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Vado a Messa

Vado a Messa

 

Allora l’Agnello mi disse:

“Scrivi: Beati gli invitati

al banchetto delle nozze dell’Agnello!”

(Apoc 19,9)

 

La Messa è il momento culmine della vita cristiana: in essa incontriamo il Signore Gesù, rallegrando il cuore del Padre! In essa riceviamo abbondanza di Spirito Santo, e quindi cresce la nostra comunione con Dio e con i fratelli di tutta la Chiesa. In essa impariamo ad amare il mondo intero e ad offrirci per esso!

Purtroppo ci siamo forse “abituati” ad andare a Messa. Ci andiamo come ad un rito vuoto, senza vita, e allora il nostro andare non porta alcun frutto.

Qui ti comunico qualche riflessione con l’eco di ciò che si svolge in me durante la celebrazione. Potrebbe forse esserti utile sentire come un prete la vive, utile anche per farne la parte principale della tua esistenza.

Queste pagine raccolgono alcuni articoletti che ho pubblicato su un bollettino interparrocchiale (Voci di Primiero, dal 1978 al 1980). Non sono un trattato sull’Eucaristia, e perciò non ho avuto nessuna pretesa di essere esauriente. Del resto non si possono mai descrivere in maniera esauriente i misteri della fede!

don Vigilio Covi

 

Un saluto

I bambini che entrano per la prima volta in sagrestia restano a bocca aperta vedendo i grandi armadi pieni di preziosi paramenti che la povertà dei nostri vecchi vi ha deposto.

Quando io li indosso so di indossare non stoffe preziose, ma la fede e lo spirito di sacrificio e il grande amore per Dio che genitori, nonni e bisnonni alimentavano con generosità ammirevole, ora premiata dal Padre celeste: quest’oro e questi ricami sono la primizia delle loro fatiche, sono un’espressione di ciò che è rimasto della loro fede, della loro vita.

È rimasto ancora qualcos’altro... ed è la nostra fede, è quel senso religioso che spinge la gente a venire la domenica, quella gente che io, uscito dalla sagrestia vedrò sparsa nei banchi della chiesa. Talvolta � non sempre � mi chiedo proprio se c’è solo il rimasuglio della fede degli antenati nei banchi, o se c’è anche della fede nuova. Ma le cose si mescolano a tal punto che è difficile distinguerle. Anche tra le parole che io dico nella Messa ce ne sono di antiche di duemila anni e di nuove, e ormai non si distinguono più: fanno parte di un’unica obbedienza e di un unico atto di amore a quel Gesù che ha detto: “Fate questo in memoria di Me”.

È bello quel gesto con cui iniziamo insieme: un segno di croce sul corpo, un segno che ripete la nostra consacrazione: noi siamo di Dio, di quel Dio che ha dato se stesso senza riserve. È il segno posto all’inizio della vita e alla fine. Con esso cominciamo e terminiamo la giornata. Con esso cominciamo e terminiamo questa riunione. Anche chi arriva in ritardo non lo dimentica. Non siamo qui per nostra volontà, ciò che facciamo non lo facciamo a nome nostro, ma nel Nome di quel Padre che ha mandato il Figlio e ci avvolge a destra e a sinistra col suo Spirito. È un segno che fa memoria del battesimo, ma anche delle confessioni dei miei peccati: anche allora quel segno era stato ripetuto su di me: ora me ne voglio ricordare, con riconoscenza.

E poi io saluto (intenzionalmente anche i ritardatari) con le parole con cui S. Paolo salutò in una lettera i cristiani di Corinto... e tutti gli altri che lungo i secoli l’hanno letta:

“La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi” (2Cor 13,13).

È un saluto stupendo. Come fare a spiegarlo? Non è solo un “buongiorno, benarrivati”, è comunicazione di qualcosa di Dio: la bocca del prete butta fuori non cose d’uomo, ma di Dio. Taluno, più vigilante, al suono di quelle parole sente entrare nel suo animo una novità: grazia, amore, unione di spirito coi fratelli presenti. Io lo sento quasi come un’eco: “E con il tuo spirito”. Il più bel “buongiorno, reverendo” non vale questa risposta. Con questa parola, che taluno si lascia scappare di tra i denti solo meccanicamente senza rendersene conto, mi date il più bel saluto della giornata e il più bello di cui siate capaci. Vi rendete conto che mi dite che il mio spirito sia unito a Dio?

È ben necessario perché io possa continuare nella celebrazione. A volte quel saluto che mi date è una doccia fredda che mi sveglia. ... Ero arrabbiato coi chierichetti, ero stufo di molte cose, viste e udite, ero sconsolato del numero esagerato di banchi vuoti, ero immerso coi pensieri in quella famiglia o in quel problema, e voi mi avete detto: “E col tuo spirito (siano le cose di Dio e Dio stesso)”! Devo subito scuotermi e rimettermi nell’amore del Padre e nell’offerta di sé del Figlio. Devo immergere nuovamente il mio spirito nello Spirito Santo, se non voglio trasformare in menzogna quel “Signore pietà” che viene subito dopo.

 

I miei peccati

 

“Che c’entrano i fratelli coi miei peccati ? Basta se dico: “Confesso a Dio onnipotente...”. I miei peccati sono cosa privata e guai a chi li tocca!”.

Li deve toccare il sangue di Cristo. Li deve prendere in mano proprio Lui, il Figlio di Dio, che si è fatto ormai tutt’uno col suo Corpo, la Chiesa. Ciò che fa il corpo lo sa il capo, ciò che fa il Capo lo sa il Corpo. Ciò che fa Cristo lo fa il suo Corpo, la Chiesa. I miei peccati, che hanno messo luridume sul Corpo di Cristo, la Chiesa, sono affare di tutti: non da quando ne chiedo il perdono, ma da quando li ho commessi: da quel momento hanno infiacchito il Corpo di Cristo, ne hanno offuscato la gioia, la testimonianza del Risorto, hanno trascinato nella tiepidezza molti altri fratelli, soprattutto quelli che non si sono accorti di nulla, che non dubitano che io sia nel peccato. “Confesso a voi fratelli”... sono peccatore dinanzi a Dio. Nella mia vita ci sono anche peccati di omissione, di pensieri e parole. Perciò abbiate pietà di me e non prendete troppo l’esempio da me: è troppo poco. Prendete l’esempio da Gesù Cristo.

I peccati “mortali”, quelli che hanno rotto l’unione coi fratelli e con l’amore di Dio, sono stati perdonati nel sacramento della confessione. Non hanno posto durante la Messa, rovinerebbero troppo il clima di Spirito Santo: hanno bisogno di un trattamento speciale, di essere cancellati chiedendo esplicitamente perdono alla comunità (attraverso il ministro di essa e di Dio). Ma quante altre imperfezioni d’amore e cadute d’egoismo e quante tentazioni non prontamente evitate, e quante parole e atteggiamenti non controllati hanno costellato la settimana! Chiedo purificazione, e le parole del prete mi assicurano l’amore di Dio e la sua intenzione di non lasciarmi perdere: “Dio onnipotente abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati...”!

Quei miei peccati di ogni giorno e di ogni ora, di cui spesso nemmeno mi accorgo, e che annacquano il mio amore per Dio e l’amore di Dio in me per i fratelli, non hanno più consistenza. Ora la parola del prete mi purifica, ciò che bolliva nel cuore e mi impediva la pace ora ha smesso d’inquietare e posso unirmi all’esplosione di gioia degli Angeli di Betlemme: “Gloria a Dio...”. A Gesù Cristo si può batter le mani, o meglio applaudire con questo canto, che � se accompagnato dall’organo � fa invidia ai cori celesti!

Finito questo canto invito tutti alla preghiera e la pronuncio io a nome della comunità riunita. È sempre diversa, ma sempre è frutto della nostra umiltà: abbiamo bisogno di tutto; nessun amico e nessuna società o organismo o assicurazione o governo o patronato può mettere nel nostro cuore tutto quello che ci può stare: la gioia, l’amore, la somiglianza con Dio, lo Spirito stesso di Dio: a lui alziamo gli occhi supplicanti e fiduciosi.

Ora mi siedo anch’io insieme con voi. Una volta tanto anche il prete tace e ascolta. E con piacere! La Parola di Dio, che ora un uomo o una donna stanno proclamando, è fatta non solo per uscire dalla mia bocca, ma anche per entrare nei miei orecchi e trasformarsi in ubbidienza al Padre. Chiunque sia colui che legge, è Dio che mi sta parlando. A volte � è vero � solo il prete capisce quello che viene letto: “quel profeta o quel libro dal titolo strano... l’avranno capito gli Ebrei di tremila anni fa: a me non dice niente...”.

 

In ascolto

 

Siamo arrivati al momento in cui, seduti, più o meno comodamente, ascoltiamo o facciamo finta di ascoltare la Parola di Dio. Dico così perché in realtà succede l’una e l’altra cosa.

La Parola che ci viene proclamata dovrebbe penetrare fino al punto d’incontro dell’anima e dello spirito, perché a ciò è destinata, dovrebbe diventare regola di vita e oggetto di meditazione continua nonché di preghiera... dovrebbe...

Ma ci sono alcuni impedimenti concreti che ostacolano a quella Parola di fare il suo mestiere! Questi impedimenti li conosceva anche Gesù, e ci ha messi in guardia.

Un primo impedimento è quello di ascoltare la Parola come se si stesse sopportando uno che chiacchiera sul sedile accanto nel pullman: “Quello che dice non m’importa, non mi tocca: egli parla delle sue cose, io ho le mie. Dica pure, sento tutto, ma io ho già le mie convinzioni”.

Alla Messa non sembra, ma molti ci stanno così. Se così non fosse non occorrerebbe che nel 2006 ripetessi le stesse cose che nel ’96! Ci sarebbe un miglioramento!

Un altro impedimento è ascoltare pensando così: “Ha parlato bene! è vero quello che dice s. Paolo. Bisognerebbe che tutti facessero così”. In tal modo ci si aspetta che gli altri ascoltino, si ascolta per gli altri. Io spero che ascoltino i parrocchiani, ed essi si aspettano che mi converta io. Si fa a gara a chi aspetta di più!

L’altro impedimento è la delusione. “Ho provato tante volte a vivere come dice il Vangelo, ma dopo... gli affari, il lavoro, i compagni � non sempre santi � le preoccupazioni... bisogna arrangiarsi!” e così Dio non può mai dimostrarti la sua fedeltà e potenza perché non gliene dai mai l’occasione! Stai lì nel banco come un rassegnato: “La Parola di Dio è vera solo per i santi, per me no!”. Fai bugiardo Dio.

Un altro impedimento, il più diffuso, e ciononostante il meno brutto, è l’ignoranza. Dico l’ignoranza specifica dei cristiani � compresi professori e laureati � un’ignoranza scandalosa su ciò che riguarda la Parola di Dio, la Bibbia. Ahimè, che pena! Preferisco senza dubbio un cristiano che ignora cosa siano i versetti e i capitoli dei libri sacri, ma umile, piuttosto che uno che conoscesse tutto a memoria, ma con superbia. Non è la conoscenza che fa santi, ma lo Spirito Santo! Ma è anche vero che lo Spirito Santo non ama l’ignoranza. Capiresti di più la Parola che ti viene annunciata a Messa, se avessi qualche infarinatura sulla Bibbia.

Se uno supera questi impedimenti scopre che la Parola di Dio nella Messa è una miniera di sapienza, di coraggio, di speranza, di forza, di amore, di certezze e di gioia! E quando risponde al lettore e dice “Rendiamo grazie a Dio”, lo fa sul serio. Come non ringraziare un Dio che parla con le nostre parole, che usa i nostri modi di dire e le nostre immagini, e con esse ci comunica i suoi pensieri e progetti, le sue attese e i suoi segreti, e così ci fa alzare il capo per la dignità che riceviamo: essere suoi interlocutori!

Ciò che viene letto sul pulpito, da quel grosso libro verde che si chiama “lezionario” non sono discorsi di uno che vuol convincermi di aver ragione, non sono comizi, ma parole che vengono dal cuore di Colui che mi ha creato e salvato, di Colui che mi ha tolto il peso dei peccati e di un mucchio di paure. Sono parole non da soppesare, ma da prendere con fiato sospeso e farne tesoro: non ce n’è di meglio!

 

Cantare... e predicare!

 

Cantare mi piace, anche se non sono un buon cantore. Sento che tutto quello che c’è in me non trova adeguata espressione con le sole parole. Ci vuole qualcos’altro: il canto. Il canto, come una medaglia, ha due facce: una sono le parole che si cantano, l’altra è la melodia. A volte ci sono belle melodie con brutte parole: il canto allora non è bello, a meno di rinunciare a pensare a ciò che si dice.

Quando canto l’alleluia, prima del Vangelo, sento che la medaglia è completa. La parola è bella (vuol dire: lodiamo il Signore) e la melodia mi fa respirar fondo perché dà sfogo a tutta la gioia che ho dentro. È una medaglia � per continuare il paragone � completa di catenella... Voglio dire che questo canto � come quelli del Gloria, del Santo e dell’Agnello di Dio � si lega a tutte le generazioni dei cristiani del passato, fino a Maria ss.ma e ai profeti e patriarchi, e a tutte quelle del futuro, a quelle viventi su tutta la Terra e a quelle che già godono in Paradiso. Anche là si canta: alleluia! Anche là si loda Dio, e nel modo più vero e completo! Pur essendo una “medaglia” completa e perfetta, questo alleluia, talvolta la porto arrugginita e affumicata... Aprendo le labbra per cantare, non gioisco della lode che sto dando a Dio; il mio canto allora esce morto. Ma, normalmente, sento che quelle poche parole sono un riassunto di tutta la mia vita, che, col suo esistere e col suo agire, loda il suo Creatore!

Succede inoltre che � pur senza accorgermi � questo breve canto con la sua gioia pasquale dispone l’animo ad accogliere con entusiasmo la Parola che Gesù mi sta per rivolgere nella lettura del Vangelo.

Questa del Vangelo è proprio una parola del Signore, anche se la pronunciano le mie labbra. Labbra d’uomo non sarebbero degne di muoversi per dire parole di Gesù. Bisognerebbe che venisse il Serafino con carboni ardenti per purificarle, come toccò ad Isaia profeta nella sua visione, e come io pure prego sottovoce, senza che nessuno se ne accorga, prima di cominciare a leggere: “Signore, purifica il mio cuore e le mie labbra perché possa annunciare degnamente la tua Parola”.

E poi leggo ciò che gli evangelisti scrissero della vita di Gesù, le sue azioni e le sue Parole. Ormai c’ho fatto il callo... e non mi emoziono più: ma capisci cosa significa dire le parole che Gesù ha detto? Mi premerebbe dirle con quel tono, con quella serietà e gioia e pace con cui Lui le ha pronunciate. Ma non ci riesco. Devo lasciare che lo Spirito Santo supplisca intervenendo direttamente sul cuore di chi ascolta.

Questo intervento dello Spirito Santo su chi mi ascolta lo invoco poi normalmente mentre aspetto che tutti si siedano e si mettano comodi: “Io ora predico... ma le mie parole non faranno nulla, se tu � Spirito di Dio � non le farai entrare nei cuori induriti... Le mie parole non sono niente se non riflettono le tue, e se chi le ascolta non le prende da Te”. Altre volte, senza dirtelo, faccio anche questo patto col Signore: “Fammi fare brutta figura con questa predica, ma che almeno una di queste persone cominci ad amarti sul serio!”. Le prediche talvolta le preparo io, talvolta le prepara lo Spirito Santo, quando a me non resta tempo per farlo. Per questo non mi preoccupo mai di quello che dirò né di quello che dico: Egli è un buon suggeritore: suggerisce di più a chi ascolta che non a chi parla! Molte volte ci sono dei chierichetti che mi aiutano a predicare: mentre io parlo, essi pregano che il Signore intervenga nei cuori!

Le prediche dovrebbero essere una spiegazione della Parola di Dio. Se non ci riesco a spiegarmi bene, abbiate pietà di me � lo dico a nome di tutti i preti. Però, senti l’ultima: “La vera spiegazione del Vangelo è la vita dei santi!”.

Me l’ha detto un professorone che insegna a Roma Sacra Scrittura e la legge in ebraico come fosse il suo dialetto. Dunque, se le mie prediche non ti convertono, guarda la vita dei Santi e lasciati convertire, come essi hanno fatto!

 

Credi?

 

La si potrebbe chiamare ripetizione oppure soltanto preparazione: intendo la recita del “Credo”. È una ripetizione di quella recita che la Chiesa fa da secoli e secoli, e che ha fatto pure a mio nome per vari anni. Ora ne sono più cosciente che non al momento del battesimo. Forse però allora ero... più vero! Provo a spiegarmi.

“Credo” ha due significati: uno, il più usato nel linguaggio comune, è questo: “ritengo per vero”. Credo che tu vieni dal mercato = ritengo per vero che tu vieni...! L’altro significato, quello del Vangelo, non tocca solo l’intelligenza e la conoscenza, ma tocca la vita: “mi fido” e “mi affido”! oppure “mi fondo in”! Credo in Dio = mi appoggio su Dio, poggio le mie fondamenta in Dio, mi fido di Dio, mi affido a Dio.

Quando la parola “credo” significa il mio affidarmi al Padre... allora posso dire che quando ero in fasce il mio “credo” era più vero di adesso!

La recita del Credo per una persona sana, che cioè fa quel che dice, è assai impegnativa!

E d’altronde è pure alquanto gioiosa e sicura e rassicurante.

È rassicurante, perché dico di credere, cioè di poggiarmi su di un Dio che è Padre onnipotente: mi fido di un onnipotente, di chi avrò paura? quale persona temerò? da chi mi lascerò influenzare? ci sarà ancor posto per il timore degli uomini o degli eventi?

È gioiosa, perché, se c’è la sicurezza e l’amore di un padre, posso vivere in questo mondo come un bambino che gioca! Il suo gioco è serio, ma nella gioia!

Non sto ad esaminare tutto il “credo” che diciamo alla domenica! Dovrei scrivere un libro. Chi ne vuol sapere di più me lo chieda. Del resto in ogni parrocchia un parroco � che non sia stato deluso ancora dai suoi parrocchiani � organizza, ove è possibile, la spiegazione del credo, senza attendere di andare in paradiso per capire quel che proclamiamo alla domenica.

Un cristiano che non vuol vivere solo di rendita e che desidera non solo esser sostenuto nella fede dagli altri, ma anche diventare un aiuto per i fratelli, cerca momenti di istruzione in modo da conoscere anche con l’intelligenza � fin dove si può � il suo Dio!

Quanta gente usa l’intelligenza per insegnare a Dio (!) come dovrebbe fare, e ancora non conosce i suoi pensieri!

Il cristiano che proclama la sua fede in Dio assieme ad altri (come capita anche a te la domenica ) si autocostringe a formarsi in questa fede per poter dar spiegazione di ciò che dice. I momenti di catechesi � o dottrina cristiana � delle parrocchie dovrebbero perciò essere altrettanto frequentati che le messe domenicali. Ahimè! e anche tu che leggi non accontentarti di questo articoletto! Dicevo all’inizio che il “Credo” possiamo considerarlo come un momento di ripetizione, ma anche di preparazione: è la preparazione ad una vita sempre più basata in Dio Padre, in Gesù e nello Spirito Santo! Arriveremo a fondarci del tutto in Dio? Abbiamo troppo i piedi per terra! Mi stupisco spesso nel vedere i cristiani che esaminano le loro decisioni (scelta del lavoro, di compagnie, acquisti, ecc.) solo da un punto di vista finanziario o di comodità. Sto cercando invece, con la lanterna, dei cristiani che vogliano prendere decisioni solo basandosi su Dio, sulla sua Parola, sui suoi desideri. Sto cercando qualcuno che “crede”, qualcuno che, quando dice il “Credo” insieme a me la domenica, dica la verità!

 

Due famiglie: quella di Dio - quella dei suoi figli

 

Credo in Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo! Il mio Dio è Trinità. Il mio Dio è una famiglia, tanto unita da poter dire che è un Dio solo, pur essendo Tre persone.

Quando pronuncio il Credo, a Messa, mi distinguo perciò chiaramente da un’infinità di persone che credono in un Dio, ma lo vedono come unica persona, e sono portati perciò a considerarlo come un dominatore assoluto, un egoista che crea tutto per sé e pensa alla propria gloria. Così è fatto il “dio” scoperto dai filosofi e da un gran numero di religioni, tranne la cristiana!

Non è perciò proprio per nulla indifferente essere cristiano o musulmano o induista! È una grazia non comune poter conoscere il nostro Dio: poterlo vedere come un’unità di tre persone, ove ognuno dà gloria all’altro, ove ognuno ama e si lascia amare! Quale modello per la famiglia umana e per ogni comunità cristiana!

Se fosse indifferente per me essere cristiano o buddista equivarrebbe sostenere che Dio è bugiardo e fa cose inutili: la morte e risurrezione di Gesù un capriccio inutile?

Attenzione quindi, o cristiano, quando parli o pensi: hai professato la tua fede davanti a tutti: non renderla vana con affermazioni superficiali e gratuite!

Terminato di professare la fede in Dio, il Credo prosegue: credo la Chiesa, una...!

Sono anche queste parole vere e vincolanti. Quanti vorrebbero credere in Dio, ma solo fino ad un certo punto, solo fino a quando Egli non chiede nulla di concreto! Anche i demoni però credono che Dio c’è e che è onnipotente..., ma si ribellano davanti alle richieste concrete di Dio. Noi ci dobbiamo distinguere dai demoni! Ora, Dio ha agito nella storia. Attraverso Gesù, suo Figlio, e lo Spirito Santo, Egli ha unito gli uomini suoi fedeli in un unico corpo, che noi chiamiamo “Chiesa”. Persone che hanno deciso di vivere nella fede di Gesù Cristo, che hanno lo stesso Spirito, sono unite da Dio. Perciò diciamo: “credo la Chiesa”. Bada come non si dica: credo nella Chiesa, perché è solo in Dio che si pone fiducia. Si dice invece “credo la Chiesa”, come fosse: “credo che la Chiesa è opera di Dio, dello Spirito Santo che unisce (santa), credo che i cristiani sono una cosa sola (una), ovunque essi si trovino (cattolica), purché fondati sulla fede degli Apostoli (apostolica)”.

Ciò che Dio chiede al cristiano è che accetti di manifestare concretamente la sua fede, cercando in ogni modo di farsi suo collaboratore nella sua opera, la Chiesa. Il tuo prender parte alla Messa è già un passo, indispensabile perché è qui che si costruisce la Chiesa, nel sacrificio di Cristo!

Ma siccome la Chiesa non vive solo nell’ora della Messa, bensì vive in continuità, tu ti preoccuperai di favorire in ogni modo l’unione tra i cristiani e lo scambio di beni spirituali e materiali, in modo che si veda anche attraverso la tua vita che la Chiesa è opera di Dio, vera e bella! e lo farai anche quando costa, perché anche Gesù Cristo non ha badato a spese per salvarti e unirti ai suoi discepoli! E poi ricorda, tu che dici “credo la Chiesa”, che quando sparli della Chiesa ti dai la zappa sui piedi: sparleresti di quelli che pregano per te, di quelli che ti perdonano in nome di Dio, di quella comunità che ti fa vivere la salvezza; sparleresti di Colui che l’ha voluta e l’ha preservata lungo i secoli e che le ha promesso e dato ogni potere dando per essa suo Figlio!

“Credo la comunione dei santi”: è come dire: credo che i “santi”, (cioè coloro che sono sottomessi a Dio) che vivono sulla terra o già in cielo, sono legati l’uno all’altro da Dio, dal suo amore, dal suo Spirito: perciò chiediamo aiuto ai fratelli che già sono in Paradiso, ma pure ci aiutiamo tra noi con la preghiera gli uni per gli altri e con l’offerta della vita a Dio!

I “santi”, cioè i credenti, sono così in comunione tra loro, che il male degli uni influisce negativamente sugli altri, e il bene positivamente, proprio come succede nel corpo umano tra le varie membra: “Se una parte soffre, tutte le altre parti soffrono con lei; e se una parte è onorata, tutte le altre si rallegrano con lei; voi siete il Corpo di Cristo, e ciascuno di voi ne fa parte” (s. Paolo, 1Corinzi 12,26).

 

Pane e vino

 

Continuiamo. Dopo la recita del Credo preghiamo insieme con una preghiera detta “dei fedeli”.

La si chiama così perché dovrebbe svolgersi in questo modo: il sacerdote invita a pregare gli uni per gli altri e per tutta la Chiesa; poi chi vuole tra le persone presenti, a voce alta, propone a tutta l’assemblea un’intenzione di preghiera. Tutti si uniscono a lui dicendo: Ascoltaci o Signore! Di fatto ciò avviene quando la Messa è celebrata in piccoli gruppi. Nelle parrocchie, di solito, le intenzioni di preghiera vengono proposte da una sola persona che le legge da un libro. Ma se una comunità parrocchiale volesse annoiarsi di meno alla Messa, potrebbe proprio cominciare. Coraggio!

Con questa preghiera termina la liturgia detta “della Parola” e inizia quella chiamata “Eucaristica”. Non mi meraviglia che nessuno capisca questa parola: difatti è greca. Contiene il significato di “ringraziare parlando bene”: ciò presuppone la consapevolezza di aver ricevuto un dono.

Abbiamo ricevuto la Parola di Dio: ringraziamo, anche se era stata dura! Riceviamo ogni giorno cibo e tempo per vivere: ringraziamo. Riceviamo lo Spirito Santo e la Presenza di Gesù, ringraziamo!

Il primo ringraziamento è per il pane e per il vino: sono due cose essenziali alla vita, ma sono due cose che Dio ha fatto essenziali anche per il nostro incontro più bello e concreto con Lui, per renderle Corpo e Sangue di suo Figlio.

È un ringraziamento doveroso: “Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo! Dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane, e questo vino...”. Pane e vino sono cose molto normali, e riassumono tutto ciò che l’uomo usa per il suo sostentamento; sono pure molto significative per il modo con cui sono confezionate: sia il pane che il vino non si trovano in natura: è necessario il lavoro dell’uomo. Sono il frutto della collaborazione tra la terra e il lavoro umano, ambedue doni di Dio benedetti da lui.

Benedicendo Dio per il pane, lo ringraziamo quindi e per la creazione e per la creatività dell’uomo.

I cristiani continuano questo ringraziamento ad ogni pasto, quando pregano e benedicono il cibo prima di mettersi a tavola: è un atto di giustizia nei riguardi di Dio, un atto di umiltà e di verità da parte dell’uomo; quel cibo non è un dono di Dio? è frutto di doni quali la salute, il lavoro, la terra, la collaborazione tra molti!

Il prete unisce poi qualche goccia di acqua al vino destinato alla Consacrazione. Questo gesto ha un’origine storica: il vino usato in Palestina era (ed è ancora) così alcolico, da dover esser sempre annacquato! Lungo i secoli è stato dato a questo gesto un significato diverso, e perciò lo compiamo ancora, benché il vino usato da noi non sia così forte! Il significato è doppio: da una parte è riconoscimento che Gesù Cristo è Dio e uomo (il vino simboleggia la divinità, l’acqua l’umanità); d’altra parte è un segno della nostra unione alla sua vita divina: noi cristiani siamo così uniti a Gesù, che il Padre riconosce in noi la presenza del Figlio suo unigenito!

 

Il borsello del sagrestano

 

Diceva un santo che il denaro è lo sterco del diavolo, ma che può servire come concime alla vigna del Signore!

Eccoti sotto il naso il borsello del sagrestano. Che c’entrano i soldi con la Messa?

Proprio niente c’entrano. Sei tu che c’entri con la Messa. Ma la Messa non è solo una preghiera: è uno stare insieme coi fratelli e sorelle, è far qualcosa insieme. E per rendere questo “ritrovo” più bello e accogliente ci vogliono campane, luci, candele, fiori, detersivo, manodopera, assicurazioni antincendio...; e poi, perché il nostro stare insieme da fratelli non sia ipocrita e falso, bisogna pensare ai più bisognosi, perché sentano di non essere abbandonati. E poi ancora dobbiamo fare giustizia in tutto il mondo: prendere dove ce n’è e mettere dove non ce n’è, cioè prendere denaro dalle nostre tasche e mettere riso in bocca agli indiani affamati, o trattori in mano ai campesiños della Bolivia. E poi, siccome abbiamo lasciato andare dei Missionari in tutto il mondo per dare gratis ciò che noi gratis abbiamo ricevuto (il Vangelo, l’annuncio del perdono di Dio, i Sacramenti) non possiamo permetterci di abbandonarli, né obbligarli a pesare sulle spalle dei loro convertiti, generalmente assai più poveri e malmessi di noi.

Ecco come il tuo euro va sprecato! il tuo euro! Oh, non ti vergogni? mandi in fumo sette pacchetti di sigarette alla settimana, anche se mandi in fumo � di candele � un po’ più di euro non ritenerti un eroe degno del primo posto in Paradiso. Il Paradiso non si compera. Anche se fai un’offerta che ti lasci le tasche al verde non fai che restituire a Colui da cui hai ricevuto anche i pantaloni.

In qualche chiesa il denaro raccolto viene deposto ai piedi dell’altare. È un segno. È il segno del lavoro dell’uomo che viene presentato a Dio insieme al pane e al vino: pane e vino diventano Corpo e Sangue di Cristo; il lavoro diventa strumento dell’amore di Dio per la comunità e per i fratelli più poveri.

Gesù ha lodato la vedova che nel tesoro del tempio aveva messo due spiccioli. Gesù non loda il denaro, ma la disposizione con cui ella s’era accostata alla cassettina. Vi aveva messo il cuore: il cuore dato a Dio pesa più di un sacchetto d’oro. Per questo, quando metti mano al tuo euro e lo molli nel sacchetto del sagrestano, non dimenticare di mollare prima il tuo cuore, di metterlo sull’altare insieme al pane, presentarlo a Dio perché lo trasformi, da cuore fermo che pensa solo a sé, a cuore che batte sul ritmo dei fratelli, pronto ad ascoltare, a vedere le necessità, a intervenire senza riserve! Intervenire con gli strumenti oggi a disposizione: che non è solo il portafoglio! Interventi più costosi e più necessari per il bene dei fratelli possono essere le ore “perse” al Consiglio Comunale o alle varie assemblee dei Soci di Famiglie cooperative e consorzi e associazioni varie, gli interventi doverosi � non più facoltativi per un cristiano � ai Consigli di classe e d’Istituto nelle scuole sia elementari che medie e superiori, gli impegni coi Vigili del fuoco volontari, e quelli più specificamente parrocchiali di catechisti o assistenti di Oratorio o Consigli Pastorali.

L’offertorio della Messa viene completato qui. Altrimenti la tua Messa ti sembrerà ben presto un... gioco da bambini.

 

Dire grazie fonte di salvezza

 

Il latino non è mai stata per me una lingua piacevole. L’ho imparato, bene o male, e lo capisco ancora. È una fortuna per i vescovi e i preti saperla, perché da un capo all’altro del mondo si possono capire l’un l’altro! Ma se penso ai miei parrocchiani ci sono solo i più anziani che sanno qualche frase, perché recitata o cantata centinaia di volte.

Ci sono alcune parole nel linguaggio liturgico (cioè nelle preghiere che si dicono nella Messa) che sono state riportate tali e quali, senza tradurle, dal latino in italiano. Una di queste parole è il titolo della preghiera solenne di consacrazione. Si chiama “cànone” e comincia col “prefazio”. Canone vuol dire “regola”. (Conosciamo la parola “canonica”: la casa in cui di “regola” abita il parroco). La preghiera di consacrazione è il canone della Messa: non può mancare e deve essere così come sta scritta sul messale: il prete non può inventarsela, non può togliervi né aggiungervi nulla! Non è una sola: ce ne sono quattro normali, altre due per i tempi penitenziali e tre per le Messe cui partecipano in maggioranza fanciulli. Il papa ne può promulgare altre, se � d’accordo con le conferenze episcopali � lo ritiene opportuno

Il canone inizia sempre col “prefazio”. Questa parola significa “parola di introduzione”, “discorso d’apertura”. Ed è la preghiera più bella!

Essa inizia con un dialogo tra il Sacerdote ed i fedeli. “Il Signore sia con voi” / “E con il tuo spirito”! “In alto i nostri cuori” / “Sono rivolti al Signore”!

Talvolta queste frasi suonano male, perché in qualche bocca sono menzogna. È facile che il cuore sia rivolto - o per simpatia o per antipatia - a qualcun altro! Com’è difficile da guidare il cuore! In questo momento bisogna rivolgerlo in alto, al Signore, oltre la terra, oltre i motivi che ci fanno godere o soffrire in questo momento, nella situazione particolare che viviamo. Non è possibile altrimenti che “rendiamo grazie a Dio”!

A Dio diciamo grazie di ogni più piccola cosa e di ogni minimo fatto, perché “è cosa buona e giusta”, ma ora, insieme, vogliamo esprimere riconoscenza per quelle Sue opere che toccano tutti, tutta la comunità riunita e quella più vasta da essa rappresentata: la Chiesa universale e il mondo intero.

Il “prefazio” che ora comincia “è veramente cosa buona e giusta...” è un solenne ringraziamento di tutta la Chiesa per i vari “misteri” che legano la nostra vita a quella di Dio, la nostra storia con la sua eternità. E siccome molti sono i fatti che Dio ha usato e continua ad usare per la nostra felicità e pienezza di vita, molti sono pure i motivi di ringraziamento: molti sono quindi i “prefazi” che vengono proclamati: a Natale ringraziamo per il fatto dell’Incarnazione, in Quaresima per la Misericordia di Dio, a Pasqua per la Risurrezione di Gesù, a Pentecoste per lo Spirito riversato in noi, ai funerali per la promessa di vita nuova che alimenta la nostra speranza... ecc.

Ogni prefazio termina col canto dei Serafini: “Santo, santo, santo...”. La prima frase di questo canto l’hanno udita Isaia e S.Giovanni nelle loro visioni di Paradiso (Is 6,3; Ap 4,8), mentre la seconda parte è il grido di gioia dei discepoli e dei fanciulli di Gerusalemme: “Benedetto colui che viene nel Nome del Signore! Osanna!”. Osanna è un’esclamazione ebraica che corrisponde al nostro “evviva”! e originariamente significa: “dà la salvezza! - salva dunque!”. In quante melodie sono state armonizzate queste acclamazioni!... Forse siamo riusciti a suscitare l’invidia degli angeli!

 

La vita nel pane

 

Non so come fare a commentare la parte centrale della Messa, quella della Consacrazione. Se cerco di spiegare parola per parola, non finisco più. Se voglio essere completo devo tacere del tutto, perché ad un uomo non è dato capire esaurientemente il mistero che celebriamo, tanto meno a me che non solo sono un uomo, ma per giunta gran peccatore.

Talvolta Dio mi fa grazia di comprendere qualcosa delle sue intenzioni riguardo all’Eucaristia, ma è come un lampo che viene e va, lasciando solo la certezza che c’è stato, e una gioia profonda del mistero.

Tuttavia - dato che mi sono imbarcato in questa impresa di commentarvi la Messa - provo a balbettare ciò di cui sono capace.

Gesù ha atteso tre anni prima di ammettere i suoi apostoli, gli amici più intimi, ad osservare stupiti e godere da incoscienti quel momento che conosciamo come l’Ultima Cena.

Non erano più santi di noi e non lo sono diventati in quella sera! (Questo mi consola quando mi si fa osservare che chi va a Messa - io pure ci vado - rimane peccatore!).

Che cosa avranno capito gli Apostoli? forse nulla, eppure quella loro esperienza è stata determinante. Mangiare con Gesù, l’avevano fatto spesso, e già qualche volta anche a Pasqua. Mangiare un pane sul quale erano state dette delle parole nuove, era veramente una cosa nuova, soprattutto perché quelle parole non erano misteriose, benché nascondessero un mistero! “Prendete e mangiatene tutti: questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi”.

Quel pane � nell’intenzione di Gesù e nelle sue mani � non è più farina e acqua impastata e cotta per stomachi vuoti, quel pane è il corpo � la vita, l’esistenza, la presenza � che aveva avuto da Dio e che a Dio Padre aveva offerto. Il corpo del Figlio di Dio! A Dio era bastata una parola per creare l’universo, e per dare la vita al primo degli uomini di carne; a Dio basta una parola del suo Figlio per dare ad un pezzo di pane non solo un nuovo significato, ma addirittura una nuova consistenza.

Avviene una nuova creazione. La Parola di Dio crea. Ciò che mi sa strano, eppur saggio, sapiente e bello, è che quella parola di Dio oggi esca dalle mie labbra e si posi su un po’ di pane, che già c’è lì bell’e pronto. Mi sa strano perché io sono quel che sono e il pane è quel che è, e Dio potrebbe far di più e meglio..., ma mi sa sapiente e bello che Dio adoperi la sua creazione, ribelle e decaduta, fatta di materia che si corrompe, per l’opera più grande che esista, per un’opera così spirituale che tocca e “imprigiona” Dio stesso. Così non solo quel pane cambia valore, ma anche le mie mani che lo toccano, le mie labbra che parlano su di esso e tutto ciò che c’entra con loro: chi mi ha insegnato a parlare, chi mi ha costruito le mani e chi ha lavorato per fare quel pane: ci son dentro tutte le generazioni e tutto il mondo. Quel pane diventa la presenza eterna di Dio nel “concentrato” di tutta la creazione, compresa tutta l’attività umana.

Non è forse qualcosa di grande e sublime?

Siamo sulla porta del Paradiso. Il silenzio dell’assemblea che accompagna le mie parole � anche i più sfacciati presenti in chiesa (la cui bocca nessuno riesce a chiudere) in questo momento tacciono �, questo grande silenzio esprime che abbiamo almeno capito di trovarci non più sulla terra, piuttosto nell’Al di là.

Grazie a Te, Gesù Cristo, che ci fai essere presenti a Te con tutto ciò che siamo, anche col nostro corpo che ci tira al peccato.

Gloria a Te, Gesù Cristo, che ti metti nelle nostre mani come un pane per trasformare la nostra vita nella tua dal di dentro e far sì che il Padre, guardando noi, veda Te!

Gloria a Te: tu capisci quel che noi non capiamo, ed è meglio così: ci possiamo fidare completamente e solo di Te.

 

Il sangue

 

Qualche prete � di quelli santi per davvero � quando arriva a dire “Questo è il mio corpo...” prende quasi un colpo: sente che, in qualche modo inspiegabile, quel “mio” si riferisce anche a lui, il suo corpo. E si vergogna di dirlo, perché sa di non esser mai stato crocifisso per nessuno, ma, d’altra parte, sente pure che è vero, perché anche lui è consacrato a Gesù Cristo e forma un tutt’uno con Lui.

Quando io pronuncio queste parole mi convinco che nessuno arrivi a pensare una cosa simile di me, altrimenti sì che diventerei rosso, sapendo che il mio corpo è ben pasciuto e non “offerto” o “spezzato” per qualcuno.

Prendo in mano quel Pane e lo alzo. Guardatelo tutti. Vedete? è pane! guardatelo, Dio si fa capace d’esser mangiato da noi. Prima avevo steso le mani sopra quel Pane ed invocato lo Spirito, quello Spirito che dà vita e che rinnova. Non ho visto nulla, ma so che quell’ubbidienza a Gesù � quel gesto semplice con una parola non mia � ha obbligato Dio ad essere creatore. Guardate questo pane: Dio ha agito su di esso, non viene più dalla terra, ora viene dal cielo. M’inginocchio.

Che altro potrei fare?

Dovrei scomparire anch’io come è “scomparso” Gesù Cristo. La sua presenza è ora nascosta, che solo la fede può contemplarla e solo l’amore può saziarsene. Chi non crede e chi non ama, a questo punto della Messa, è costretto a pensare che siamo tutti matti: ed è vero. Siamo pazzi della pazzia di Dio.

Prendo il calice. E succede la stessa cosa.

Mi hanno chiesto cosa “sento” in quel momento.

Non sento niente. Ma non occorre sentire Dio; non è quello il mio compito. Se non sento nulla non significa che non succeda nulla. Non sento, ma “so” che questi gesti sono ubbidienza a Gesù. So che è Lui che agisce. Mi basta, per credere che il calice che ho tra le mani è un dono di Dio, il dono più necessario ad ogni uomo che nasce. Ogni uomo nasce con una tara ereditaria che risale alle generazioni di millenni trascorsi. Una tara che, come forza nascosta, lo attira a vedere in Dio un rivale, un nemico. Una tara che porta al peccato.

E chi è caduto nel peccato, come ristabilirà i suoi rapporti con se stesso e col Padre di tutti? Ogni peccato è così interiore e penetra così profondamente tutta la persona che sembra aver avvelenato il sangue, anzi, lo ha avvelenato per davvero. Difatti, se viviamo costantemente nel peccato cambiamo perfino il volto, fino a farcelo leggere in fronte e non poterlo più nascondere, come Caino. Come purificare il “sangue”? Il popolo ebreo conosceva quest’effetto del peccato e sapeva che per ristabilirsi era necessario purificare il sangue (la vita). Sostituivano il proprio sangue con quello di animali costosi: lo versavano sull’altare per significare la riconsegna della propria vita a Dio, pentiti di averlo abbandonato.

Ma il sangue di animali è sangue di animali, ed è così poco rappresentativo che ce ne vuole in continuità...!

Il sangue del Figlio è quello più prezioso del nostro. È gradito a Dio. Il sangue del Figlio nelle nostre mani e nelle nostre vene obbliga il Padre ad avere per noi uno sguardo nuovo: vede in noi la “vita” del Figlio suo, ci vede così intimamente legati a suo Figlio, che la nostra carne di peccato diventa solo occasione per doanrci una misericordia più grande. Il sangue del Figlio crea così un’alleanza nuova ed eterna col Padre.

La prima alleanza era subito infranta... Bastava un peccato dell’uomo e l’impegno di Dio per lui era sciolto.

La nuova alleanza non la rompe più nessuno � nemmeno col peccato � perché Dio vede nelle nostre mani e nel nostro corpo il sangue del suo Figlio. Dio non rompe più la sua nuova alleanza, fin tanto che quel sangue � vita � di Gesù è con noi.

Perciò “chi crede nel Figlio avrà la vita!”, può dirci Gesù.

 

Sacrificio e calice

 

Ancora una parola sulla Consacrazione. Ho già detto che non si arriva a dir tutto... ed è vero. Ma voglio ancora soffermarti su un paio di parole che adoperiamo di frequente e il cui significato rischia di venire ignorato. La prima è “sacrificio”.

La Messa è un sacrificio: “Questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi”.

Siamo abituati a capire questa parola come un qualcosa che ci costa, qualcosa di cui si fa volentieri a meno.

Gli ebrei che usavano la parola corrispondente intendevano con essa l’azione dell’avvicinarsi, dell’andare vicino. “Avvicinarsi a Dio”! Pensavano, desideravano con tutto il proprio essere di avvicinarsi a Lui, e cercavano i modi per farlo. Ed hanno trovato quei modi che sappiamo: preghiera di lode, raccontare i suoi prodigi, bruciare animali su un altare di pietra, versare vino e farina e olio attorno all’altare stesso, fare elemosine ecc... Modi tutti lodevoli, se erano espressione di un cuore sincero e che amava: Dio gradiva il sacrificio di “un cuore pentito e umiliato”.

Non era difficile diventare ipocriti: fare offerte cospicue, comprare animali grossi e grassi per bruciarli sull’altare nel piazzale del Tempio di Gerusalemme, e non cambiare il cuore! Ipocrisia che attira l’ira di Dio.

Noi ci rendiamo conto che l’uomo che desideri “avvicinarsi a Dio” non può nemmeno fare un passo, se Dio stesso non gli mostra la direzione. Anche se tu compissi cose eroiche... come fai a sapere se esse ti presentano a Dio? In fondo ogni iniziativa che ci prendiamo è macchiata di egoismo... e l’egoismo non ci avvicina a Dio!

Ecco a questo punto che Dio stesso prende l’iniziativa. “Io sono la via” dice Gesù. In Gesù Cristo t’incontri con Dio.

Egli “è passato da questo mondo al Padre” dice san Giovanni: ha compiuto il vero “avvicinamento”, il vero “sacrificio”.

La sua morte (il corpo offerto) è l’unico “sacrificio”. Se ti incontri attraverso la fede con Gesù Cristo sei vicino a Dio, anzi sei già di Dio! “Mangiate tutti”: questo è il modo di compiere il sacrificio, di incontrarti con Dio. È un modo semplice. Non ti costa. Anzi sì, ti costa: ti costa, non lo spogliarti in primo luogo di ricchezze o il compiere azioni eroiche, ma ti costa lo spogliarti della superbia, del desiderio di vantarti davanti a Dio, del voler essere qualcuno: ti costa diventare così bambino da riuscire a credere che Dio ti vuole incontrare quando tu mangi un pezzetto di “pane” insieme agli altri. È il prezzo che tocca il tuo cuore.

Altra parola che usiamo e il cui significato è più profondo di quel che sembra è: “calice”.

Quando la madre di Giacomo e Giovanni chiese a Gesù che i suoi due figli potessero sedere alla sua destra e alla sua sinistra Egli domandò loro: “Potete voi bere il calice che io berrò?”.

Bere il calice di qualcuno non indica primariamente l’azione del deglutire un sorso di liquido... ma condividere la sorte, farsi socio della buona e della cattiva fortuna. Quando vado all’osteria trovo qualcuno felice per l’acquisto di una macchina o perché gli è nato un figlio: vuole partecipare la sua gioia e m’invita a bere. Vado in casa di un morto: i parenti mi vedono partecipare al loro dolore: mi offrono qualcosa da bere. Bevo al loro calice: il bere è solo un piccolo segno della partecipazione alla loro gioia e al loro dolore, alla loro vita. Una partecipazione che aumenta la gioia o allevia il dolore. Bere il calice di Cristo Gesù indica partecipazione al suo morire e al suo risorgere. Partecipazione al suo amore che giunge fino a dare tutto se stesso senza più badare al proprio interesse.

Bere il calice di Gesù insieme con altri indica sapere che la mia vita e le mie ricchezze e le mie gioie e i miei dolori non sono più solo miei: sono di Dio e ne possono usare tutti.

La mia vita deve servire agli scopi di Dio. Non ho più nulla di privato, se non in quanto possa meglio farmi crescere verso questa dimensione d’amore universale, d’amore divino.

 

Mistero e fede

 

“Mistero della fede”. Lo dico ad alta voce, quasi per ricordare a me stesso che quel che sto facendo � tutta la Messa � è fondato e si svolge nei livelli più profondi e più luminosi della mia esistenza: al livello del mio incontro con Dio. Mi trovo nella situazione di Adamo nel Paradiso terrestre, prima del peccato, che, stando al linguaggio biblico, “passeggiava con Dio”. Sto vivendo azioni di fede. Fede non è oscurità, ma luce penetrante oltre l’intelligenza. Mistero della fede non è tenebra fitta, è invece conoscenza di Dio, è vedere il disegno d’amore di Dio, tanto bello e tanto intelligente, da poterlo capire solo con la fede, solo cioè se ti metti al suo fianco con confidenza e semplicità.

Le tue costole e la tua spina dorsale le puoi vedere solo con la “luce” dei raggi X. Per vedere i pensieri di Dio e le sue azioni più grandi, quelle che sostengono il mondo della tua vita eterna, usi la “luce” della fede.

La fede conosce i misteri di Dio. L’amore li vive. I misteri di Dio li conosce anche la “fede” di Satana, tanto che non li vuol neppure sentir nominare. La tua fede sostenuta dall’amore ora li proclama ad alta voce, con forza: “Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta”.

Con queste parole la tua fede nascosta viene alla luce: proclami il senso più profondo non solo della Messa a cui partecipi, ma di tutta la tua vita che ora è immersa nella Messa: il senso della tua vita nel disegno di Dio. Sai qual è?

La tua vita � cristiano � è annuncio e attesa. Ogni giorno la tua fede, quella che tu vivi, annuncia l’amore e la redenzione di Dio per tutti gli uomini in Gesù Cristo, e ogni giorno tu attendi (con gioia?) il tuo Salvatore, uno che è diventato il primo in te. Non tirarti indietro dal dire queste parole: un po’ alla volta scolpiranno il tuo uomo interiore fino a farlo emergere sugli egoismi e le passioni del tuo corpo destinato alla terra.

Anche la tua vita fa parte del mistero della fede: non è una vita che finisce al cimitero, o che ogni giorno finisce sotto le coperte, la tua vita si svolge al cospetto di Dio: la puoi vedere e capire tutta solo con la “luce” della fede.

Di quale fede? della tua? ricorda! anche i demoni hanno “una fede”. Non lasciarti trarre in inganno. Vogliamo possedere ed essere posseduti solo dalla fede della Chiesa, eredità degli Apostoli: è una fede più grande, più forte, più santa, più sicura della “mia”.

Grossa illusione voler avere una propria fede... è certamente limitata e condizionata dai propri vizi, dalla propria ignoranza, dalla propria superbia ed incredulità.

Vedi come le parole della Messa � le tue e le mie � sono cariche di vita? Non è sufficiente il tempo della Messa per coglierne tutto il significato ed il valore!

Dopo l’acclamazione, mentre tu riprendi il silenzio, io comincio una serie di “preghiere” o di “discorsi” col Padre. Anzitutto un ringraziamento: e il grazie non è fatto di parole, ma di un atteggiamento del cuore: “ti offriamo questo sacrificio vivo e santo”. È un sacrificio santo perché viene da Dio stesso: è la vita del suo unico Figlio! È un sacrificio vivo per lo stesso motivo, ma anche perché in esso c’è la mia e la tua presenza: offrendo al Padre il suo Figlio Gesù, gli offro me stesso, che al Figlio sono legato per sempre fin dal Battesimo! e poi � devo dirtelo? � sì, gli offro anche la tua vita: come tuo pastore e padre... mi sento di poterlo e doverlo fare.

 

Lo Spirito e la Chiesa

 

Tra le orazioni che dico dopo la Consacrazione ce n’è una che porta un nome strano: “epìclesi”. Come puoi intuire è una parola greca: “invocazione”! È l’invocazione allo Spirito Santo perché operi una trasformazione. L’avevo invocato � con le mani stese � sul pane e sul vino per la loro trasformazione nel Corpo e Sangue del Signore, ora lo invoco anche su di noi tutti. Anche noi abbisogniamo della stessa trasformazione: da gente separata e distante, e talvolta addirittura nemica, dobbiamo divenire “un unico corpo e un unico spirito”, siamo destinati a divenire noi pure “Corpo e Sangue di Cristo”.

Questa preghiera è ritenuta molto importante fin dall’antichità. Più che la preghiera � aggiungo io � è importante il suo esaudimento. Che saremmo noi se non fossimo rinnovati dallo Spirito del Signore? Lo vediamo ogni giorno quel che siamo: è per questo che invochiamo lo Spirito di Dio ogni giorno, perché, mangiando il pane ed il vino trasformati da Lui, anche la nostra vita personale ed il nostro vivere insieme siano trasformati.

Noi che mangiamo il Corpo del Signore diventiamo � dico una parola grossa � il Signore stesso: Corpo di Cristo, è chiamata la Chiesa da s. Paolo. Con Lui formiamo una cosa sola, un unico organismo. Potremmo vergognarci fino all’inverosimile di non esserne degni: è vero! Ma d’altra parte Egli, Gesù Cristo, è degno di avere un “corpo” vivente attraverso cui agire ed essere presente in quel mondo, per amore del quale ha affrontato passione e morte.

Il “corpo” che Egli usa per trasformare il mondo e renderlo più umano (meglio: più divino) è la Chiesa. Se Egli non si vergogna di noi, nonostante i peccati e le infedeltà, bene! meglio per noi! (di chi non dovrebbe vergognarsi?). Egli si serve di ciò che è debole, povero, meschino, disprezzato, si serve di noi!

E proprio perché noi non abbiamo nulla di cui vantarci, nel bene che per sua grazia diffondiamo in varie forme e modi risplende solo la sua potenza, la sua ricchezza, la sua gloria!

La debolezza e fragilità della Chiesa diviene così strumento della gloria di Dio!

Continuando la mia preghiera mi ricordo proprio di questa Chiesa. Per essa prego in tre direzioni: anzitutto per quelli che vivono: chiedo al Padre di conservare nella fede e nell’amore papa, vescovi, preti e tutti i fedeli. Il papa e il vescovo li nomino espressamente col loro nome: sono persone concrete, con data e luogo di nascita. Dio si serve di loro per me e per te: non sono angeli; hanno bisogno del nostro sostegno di preghiera e di ubbidienza per svolgere il loro compito con serenità, fortezza e gioia!

Poi affido alla clemenza di Dio quei defunti che abbiamo conosciuto, che sono vissuti con la fede nel cuore e nelle opere, ma che forse devono ancora purificare il loro spirito prima che sia libero da ogni legame terreno e pronto per la gloria! Anch’essi fanno parte della Chiesa: ne hanno fatto parte da vivi, godono ancora dei benefici della preghiera dei fratelli.

Infine preghiamo per noi stessi, e per noi chiedo la cosa principale: di giungere a far compagnia ai Santi: Maria, gli Apostoli, il patrono e tutti gli altri! È questa la Chiesa stabile e definitiva, l’assemblea riunita attorno al Signore per non sciogliersi più: e noi guardiamo già fin d’ora a quei nostri fratelli, che godono stabilmente l’amore perfetto di Dio, perché anche noi siamo già stati chiamati e già abbiamo mosso i primi passi per raggiungerli, per entrare nella “Gerusalemme celeste”.

L’Eucaristia che mangiamo è appunto il cibo che dà forza per questo cammino!

 

Padre

 

Nella nostra riflessione siamo giunti al Padre Nostro. È la preghiera pronunciata per la prima volta dalle labbra di Gesù. Nessuno è degno di ripeterla. Se la facciamo nostra è solo per obbedienza a Lui, a Gesù, e perché sappiamo che il Padre è contento di sentirsi rivolgere la parola dei suoi figli. Perciò “obbedienti... osiamo dire: Padre nostro...”!

Ogni parola ha un peso ed un significato di dimensioni infinite. Il nome di “Padre” è un termine preso dalla nostra esperienza umana. Con esso ci rivolgiamo al Dio del cielo e della terra. Con questo nome eliminiamo le eventuali distanze � ingiustamente create dalle nostre filosofie ed ideologie e dalle nostre paure � tra l’uomo e Dio.

La parola “Padre” richiama alla nostra memoria l’impegno che Dio si è preso con noi: un impegno di amore, e di amore... anticipato! Sì, Egli ci vuol bene prima di sentire il nostro grazie, ci vuol bene mentre siamo ancora peccatori, proprio come un papà vuol bene a suo figlio prima ancora della sua nascita, prima di riceverne riconoscenza. Chiamando Dio col nome di Padre manteniamo il rispetto (non lo chiamiamo per nome, come non chiamiamo per nome il papà � sarebbe indice di parità!) e nello stesso tempo apriamo il cuore ad una fiducia affettuosa tale da permettere il nostro abbandono alla sua Volontà ed ai suoi desideri.

Di fronte al Padre, con la fiducia in Lui nasce anche onestà verso gli altri suoi figli: li devo riconoscere fratelli, per poterlo chiamare “Padre nostro”. Io sono solo uno dei suoi figli, membro della sua famiglia dalla quale sono aiutato e nella quale sono corresponsabile. La preghiera del Padre nostro è perciò molto impegnativa sia individualmente che socialmente: mi mette sulle spalle le necessità, le sofferenze, le vicende di tutti gli altri, per portarle insieme con loro. Non mi stupisce quindi il fatto che molta gente non preghi più, o perlomeno non riesca a fermarsi quindici minuti a ripetere e meditare le parole di questa preghiera: sono troppo compromettenti!

“Venga il tuo Regno”: sono disponibile al fatto che che tu, Padre, detti legge ai miei pensieri e azioni, che tu sia il mio re!

“Dacci oggi”... il pane che serve oggi! Non possiamo chiedere a Dio di arricchirci. A che servono i mucchi di denaro se... stanotte devo morire? Chiedo invece il “nostro” pane: quello che ho io non è solo mio! Se ne volessi godere da solo sarei disonesto col Padre, al quale ho chiesto il “nostro” pane e che non mi ha dato pane mio, ma “nostro”! Sono cosciente pure che l’uomo non vive di solo pane, non vuole arrivare solo fino al cimitero, ma per la sua vita eterna ha bisogno pure di un pane: il pane della vita: sapienza, fede, amore, perdono, pace, e... Spirito Santo! Chiedo ogni giorno anche questo!

“Rimetti i nostri debiti”: non solo i miei: chiedo perdono anche per gli altri: chi sa quanto anch’io sono complice degli errori e della tiepidezza degli altri? Non li accuso, per non accusare me stesso. Li perdono con generosità, perché anch’io possa essere perdonato da Dio, il quale usa con me la misura che io uso con i miei fratelli: “come noi rimettiamo”...!

“Non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male”: “fa’ che non cadiamo nella tentazione, ma liberaci dal maligno”. Ogni tentazione viene dal maligno, nemico di Dio e nemico dell’uomo.

Per il tentatore essa è un’insidia, per l’uomo la tentazione diventa una prova del suo amore per il Padre. Attraverso le prove l’uomo può mostrare a Dio che lo ama veramente al di sopra di tutti, anche di se stesso.

 

Paura e pace

 

La paura è una cattiva consigliera, ed è pure una cattiva compagna di viaggio. Nessuno vorrebbe aver paura..., ma capita spesso invece d’incontrare gente che mi dice: “Ho paura...”.

Puoi aver paura delle cose, di avvenimenti già accaduti, di vicende che ti attendono, di responsabilità che ti sei assunto e che devi assumere... e puoi anche aver paura di qualche persona (persino in famiglia), puoi aver paura di te stesso!

Donde viene questa strana cosa che è la paura? Non certo da Dio. Da Dio che è Padre, che è Amore, non può venire paura. Da lui viene sicurezza, pace, serenità.

La paura, che è un male, viene dal Male. Il Male � con la M maiuscola � detto Diavolo o Satana, mette paura perché vuol dominare l’uomo, e non può farlo se non con la paura..., mentre Dio si fa seguire con l’Amore (in questo il Maligno non sa scimmiottare Dio!).

Per questo nella Messa esprimiamo a Dio la supplica che Egli stesso ci liberi da ogni male, perché non ci piace la paura!

“Col tuo aiuto saremo sicuri da ogni turbamento”. Certamente! Se ci mettiamo con fiducia sotto lo sguardo del Padre, se facciamo il... “salto” di fidarci di Lui, succede che la nostra anima inizia a vivere nella pace, a godere di serenità! Soprattutto poi se saremo “liberi da ogni peccato”, che è il “male” più adatto per togliere una persona dalla gioia, dalla fiducia e dalla pace del cuore.

Anche l’assemblea ratifica questa mia preghiera con l’acclamazione: “Tuo è il Regno, tua la potenza...”. È un atto di fede: “Tu puoi liberarci dal peccato e dal male perché nessuno può vincere la tua potenza. Tu sei più forte di ogni altra forza, solo che ti permettiamo di usarla per noi”.

Un’altra preghiera per l’unità e la pace della Chiesa ci introduce a scambiarci un segno di pace. Chiediamo pace: quella di Gesù Cristo! La pace del Signore non è mancanza di guerre o di litigi, è molto di più.

La sua pace è scambio dei suoi doni: quello che Egli ha ce lo dà: questa è la sua pace! La nostra pace che godiamo coi fratelli è pure un godere l’uno dei doni e delle ricchezze dell’altro: “ciò che è mio è pure tuo, godi con me di ciò di cui godo io”. Pace è partecipazione, condivisione, comunione.

Gesù fa pace con noi dandoci se stesso! Noi diamo la mano al vicino e la tiriamo subito indietro. Certo in Chiesa non si può far di più! È solo un “segno” di pace. Ma non deve restare solo un segno, dev’essere un segno della pace vera che vogliamo si diffonda lungo tutta la settimana. È il segno della mia volontà di condividere con tutti i doni di Dio: la fede, la preghiera, le esperienze, le cose materiali, perché siamo già una sola famiglia, quella di Dio.

 

Agnelli e lupi

 

Hai dato un segno della tua volontà di pace a chi ti sta al fianco. L’hai guardato negli occhi? anch’egli ti dice, col suo gesto semplice e quotidiano, che vuole essere un fratello o una sorella per te. Forse te lo ricordi anche ora, che non sei più in chiesa nel banco. Guardati attorno: quanta gente ha dato il segno della pace! Ovunque sei, non sei più del tutto estraneo. Hai una famiglia grande. Perciò... se hai bisogno di aiuto non aver paura a chiedere, e se puoi aiutare non aver paura a donare il tuo tempo, le tue cose, il tuo amore. Lasciati amare gratis dai fratelli e sappi amare gratis coloro che hanno bisogno di qualcosa o di qualcuno. Così il segno della pace che scambi alla Messa si sviluppa e non diventa menzogna!

Ora risuona il canto “Agnello di Dio...”!: è una parola rivolta al tuo Signore, a Gesù Cristo. Perché lo chiamiamo così? I motivi sono molti; anzitutto l’ha chiamato così Giovanni il Battista. Ma perché?

Gesù Cristo è l’Agnello di Dio perché ce l’ha mandato Dio e col suo Sangue non sono bagnati gli stipiti delle porte di casa (come col sangue dell’agnello pasquale degli Ebrei), ma col suo Sangue è lavata la nostra anima per la salvezza eterna! Inoltre è colui su cui carichiamo i nostri peccati, ed egli se li porta via. Inoltre Gesù Cristo è pure mite come un agnello, che non si lamenta e che, piuttosto che far del male, si lascia sbranare dai lupi.

Mentre canti queste parole perciò, oltre la figura di Gesù ti può venire alla mente ciò che egli ha detto: “Ecco, io vi mando come agnelli in mezzo a lupi”.

Egli è l’agnello di Dio: se lo mangi... ti fai uno con lui: anche tu agnello, mite, arrendevole, pacifico, incapace di pensare e di fare il male, nonché di restituirlo. Sembra una pazzia agli occhi del mondo, abituato ad essere violento e a rispondere al male col male! Ma tu, cristiano, “vincerai il male col bene!”, dice s. Paolo. E s. Pietro aggiunge: “Per chi conosce Dio, è una grazia soffrire perché si è trattati ingiustamente” e poi: “non rispondete con insulti a chi vi insulta; al contrario, rispondete con buone parole, perché anche Dio vi ha chiamati a ricevere le sue benedizioni”!

E né s. Paolo né s. Pietro sono dei deboli, nemmeno degli illusi: sono discepoli che hanno imparato bene la lezione del Maestro, e ce la ripetono!

“Beati gli invitati alla Cena del Signore” ! Chi sono? tutti sono invitati, tutti quelli con cui Gesù Cristo si è impegnato: tutti i battezzati! Anche tu! Sono beati gli invitati, perché un invito così non lo si riceve da uomini. L’invito alla Cena del Signore è un invito che viene dall’Alto: beato chi lo riceve.

Lo sai d’essere beato? ti rendi conto a quale dignità appartieni se sei invitato da Dio?

Ma se non accetti l’invito... rifiuti ciò che di più grande Dio ti può dare. E se rifiuti o ignori l’invito ti rendi responsabile della tua perdizione, della tua tristezza, del tuo vuoto interiore, della tua solitudine, del tuo tormento.

Gli invitati che partecipano alla Cena del Signore sono beati: essi gustano la gioia dello Spirito Santo � non ti posso dire come, devi provare! �; essi sono amici di Dio, indegnamente sempre, ma suoi amici! essi sono nella possibilità di comprendere e accogliere i fratelli, essi sono nell’umiltà che piace a Dio e apre i tesori della sua misericordia. Essi sanno con chiarezza a Chi appartengono e ciò dà loro sicurezza e pace per la vita, quella sicurezza e quella pace che ti fa affrontare serenamente e con coraggio difficoltà, situazioni penose, malattie, morte.

La comunione al Corpo di Cristo è una vera beatitudine, una porta aperta nel cielo. Sei invitato! Va’. Non guardare quel che pensano gli altri, non permettere che i pensieri critici e negativi degli uomini possano avere tale forza su di te da trattenerti dall’accogliere l’invito del tuo Dio.

Sei invitato. Guarda chi è colui che t’invita: chi è più grande e più importante di lui? Va’!

 

Non sono degno

 

“Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa”! queste parole le diciamo tutti. Le dice il prete e anche il papa quando celebra!

Io non sono degno: se partecipo alla comunione del Corpo di Cristo non è perché io sono qualcuno, ma solo perché lui mi ha chiamato; il Signore ha fatto entrare alle sue nozze gli storpi, i ciechi, i buoni a nulla, persino i cattivi: Egli chiama me, perché sono uno di essi. So di non esserne degno, ma egli mi chiama ugualmente. Nessuna delle persone che vanno a Messa sono degne di prendere la Comunione. Bisogna ricordarlo. Altrimenti, come sarà il tuo ringraziamento? Come quello del fariseo, di cui Gesù dice che è tornato a casa peggio di prima?

Io mai mi meraviglio che dei grossi peccatori si presentino a ricevere la Comunione. E nemmeno che dei piccoli peccatori vengano tutte le domeniche o tutti i giorni: li invito io, nel nome di Gesù! Però so che spesso i grossi peccatori godono di più la s. Comunione che non i piccoli peccatori: questi sono tentati di ritenersene degni, mentre quelli no! Non intendo con ciò invitare nessuno a divenire grande peccatore, ma invece invitare tutti a conservare e far crescere un’umiltà vera e decisa: chi non ha commesso peccato? Come puoi tu giudicare che il tuo peccato è poca cosa? Lascia a Dio il giudizio e tu chiedi perdono, perché ogni mancanza di amore e ogni egoismo hanno allontanato lo Spirito Santo da te. Hai sempre motivo perciò di ritenerti grande peccatore.

Mentre distribuisco la s. Comunione � normalmente � si canta. È la gioia e l’adorazione che trovano così un’espressione comunitaria. Qualcuno preferisce un momento di silenzio e raccoglimento: è cosa buona e santa. Chi desidera il canto non disprezzi il desiderio del silenzio, e viceversa. Sono modi diversi d’intrattenersi con Gesù, che ormai è diventato una cosa sola con me, dandomi gioia divina e responsabilità altrettanto divina: se sono divenuto Corpo di Cristo mi comporterò come Gesù! Con pazienza, con le mie capacità, con umiltà, sapendo che mai arrivo del tutto..., ma anche con decisione e fiducia nel suo aiuto.

Chi non partecipa alla Comunione, per i motivi più svariati (o perché si trova in peccato mortale, o perché ha mangiato appena prima, o perché ha già partecipato ad una Messa nella sua parrocchia, o perché ha paura che i colleghi di lavoro lo chiamino “mangiaostie” e gli “amici” lo definiscano “mezzoprete’’, o perché non ha perdonato a qualcuno, o perché sua moglie o sua madre non gli hanno detto di fare la Comunione) chi non partecipa, può sempre fare la “Comunione spirituale”: intavolare cioè un dialogo con Gesù e invitarlo a prender posto nel cuore: “Vieni in me, Gesù; desidero la tua presenza. Incontrati con me; ti amo, ti ringrazio che mi ami e sei morto per me. Appena potrò parteciperò alla tua Mensa” ecc. così nessuno rimarrà spettatore. Alla Messa, e tanto meno al momento della Comunione, non ci sono spettatori. O sei uno che partecipi col tuo io, direttamente, o sei falso!

Lo stesso Pane, che ricevi tu, viene portato � o subito o durante la settimana � anche agli ammalati. Essi sono impediti dal venire in chiesa, ma non vengono privati di questo dono di Dio, che è la loro più grande consolazione.

Essi sono coloro che partecipano in maniera più sensibile alle sofferenze di Gesù Cristo e “le completano, a pro del suo Corpo che è la Chiesa” dice s. Paolo. Perciò noi siamo loro riconoscenti e rendiamo più vero il dono della Comunione visitandoli noi pure, dando loro il segno concreto � con la nostra visita � che la loro Comunione al Corpo di Cristo è una comunione anche con noi, che siamo membra dello stesso Corpo!

Per accontentare il desiderio dell’ammalato � che è pure desiderio del Signore � di avere la s. Comunione spesso, il parroco può farsi aiutare da qualche fedele, che sia stato preparato e abbia ricevuto lo speciale incarico dal Vescovo. Il malato sa che riceve Gesù: gli importa poco quali siano le mani che glielo offrono. Come sa che egli è indegno di riceverlo, così sa che ognuno è indegno a portarlo!

 

Va’, dona ciò che hai ricevuto

 

La s. Comunione mi fa partecipare in modo semplicissimo (mangiando un pezzetto di pane) alla fede di milioni di credenti sparsi in tutto il mondo: mi fa partecipare della vita spirituale dei cristiani che vivono nella semplicità delle campagne e nella confusione delle città, dei cristiani che combattono ogni giorno contro le tentazioni del loro egoismo e dei cristiani che sono ogni giorno combattuti da un’opinione pubblica contraria a Gesù Cristo. Attraverso la s. Comunione sono partecipe della fede di cristiani che vivono in carcere pentiti dei loro delitti, di altri che sono abbandonati in ricoveri o che languono negli ospedali ecc.!

Ogni volta che partecipo alla Comunione mi metto in sintonia spirituale con i fratelli che sono passati su questa terra e godono ora il frutto della salvezza in Cielo: coi martiri, con le vergini, i pastori, i monaci, gli eremiti, le madri ed i padri di famiglia, con tutti i santi! E in comunione con essi vivo le mie giornate, vivendo di fede. E spero di non dover arrossire troppo di fronte ad essi quando li incontrerò faccia a faccia!

La s. Messa ha così termine, con questa Comunione sacramentale al Corpo di Cristo, Pane eucaristico e Famiglia che di esso si nutre! Ancora un attimo: partirai dalla chiesa senza che nessuno te lo dica? Sei entrato perché invitato dal Signore. Sarà lui a dirti di partire. Ma te lo dirà affidandoti un compito, una missione.

Egli ti benedice: ricordalo, sei una persona benedetta da Dio, da Dio Padre, dal Figlio Gesù, dallo Spirito Santo. Porti su di te i nomi di Dio, porti in te la benedizione. Ora va’, diffondila là dovunque tu arrivi.

“Andate in pace”. Non è un invito ad uscire dalla chiesa: è invece un invito a portare ciò che hai ricevuto da Gesù Cristo laddove trascorri il tuo tempo. Porta ai fratelli e agli uomini del mondo la comunione dello Spirito Santo, porta la gioia e la speranza, porta il perdono e la luce nuova che hai ricevuto.

 

 ***

Termino con le parole che il card. Ursi Corrado ha pronunciato a Canal San Bovo il 5 agosto 1979:

“Fratelli miei, dopo la Messa uscite voi di chiesa come uomini nuovi? O voi uscite così come siete entrati? È triste pensare che di domenica in domenica noi dovremmo rinnovarci per progredire in questo rinnovamento-spiritualizzazione nella comunione col Padre, comunione coi fratelli, in una civiltà di grazia e di amore. L’impressione che si ha è che di domenica in domenica cresca la corruzione dei costumi, anche nei paesi cristiani, anche nei cristiani. E allora vi domando: quale è la ricerca che noi abbiamo quando veniamo in chiesa? In concreto: siete voi alla ricerca del Cristo che diventa l’acqua che sazia la sete? il cibo che sazia la fame? Ve ne andate, insomma, pieni di Cristo luce, pieni di Cristo grazia?

Ve ne andate come Chiesa più unita, più fusa intorno al Vescovo, intorno al parroco? Se non avviene questo, miei cari fratelli e sorelle, dopo la Messa, vuol dire che la vostra ricerca è stata vana, è stato un rito che avete fatto, ma a che è servito? A niente! Niente! Il rimprovero di Gesù fatto a quelli di Cafarnao è il rimprovero di Gesù che viene a me, a voi, se noi non veniamo qui per immagazzinare la sua Parola e per trasformarci nella sua carne risorta, diventando uomini risorti, per vivere una vita nuova nella giustizia, nella verità, nella grazia e nella carità sociale!”.

 

Passato e futuro: oggi!

 

Dopo aver dialogato con gli uomini sul momento più importante del mio incontro con Te, Signore Gesù Cristo, vengo davanti alla tua Presenza.

Nella Messa ho vissuto, molto distrattamente, l’esperienza che tu hai avuto una volta sola, a Gerusalemme, nel Cenacolo, con gli amici che ti seguivano da tre anni.

Mi sono reso conto un pochino dell’amore che adoperavi per loro e attraverso di loro anche per me. Hai agito in modo così semplice e quasi normale, per far vivere loro con dei segni il più grande evento della tua vita e della storia di tutta l’umanità: la tua morte e la tua risurrezione. È con questo tuo passaggio dal mondo dei peccatori al mondo del Padre che tu ci hai salvati.

È veramente alla tua morte e alla tua risurrezione che ho preso parte durante questa Messa: vi ho preso parte con dei segni � i tuoi � ma la partecipazione si è realizzata nella realtà. La mia vita è presente al tuo Calvario: non come erano presenti i soldati o i tuoi amici, ma come eri presente tu, perché ora si realizza in me e nei miei fratelli, adagio adagio, il tuo passaggio da questo mondo al Padre. Me ne accorgo quando vivo secondo la tua Parola: allora constato, anche con sofferenza, che questo mondo si distanzia, e qualcuno me lo sottolinea dicendomi di tener i piedi per terra! Ma tu sai che voglio proprio spostare i miei piedi da questo mondo al mondo del Padre!

È il mondo che attendo: il mondo che verrà!

E tu, con questa Messa, mi hai già fatto pregustare qualcosa del mondo che verrà! Mi hai fatto pregustare il banchetto di Nozze dell’Agnello, la gioia dell’incontro con te quando tornerai nella gloria. Mi hai fatto anticipare i tempi futuri... un pochino! Oh, so che tu vorresti che io godessi in pienezza già fin d’ora la gioia eterna, ma io sono così incapace di contenerla! Vivo in questo corpo che aspetta la morte, e fin che non è morto non può arrivare a completezza, perché gli manca un passo necessario: così la tua gioia l’attendo!

L’attendo però con piena fiducia e speranza perché so che tu stai pregando per me e per tutti coloro che credono in te. Lo hai detto ai tuoi discepoli proprio durante l’Ultima Cena. Tu sei davanti al Padre come Agnello sgozzato, come Sacerdote sommo col tuo prezioso Sangue versato: sei davanti al Padre così, per me, per noi! Stai intercedendo per noi: so che stai chiedendo al Padre di mandarci lo Spirito Santo!

Ed il Padre ti ascolta e ti esaudisce! Anche oggi ha mandato lo Spirito a santificare quel pane e quel vino, mentre le mie povere mani vi erano stese sopra in un gesto di obbedienza! E, attraverso quel Pane e quel Vino mangiati, lo Spirito ha nuovamente formato il tuo Corpo, quel corpo vivente che siamo noi, uniti a te, Gesù.

Come lo Spirito ha formato il tuo Corpo santo nel grembo di Maria, così lo Spirito oggi ha dato vita nuovamente al tuo Corpo, un Corpo che rende presente il tuo amore su tutta la terra: la Chiesa!

Gesù, l’Eucaristia non ha termine! Continuo a dirti grazie � ed ogni mia azione vuol esserne la prova � perché posso esser membro del tuo Corpo, perché tenendomi legato al tuo Corpo, la Chiesa, passa anche in me la potenza del tuo Spirito! Prendi ogni mio respiro come un grazie e come una nuova supplica!

Grazie, perché sono già in te, nel tuo cuore; pietà di me, perché non vi sono ancora del tutto: i miei peccati sono sempre in agguato, ma il Padre ascolta la tua preghiera!

 

 

INDICE

  1. Un saluto
  2. I miei peccati ”
  3. In ascolto ”
  4. Cantare... e predicare! ”
  5. Credi? ”
  6. Due famiglie: quella di Dio / quella dei suoi figli ”
  7. Pane e vino ”
  8. Il borsello del sagrestano ”
  9. Dire grazie fonte di salvezza ”
  10. La vita nel pane ”
  11. Il sangue ”
  12. Sacrificio e calice ”
  13. Mistero e fede ”
  14. Lo Spirito e la Chiesa ”
  15. Padre ”
  16. Paura e pace ”
  17. Agnelli e lupi ”
  18. Non sono degno ”
  19. Va’, dona ciò che hai ricevuto ”
  20. Passato e futuro: oggi! ”

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Nulla osta: Mons. Iginio Rogger, cens. Eccl., Trento, 14 gennaio 1980