifiutarlo? Perché ci perseguitano? Che cosa abbiamo fatto di male? Noi infatti non vogliamo usurpare il posto dei governanti, ma invece ubbidiamo alle loro leggi: perché allora ci uccidono?»

La risposta sei tu, Gesù, e la tua storia, fin dall’inizio.

A Betlemme i Magi hanno ubbidito all’angelo intervenuto nel loro sogno. “Bisogna ubbidire a Dio invece che agli uomini” (At 5,29), “È meglio rifugiarsi nel Signore che confidare nell’uomo. È meglio rifugiarsi nel Signore che confidare nei potenti” (Sal 118,8), dicono le Scritture, e i Magi così hanno fatto. Grande prudenza ignorare il comando di Erode: perché non è venuto lui stesso o non ha mandato i suoi a cercare Gesù? Cosa si nascondeva nei suoi modi di fare, tanto da manifestarsi premuroso nel radunare il Sinedrio e preciso nell’interrogatorio segreto, e poi così poco diligente nel cercare il bambino ‘re’, riconosciuto da lui stesso “Cristo”, che avrebbe dovuto essere anche per lui “gioia grande”? Perché non ubbidisce alle Scritture riscoperte e rilette grazie alla stella? Chissà, forse progettava persino di sbarazzarsi anche di loro, testimoni di un evento da lui travisato e perciò temuto e sgradito!

Ecco l’agire di Erode, crudele, fino ad uccidere i figli e la moglie: anche ora usa il suo consueto modo di fare, come serpe, che non sa far altro se non mordere. Come mai Erode, nella sua grandezza, ha paura di un Bambino che non ha fatto e non può fare nulla di male? È un re bambino, ma un re senza ministri, senza esercito, senza territorio. Perché ucciderlo? E perché, per essere sicuro di averlo eliminato, ne uccide molti altri, semplicemente perché a lui coetanei?

La loro morte diviene testimonianza della tua presenza nel mondo!

L’agire di Erode fa comprendere il significato delle persecuzioni che colpiscono la Chiesa di Matteo e quella che seguirà, fino ad oggi.

Tu, Gesù, ti trovi in mezzo a tanta violenza. Sembri esserne tu la causa…, ma è vero? Tu sei odiato perché non sei “di questo mondo”. Sei rifiutato e cercato a morte, perché la tua regalità è implicitamente e segretamente condanna di ogni regalità terrena, frutto di egoismo, di violenza, di prevaricazione, e fontana di sofferenze indicibili per i piccoli e i poveri.

Il profeta aveva già detto che la sofferenza è tanto grande da far gridare e piangere e levare il lamento grande (Ger 31,15). La sofferenza degli esuli costretti a lasciare la terra, promessa da Dio ai figli di Abramo, radunati a Rama come prigionieri per iniziare il viaggio della deportazione, è ora profezia della sofferenza di Betlemme, dove è sepolta Rachele, una delle madri del popolo d’Israele. Ella piange le sofferenze dei suoi figli, piange anche quelle causate da Erode. Continuerà a piangere, perché anche il seme di popolo formato da te, Gesù, e da tua madre, soffre, e soffrirà pure quello dei tuoi discepoli, sempre contraddetto e perseguitato. Il popolo, ammassato in Rama, veniva deportato a causa dei peccati e delle prolungate disobbedienze dei suoi capi che non ascoltavano i profeti. Oggi piange perché Erode disobbedisce alla stella e alle Scritture che la illuminano. Salario del peccato è la morte: oggi quella dei piccoli innocenti, ma domani anche di lui, Erode, e di tutti quelli che si fanno grandi per eliminare te, Gesù, dalla storia dei peccatori, che sei venuto a salvare.

Ecco di nuovo l’angelo del Signore riempie e valorizza il sogno di Giuseppe, che riceve queste rivelazioni proprio come Giacobbe, il padre di quel Giuseppe che ha salvato il popolo dei suoi fratelli in Egitto. Dio agisce e parla in modo che l’uomo non possa vantarsi, non possa dire ‘è stata la mia intelligenza, la mia prudenza, la mia bravura’. Il sogno evidenzia inoltre la necessità dell’obbedienza da parte dell’uomo.

Giuseppe è ancora e sempre obbediente. Prende “il bambino e sua madre” ed esce dall’Egitto per entrare “nella terra d’Israele”. È un piccolo popolo che si muove: Giuseppe, obbediente e mite come Mosè, alla guida del “bambino e sua madre”, arrivano “nella terra d’Israele”, la terra promessa da Dio ad Abramo. Il peregrinare di Mosè è stato soltanto profezia di questo nuovo esodo, e questo è solo l’inizio di quello che sarà continuato lungo i secoli dalla tua Chiesa, Gesù, dove tu e tua Madre sarete sempre presenti.

Ancora una sorpresa per questo seme del nuovo popolo: Archelao è temibile quasi quanto suo padre. La violenza continua a regnare indisturbata nel mondo, ma anche la guida della stella continua a indicare vie di prudenza e di salvezza. È ancora il sogno a fornire a Giuseppe l’indicazione della protezione di Dio. Egli continua a vegliare su di te, suo Figlio, e continuerà a vegliare sulla tua Chiesa, Signore Gesù!

La terra, da scegliere come tua dimora, è ai confini, è la Galilea, “Galilea delle genti”, luogo dove tu, “figlio di Davide”, non sei né atteso né cercato né temuto, dimora anche di pagani, che nei secoli trascorsi si erano mescolati con gli ebrei.

Matteo è felice di raccontare anche questo, così i cristiani delle sue Chiese saranno consolati dal fatto che pure tra essi ci sono pagani che vivono l’alleanza nuova con te, “il bambino” di Giuseppe, “e sua madre”.

Ed eccoci a Nazaret, finalmente in pace, fintanto che altri eventi non continueranno la storia già percorsa. L’abitazione a Nazaret sarà occasione per assegnare al Bambino un soprannome volutamente dispregiativo, perché, oltre a trovarsi in Galilea, questa località è una di quelle da cui non ci si può aspettare nulla di buono (Gv 1,46).

Ma anche in questo si dimostra che tutto, ogni singolo particolare, sta saldo nelle mani di Dio: ‘Nazareno’ o ‘Nazoreo’ evoca vari significati, dato che più parole in ebraico sono formate con le consonanti ‘nzr’, le uniche lettere che venivano scritte: ‘Germoglio’, che spunta dalla radice di Iesse, padre di Davide, ‘profeta’ atteso e annunciato dai profeti, ‘consacrato’ cioè Messia, inviato da Dio con la sua autorità e il suo potere, e anche ‘superstite’, scampato alla strage di Erode, ma ancora più significativo, scampato al peccato di Adamo! Tutti questi possibili significati sono veri e santi, ognuno una meravigliosa profezia della tua identità e del tuo servizio al popolo nuovo. Il soprannome “Nazareno” affibbiato a te, Gesù, da bocche maligne, evoca profezie divine! Per gli uomini esso è un termine negativo, ma per il cuore del Padre è rivelazione del disegno del suo grande amore, che vuol fare di te il dono per tutti gli uomini, il cuore del mondo, la salvezza desiderata e attesa, il re di quel regno che non farà soffrire, ma diffonderà gioia e pace.

  1. Il regno dei cieli Mt 3,1-3

 

3,1In quei giorni venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea 2dicendo:

«Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!».

 

3Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaia quando disse:

 

Voce di uno che grida nel deserto:

Preparate la via del Signore,

raddrizzate i suoi sentieri!

 

7.

Signore Gesù, è trascorso molto tempo, sono passati degli anni a Nazaret. Nonostante ciò Matteo dice “In quei giorni”: che “giorni” sono? Non quelli passati, ma quelli che stanno arrivando: sono quelli di Dio, destinati da lui per incontrare gli uomini. Sono giorni di salvezza. E sono giorni reali della vita degli uomini, della nostra storia. L’evangelista adopera per te l’espressione che trova nel racconto della vita di Mosè: per indicare il suo passaggio dalla vita vissuta per se stesso alla vita spesa nell’ubbidienza a Dio e nel suo servizio, viene detto “In quei giorni” (Es 2,11).

Passati quasi trent’anni, come ci dice Luca (3,23), ecco una novità: non tu, ma Giovanni, prepara i cuori e le menti degli uomini all’incontro con te. Giovanni (nome che significa “Dio è clemente, o Dio fa grazia”) è “il Battista”, colui che immerge nell’acqua, che aiuta a fare abluzioni complete a significare l’avvio di una novità che cambia la vita. Prima di tutto egli “predica”: predicare non ha il significato che ormai diamo noi al termine, come significasse rimproverare, ma viene usato per annunciare in modo ufficiale gli eventi della casa del re; ‘predica’ l’araldo, quando proclama ciò che tutti devono conoscere. Ma di quale regno il Battista è araldo? Lo capiremo dalle sue stesse parole: “il regno dei cieli”. Chi si fa battezzare da lui accetta l’annuncio, e si dispone a cambiare la propria vita.

Giovanni compie il suo incarico “nel deserto della Giudea”: chi va ad ascoltare nel deserto? Il deserto è vuoto, non vi abita nessuno, ma, se qualcuno vi “predica”, anche il deserto si riempie di uditori curiosi, anzi, di ascoltatori. Per andare nel deserto bisogna lasciare le case, le comodità, gli impegni quotidiani: chi lo fa, lo fa solo perché comprende che là ci possono essere parole utili alla vita, parole preziose, messaggi degni appunto di vero ascolto, attento, come dev’essere ascoltata la parola di un profeta, la Parola di Dio.

Dio è abituato a parlare nel deserto, quando cioè non ci sono altri rumori che disturbano la sua voce e non impediscono l’ascolto della sua Parola. Giovanni ha scelto, o meglio, è mandato nel luogo ideale per essere ascoltato dagli uomini con vera attenzione. La sua parola è davvero Parola di quel Dio che lo ha inviato, come anche il profeta Isaia testimonia.

Il suo annuncio importante viene riassunto dall’evangelista con pochissime parole. Un invito, o comando, e una notizia che dà gioia. L’invito indica l’atteggiamento in cui l’uomo deve mettersi per poter godere l’avverarsi della notizia di un fatto voluto e operato da Dio. Si è avvicinato il regno dei cieli: è quanto tutti, tutto il popolo, attendevano da sempre e speravano con tutto il desiderio. I regni degli uomini infatti hanno fatto soffrire abbastanza, troppo, e continuano a far soffrire, e non ci sono segni che facciano prevedere il loro declino. Quando muore un re violento, ne sorge uno peggiore di lui. Le ingiustizie e le prepotenze dei regni umani hanno fatto e fanno desiderare l’arrivo di un altro regno, diverso, che non sia guidato da un uomo, nonostante questi prometta e continui a promettere novità e miglioramenti.

Giovanni annuncia che Dio è all’opera: il suo regno è vicino, il che significa che il re del suo regno è ormai presente, è alle porte. Godremo il suo regnare? Lo godranno tutti? Al suo arrivo saremo tutti in modo automatico felici e soddisfatti nel suo regno?

No, non è così. Perché io possa godere le gioie e la pace di quel regno sarà necessario che accolga colui che viene mandato come re, in modo che sia davvero il re della mia vita. È necessario che io sia in grado di obbedirgli, di rinunciare ai miei desideri per realizzare i suoi. Per questo Giovanni dice quella parola che ha vari significati e che mai del tutto è compiuta da nessun uomo sulla terra. Il compito affidato da Giovanni quindi continua ancora. “Convertitevi”, dice la sua voce nel deserto.

La mente ebraica di Giovanni e dei suoi uditori comprendevano un invito al pentimento. Ogni uomo, anche quelli che ascoltavano nel deserto, avevano ubbidito spesso alla voce del serpente, come Eva. Ogni uomo usa le sue energie per fare “ciò che è male agli occhi del Signore”, e dimentica i suoi insegnamenti per seguire le proprie voglie immediate, quelle provenienti dal corpo con i suoi istinti e quelle provenienti dall’anima con le sue ambizioni e vanità, oltre che con invidie, cattiverie e rabbie variamente motivate dagli egoismi.

Pentirsi è riconoscere che questi comportamenti, con i pensieri che li sostengono, sono malvagi, sono lontani e allontanano dal Padre.

Pentirsi è programmare diversamente le proprie azioni, chiedendo perdono con umiltà, quell’umiltà che si batte il petto senza fare confronti con gli altri.

La parola con cui Matteo, per i suoi uditori greci, traduce l’invito o comando di Giovanni, completa il significato del termine ebraico. I greci, pagani, non avevano nessuna idea del peccato, perché le loro divinità sono la consacrazione dei vizi dell’uomo. E nemmeno oggi molti, sedotti dal panteismo orientale, pensano alla possibilità di essere peccatori. È proprio necessario “Cambiare pensiero”, “cambiare la mente”, come lo ripete anche l’apostolo Paolo: “Dovete rinnovarvi nello spirito della vostra mente” (Ef 4,23), altrimenti non potrete conoscere né incontrare il re, Cristo Gesù!

Com’è lo “spirito della mente” dell’uomo? Come lavora, come ragiona? Esso parte dai presupposti delle proprie abitudini, delle proprie comodità, delle proprie esperienze limitate, delle proprie azioni che si vogliono giustificare, della propria formazione ricevuta nell’infanzia. L’uomo ragiona e pensa cercando ciò ‘che è meglio’ per sé, ciò che più lo soddisfa, ciò che lo rende più grande agli occhi degli uomini, e lo cerca dentro di sé. Come si fa a cambiare? Su quale base?

Ecco, se viene il Re del regno dei cieli, cercherò ciò che è meglio per lui, ‘ciò che è bene ai suoi occhi’, cercherò di uniformarmi ai suoi modi di fare, farò ciò che può dar gloria a lui, ciò che realizza i suoi desideri. Per questo il “convertitevi” esige un ascolto nuovo, attento, disponibile, vigilante, della Parola. Ancora, il “convertitevi” esige che io non tenga lo sguardo rivolto al passato, né per vantarmi né per recriminare: invece guarderò avanti, là dove cammina lui, il Re venuto che sempre viene: correrò “tenendo lo sguardo fisso su di lui” (Eb 12,2), per conoscerlo e fare miei i suoi desideri!

Giovanni, proprio lui, è quello che ci prepara davvero. Per lui già il profeta Isaia ha speso parole, perché è necessario che venga e quindi è indispensabile che chi vuole essere pronto per il Regno lo ascolti.

Tu, Gesù, non cogli nessuno di sorpresa, non vieni improvvisamente. Il tuo venire è sempre preparato da qualcuno, da qualcuno che come Giovanni parla nel deserto. Là prepareremo la via, in modo che il re non trovi ostacoli che ritardino il suo venire! Così ubbidiremo anche al profeta che ha annunciato la venuta e la predicazione di Giovanni.

Vieni, Gesù.

 

 

8. I suoi sandali     Mt 3,4-12

 

4E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico.

5Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui 6e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.

7Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? 8Fate dunque un frutto degno della conversione, 9e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. 10Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. 11Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. 12Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».

 

8.

Signore Gesù, abbiamo una domanda. Giovanni, era pronto al tuo Regno? Ci risponde il tuo evangelista, raccontandoci come l’annunciatore del tuo Regno si stava preparando.

Egli viveva nel deserto, là dove predicava. Il deserto non era solo luogo per accogliere gli altri: prima di tutto era il suo ambiente, la sua dimora. Chi veniva a lui non aveva l’impressione di vivere una commedia. Il suo vestiario e il suo nutrimento erano quelli del deserto. Il suo abbigliamento era quello tipico dei profeti, pungente assai, fatto di peli di cammello, con larga fascia ruvida di pelle per cingersi, in modo che la sua penitenza non fosse solo predicata agli altri. Nessuno poteva invidiare il suo vestito né per bellezza, né per morbidezza, e nemmeno per il profumo.

E per mangiare? “Come gli uccelli del cielo”, ciò che il creato gli offriva: locuste commestibili e radici dolci o resine, dette “miele selvatico”, ricuperato da qualche pianta cresciuta negli anfratti e nei burroni.

Come ha detto Isaia, egli poteva proprio “predicare” nel deserto, perché la voce della sua presenza laggiù arrivava come una novità che suscita curiosità, e correva di bocca in bocca, cosicché molti, tutti quelli che desideravano il Regno nuovo, arrivavano, attirati dal suo modo di vivere, che dava valore e peso alle sue parole. Dopo aver lasciato il conforto della città col suo tempio o le comodità dei villaggi della regione circostante, volevano tutti davvero pentirsi e cambiare modo di ragionare: infatti “si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati”. Confessare i propri peccati significa riconoscerli: riconoscerli davanti ad altri richiede umiltà e determinazione, e questo aiuta a trasformare il cuore. Farsi battezzare poi manifesta agli altri la volontà di un cambiamento radicale e profondo. Per queste persone non è più sufficiente presentarsi al tempio con qualche animale da offrire in sacrificio, perché vogliono offrire a Dio in sacrificio se stesse col pentimento e il cambiamento del pensare: tu, Gesù, sei già presente nel loro desiderio.

Non solo coloro che sanno riconoscersi peccatori arrivano nel deserto. Il movimento della folla attira anche, per curiosità o per convenienza? o per malizia?, coloro che non sono capaci né di pentirsi né di voler cambiare modo di ragionare. Arrivano i farisei, che si ritengono i giusti, bisognosi di nulla, e i sadducei, ricchi che non sono disposti a mollare le ricchezze e il loro ragionare fondato su calcoli finanziari. Vengono insieme agli altri, ma Giovanni li riconosce. Vede il loro cuore ipocrita. Vede che essi vivrebbero il suo battesimo come commedia, cioè menzogna, inganno e scandalo per i semplici.

Il tuo precursore, prevedendo ciò che tu stesso, Gesù, dirai a questa gente, rivolge loro la parola con forza e con chiarezza. “Razza di vipere” è la loro identità. Essi sono figli del serpente, perché da lui hanno imparato e a lui danno credito, pronti ad ubbidirgli. Sono figli del serpente che ha ingannato Eva, e di quei serpenti che hanno eccitato gli israeliti a mormorare. Vogliono farsi vedere umili, ma umili non sono. Danno da credere che anch’essi si preparano al regno dei cieli e ad accoglierne il Re, ma saranno sempre pronti a tendergli tranelli e a colpirlo col loro veleno, e a frenare e fermare quelli che nel regno vorrebbero entrare con verità e semplicità. Sono serpenti, che, anche se si immergessero nell’acqua, ne uscirebbero ancora serpenti pronti ad avvelenare chiunque li avvicini.

 

Giovanni svela i loro pensieri, come anche tu, Gesù, farai ogni volta che essi ti tenderanno tranelli. Il tuo precursore dice loro che non è possibile vantarsi di nulla e di nessuno, nemmeno di avere Abramo per padre. Lo dice a loro, ma io ascolto per me. Semmai, l’avere Abramo per padre, è motivo di vergogna e di disonore, perché di lui non apprendo la fede e non imito la ubbidienza. Il mio albero, se è senza frutto di penitenza e di cambiamento, non può più occupare posto. Dovrò affrettarmi, perché la scure per abbatterlo è pronta.

E adesso il tuo precursore parla finalmente di te, immensamente più importante di lui. Lui battezza nell’acqua soltanto per iniziare un cammino di penitenza onde rendere stabile la conversione, mentre tu hai un battesimo che mette dentro l’uomo lo Spirito nuovo, lo Spirito Santo promesso già dal profeta Ezechiele. E sarà accompagnato dal fuoco che scalda e illumina, che ci rende strumenti adatti alle ‘mani’ di Dio. Giovanni riesce solo a toglierci il cuore di pietra, mentre tu porrai in noi il cuore di carne. Lui toglie gli spiriti dell’egoismo e della menzogna, mentre tu porrai dentro di noi lo Spirito Santo che ci rende simili a Dio.

Giovanni dice ancora che egli, per quanto ascoltato dalle folle della città santa e della Giudea, non è nulla al confronto di te: non è degno nemmeno di portare i tuoi sandali. Dichiarazione di incapacità e di umiltà? Si, ma anche allusione al tuo compito di rappresentare e di essere lo Sposo del popolo d’Israele, che lo prende come sposa per far nascere a Dio una discendenza che lo serva nei secoli!

Tutti ora ti aspettano con grande desiderio e con gioia. Giovanni ha compiuto la sua missione, può cedere il posto e la parola a te, designato ancora come “più forte” di lui. Tutti dovranno rivolgersi a te per farsi tener per mano dalla tua forza di salvezza.

Di te dice ancora che “tieni in mano la pala”: tu ripulirai e avrai capacità di raccogliere, perché non vada perduto, il grano buono, e tu ne brucerai la pula. Sei il giudice del mondo, Gesù, sei il giudice di tutti, sei il re cui appartiene ogni qualifica regale. Davvero noi ora guarderemo solo a te, ringraziando anche il tuo servo e amico Giovanni!

  1. Ogni giustizia Mt 3,13-17

 

13Allora Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui. 14Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». 15Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Allora egli lo lasciò fare. 16Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. 17Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento».

 

9.

Signore Gesù, ora ti incontriamo! Matteo ci ha preparati a questo incontro: Dio stesso ha voluto che fossimo ricchi di quell’umiltà cui Giovanni ci ha esortati.

Eri in Galilea, la regione dove Giuseppe ha voluto custodirti con tua madre e dove sei rimasto silenzioso, senza mai far parlare di te per molti anni. Ora anche tu ti unisci al corteo delle persone umili che si umiliano davanti a Giovanni immergendosi nel fiume mentre confessano i propri peccati. Le acque di questo fiume erano state attraversate dal popolo quando arrivava finalmente alla terra dei suoi desideri, quella che Dio aveva promesso già ad Abramo. Erano state attraversate grazie all’atto di ubbidienza a Giosuè e di fede in Dio, ubbidienza iniziata dai sacerdoti che portavano l’arca (Gs 3,14ss). Era Giosuè il primo, lui riceveva la tua Parola e la trasmetteva al popolo. Il suo nome richiama il tuo, lo ricalca. Ora devi metterti tu a capo del popolo, e lo devi fare con un atto di obbedienza alla Parola di colui che mai parla invano. E questa obbedienza avviene proprio nel Giordano.

Tu vuoi partecipare all’umiltà degli uomini. Essi sono peccatori, e per questo si umiliano, per iniziare con un atto di obbedienza la via del ritorno al Padre. Tu sei stato mandato per guidarli, per insegnare loro la via, anzi, per essere la via sulla quale essi dovranno camminare. Perché essi ti possano riconoscere come loro guida ti metti davanti ad essi sulla loro strada. Eccoti perciò davanti a Giovanni.

L’uomo che predica nel deserto, al vederti così umile, è imbarazzato. Ha già detto che lui battezza soltanto con l’acqua, e che tu sei venuto a battezzare “in Spirito Santo e fuoco”. Egli stesso desidera questo nuovo battesimo, che nessun uomo può sognarsi di dare. Il suo desiderio è santo. Ma la tua volontà è “giusta”, è obbedienza al volere di Dio che ha detto: “Beato l’uomo che non entra nel consiglio dei malvagi, non resta nella via dei peccatori” (Sal 1). Dio vuole che tu entri “nella via dei peccatori”, ma non per restarvi, bensì per condurli fuori tutti. Non è Giovanni che conduce gli uomini lontano dal peccato sulla strada verso il Padre, ma tu, soltanto tu. Tu devi essere battezzato da lui, perché anche Giovanni dev’essere condotto sulla strada verso il Padre. Per questo devi entrare nell’acqua dalla quale tutti saliranno dietro a te per entrare nella terra del regno dei cieli che viene. Così voi, tu e Giovanni, adempite “ogni giustizia”. Tutti e due insieme realizzate la volontà del Padre di salvare gli uomini: “ogni giustizia” è la salvezza di tutti i peccatori. Tu hai realizzato quanto poi si dirà: “Doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo” (Eb 2,17).

Conviene che adempiamo ogni giustizia”, Giovanni battezzando te e tu accogliendo il suo battesimo: i peccatori confessavano i loro peccati, tu accoglievi il loro desiderio di conversione e ponevi su di te il peso di quei peccati, e in tal modo li salvavi. Tu mostri a Giovanni la tua umiltà, un’umiltà mai vista, quella che si addossa i peccati degli altri. Così è adempiuta la giustizia, così si compie la volontà del Signore: “Poiché si è umiliato davanti a me, non farò venire la sciagura durante la sua vita” (1Re 21,29). Tu sai che “dagli umili egli è glorificato” (Sir 3,20). Con la tua umiltà hai glorificato il Padre, hai fatto vedere il suo amore realizzandolo, ed egli ora glorifica te. A Giovanni hai detto: “lascia fare per ora”: sì, è solo un momento di passaggio l’umiliazione del portare il peccato degli uomini, dopo viene la gloria, come sta scritto: “prima della gloria c’è l’umiltà” (Pro 15,33), e inoltre: Dio “guarda verso l’umile” (Sal 138,6). Tu Gesù ci fai aspettare, come alle nozze di Cana e come con la donna cananea: tu stesso agisci quando il Padre ti manifesta i tempi dell’agire.

Quando tu sali dall’acqua la sorpresa non si fa attendere. Questa è la tua prima salita, la prima ascensione, cui ne seguiranno altre, fino a quella sulla croce, prima che il Padre ti faccia ascendere alla sua destra.

Ora la sorpresa, per te e per Giovanni: “Si aprirono i cieli”, come si erano aperti per un momento al profeta Ezechiele (1,1). Il cielo, luogo di Dio, sempre tanto misterioso da apparire distante agli occhi degli uomini, manifesta i suoi segreti, apre i suoi tesori. Sopra di te “i cieli” appaiono aperti: tu unisci Dio agli uomini, la dimora di Dio con la tenda degli uomini. Dove sei tu, Dio abita sulla terra e gli uomini abitano il cielo. A te sono rivelati, e tu rivelerai a noi i voleri del Padre, e ci farai vedere il suo volto, finora nascosto.

Ora gli occhi vedono ciò che nessuno ha mai visto: lo Spirito di Dio scende e viene su di te. Per aiutarci a comprendere egli discende “come una colomba”: nessuna sfumatura di violenza, nessun accenno a durezza, come i profeti si attendevano dall’alto, ma solo tenerezza e semplicità. La colomba discende, come sulle acque della prima creazione, per mettere ordine e pace, così ora si posa su di te, che inauguri la nuova creazione. Nella nuova creazione non regnerà più il peccato, ma l’amore del Padre che tu porti, e ci sarà la pace e l’ordine là dovunque sarai accolto.

E gli orecchi odono parole nuove pronunciate da una voce che nessuno mai ha udito, nemmeno Mosè sul monte, così chiara e distinta. La voce parla di te, Gesù, e ti presenta a noi. Noi la ascoltiamo, noi che ne faremo tesoro e ne trarremo felici conseguenze. Tu vieni chiamato “il Figlio mio, l’amato”. Comprendiamo così chi è colui che parla pur rimanendo nascosto, che si rivela grazie a te. È il Padre tuo. Tu sei per lui il Figlio, colui di cui parlano il salmo secondo e i profeti: un figlio che da Dio è costituito per essere il re, cui saranno date “in eredità le genti e in tuo dominio le terre più lontane” (Sal 2).

E ancora tu sei “l’amato”, colui che introduce il vero amore, quello di Dio, tra gli uomini; sei amato da lui come Isacco dal padre suo Abramo, che l’aveva avuto nella sua vecchiaia quale prodigio della fedeltà di Dio (Gen 22,2). Tu comprendi che sarai tu a realizzare la profezia del sacrificio di Isacco, sacrificio necessario per portare, con la tua presenza, l’amore del Padre vicino a noi, uomini. Così ci salvi e ci liberi dalla forza del peccato del mondo, e dai alla vita umana un orientamento nuovo.

Tu infatti ci orienti a camminare non più sulla via che ci allontana dal Padre, ma su quella che ce lo fa incontrare per ricevere il suo bacio e il suo abbraccio.

Ancora: su di te il Padre ha “posto il mio compiacimento”, come testimoniano i profeti. Ci viene tolto ogni dubbio: sei tu il servo di cui Isaia scrive: “Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio” (42,1). Sei il Servo che porta su di sé le nostre iniquità, che porge il dorso ai flagellatori, che è reietto, disprezzato e trafitto. Con poche parole il Padre mette davanti a noi il contenuto di tutte le Scritture, che tu cominci a realizzare adesso, sostenuto dalla testimonianza di Giovanni.

Tutto il progetto del Padre di ritrovarci e riaverci, scovandoci dal nascondiglio del nostro peccato, dove già Adamo ci ha lasciati nella tenebra, tu, Gesù, e Giovanni lo avete portato a compimento, manifestando la pienezza di “ogni giustizia” del Padre.

 

  1. Il diavolo Mt 4,1-11

 

4,1Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. 2Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. 3Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». 4Ma egli rispose: «Sta scritto:

Non di solo pane vivrà l’uomo,

ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio».

5Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio 6e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti:

Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo

ed essi ti porteranno sulle loro mani

perché il tuo piede non inciampi in una pietra».

7Gesù gli rispose: «Sta scritto anche:

Non metterai alla prova il Signore Dio tuo».

8Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria 9e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». 10Allora Gesù gli rispose: «Vattene, Satana! Sta scritto infatti:

Il Signore, Dio tuo, adorerai:

a lui solo renderai culto».

11Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.

 

10.

Signore Gesù, lo Spirito sceso su di te è subito all’opera, non lascia tempi di vacanza. Egli ti ‘conduce’ là dove aveva condotto il popolo per salvarlo dalla schiavitù del Faraone. Eccoti nel deserto, il luogo di nascita del popolo d’Israele, dov’esso ha maturato la consapevolezza di essere popolo di Dio, sua proprietà, suo servo, e santificatore del suo nome. Il deserto è il luogo dove Dio attira il fedele per parlare al suo cuore (Os 2,16)! Là il popolo ha fatto pure esperienza della sua protezione. Lo Spirito ti fa ripercorrere le strade del popolo, che sei venuto a salvare dai suoi peccati: esse attraversano il deserto. E il deserto, per te come per loro, è il luogo dove bisogna superare difficoltà che diventano prova: prova di ascolto, prova di fedeltà, prova di libertà dagli egoismi.

Nel deserto le prove sono volute da Dio, perché ogni amicizia, e soprattutto l’amicizia con lui, va messa alla prova. Ma di esse si appropria il tentatore, che le fa diventare un’insidia, con l’intento di far cadere nella disobbedienza, nella distrazione, nell’infedeltà, nell’essere schiavi dei primi istinti.

Tu ti prepari a sostenerle con il digiuno, come si sono preparati Mosè (Es 34,28) ed Elia (1Re 19,8). Il digiuno dà forza allo spirito e luce alla mente, mentre indebolisce gli impulsi del corpo.

La fame diventa alla fine una necessità inevitabile. Tu non hai fatto come Giovanni, non hai cercato le cavallette e le radici commestibili, che a Nazaret non avevi conosciuto.

La fame l’aveva conosciuta tutto il popolo che seguiva Mosè. Pur avendo sperimentato la potenza e l’amore di Dio, quando ha diviso per loro il mare, non gli diedero fiducia e mormorarono, lamentandosi con Mosè e Aronne, che invece hanno implorato e ottenuto la manna.

Tu come ti comporti? Ecco la facile esca del diavolo: egli vuole prendere nella sua mano la prova della fame per distrarti dal Padre. “Se sei figlio di Dio, di’…”: devi usare la parola come Dio, quando ha creato il mondo, e le pietre ti ubbidiranno. Tu hai ancora nelle orecchie la voce risuonata al Giordano mentre salivi dall’acqua: “Questi è il figlio mio…”. Il tentatore vuole crearti una doppia distrazione: sarà vero che sei figlio di Dio? L’altra è ancora peggiore: essere figlio significa possedere ciò che possiede il proprio padre, quindi, per te, gli stessi poteri di Dio: in tal modo il tuo Dio appare simile agli dei pagani, invidiosi gli uni degli altri, affamati di potere. È astuto il tentatore. Ma tu sei vigilante. Sai che la Parola del Padre è più vera di qualsiasi altra e che lui non è il Dio dei poteri, ma il Padre che ama. Essere figlio significa essere amato e protetto e imparare ad amare. Quindi tu rispondi: ‘Dato che sono figlio, ho un Padre che mi ama: io ascolto lui. Lui mi dirà cosa devo fare, perché lui si occupa di me. Ho bisogno solo di nutrirmi delle sue parole’. E tu sai, Gesù, che la “parola che esce dalla bocca di Dio” sono le parole dei profeti (Is 1,20). Tu rimani in ascolto attento delle Scritture, che ora acquistano maggior valore, perché non sono soltanto nutrimento, bensì pure armi invincibili. E quando troverai la folla affamata, alzerai gli occhi al cielo ringraziando, e il Padre ti concederà di riempire le mani dei tuoi discepoli per offrire il pane a tutti fino alla sazietà e avanzarne persino dodici ceste piene.

Il popolo poi, incontrando la difficoltà della sete, volle mettere alla prova Dio: “Il Signore è in mezzo a noi, si o no?” (Es 17,1-7), come a dire: ‘mostraci se ci sei, compiendo un nuovo miracolo’. Questo equivaleva ad un nuovo atto di diffidenza. Nessuno avrebbe impedito loro di chiedere a Dio l’acqua con umiltà e fiducia. Il tentatore vuole usare anche questo tranello con te, Gesù. Ti porta per questo alla città santa e al tempio in essa, luoghi dove Dio è particolarmente presente. Vuole così rendersi simpatico, seducente, facendosi vedere capace di devozione? Ma, proprio lì: “Se sei figlio di Dio, buttati giù…” e ricorda persino la Parola, quella del salmo (91,11) che promette un intervento di protezione nelle difficoltà mortali. Ti propone di pretendere da Dio un intervento miracolistico. È vero che c’è la promessa di protezione da parte di Dio, ma non è vero che è necessario creare la difficoltà per metterlo alla prova. Tu sei ancora vigilante e ripeti con forza la Parola: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”.

Il popolo nel deserto al prolungarsi dell’assenza di Mosè non è stato capace di attendere, di pazientare, ma volle risolvere la difficoltà dotandosi di un vitello di oro, di metallo fuso, per adorarlo come dio. E non seppe resistere alla tentazione di essere come gli altri popoli, guidati, o meglio, dominati da un re. Non si accorgevano che i re del mondo sono oppressori, perché sono uomini, ricchi sempre di egoismo e di sete di potere. Il tentatore ti fa contemplare i regni del mondo: ti fa capire che nessuno potrebbe regnare sugli uomini meglio di te, che sei figlio di Dio! Tentazione finissima, che usa persino l’amore per… farti usare la violenza. Sì, perché i regni umani, quando sono fondati sul dominio e sull’egoismo, sono regni di lupi nelle mani del ‘principe di questo mondo’. Difatti nessuno di essi è “regno dei cieli”, quello predicato ormai “vicino” da Giovanni.

Tu sei venuto per essere il re del regno dei cieli, e perciò rifiuti anche questa proposta del tentatore. I regni del mondo bisognerebbe riceverli dalle sue mani, avide talmente da voler possedere persino il cuore di quelli che dice voler beneficare. “Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai”: vuole addirittura mettersi al posto di Dio nel cuore dell’uomo.

Grazie, Gesù, per la tua vigilanza e decisione. L’hai usata ancora, quando sono venuti a prenderti per farti re (Gv 6,15), e l’hai usata per tacere con pace e con gioia quando ti dicevano: “Salva te stesso, se tu sei Figlio di Dio, e scendi dalla croce”, e “È il re d’Israele, scenda ora dalla croce e crederemo in lui” (Mt 27,40.42).

Il tentatore, sempre ‘diavolo’, è all’opera per distrarre i figli di Dio in modo che non lo considerino Padre, e per allontanarli da lui in modo che vadano incontro alla propria distruzione. Anche tu però, mio Signore Gesù, sei sempre presente, e, dovunque vieni chiamato ad intervenire, sei vincitore. Tu ci doni gioia nell’adorare il Padre insieme a te, mettendo nelle sue mani la nostra vita e attendendo con fiducia estrema i suoi interventi.

 

Tu ci hai mostrato che il Padre è veramente degno di essere amato “con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutte le tue forze”, cioè con tutti i tuoi beni.

Amarlo con tutto il cuore è amarlo con gli impulsi buoni del cuore, ma anche con gli istinti cattivi, sottomettendoli a lui. Tu hai sottomesso a lui anche la fame!

Amarlo con tutta l’anima, con tutta la vita, lo possiamo fare affidandoci a lui senza pretendere nulla, senza esigere da lui soluzioni miracolistiche ai nostri problemi. Tu dal Padre non hai preteso nulla, nemmeno che ti tolga dalla croce.

Amarlo con tutte le forze, cioè con tutti i beni, tu l’hai fatto davvero rinunciando alla ricchezza e al potere, che induce all’idolatria, sapendo che il Padre sa ogni cosa e provvede anche a te come agli uccelli del cielo. Ti ha fatto re del suo regno, re cui moltitudini di cuori ti ubbidiscono!

Non può nulla il diavolo per rovinare il tuo cuore: così chi si è esercitato a vincere le tentazioni insieme con te: ne affronterà altre ancora, facendo sempre meno fatica a superarle.

Ora gli angeli vengono davvero. Tu non li hai chiamati, ma il Padre è davvero Padre, e te li manda. Essi ti portano il pane, ti dimostrano con i fatti che Dio è amore, si mettono a tua disposizione come i servi al loro re. Hai superato la prova e ora Dio ti dà il voto di promozione.

 

11. Gesù cominciò a predicare          Mt 4,12-17

 

12Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, 13lasciò Nazaret e andò ad abitare a Cafarnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zabulon e di Neftali, 14perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia:

 

15Terra di Zabulon e terra di Nèftali,

sulla via del mare, oltre il Giordano,

Galilea delle genti!

16Il popolo che abitava nelle tenebre

vide una grande luce,

per quelli che abitavano in regione e ombra di morte

una luce è sorta.

 

17Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino».

 

 

11.

Signore Gesù, hai superato la triplice prova: la vera fedeltà viene provata tre volte. Pure Pietro ha avuto tre occasioni per dirsi tuo, e le ha perdute, e poi tre per confermarti il suo amore.

Tu ora, dopo aver goduto il servizio degli angeli di Dio, esci dal deserto e ritorni in mezzo agli uomini.

Subito ti raggiunge una notizia ‘brutta’, o, meglio, brutta sarebbe per noi. Tu l’hai accolta come un segno di Dio che ti guida, come tuo padre Giuseppe si lasciava guidare dalle parole udite nel sogno, rifugiandosi in Galilea, quando seppe d’essere in pericolo. Anche tu ora vieni a sapere che la tua vita è in pericolo, perché colui che ha arrestato Giovanni potrebbe consegnare anche te alla morte. Troppa gente seguiva Giovanni, tanto da poter essere sospettato di diventare un capo di popolo che può creare problemi. Il figlio di Erode penserà che quelli che ascoltavano Giovanni ora seguiranno te, che da lui sei stato presentato come il “più forte”: perciò anche la tua vita è certamente in pericolo.

Ti sei recato prima a Nazaret, dove però eri già conosciuto, e da qui a Cafarnao, città molto più abitata e luogo di passaggio di mercanti, di soldati, di viaggiatori sconosciuti con mete lontane, luogo di pescatori e lavoratori, centro commerciale frequentato. Da questa città le notizie che ti riguarderanno saranno diffuse con celerità ovunque nel mondo.

Ma tu scegli la Galilea, e in essa un centro nevralgico di importanza mediatica notevole, per un altro motivo, perché conosci la Parola uscita “dalla bocca di Dio”. Essa, per mezzo di Isaia, dice che è proprio la “Galilea delle genti” il luogo dove “una luce è sorta”. Galilea, ‘regione delle genti’, è la regione che un tempo era occupata dalle tribù di Zabulon e di Neftali, ma i suoi abitanti già nell’ottavo secolo sono stati deportati. Gente pagana ha preso il loro posto, ripopolandola. Al ritorno dall’esilio vi si sono ristabiliti di nuovo gruppi di ebrei, mescolandosi con i pagani residenti. È una regione perciò dove la popolazione è ‘pluriculturale’, dove accanto a fedeli ebrei vivono pagani. E inevitabilmente gli uni sono influenzati dalle credenze e abitudini degli altri.

Tu, Gesù, sei attirato in questa regione non per convertire i pagani, ma perché il profeta ha parlato di “una grande luce” che ha illuminato quella terra. E che altra luce può illuminare il mondo se non tu? La luce è “grande”, è nuova: non è più soltanto la luce della Legge. Questa potrebbe essere paragonata alla luce della luna, mentre la tua luce a quella del sole!

Quella Parola si compie con il tuo arrivo. Qui, terra buia, senza purezza di fede, il popolo abita “nelle tenebre” dell’idolatria, dell’ignoranza della Parola, della confusione che impedisce l’obbedienza a Dio. Questa regione, ultima di tutte, disprezzata a Gerusalemme, è tuttavia amata da Dio, perché anche per essa valgono le sue promesse. I cuori degli uomini qui non sono così superbi e chiusi nell’ipocrisia, come invece proprio là dove si vive alla luce della Legge. Non è la luce della Legge che sorge ora in questa regione, ma la vera luce che la Legge ha solo prefigurato e preparato, e dalla quale la Legge riceve importanza e forza.

Tutta la tua presenza in Galilea è obbedienza: per questo è costellata di prodigi, perché il Padre gode di ogni tuo atto di obbedienza alla sua Parola.

 

Tu hai “cominciato a predicare”. Giovanni ha terminato, ora sei tu che continui, e continui con il suo stesso messaggio: “Convertitevi, si è avvicinato infatti il regno dei cieli”. Anche questa è un’obbedienza, il ripetere quanto il tuo precursore ha annunciato.

Ora però l’urgenza è diversa. Il regno dei cieli, regno nuovo, non solo è vicino, ma è già qui, perché è qui, ovunque tu sei, il Re del regno dei cieli. E perciò anche la conversione può essere più precisa: non è solo tornare indietro dalla strada del peccato e della disobbedienza, ma è guardare te e ascoltare te, ubbidire alla tua voce. Convertirsi ora non significa soltanto cambiare modi di pensare e di ragionare, bensì cambiarli sostituendoli con i tuoi. Tu sei il nuovo centro di attenzione, perché tu sei la “grande luce” che splende e trasforma “la regione e ombra di morte” in luogo di gioia e di vita vera. ‘Convertirsi’ ora è seguire te!

 

La tua predicazione è cominciata con la tua voce, ora continua con molte voci e molte lingue, perché la Galilea delle genti è estesa quanto la terra, perché i popoli che abitano nelle tenebre sono molti, tutti, e perché l’ombra di morte avvolge tutte le regioni del mondo.

La tua Chiesa continua a “predicare”:

«Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino».

La nostra vita dietro a te è annuncio, è il far vedere a tutto il mondo che il Regno è presente, è iniziato, e ognuno può entrare e goderne i benefici seguendo te, il Re! Lo facciamo vedere vivendo il tuo comandamento nuovo: “Amatevi gli uni gli altri”. L’amore umile che si lascia amare è la caratteristica del tuo regno!