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Tu sei mio figlio

Tu sei mio figlio

«Pur essendo figlio,

imparò tuttavia l'obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna

per tutti coloro che gli obbediscono» (Ebr. 5, 8-9).

 

Quando pianto un chiodo in un legno duro, quanti colpi ripetuti sul quel chiodo!

Quante ripetizioni dello stesso concetto in queste pagine! È un chiodo importante da fissare bene nel legno duro e secco del nostro cuore: a quel chiodo si potranno però appendere pesi molto grandi!

Io sono figlio di Dio: esser figlio significa ricevere la vita, dipendere, essere attento al Padre.

Questo è il chiodo che vorrei si fissasse in tante menti e tanti cuori!

d. Vigilio Covi

 

RIASSUNTO

Qualsiasi tentazione ha un solo scopo: distogliere l'uomo dall'amore di figlio verso Dio.

Conseguenze: si avrà confusione sulla vera natura dell'uomo, giungendo alle conclusioni più strane, lasciando l'uomo in balia di se stesso! e degli altri.

Sarà impedito l'accesso alla conoscenza di Dio. Solo l'amore di figlio può conoscere il Padre. Se quest'amore non c'è si potrà credere che Dio è tutto fuorché Padre, addirittura ingiusto, crudele, tiranno.

La strada percorsa dalla tentazione è l'eresia.

Eresia significa qualcosa che è stato sollevato, scelto, preso fuori dal suo o e assolutizzato. Il tentatore si serve perciò di parole e di atteggiamenti veri, divini e necessari alla salvezza. Assolutizza una parola di Dio privandola del suo contesto e della sua funzione in rapporto con le altre parole: così l'uomo si ritrova subito posto contro Dio stesso e contro gli uomini, credendo di aver tutte le ragioni. Lo spirito della mente gioca i suoi brutti scherzi in questo campo.

L'uomo è così scaraventato fuori dello Spirito Santo.

La fede, la speranza, la carità stessa gli divengono occasioni di ragionamento, di superbia, di violenza!

La vittoria è Gesù. In Lui rimaniamo figli davanti al Padre. Egli ci dona obbedienza, contemplazione e umiltà.

Umiltà per non fidarci dei nostri pensieri e contemplare invece il Padre, per potergli adeguatamente obbedire con amore filiale.

 

1. Prova e tentazione

«Figlio, se ti metti a servire il Signore, preparati alla tentazione» (Sir 2, 1).

Non fa meraviglia che l'uomo, e soprattutto l'uomo che vuol essere di Dio, trovi inciampi nel suo cammino. Nessuno vorrebbe avere tentazioni, ma nessuno ne è esente.

Qualcuno pensa addirittura che il fatto di essere tentato sia segno quasi di esser posseduto dal maligno o di albergare nel cuore spiriti malvagi, una sorta di “male”, di "marcio".

Ogni tentazione perciò lo rende triste, lo convince di esser fuori dalla grazia divina, lontano dalla mèta.

Questo modo di pensare o di credere è un sottile gioco della tentazione stessa, che vuole impedire la gioia e togliere forza alla testimonianza di Gesù che il cristiano può vivere (1).

Dal momento che il Figlio di Dio, l'Unigenito, Gesù Cristo ha avuto tentazione, non possiamo più accettare le suddette affermazioni, altrimenti dovremmo ammettere che nel cuore di Gesù ci sia stato il male, il marcio! E sarebbe bestemmia!

Le tentazioni di per sé non sono pericolose: non sono difficoltà da fuggire con orrore. La tentazione infatti, di per sé, è una prova. È qualcosa da desiderare. Ogni cosa di valore, prima d'esser acquistata viene "provata"! La mia vita, il mio cuore, i miei sentimenti vengono provati, prima di poter dire che appartengo a Dio.

Le parole "tentazione" e “prova” sono una doppia traduzione di un unico termine nella lingua greca del Nuovo Testamento! Traduciamo diversamente un'unica situazione, a secondo che questa è vista proveniente dalle mani di Dio o dagli artigli del diavolo. Il diavolo tenta di sottrarre un cuore a Dio, Dio mette alla prova chi dice d'esser suo.

La situazione, esteriormente, è identica, ma può esser vista due angolature diverse.

Ogni cristiano deve esser provato. E chi non è provato non può dire d'esser cristiano. Così un musicista, fin che non ha superato le prove, non può dirsi tale; lo stesso avviene per ogni mestiere, per l'attore, per il giornalista, per il muratore!

Nella preghiera fiorita sulle labbra di Gesù e diventata nostra diciamo al Padre: "non c'indurre in tentazione". Mi pare che si potrebbe leggere così questa domanda: "Non lasciarci cadere nella tentazione, non lasciarci cadere nelle mani del maligno, cioè, ancora, fa' che nella prova non siamo sopraffatti da colui che separa il nostro cuore dal tuo". Non chiediamo al Padre di privarci della prova: l'oro e l'argento devono esser provati al fuoco prima di poter affermare con certezza la loro purezza. Il figlio di Dio deve esser messo alla prova prima di poter affermare che la sua vita ha origine in Dio!

Il cristiano perciò non si farà triste per il fatto d'avere tentazioni, ma sarà invece lieto di aver l'occasione di provare a Dio il proprio amore, anzi, d'aver l'occasione di apprezzare il Suo. Di questo in fin dei conti si tratta: di amare e di lasciarsi amare. Questa è l'essenza del figlio di Dio.

 

2. La prova dell'amore

Gesù ha appena udite le parole: «Tu sei mio figlio» e si posa su di lui lo Spirito di Dio. Proprio da questo Spirito egli viene condotto nel deserto. E lo scopo di questo viaggio è l'esser messo alla prova. Anche per lui, come per Giobbe, l'incarico della prova viene lasciato al diavolo (Gb 1,7ss).

Il momento di questa prova è il momento che segue gli istanti più belli e felici: Gesù si sente chiamare e definire Figlio da Dio stesso! All'uomo Gesù viene rivolta questa parola che gli assicura l'identità più bella e più misteriosa allo stesso tempo. E con la parola anche lo Spirito stesso di Dio lo pervade stabilmente. Sappiamo che lo Spirito di Dio è il rapporto d'amore Padre-Figlio, una relazione di reciproca donazione di sé di Colui che ama donando se stesso e di Colui che, ricevuta così la Vita, continua l'esser dono di sé nell'amore che obbedisce.

Lo Spirito di Dio è amore completo, amore di padre e amore di figlio, amore ricco di iniziativa e amore che accoglie ogni iniziativa, amore che ama per primo e amore che risponde!

L'amore porta Gesù nel deserto! L'amore del Padre attira Gesù nel deserto: là, nel luogo della morte, l'amore paterno risulterà ancora amore creatore e generante vita! L'amore del Figlio spinge Gesù nel deserto: là, nel cuore di quest'uomo si potrà vedere un amore fedele e disinteressato: in Gesù la purezza dell'amore, un amore che è solo dono di sé, che non cerca gratificazioni e ricompense.

Il deserto è il luogo ideale della prova dell'amore, il crogiuolo ove solo l'amore puro può resistere, quell'amore privo di incrostazioni d'egocentrismo, o di egoismo, o di ricerca di qualcosa per sé.

Nel deserto Gesù ama il Padre: non lo ama per attendersi benefici, ricompense. Nel deserto Gesù non sarà ricompensato nemmeno con un pezzo di pane, non riceverà nemmeno il necessario per vivere. Là Egli ama il Padre solo per amore, per donargli se stesso. E là Egli accetta d'esser amato dal Padre direttamente senza l'intermediazione delle creature, senza prove tangibili!

È lo Spirito che spinge Gesù nel luogo dove l'uomo muore! dove l'uomo può ricevere null'altro da Dio se non il suo solo amore e dove l'uomo solamente a Dio può dare se stesso senza contraccambio d'alcunché. Solo l'amore puro resiste alla prova del deserto. Il deserto è il crogiuolo dell'amore. È proprio qui, in questo "luogo", in questo clima che la prova dell'amore viene afferrata dal tentatore, dal diavolo.

Negli artigli del diavolo la prova sublime dell'amore diviene tentazione.

Diviene cioè spinta alla divisione, alla separazione, al distacco del Figlio dal Padre, alla divisione dell'amore che non può essere diviso.

Se il tentatore riuscisse a intaccare il rapporto d'amore tra il Figlio e il Padre, a dividere i loro cuori l'uno dall'altro sarebbe ucciso lo Spirito Santo, ne rimarrebbe distrutta la natura stessa di Dio-Amore! Così l'uomo vedrebbe Dio diverso da quel che è e non potrebbe più incontrarlo, perché si incontrerebbe sempre con una immagine falsa di Dio, un , immagine distorta, orribile: vedrebbe non un Dio "comunione", ma un Dio unica persona, un Dio padrone! L'uomo ragionevole o ne prende paura o la rifiuta. E dal momento che non sa che quella immagine è falsa, l'uomo si trova a vivere da schiavo nei riguardi di Dio o a dover rifiutare Dio stesso e a cercare di crearsi l'esistenza: diventando creatore di se stesso l'uomo poi si fa anche una propria morale, se non arriva alla disperazione (2).

È proprio ciò che è successo ad Adamo: egli ha rotto il rapporto di figlio con Dio e s'è trovato con un’immagine di Dio che gli faceva paura, un dio da cui poi tentava di difendersi: gli pareva che Dio gli fosse diventato nemico, che non fosse più padre per lui!

 

3. Secolarizzazione

Il tentatore ha un solo scopo, benché lo rivesta di un'infinità di colori e di suoni. La sua mèta è il dividere da Dio, l'allontanare il cuore del figlio dal cuore del Padre, il rompere quell'unica relazione d'amore che mantiene l'identità del figlio e fa conoscere quella del Padre.

Rotta la relazione d'amore puro, il figlio non sarà più figlio, ma solamente uomo, e il Padre non sarà visto più Padre, ma padrone. Il tentatore si è fatto udire con parole quanto mai vere: «se sei Figlio di Dio»! Questa è una parola vera e santa, ma non approvata da colui che la pronuncia ora. Chi la dice ora non la crede, ne vuole dimostrazione. Chi la dice è uno spirito sospettoso, uno spirito che non si ritira dal farsi giudice della parola detta da Dio!

Quel «se» rivela infatti un modo di pensare e di vivere al di fuori di Dio: è possibile una vita atea, senza Dio; è possibile una vita "secolarizzata". Quel «se» manifesta che Dio può esser osservato dall'esterno, come se non si dovesse o potesse dipendere da Lui, come se potesse non esser padre! Sembra di udire alla sorgente di quel "se" concezioni come queste: «io con Dio non c'entro, vediamo se tu c'entri con lui!...» oppure «Dio non ha a che vedere con me, vediamo come la mette con te»!...

Quel «se» vuol porre uno spazio libero tra l'uomo e Dio, vuol far in modo che l'uomo interrompa la relazione di fiducia e di dipendenza totale da Dio. (3)

In tal modo vengono poste le basi per una nuova "teologia" e per una nuova "antropologia", dei "nuovi" modi cioè di considerare e conoscere Dio e l'uomo.

Dio verrà considerato a se stante, e l'uomo sarà visto e guardato in se stesso senza riferimento a Dio.

Fioriranno varie ricerche su Dio, sulla sua natura e sulla sua vita, ma non lo si chiamerà più Padre! (2).

Verrà visto estraneo, ci si sentirà in grado o in dovere di giudicarlo, di escluderlo dai ragionamenti, dalle scelte individuali e dai programmi sociali.

Dal momento che si dubita della sua paternità si comincia a vederlo di malocchio, a dubitare della verità e sapienza dei suoi pronunciamenti.

E tutto ciò succede non a distanze ragguardevoli dal mio paese, ma nel mio cuore stesso, nella mia casa. «Cosa c'entra Dio con questo e con quello? con quel che mangio e con quel che bevo? con quel che guadagno e con le ore che dormo?» (3).

Nello stesso tempo l'uomo viene considerato da tutti i punti di vista, vivisezionato con molta accuratezza nelle sue dimensioni corporali e psichiche più profonde. In base a queste catalogato, giudicato, giustificato e curato (4).

Ma, e lo spirito? Nessuno vede o considera più lo spirito. Eppure è ciò che sostiene corpo e anima e dà loro la direzione dei movimenti.

Chi può accorgersi dello spirito, della sua salute e della sua malattia? Se l'uomo non è più rapportato a Dio non si vede in lui lo spirito, che è vivo solo come relazione, rapporto positivo o negativo con un'altra presenza.

Da quando entra il «se» tra l'uomo e Dio non si riconosce più la vera identità dell'uomo, né l'eternità della sua vocazione, né la direzione del suo sguardo e del suo cammino.

L'uomo rimarrà senza riposo, perché non troverà più la strada per la propria casa: la casa del figlio è la casa del padre! Se il figlio non si riconosce più figlio, dove andrà?

 

4. Ragionamento e amore

Il tentatore arriva a far sorgere così nuove "teologie". Taluno le chiama eresie.

Ogni ragionamento che nasce riguardo a Dio è una teologia, ma ogni ragionamento su Dio che non mette l'uomo in rapporto d'amore con Lui, e in rapporto d'amore obbediente e fiducioso, è eresia. Si potrebbe dire ancor peggio, apostasia. Il ragionamento infatti non avvicina a Dio, solo l'amore raggiunge questo scopo, dice l'apostolo Giovanni. Il resto allontana da Lui.

L'esempio del Maestro, l'unico degno di questo nome, Gesù, è un esempio stupendo e unico. Egli non ha mai ragionato su Dio. Lo ha semplicemente amato. È rimasto per Lui come figlio, e semmai l'unico ragionamento che Egli ha tirato in campo è stato un aiuto affinché noi deponiamo la superbia intellettuale e ci abbandoniamo fiduciosi alle cure del Padre e assumiamo i suoi modi di fare (5).

Nel deserto vediamo infatti Gesù impegnato a respingere ragionamenti. Il primo che Egli non vuol neppure affrontare è proprio quello che potrebbe essere provocato dal «se».

Questa è una parola che riesce facilmente a trarre in inganno l'uomo, attirandolo nella discussione (6).

Sia nel caso che questa preposizione significhi dubbio: «se è vero che tu sei figlio di Dio», oppure nel caso che voglia esprimere soddisfazione: «dal momento che, dato che sei figlio di Dio» Gesù non vi annette importanza. Egli sa di essere figlio di Dio, non ne dubita: il Padre l'ha detto. (Mc 1,11) E non è merito proprio, ma tutto del Padre!

Gesù non vuol mettere alla prova la Parola pronunciata da Dio, non vuol mettere alla prova la sincerità e la fedeltà di Dio. Il Padre non è Padre per il fatto che io lo riconosco tale. Egli è Padre comunque. E dal momento che sono figlio di Dio sembra udire Gesù esprimersi così: “dato che sono suo figlio voglio rimanere tale, voglio ubbidirgli, ascoltarlo, dipendere in tutto da lui”.

Il ragionamento avrebbe voluto portare il figlio a riconoscere e cercare una propria indipendenza, un'autonomia di decisione: “dato che sei figlio di Dio, decidi tu ora senza chiedere nulla a Lui, decidi cosa fare da solo...”

Un ragionamento che porterebbe il figlio a rinunciare alla natura di figlio, a introdursi nel posto di Colui da cui viene ogni iniziativa e ogni vita ed espressione di vita. Un ragionamento così porterebbe a rinnegare la vera natura di Dio comunione, di Dio unità di tre cuori, di Dio amore, di Dio Trinità. E ciò in un modo molto sottile (2 - 7)!

Se il Figlio si rendesse indipendente dal Padre e adoperasse la propria divinità per rendersi autonomo, noi lo conosceremmo come figlio del padrone e non più figlio del Padre! Il figlio del padrone è colui che si può far padrone, non così il figlio del Padre. Il figlio del padrone è colui che decide in base ai propri gusti e alle proprie necessità, è colui che vive in modo egocentrico: la sua attività dipende dall'attenzione a se stesso, ai propri desideri, ai propri sentimenti, alle proprie convinzioni. Il Figlio del Padre è colui invece che vive in costante attenzione al Padre, ai suoi gusti e progetti, ai suoi sentimenti e decisioni. Il figlio del Padre è contemplativo, il figlio del padrone è introspettivo. Il figlio del Padre è essenzialmente apertura all'Alto, tiene gli occhi fissi su Dio per cogliere da Lui ogni motivo di azione, per giungere all'attività nell'obbedienza.

Quella teologia che vede un Dio padrone non porta più alla contemplazione: porta invece alla introspezione (8), porta all'attività che nasce dall'uomo, dalle sue presunte capacità e presunte esigenze, porta a vedere l'uomo centro dell'universo, e a dipendere perciò dall'uomo senza distinguere peraltro più i suoi bisogni dalle sue passioni (9). E così ci si trova a servire l'egoismo dell'uomo invece di servire il nascere e crescere in lui del figlio di Dio.

 

5. Le vesti della tentazione

Il Tentatore veste la tentazione con tre mantelli, l'uno più vistoso dell'altro. «Bello a vedersi, buono a mangiarsi» direbbe Eva (cf Gen 3,6). Lo scopo del tentatore è unico, come è unico l'amore che deve esser messo alla prova. I tentativi per distogliere da esso sono tre: e con questi tre si esaurisce ogni genere di tentazione (Lc 4, 23).

Il primo tentativo sfrutta la situazione di fame in cui Gesù viene a trovarsi. Su questa situazione viene formulato un ragionamento che corre liscio secondo il modo di ragionare dell'uomo. Hai fame? che cosa aspetti? datti da fare.

Il ragionamento non si preoccupa di porre l'uomo in rapporto con Dio, anzi cerca piuttosto di renderlo autonomo. Dio può esser dimenticato. Il figlio non sta più in relazione al Padre, non occorre più chiamarlo figlio. Dio diventa distante, assente. S. Giacomo direbbe: «A voi che dite: domani andremo nella tal città e faremo affari...»! «Dovreste dire invece: "Se il Signore vorrà, vivremo..."» (4, 13-15)!

Il pane, pur così necessario all'uomo, diventa l'occasione per togliere dal cuore dell'uomo stesso la relazione filiale al Padre: ottenuto lo scopo, quest'uomo non avrà più nemmeno relazioni fraterne. E il pane diverrà occasione di divisioni, di liti, di odi, di guerre. Il pane ne sarà solo l'occasione, la causa sarà invece la perdita di relazione al Padre!

Il secondo tentativo coglie l'occasione dal fatto che il Figlio dì Dio deve esser conosciuto e riconosciuto. Anche qui il ragionamento è semplice. Devi esser conosciuto? Sei mandato agli uomini? Datti da fare, usa i mezzi di comunicazione sociale, non importa come, intervieni sull'opinione pubblica! Il mezzo più semplice era allora farsi notare sul frequentatissimo piazzale del tempio. Bastava un'azione da far colpo, un gesto eclatante. Il figlio di Dio sarebbe stato subito conosciuto e riconosciuto come figlio di Dio. Ma figlio di quale Dio? L'immagine del Dio che ne sarebbe venuta non sarebbe stata l'immagine di un Padre, ma l'immagine di un mago, di un dio molto simile a quello conosciuto dai pagani: un dio comodo per l'uomo, che sfrutta l'uomo e la propria capacità di far miracoli per la propria gloria: ma una gloria fatta di grandezza e non d'amore. Una gloria d'orgoglio e di superbia, gloria satanica! (10).

Il terzo tentativo prende lo spunto dal fatto che il figlio di Dio, secondo l'ovvia conclusione della ragione, è migliore di tutti gli uomini e perciò è l'unico che li può governare rettamente. L'uomo che si ritiene migliore o perfetto vorrà perciò avere il comando sugli altri uomini. È proprio questo il ragionamento che si ode dentro di noi: se fossi io il capo!...

E questo ragionamento è l'unico che sa di non poter far riferimento a Dio, altrimenti bisognerebbe ammettere che è Lui che deve governare. L'uomo sente nel suo subconscio che per poter ottenere questa "gloria", questo potere, deve far riferimento a Satana, direttamente: «Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo». E così l'uomo che vuol regnare sugli uomini si mette d'accordo con Satana, anzi, accetta la sua padronanza. Con chiarezza l'uomo in tal modo non darà spazio ai pensieri e all'opera di Dio e non manifesterà col proprio regnare sugli uomini la paternità di Dio. Colui che risulterà padrone del mondo sarà Satana, colui che vuol tenere il mondo fuori di un qualsiasi rapporto con Dio. I fatti lo hanno dimostrato e lo dimostrano ogni giorno. Chi comanda sull'uomo è legato strettamente al nemico della paternità di Dio (11).

Tutti e tre questi tentativi appaiono belli e attraenti alla mente dell'uomo: essa cerca le ragioni, cerca ciò che è bene e ciò che è male; essa non cerca l'obbedienza a Dio.

Lo spirito della mente è uno spirito che - anche senza volerlo e senza accorgersene - cerca di nascondere o di ignorare la paternità di Dio. Perciò s.Paolo dirà ai cristiani la necessità di cambiare lo spirito della mente: seguirlo è molto pericoloso, è mettersi su di una strada che conduce lontano dal Dio vero e che consegna l'uomo alla guida di Satana. «Rinnovatevi riguardo allo spirito della vostra mente» (Ef 4, 23).

 

6. Lo spirito della mente, nascondiglio di satana

Lo spirito della mente dell'uomo è uno spirito egocentrico e materiale. Questo spirito cadrebbe con facilità nei tranelli posti dal tentatore sui passi obbligati dell'uomo.

Questo spirito dà importanza ai ragionamenti, e i ragionamenti sono basati sull'esperienza. L'esperienza dell'uomo è però limitata, e, poco o tanto, influenzata dall'egoismo e dal peccato. Lo spirito della mente porta l'uomo a non accogliere la novità di Dio e le novità cui conduce la Parola di Dio: lo porta invece a difendersi da Lui.

L'uomo ha le sue esperienze e da queste gli sono venute convinzioni e modi di fare nei quali si sente sicuro e appoggiato. Quando Dio vuole intervenire nella sua vita interviene come Padre, come uno che vede oltre, che vede meglio, che prepara il futuro sconosciuto all'uomo. Preparando cose sconosciute, sia per il mondo che per la Chiesa che per i singoli, il Padre deve poter operare con libertà: le sue opere e le sue Parole sono novità che non trovano spesso ancora riscontro nell'esperienza del singolo.

L'uomo è portato a difendersi dalle novità, da ciò per cui non è preparato e di cui non si sente protagonista. Cerca perciò di difendersi dall'intervento della Parola di Dio, perché la ritiene come una minaccia alla propria sicurezza, la vede come un intervento che lo butta nel vuoto. Si difende con ragionamenti che sono basati sulle esperienze già incontrate nella vita; in questi ragionamenti l'uomo fa appello alla propria conoscenza di Dio già fissata e predeterminante, ma non è capace di lasciare a Dio la natura e il Nome di Padre: in tal nome dovrebbe lasciare a Dio libertà e superiorità. Se Dio interviene nella vita dell'uomo in modo inconsueto, in un modo che chiede distacco da beni materiali o dalla salute o da convinzioni, l'uomo cerca la difesa da Lui giudicandolo ingiusto, crudele, persona potente, ma senza amore!

Se l'uomo avesse spirito di figlio s'abbandonerebbe fiducioso e contento alla guida di Dio, lasciandogli così il Nome di Padre! Lo spirito della mente dell'uomo, invece che unire l'uomo a Dio fino ad «integrarlo» in Lui, lo separa, lo aliena dal Padre. Credo di poter dire che lo spirito della mente è il nascondiglio preferito dal Maligno, da Satana. Egli, padre delle tenebre, tende a nascondersi, a mascherarsi. Quale nascondiglio è migliore dell'interno stesso dell'uomo?

Nell'uomo la parte più vulnerabile e accessibile è il ragionamento. Con esso l'uomo si crede grande e forte, capace e veritiero. L'io crede d'essere il padrone della mente, del ragionamento. Ma proprio qui si nasconde colui che vuol strappare il figlio dal Padre, facendo ritenere al figlio di essere già come il padre e di poterlo quindi lasciare.

Il maligno si nasconde molto bene nei ragionamenti, si nasconde così bene che intere opinioni pubbliche hanno dichiarato di non averlo mai visto, anzi, che non c'è mai stato e che quelli che lo ritenevano ancora presente nel mondo s'erano sbagliati scambiandolo con un tipo particolare di malattie psichiche e psicofisiche o caratteriali. Non riconosciuto e quindi indisturbato egli ha potuto continuare a rimaner nascosto nei ragionamenti degli uomini orientandoli al proprio interesse. Conseguenza: opinioni pubbliche intere ora sono molto lontane dalla conoscenza amorosa di Dio! (12).

Dobbiamo far veramente attenzione ai ragionamenti, a quelli che ci vengono così spontanei! Gesù non ha accolto i tentativi di ragionamento che iniziavano a formularsi nella mente: Egli ha fatto ricorso allo spirito di obbedienza. Alle sollecitazioni del tentatore Egli risponde con Parole di Dio già scritte nei libri sacri. In tal modo Gesù sta in umile obbedienza al Padre. Questo è lo spirito che tiene conto della giustizia e della verità di Dio; questo è lo spirito che mette in rapporto di figliolanza a Dio. Dallo spirito di obbedienza emerge l'immagine di uomo figlio e di Dio-Padre.

Lo spirito di amore obbediente è l'unico clima salutare per l'uomo: in esso l'uomo nasce, diventa figlio! In esso Dio viene riconosciuto e accolto Padre. In esso vive la relazione d'amore che è Spirito Santo (13).

È di questo spirito di amore che ubbidisce con fiducia che l'uomo ha bisogno, ne ha bisogno come del pane per vivere. È da questo spirito d'amore ubbidiente che il figlio di Dio viene conosciuto e riconosciuto e che il Padre riceve gloria. È con questo spirito d'amore ubbidiente che l'uomo raggiunge vera unità e comunione e autorevolezza anche con gli altri uomini.

 

7. Il figlio è la vita

«Dio ci ha dato la vita eterna e questa vita è nel suo Figli». «Chi ha il Figlio ha la vita; chi non ha il Figlio di Dio non ha la vita» (1 Gv. 5, 11-12). «Ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto» (Col 1, 13b).

Il Figlio è il dono di Dio. È il dono che viene da Dio, che ci fa conoscere Dio, che ci immette in Dio.

Chi può far senza del Figlio? solo chi vuol ignorare Dio. Nessun uomo al mondo può incontrare l'amore di Dio senza il suo Figlio. Nessuna persona può entrare in una dimensione divina soprannaturale senza Gesù, il Figlio unigenito. Ma cosa significa «avere il Figlio»?

È certamente di più che sapere che c'è il Figlio, di più che avere una conoscenza intellettuale di Lui.

Avere il Figlio può significare essere immedesimati in Lui in quanto figlio, avere un cuore da figlio obbediente e confidente come Lui e con Lui; avere la natura di figlio, essere cioè dipendente dal Padre, ricevere da Lui la vita, i sentimenti, i desideri, le parole, le azioni e la forza per compierle.

Per es.: i sentimenti di rabbia o di vendetta non possono provenire da Dio. Se li coltivo, vivo una vita di cui Dio non è Padre, una vita che non posso definire vita di figlio di Dio! Così per le parole, azioni...

«Il Figlio non può far nulla se non ciò che vede fare dal Padre; quello che Egli fa anche il Figlio lo fa» (Gv. 5,19). «Non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, così io parlo» (8,29).

«Io dico al mondo le cose che ho udite da Lui» (8, 26).

Il Figlio è la vita eterna. Essere nel Figlio, unico, unigenito, uniti a lui come tralci alla vite, questa è la vera vita e il vero destino dell'uomo.

Proprio su questo punto convergono tutte le tentazioni, e tutte le eresie. C'è chi vuol diventare uomo o costruire l'uomo senza il Figlio, con un'educazione che non tiene conto del Figlio unico di Dio. Che uomo diverrà o costruirà?

Costui deve anzitutto avere un progetto, un progetto d'uomo diverso da quello di Dio: un progetto d'uomo che non tenga conto che il vero uomo è il Figlio.

Tentazioni che porteranno a fallimenti, tentazioni che già in partenza, se si sviluppano tra i cristiani, possiamo definire eresia (14).

Ci sono anche proposte e progetti a dimensione sociale più ampia: desideri di unificare gli uomini e i popoli e giungere alla pace delle nazioni, senza il Figlio. Ma se il cuore degli uomini e dei popoli non diventa cuore di figlio ci si ritroverà a dire le stesse parole all'agnello e al leone! Tutto potrà andare per il meglio, fino a tanto che al leone non si risveglierà lo stimolo della fame; e poi?

Il cuore di figlio non si sviluppa nell'uomo fin che questi non conosce il Padre. E il Padre lo può rivelare solo il Figlio Gesù (15). Non ci sarà perciò vera pace duratura tra i popoli se non quando questi popoli si metteranno alla scuola di Gesù! Ci facciamo pure illusioni talvolta nell'intraprendere dialoghi con altre religioni, dialoghi in cui il Figlio di Dio, Gesù, rimane sconosciuto, nell'ombra.

Una tal forma di dialogo rimarrà senza frutto, sterile per il Regno di Dio.

Solo il testimone di Gesù è fecondo; colui che con la propria vita annuncia che Gesù è il Salvatore, trasmette vita! E testimone significa martire.

Il martire sa di vivere una vita con Gesù che è l'unica vita di cui anche i membri di altre religioni sono alla ricerca. Se così non fosse i santi martiri potrebbero esser giudicati fanatici, imprudenti, estemporanei. E la testimonianza di Gesù verrebbe lasciata alle precedenti lontane generazioni (16).

Senza il Figlio ci può esser religione e teologia, discussioni e discorsi su Dio, ma non c'è fede, non c'è quella fede che proviene dall'amore e che porta all'amore carico di speranza e di gioia. Senza il Figlio non c'è vita! Senza il Figlio non c'è relazione d'amore e quindi non c'è Spirito Santo, che è sempre "terza" persona! *

Se c'è lo Spirito vivificante ci potrà essere la vita!

Quando c'è lo Spirito creatore, spirito di relazione tra amore di Padre e amore filiale, allora l'uomo riceve la vita e giunge alla vera conoscenza degli altri uomini: solo allora.

* Lo Spirito Santo è la "terza" persona nella SS.ma Trinità, rapporto d'amore tra Padre e Figlio.

Quando ho un rapporto di amore col Padre o col Figlio c'è ancora e sempre la "terza" Persona, lo Spirito Santo.

Quando tra me e gli altri uomini c'è rapporto d'amore "paterno" o "filiale" è presente la "terza" Persona! Non c'è Spirito Santo ove non è stabilito rapporto d'amore! Chi vive anche con Dio solamente un rapporto interessato (solo per salvarmi o per guadagnarmi il paradiso) non conosce Spirito Santo! Questi è sempre la "terza" Persona!

 

8. Chi è più tentato?

Quali sono le persone più tentate? Tutti gli uomini vengono messi alla prova; o, meglio, ogni uomo che ama. Chi ama viene da Dio. Ogni amore perciò deve esser provato perché si distingua con chiarezza l'amore ché è da Dio da ciò che è parvenza di amore.

Se la prova è di tutti, il tentatore però si accanisce - e adopera maggior finezza ed astuzia - con coloro che rappresentano in vario modo il Figlio. Le persone più tentate perciò sono (lo dico un po' per esperienza) i membri più in vista del Corpo di Cristo che è la Chiesa. Preti, vescovi, religiosi, laici impegnati sono maggiormente privilegiati dal tentatore.

Coloro che in qualche modo portano in sé ed esercitano uno dei servizi o ministeri del Figlio vengono tentati interiormente dal non assomigliargli, dal non vivere la natura del figlio. Quando queste persone entrano «ufficialmente» a servizio del «Regno del Figlio diletto» promettono sempre obbedienza: garanzia che saranno partecipi dello spirito di figlio, che eserciteranno l'amore ubbidiente!

Ed è proprio in quel momento che si fanno sentire e operano le maggiori tentazioni, le peggiori. Proprio noi, preti, arrivati a questo punto d'inserimento nel mistero del Figlio, giungiamo a pensare: «ora che sono prete, mi so arrangiare, non ho più bisogno di un padre spirituale. Ora che sono prete, so io come fare, cosa dire...». È una tentazione. Non sempre viene accolta, ma spesso si fa presente. Quando viene accolta viene subito a mancare quella relazione filiale che fa da supporto allo Spirito Santo. Come possiamo spiegare altrimenti l'assenza di Spirito Santo in alcuni uomini dotati dei suoi ministeri o dei suoi carismi?

Nelle comunità religiose, che hanno il carisma di rendere visibile l'unità trinitaria, là si fa presente con insidie sempre più nascoste lo spirito di disobbedienza. Non ottiene sempre ascolto, ma quando lo ottiene, quella comunità non è più comunione di fede e di amore, non è più regno di Dio, non è più presenza del Figlio di Dio. Dove una comunità resiste alla tentazione e vive concretamente lo spirito di amore obbediente - caratteristica del Figlio - là è un continuo miracolo. La vita di quella comunità supera ostacoli superiori ad ogni intelligenza, vive un amore altrimenti impensabile sulla terra.

Il fatto che movimenti eresiarchi e scismatici nella Chiesa lungo i secoli siano partiti da preti, monaci e vescovi è un dato significativo. La disobbedienza è la tentazione più frequente: essa disinserisce dalla vita del Figlio, smembra il Corpo di Cristo con ferite inguaribili. Al contrario, lo spirito di obbedienza mantiene la Chiesa sana e operosa, feconda di nuove vocazioni alla santità e al ministero. Lo spirito di obbedienza mantiene le comunità ecclesiali e parrocchiali piene di vita e capaci di opere degne del Figlio.

Una antica tentazione colpisce coloro che - con un briciolo di orgoglio - sanno d'avere studiato. Essi credono di sapere cos'è bene e cos'è male, perché ritengono di avere intelligenza sufficiente. Cadono così nel moralismo, l'atteggiamento che la Bibbia chiama «mangiare dell'albero della conoscenza del bene e del male». In questo atteggiamento è facile all'uomo perdere il riferimento a Dio e riferirsi invece alla propria intelligenza o ai propri studi. L'obbedienza è subito dimenticata e sorge invece l'atteggiamento chiamato "seguire la propria coscienza". La coscienza dell'uomo, privato di rapporto filiale e obbediente a Dio, comincia un cammino "morale": l'uomo stesso cerca il proprio bene e il proprio male, con le conseguenze che ci possiamo immaginare (18).

Il ragionamento, anche quello dei teologi, non garantisce Spirito Santo alla Chiesa, semmai il loro amore a Gesù e il loro esser figli obbedienti nella Chiesa. E questa è la caratteristica che li unisce a tutti i veri cristiani e fa della Chiesa una comunione santa. Ogni persona - dal bambino all'anziano - che coltiva l'unione con Gesù in uno spirito di amore obbediente è pietra viva dell'edificio spirituale nel quale ogni uomo potrà rifugiarsi e trovare vita e ristoro (17).

 

9. Le vie della tentazione

Per quali vie giunge a noi la tentazione?

La prova dell'amore filiale, o la tentazione di lasciarlo, giunge a Gesù per vie insospettabili. Le stesse vie che lo portano a vivere il rapporto con Dio sono state scelte dal Maligno per distoglierlo da esso.

Anche nella natura abbiamo delle analogie significative: l'inondazione giunge da quel fiume da cui di solito si riceve il benessere! Il dolore del corpo ci viene procurato da quelle membra che ci sono tanto utili e necessarie.

Le vie in cui si esprime il rapporto del figlio al Padre sono la fede, la speranza, l'amore. Queste stesse vie sono usate dal tentatore per distogliere Gesù dalla sua figliolanza, per far giungere cioè la tentazione.

Il primo tentativo: «dì a questa pietra che diventi pane».

Ci vuole una gran fede a pronunciare la parola che trasforma la pietra in pane. Ci vuole la fede che trasporta le montagne, è necessaria un fede totale, impegnata, decisa. Dio si è impegnato con chi crede. Dio può dire alla pietra di diventar pane. Può esser tentazione una fede così grande?

Vediamo che Gesù viene portato dal tentatore a considerare la fede e ad usarla senza mettere questa stessa fede in rapporto stretto con la speranza e l'amore.

La fede congiunta alla speranza direbbe: Dio stesso mi dona quanto mi è necessario e utile al suo Regno; io perciò non faccio miracoli per me, mi abbandono al Padre.

La fede congiunta all'amore si metterebbe in attento ascolto del Padre, poiché l'ascolto è il primo amore: «se tu Padre mi dici di fare qualcosa, lo farò; uso tutta la fede per obbedire a Te, per fare la Tua Parola». La fede unita alla speranza e all'amore fa anzitutto opera di discernimento: il gesto che mi viene suggerito - dire alla pietra di diventare pane - è un gesto propostomi dal Padre? è un atteggiamento che mi fa esser figlio o che mi fa esser padrone? Il modo proposto dal tentatore per esercitare la fede, piuttosto che esprimere speranza, esprime disperazione e piuttosto che amore esprime egocentrismo, attenzione a se stesso invece che attenzione al Padre!

Il secondo tentativo: «Buttati giù; sta scritto infatti: ai suoi angeli darà ordine per te...». È la via della speranza. La speranza è certa di ottenere quanto Dio ha promesso.

Il gesto proposto, gesto suicida, impegna una speranza a tutta prova: «la parola di Dio è vera, quindi Dio farà un intervento strepitoso se io mi butto». Sembra addirittura di poter dare a Dio in tal modo un'occasione senza pari di manifestare la sua presenza. Può esser tentazione una speranza tanto coraggiosa? Questo modo d'esercitare la speranza vorrebbe portare Gesù a non ascoltare il Padre, ma ad eseguire invece la prima idea che salta per la testa. È vero che Dio ha promesso assistenza, ma non è vero che l'ordine «buttati giù» viene da Lui!

Questo modo di vivere la speranza vorrebbe portare ad attendersi da Dio ogni beneficio senza ubbidirgli, a chiamare Dio col nome di Padre senza impegnarsi ad essergli figlio!

Questa speranza è disarticolata dalla fede, o interpreta la fede a proprio vantaggio. E porta l'uomo lontano dalla obbedienza d'amore, dall'atteggiamento filiale!

Il terzo tentativo: «gli mostrò tutti i regni... e gli disse: tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai».

È la via dell'amore. I regni sono le convivenza umane, gli uomini raggruppati politicamente per aiutarsi gli uni gli altri. Il figlio di Dio è stato mandato nel mondo per salvare gli uomini, per donare loro l'amore di Dio, per far crescere gli uomini nell'unità. Perché non usare i regni, le strade cioè che gli uomini stanno già percorrendo per raggiungere lo scopo? Come saranno «regnati» bene gli uomini se sarà il Figlio di Dio a regnare! Così Egli può esercitare l'amore proprio per tutti, perché tutti gli uomini, liberamente o costretti, fanno parte dei “regni"!

Ma l'amore proposto in questo ragionamento è senza speranza: agli uomini Dio non potrebbe dare nulla di nuovo, li lascerebbe nei loro regni cambiando solo il re! Ed è un amore senza fede: non s'appoggia sulla paternità di Dio, ma sulle capacità dell'uomo! Un amore disarticolato dalla fede e dalla speranza passa necessariamente per le vie di Satana. Tutti i regni del mondo infatti «amano» gli uomini facendo uso della violenza!

 

10. La via della fede

Il tentatore mette alla prova l'amore del Figlio di Dio cercando di attirarlo su una via che ha l'apparenza della fede.

Dio può cambiare le pietre in pane. Può anche il Figlio: ma se lo fa di propria iniziativa senza dipendere dal Padre quel Figlio non è più figlio! La tentazione di prendere questa iniziativa può venire! E viene quando distolgo lo sguardo da Dio e lo rivolgo all'uomo. Se osservo l'uomo vedo una infinità di bisogni di cui mi sembra che egli soffra. E siccome so che Dio non vuole che l'uomo soffra m'impegno a toglier queste sofferenze con i modi e strumenti che io conosco.

Osservando l'uomo credo di arrivar a conoscere le sue necessità. E poi desidero fare i miracoli possibili per riempire i vuoti che ho visto.

Scopro così che Dio non ha fatto quello che va bene per l'uomo: Egli ha fatto i sassi, sono io a procurargli il pane. Corro il rischio cioè di mettermi a giudicare Dio e di non essere attento a Lui perché Egli stesso mi dica quali siano i veri bisogni dell'uomo!

Io, con i miei occhi, vedo che l'uomo ha mancanza di benessere. Cerco di procurarglielo, convinto di dargli vita.

Vedo che l'uomo ha un vuoto di cultura. M'impegno ad acculturarlo, facendo credere che in tal modo egli diventa uomo, e addirittura cristiano!

Vedo l'uomo disimpegnato in politica: lo sommergo di ideali e di strutture pensando di dargli un pane necessario.

Lo vedo povero di amore e lo riempio di sentimenti umanitari e filantropici ed ecologici e sportivi, pensando in tal modo di elevarlo a dignità... divina! Vedo l'uomo peccatore, capace di fare il male. Insisto con lui perché faccia il bene e lo convinco che se fa il bene ottiene vita eterna! Sostituisco così la morale all'ascolto di Dio!

Vedo l'uomo ignorante di Dio e formulo per lui varie teologie a seconda della sua situazione; ma l'uomo non vive ancora! Vedo l'uomo disorganizzato e lo organizzo in vari organismi addirittura ecclesiali e pastorali, illudendomi di non dovergli dare altro!

Sono tutte cose belle, ma sono sassi. La pietra non nutre lo stomaco dell'uomo: così questi ideali non faranno mai dell'uomo un figlio di Dio, non gli daranno mai quella vita che egli attende e che è capace di portare (19).

Dio ha dato un pane, uno solo, che si può spezzare a tutti.

È necessario perciò non tanto guardare all'uomo, quanto piuttosto guardare a Dio e tendere a Lui le mani vuote per ricevere quel pane che esce da Lui, che Egli si toglie di bocca o, meglio, dal cuore, per donare vita divina all'uomo. Il pane di Dio è proprio quel Gesù che fu tentato di nutrirsi con le pietre.

L'uomo bisognoso di tutto troverà vita se si nutrirà di Gesù, Parola di Dio. Non è la cultura che rende l'uomo figlio di Dio né i grandi sentimenti umanitari, nemmeno il benessere materiale, ancor meno la politica. Di più: non è nemmeno il buon comportamento e l'onestà e il fare il bene che riempiono i cuori degli uomini e li elevano. Queste cose trovano il loro posto e lo spazio nella vita, benché di per sé possano nutrire anche sentimenti di orgoglio e di egoismo: indispensabile è Gesù. Senza Gesù l'uomo è digiuno e senza Gesù l'uomo non cresce figlio di Dio.

Quante tentazioni subisco, e quante energie impegno senza che diano il frutto che desidero! Desidero che gli uomini diventano uomini secondo Dio, figli suoi, ma li nutro con surrogati!

Nessuna meraviglia perciò se essi, dopo anni di vicinanza a me e ai miei programmi si stufano, si stancano, sono ancor più assetati di prima e disperano della mia possibilità di aiuto. E se io rappresento la Chiesa, dalla Chiesa s'allontanano sconsolati, delusi, forse arrabbiati come il cane che attende il cibo e riceve... perle! e cercano altrove!

Ho tentato di dare belle cose all'uomo, ma l'uomo ha bisogno di pane (20)!

Il pane dell'uomo è Gesù! Solo con lo sguardo rivolto al Padre attentamente e amorosamente potrò accorgermi che Egli non vuol dare sassi da trasformare, ma vuol darmi direttamente il Pane! Dal Padre ricevo quel Pane che non ha bisogno di trasformazione!

 

11. Pane invece di pietre

Nella mia vita di prete incontro con insistenza questa... tentazione: sostituire il dono di Dio con materiale rabberciato qua e là nel mondo. Naturalmente non mi sembra neppure di sostituire il dono di Dio, anzi, di renderlo più concreto, più appetibile agli occhi o al cuore degli uomini, più facilmente accessibile, che richiede minor sacrificio.

Dico ai cristiani che per esser tali basta impegnarsi un po', fare qualcosa nella società o nella parrocchia, nella scuola, esser onesti, osservare i comandamenti, farsi carico di qualche problema... Ma in tal modo lascio gli uomini rivolti verso se stessi, verso l'uomo. In tal modo l'uomo, se mi ascolta, non diverrà mai figlio per il Padre: rimane senza un'identità divina.

Se non voglio essere inutile al regno di Dio e farmi io stesso strumento del tentatore dovrò orientare diversamente la mia attenzione: guarderò al Padre, lo ascolterò per obbedirgli, non farò scelte mie, ma darò risposte a Lui. Dovrò stare in ascolto, in contemplazione di Dio. Senza tale atteggiamento costante la mia vita torna - del tutto involontariamente - a cercare sassi invece che Pane nutriente.

Mi accorgo che devo abituare alla contemplazione quelle persone che voglio veramente aiutare. Devo indicare loro Gesù, sempre, in ogni circostanza e solamente Gesù. È Lui il ristoro quando c'è fatica, è Lui la forza per continuare ad amare donandosi, è Lui la sorgente della capacità di perdonare, è Lui la fonte della sapienza che dà luce per le scelte della vita. Mi sono accorto che quando indico Gesù e dono Gesù alle persone che mi incontrano, queste rimangono soddisfatte e capaci di percorrere ancora un lungo cammino anche senza di me! Gesù è pane!

lo stesso, naturalmente, mi devo nutrire di pane, cercare il Pane di Dio per la vita che Dio m'ha dato. La tentazione è di accontentarmi di quel che trovo lungo il cammino, senza cercare oltre. Lungo il cammino trovo rumore, parole e suppliche di uomini, fatti di cronaca, sofferenze e gioie, amicizie e inimicizie, lavoro e riposo. Qui dentro non c'è il pane che mi nutre, ma la fame che attende nutrimento. Dovrò trovare il tempo e lo spazio per cercare quel Pane di Dio che esce dalla sua bocca, dal suo cuore: il Figlio, che si fa parola ai miei orecchi e luce ai miei occhi e amore al mio cuore (21).

Nella ricerca di soddisfare i bisogni degli uomini vengo tentato pure direttamente ad uscire da quell'atteggiamento che mi fa figlio di Dio, dall'atteggiamento obbediente.

E non solo io, prete, ma anche quanti hanno espresso più o meno solennemente la decisione d'essere obbedienti. Stando rivolti all'uomo vediamo come impellenti necessità le necessità materiali. E spesso lo sono. Ma se stiamo rivolti a Dio, oltre a queste necessità e al di sopra di esse vediamo i doni spirituali che egli vuol dare, doni d'eternità e pienezza: non rischieremmo di scambiare la missione della Chiesa con un impegno filantropico (22). Come mai nel popolo cristiano, (o almeno in gran parte di esso) continua a diffondersi la incomprensione e talora il disprezzo per le chiamate di Dio, totali o temporanee, al silenzio, al ritiro, alla preghiera continua. Non c'è attenzione a Dio!

E nelle comunità religiose, dove l'attenzione all'uomo è prevalente si è sostituita la «contemplazione televisiva» alla contemplazione dei programmi di Dio, con conseguente rilassamento, perdita di significato e di significatività e di capacità di incidere nel mondo a favore del Regno di Dio.

In questi luoghi la ragione ha sostituito lo Spirito Santo, il ragionamento rende inutile lo spirito di obbedienza o lo elimina dai cuori.

Nelle famiglie cristiane il momento della preghiera comune scompare, per far posto a molte altre iniziative, forse anche belle, ma che non sono pane che cementa l'unità della famiglia stessa e la fedeltà a Dio, come lo sarebbe la preghiera. Le famiglie che cercano e trovano lo spazio per la preghiera comune sono luoghi in cui lo Spirito Santo può agire con potenza! Là le persone - grandi e piccole - sono nutrite, vivono e crescono di vita interiore e divengono benedizione.

In queste famiglie il padre di casa assomiglia veramente al Padre che non dà sassi a chi ha bisogno di pane!

 

12. La via della speranza

Il tentatore s'avvicina attraverso la speranza. Chi spera attende il compimento delle promesse di Dio! In questa attesa può inserirsi l'atteggiamento che impedisce all'uomo di essere figlio. La promessa di Dio viene adoperata per mettere al centro dell'attenzione se stessi invece che Dio.

Ciò avviene allorché credo alla Parola realmente pronunciata da Dio, ma decido io dove questa parola può e deve avverarsi e impegnarsi. La profezia, cioè la Parola che viene da Dio, viene allora aggiustata ai miei progetti, ai miei desideri, ai miei colpi di testa.

Mi ritrovo a pretendere che Dio compia azioni in obbedienza a me, invece di cercare in quale modo io stesso possa modificare i miei desideri per obbedire a Lui.

La Parola di Dio diventa la pedina di un gioco che io muovo a mio piacere!

Le promesse di Dio diventano promesse di un mago e non più promesse di Padre: mi permettono d'essere irresponsabile, d'essere attento e disponibile ai miei gusti, alle mie comodità: tanto, Dio ha promesso!

Vedo un Dio che si dimette dall'essere Padre e passa al ruolo di tappabuchi: egli fa quel che io non faccio, egli arriva sempre dove vuole arrivare, così io mi disimpegno dal dovermi fermare ad ascoltarlo, a fare con Lui i miei progetti, ad eseguire solo ciò che Lui prevede.

Sperare che Dio realizzi la sua Parola senza che io debba rinunciare a nulla, ai miei desideri di gloria e di popolarità, senza che io debba mettermi ad obbedire (23)!

È la tentazione di lasciare che tutto vada per il suo verso: quietismo, disimpegno personale e comunitario, sottovalutazione del peccato. A lungo andare faccio quel che voglio, tanto c'è Dio (244)!

È il contrario della speranza espressa da Maria: "Eccomi, si compia in me la tua parola"! Questo è il vero atteggiamento davanti a Dio che parla!

Non so individuare tutti i meandri della vita dove si può nascondere questa tentazione. So che c'è chi «si butta» in un attivismo sfrenato, anche in un attivismo apostolico senza tener conto dei limiti del corpo e, più spesso, quelli dello spirito. Pensando che tanto Dio manderà i suoi angeli... quanti preti - per rimanere nel mio campo - hanno esagerato col rifiutare ogni riposo e sono finiti all'ospedale... o al cimitero? Oppure «buttandosi» nel lavoro apostolico hanno dimenticato di porsi in ascolto di Dio e sono finiti col non distinguere più il Regno di Dio dalle politiche umane, ecc ... ? a non vivere più nello Spirito Santo! (25).

Anche il contrario però succede. L'attenzione alla mia salute mi fa dimenticare talvolta o disattendere il mio impegno nel Regno di Dio. Devo essere pronto a «buttarmi» se è Dio che me lo chiede, anche se ciò comportasse proprio l'affidarmi totalmente a colui che ha detto: «essi ti sorreggeranno con le loro mani...». Dio provvede realmente a chi gli obbedisce: Egli ha liberato il Figlio dalla tomba, quando il Figlio vi è entrato in obbedienza.

Egli è pronto ad attuare la Sua Parola quando l'uomo vive i suoi desideri e accoglie le sue chiamate.

È bello veder come Dio assiste chi si lascia guidare da Lui con totale fiducia e abbandono, chi non cerca nulla per sé, né gloria né attenzioni, chi cerca solo la Sua Volontà di Padre!

Dio non finisce mai di stupire, mostrandosi Papà delicato e generoso con chi gli si fa figlio obbediente e fiducioso.

 

13. La via dell'amore

Il tentatore scopre infine l'amore, come possibile strada per mettere alla prova l'amore! Sembra un'assurdità impossibile, eppure! Egli fa osservare gli uomini e i loro raggruppamenti, i regni! Dare un regno giusto e saggio agli uomini è un grande atto d'amore per loro: essi ne hanno sempre bisogno e cercano chi regni su di loro. Così l'uomo, per una sorta d'amore per l'uomo, si mette al di sopra di lui e lo comanda, lo governa. L'uomo così, credendo di amare, domina il fratello. Crede di amarlo, ma in pratica arriva a sfruttarlo per la propria gloria o per la propria gratificazione.

L'uomo che cerca il governo degli altri uomini non rimane figlio, diventa padrone.

il suo amore per gli uomini non è più riconoscibile come amore del Padre. Nel regno dell'uomo sull'uomo, Dio non è riconosciuto Padre, come uno cioè che dona se stesso.

La tentazione di non rimanere al posto di figlio davanti a Dio e quindi fratello accanto all'uomo sfrutta più che non si pensi proprio la strada dell'amore.

Porto qualche esempio.

Quanto è facile per amore dei poveri arrivare al disprezzo dei ricchi! Ora un uomo che disprezza un altro uomo, benché peccatore nel campo dell'avarizia, non può esser chiamato figlio del Padre! in lui non è presente l'amore di Dio, benché dica di amare i poveri! Quale tipo di amore dona ai poveri? un amore che esclude Dio, benché forse lo nomini con le labbra!

Per difendere un fratello accuso un altro fratello. Vedo gli uomini come nemici tra loro, invece che eventualmente succubi del Nemico. Se vedo un uomo sfruttato o offeso da un altro, il primo da difendere è quest'ultimo: colui che offende o che sfrutta deve essere difeso dal Maligno! L'amore che difende l'uomo dovrà esser certamente chiaro nell'accusare il peccato ed il sopruso - anche se mascherato - ma continua ad amare anche il peccatore e oppressore, per difenderlo dal Maligno che lo domina e trascina (26).

Veramente, quando l'amore non è ogni giorno ricevuto da Dio Padre esplicitamente, diventa solo un sentimento umano sfruttato da Satana. È lui il principe di questo mondo, e chi vuole amare con le forze dell'uomo soltanto si scoprirà immerso nell'odio, nella violenza, nella vanagloria, nell'egoismo.

Quando l'uomo è al centro della mia attenzione può succedere con estrema facilità la mia caduta in questa trappola del Maligno. E ciò può avvenire anche a livello dei miei compiti pastorali e ecclesiali. In quanto prete sono in una posizione pericolosa (27).

Rischio di vedermi in diritto o dovere di comandare, di giudicare e di accusare: la difesa dei poveri e dei deboli ne è giustificazione! Se non dipendo in tutto da Dio, ma dal mio sguardo all'uomo, non compio più l'opera di Dio. Arrivo a difendere il povero dal ricco, ma non difendo il ricco da Satana (26).

Difendo i corpi e non le anime, dono beni passeggeri invece che quelli eterni e stabili, illudendo il povero e me stesso.

Anche l'amore a Dio può prestarsi come possibile via alla tentazione. Ed è ad es. quando penso di amare Dio incaricandomi di difenderlo dalle bestemmie degli uomini.

Per «difendere» Dio sono tentato di offendere gli uomini di giudicarli e accusarli. Ma, mentre li giudico e li accuso sono già io stesso contro Dio, sono fuori di Lui, distante dalla Sua Realtà, che è Amore per i peccatori! Non sono più suo figlio: in quel momento le espressioni del mio vivere non nascono da Lui!

Il figlio di Dio non difende Dio. Egli riceve semmai come rivolti a sé gli insulti fatti al Padre e cerca di difendere l'uomo dal suo nemico, Satana. Il figlio di Dio non si offende, ma tiene nel cuore la misericordia del Padre e il suo desiderio di salvare l'uomo dal Maligno, anche quando quest'uomo si fa momentaneamente suo nemico.

Se non rimango strettamente e interiormente dipendente dal Padre mi posso illudere spesso di amare gli uomini mentre invece li carico di pesi più grandi. Succede troppo di frequente che faccio qualcosa con l'intenzione di amare, prendo iniziative, mi sacrifico ecc... ma tutto questo lo faccio con inquietudine, con fretta, con tensione interiore: agli uomini che credo d'aiutare trasmetto però la mia inquietudine e tensione! Non li aiuto, li soffoco!

Me ne accorgo talvolta mentre predico o spiego il catechismo: è certamente un bell'aiuto, ma perché talvolta i miei ascoltatori se ne vanno via tristi, oppressi? Sono stato inquieto, preoccupato di quanto dovevo dire, preoccupato di convincere, non abbandonato con fiducia al Padre. L'amore che credevo di donare non era amore, non era Spirito Santo: mi mancava il rapporto di figlio al Padre!

Altra menzogna che nasce dallo sguardo rivolto all'uomo pur con l'intenzione di amarlo: una sorta di psicologismo che vuol pervadere tutti i campi della vita del singolo e della Comunità cristiana.

La psicologia è conoscenza dell'anima umana, del profondo dell'uomo. Ma se questo stesso uomo non lo rapporto al Padre, non lo conosco. Se non vedo l'uomo nella luce dello Spirito Santo e non gli trasmetto Spirito Santo non l'aiuto!

La psicologia è una gran bella cosa se è sottomessa allo Spirito di Dio, allo Spirito d'amore del Padre al Figlio e del Figlio al Padre. Se non riesco a vedere l'uomo come figlio o a proporgli di diventare figlio del Padre la psicologia diverrà un nuovo campo di dominio dell'uomo sull'uomo: non lo potrò chiamare amore (28)!

 

14. Le armi e la vittoria

È affascinante la vittoria dell'uomo sui vari tentativi congiurati contro di lui.

L'uomo vittorioso è l'uomo vero, quello pensato da Dio, ricco del suo amore di Padre. Quest'uomo, come più volte ripetuto, si potrà ritenere solo figlio: non riesce a considerarsi puramente uomo, non ce la fa. Egli è in costante, ininterrotto rapporto al Padre. Senza questo rapporto non è più figlio, non è più se stesso: andrà in cerca della propria unica identità perduta, ma non la troverà se non ritornando a questo rapporto.

Il rapporto Figlio-Padre è lo Spirito Santo! L'uomo che vive questo rapporto si ritrova immerso nello Spirito Santo, nella sua gioia e nella sua luce! Si ritrova in un'unità armoniosa con l'esistenza e la presenza del Dio vero.

Come fare? La via è unica: unirsi all'Unico Figlio del Padre, rimanere unito all'uomo Gesù. Egli è l'uomo che traduce in vita umana tutto l'amore che c'è nel cuore di Dio, Egli è l'uomo che incarna la Parola di Dio, tutto ciò che Dio vuol comunicare di se stesso. Egli è l'uomo-Dio.

Gesù è l'unica possibilità di salvezza dell'uomo, l'unica possibilità che l'uomo ha di superare la prova dell'amore e la tentazione contro l'amore. Ciò avviene stando unito a Gesù, accogliendo i suoi sentimenti e i suoi pensieri, donando a Lui tutto l'amore di cui dispongo.

Quanti consigli, quante strade, quante proposte mettono confusione e scompiglio e disorientamento! Una sola è la mèta e una sola la strada: il Figlio Gesù! «Chi viene a me non avrà più fame né sete»! «Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me»! «Una gioia grande vi annunzio: è nato per voi Gesù»! «Chiunque crede in lui non muore»! «Chiunque ha udito il Padre e imparato da Lui, viene a me».

Non possiamo sostituire Gesù con ideali, nemmeno i più belli. Sono perle pregiate, ma perdono valore alla presenza dell'unica Perla: divengono spazzatura. L'ideale è qualcosa che l'uomo cerca con le proprie forze e non riesce a raggiungere mai abbastanza. Gesù è dono di Dio: l'uomo lo accoglie, e ne viene riempito.

Chi accoglie Gesù e dona a Lui il suo amore esclusivo è capace di mantenere in armonia fede e speranza e amore: ognuno di questi atteggiamenti sarà sintonizzato con gli altri due e va servito e mantenuto in vita. Fede, speranza e amore non saranno più luoghi pericolosi di tentazione, ma luoghi attraverso cui si può esprimere l'amore filiale e verso Dio e verso gli uomini. . Rimanendo in Gesù rimarranno vive in noi le tre armi che difendono e fanno vincere e superare la prova: l'obbedienza, la contemplazione e l'umiltà.

Ognuno e tutti e tre insieme questi atteggiamenti presenti in Gesù nel deserto faranno uscire anche me vittorioso dalla prova. L'obbedienza m'impedisce di poggiare su me stesso e mi tiene fisso sulla pietra angolare. Il cuore obbediente è il cuore del figlio che tratta il Padre da papà, che santifica il Suo Nome. L'obbedienza costa, la si impara soffrendo (Ebr 5,8), ma rende l'uomo figlio! L'obbedienza fino alla morte ha assicurato al Figlio la gloria eterna!

La contemplazione, lo sguardo d'amore rivolto a Dio, riempie di certezza e di luce la speranza. Chi contempla sa cosa fare, sa come amare, sa come vivere, sa cosa dire, perché egli vede ciò che fa il Padre, vede come Egli ama, ode le sue parole. La vera attività umana ha origine nella contemplazione silenziosa di chi si fa figlio a Dio!

L'umiltà che nasce dal coraggio di lasciare al Padre l'iniziativa salva Gesù da ogni tentativo del Nemico. Gesù non ragiona coi pensieri che lo vorrebbero mettere davanti a Dio per insegnargli. Egli con grande e totale umiltà non cerca in sé né forza né luce: prende semplicemente gli atteggiamenti del cuore dalle parole che l'uomo aveva già detto a nome del Padre. Questa umiltà lo porta a contemplare e obbedire.

Nessuno più lo vincerà. Nessun tentativo, nemmeno il più violento, alla fine, sul Calvario, riuscirà a penetrare nel cuore del Figlio. Anche allora l'umiltà porterà Gesù, che contempla il Padre, a udire la parola del salmo e a ripeterla obbediente: «Padre, nelle tue mani consegno il mio Spirito». E così il Figlio rimane figlio in eterno!

 

15. «Stava con le fiere e gli angeli lo servivano»

La vittoria di Gesù assume - secondo Marco - queste dimensioni:

Egli vive la vera vita dell'uomo, quello «creato secondo Dio nella giustizia e nella santità della verità», l'uomo amico di Dio che non riceverà danno dalle situazioni avverse. Le sofferenze e le cadute e le amare sorprese non distruggono il suo esser figlio di Dio, la sua partecipazione alla vita divina! Anzi!: «Gli angeli lo servivano»!

I messaggeri di Dio gli danno possibilità sempre nuove di sviluppare la sua capacità d'amare e di esser figlio.

Non m'immagino uno svolazzar d'ali attorno a Gesù, nel deserto, no! Ma vedo Gesù che riceve dal Padre ispirazioni e luci, anche attraverso fatti e persone, che gli servono per vivere la sua figliolanza. Tutto diventa per Gesù angelo di Dio, messaggero dell'Amore: gli uccelli e i fiori, i pesci e gli agnelli, i bambini ed i pastori, i contadini con i loro strumenti e le massaie, tutto diventa per Gesù occasione per vedere l'amore del Padre e rispondergli con confidenza, con fiducia e con abbandono.

Questo è il dono che riceve chi si fa figlio del Padre: può convivere, senza danno al suo rapporto con Dio e alla sua umanità, con le avversità e sofferenze. Egli riceve continuo aiuto dal Padre, continue manifestazioni (angeli) del suo Amore eterno! Signore Gesù Cristo, figlio del Dio vivente, abbi pietà di me peccatore!

16. Il premio del vincitore

Gesù esce dal deserto vittorioso. Il suo amore si è dimostrato amore puro, solo dono di sé senza ricerca di gratificazione, senza ombra di egoismo.

I tentativi di Satana sono stati adoperati da Gesù per dimostrare al Padre la sua fedeltà di Figlio.

Gesù continuerà in tutta la sua vita, in tutti i giorni che seguiranno, a vivere come nel deserto, a perseverare nell'amore puro verso il Padre.

E il Padre troverà nel Figlio il luogo della sua manifestazione, così da poter dire che chi vede il Figlio vede il Padre; infatti, chi vede il Figlio vede il puro dono di sé, e questo è l'Amore, questo è Dio! Chi ama il Figlio ama il Padre: infatti chi si unisce al Figlio nell'amore disinteressato entra nel mistero del Dio Amore.

Chi ascolta il Figlio ascolta il Padre: infatti il Figlio è l'espressione piena e perfetta del volere, del desiderio, del progetto di Dio Padre.

Gesù, il Figlio di Dio, che non ha voluto trasformare in pane le pietre, avrà da Dio la gioia di trasformare in pane il proprio corpo, perché gli uomini se ne potessero nutrire e ricevere la sua stessa vita, la sua stessa capacità d'Amore divino! e avrà la grazia di trasformare il pane nel proprio corpo offerto, perché anche gli uomini - in tanti modi tentati dal Maligno potessero offrirsi con Lui ed essere graditi al Padre!

Il pane che è il suo corpo e il suo corpo che è il pane saranno la pietra che fa da fondamento a tutto il mondo nuovo che si appoggia su di Lui!

Gesù è il pane che sazia l'uomo!

Gesù, il Figlio di Dio, non ha accolto la proposta di interpretare a vantaggio di una propria autonomia dal Padre la sua parola e non ha fatto nulla per cercare la gloria degli uomini, rifiutando la proposta di gettarsi dal pinnacolo per obbligare il Padre a dargli vita e salute nonostante tutto!

Ed ecco che - secondo la parola «non chi da sé si raccomanda, ma colui che il Signore raccomanda», Gesù riceve la grazia di essere Egli stesso Parola di Dio per tutti; «ascoltatelo» è risuonato sul monte!

Ancora, senza cercarla, Gesù riceve gloria da Dio diventando Egli stesso, con la sua Presenza, salute e guarigione per ciechi, storpi, paralitici e sordi, risurrezione per morti, gioia per tutti! E infine tutti lo contempleranno, tutti gli sguardi saranno attratti verso di Lui quando sarà innalzato non sul pinnacolo del tempio, ma sul monte del teschio, il monte che diviene luogo di vita per tutti quelli che muoiono.

Gesù è la Parola, Egli è la gloria di Dio e la salute e salvezza dell'uomo!

Gesù, il Figlio di Dio, non ha accolto la proposta di Satana di farsi re degli uomini e nemmeno la proposta degli uomini di ricevere da loro stessi l'investitura a proprio re: perciò Dio stesso, il Padre, lo elegge a re universale ed eterno, innalzandolo alla sua Destra! E gli uomini che ascoltano Dio accoglieranno la regalità di Gesù sul proprio cuore, sulla propria vita, fino a morire per Lui.

Gesù è il vero re che non comanda, ma che è ubbidito e seguito e amato da folle di ogni nazione, lingua, popolo e razza, in ogni tempo!

«Il regno del mondo appartiene al Signore nostro e al suo Cristo: Egli regnerà nei secoli dei secoli» (Ap 11, 15).

 

NOTE

o elenco di modi di fare che provengono da (o portano a) espressioni ereticali della fede.

(1) Queste "convinzioni" potrebbero portare ad una specie di "manicheismo".

Si vede il male alla pari del bene, non si vede il Salvatore!

( 2 ) Ritenere che Dio è "unica" persona e non Trinità porta alla distruzione di tutte le verità della fede rivelata, porta ad interpretazioni aberranti del Vangelo e quindi alla apostasia (cfr. Testimoni di Geova: partendo dalla negazione della Trinità negano la divinità di Gesù e dello Spirito Santo, dichiarando che la Chiesa è idolatra e diabolica, i sacramenti azioni sataniche, i cristiani rappresentanti di Satana...).

(3) È la secolarizzazione: il mondo che esclude la fede si manifesta come «mondo», rifiuta cioè l'incarnazione del Figlio di Dio, diventando indifferente e separato da Dio stesso. Dio e uomo, ognuno per la propria strada. Se il credente segue il mondo nelle espressioni di secolarizzazione si autoesclude dalla testimonianza di Gesù.

( 4 ) Il Materialismo: l'uomo è ciò che di lui si vede o si tocca, oppure ciò che lui stesso sente.

(5) La separazione tra intelligenza e cuore, tra conoscere e amare porta frutti terribili. Cristiani che sanno tutto di Dio, ma non vivono nell'amore e non si fidano del Padre: è l'ateismo peggiore, la falsa testimonianza. È una specie di schizofrenia, malattia della religiosità.

Di qui l'esistenza di teologi atei, di genitori che insegnano ai figli ad ubbidire a Dio... arrabbiandosi e bestemmiando! Una piccola espressione di questo atteggiamento è l'incapacità diffusa a chiamare Gesù con questo suo Nome: vien chiamato «il Cristo», nascondendo così il sentimento di amore per Lui che c'è nel cuore.

(6) L'intellettualismo porta a essere attenti alle ragioni e ai torti: si esce facilmente dallo Spirito Santo, che è obbedienza d'amore a Gesù e quindi superamento delle ragioni con la ricerca della gloria di Dio. Cioè: non mi importa d'aver ragione, ma di essere portatore di Dio, diffondere attorno a me spirito di pace, gioia e amore...

(7) Nell'opinione pubblica c'è un prurito di udire disobbedienze nella Chiesa per dare torto e criticare chi ha il servizio dell'Autorità pastorale. È il maligno che giustifica e applaude la cerca di far apparire la Chiesa di Dio come società democratica dove ci si confronta con disobbedienza e le opinioni degli uomini invece che con la Parola di Dio ed i suoi ministri.

(8) L'esame di coscienza o la verifica dei propri impulsi diventerebbe più importante della contemplazione di Dio e dell'ascolto dei suoi progetti! È una forma dì egocentrisrno.

(9) Antropocentrismo: l'uomo è norma di tutto, non occorre la luce di Dio. Nell'uomo c'è già tutto quel che gli serve: arriva così a sfumature di panteismo!

C'è attenzione a quel che l'uomo prova e sente, e non ai disegni di Dio su di lui. L'uomo è riconosciuto solo in rapporto a conseguenze:

- nell'educazione: si favorisce la libera espressione dei propri sentimenti e impulsi, senza usare "dominio di sé"!

- a livello vocazionale: non esistono più «chiamate di Dio», ma solo scelte dell'uomo; non più riferimento a Dio nell'unità dei coniugi, ma solo ai sentimenti e ai gusti personali.

(10) Paganesimo moderno: oroscopi, magie, cartomanzie, pendoli, e guaritori (pranoterapeuti, radioestesisti, ecc ...), sistemi yoga e zen, meditazione trascendentale, ecc.: teorie e tecniche che mettono al centro dell'attenzione il proprio io e favoriscono una visuale materialista della vita (cercando a tutti i costi la salute e il proprio perfezionamento fisico e psichico, oppure cercando di sapere in anticipo quanto succederà, senza affidarsi minimamente al Padre!). Tolgono ogni fiducia e abbandono in Dio, che vien dichiarato (inavvertitamente) incapace ad essere padre!

(11) L'uomo usurpa il posto di Dio; non imita Dio Padre, ma un dio conosciuto come padrone: superbia della vita.

( 12 ) Atteggiamenti verso Satana: negazione della sua esistenza o sua morbosa ricerca per farne oggetto di curiosità (giornalisti!) che ne svaluta la drammaticità in riferimento alla fede. Tutti e due gli atteggiamenti fanno il suo gioco: farsi ritenere assente, o solo spauracchio, o inesistente.

Così si arriva ad incolpare Dio del male del mondo; soprattutto a non cercare un discernimento spirituale per scoprire i luoghi interiori ove Satana si nasconde o si camuffa e opera, a sottovalutare l'importanza dell'esorcismo.

( 13 )Dal fatto che l'uomo non si riconosce figlio, in pratica con spirito obbediente e dipendente, provengono le crisi di identità dell'uomo. Egli si chiede: chi sono io? e dimentica di rispondere alla domanda: di chi sono io? la risposta a questo secondo interrogativo dà luce e serenità nell'affrontare il primo. Da questa dimenticanza ne sono nate crisi tra le persone consacrate a Dio (sacerdoti e religiosi) che li hanno portati ad obbedire allo spirito del mondo, a trovare "identità" nel confronto con gli uomini lasciando in disparte il confronto con Colui che li ha chiamati e mandati.

(14) La secolarizzazione applicata alla natura umana, come se potesse esistere l'uomo senza riferimenti a Dio. È la negazione della prima affermazione del Credo: Credo in un solo Dio Padre Creatore... di tutte le cose!

(15) Progetti cristiani senza fede in Gesù non possono esistere. Non c'è un uomo salvato senza di Lui! L'uomo non può esser diviso in due piani, piano umano e piano di fede, piano naturale e piano soprannaturale. Gesù è salvatore di tutto l'uomo.

( 16 ) In dialogo col mondo talvolta i cristiani sono «sale senza sapore». Volendo stare al passo coi mondo non propongono la persona di Gesù, unico vero salvatore, ma propongono solo azioni umanitarie applaudibili anche dall'ateo: nulla di «nuovo», nulla di «divino».

( 17 ) L'unità dei discepoli del Signore è luogo di Dio, «vita e benedizione per sempre», dove i fratelli sono uniti. «Dove due o più sono uniti nel Mio Nome, là Io sono». La disobbedienza distrugge quest'unità. Non ci sono ragioni valide per disobbedire (tranne l'evidenza del peccato, naturalmente).

(18) Moralismo: cercare ciò che è bene e ciò che è male, fare il bene ed evitare il male. Se in questa ricerca del bene e del male non si fa diretto riferimento alla Parola di Dio c'è il costante pericolo di fare quel che ha fatto Eva: secondo lei era buono e bello ciò che Dio non aveva permesso né donato, anzi proibito!

Il discepolo di Gesù non si chiede che cos'è bene e cos'è male, ma chiede a Dio: «Che cosa vuoi Tu che io faccia?» «Si faccia di me secondo la Tua Parola»!

L'atteggiamento di Maria all'Annunciazione non è stato un atteggiamento morale, ma teologale; non si è chiesta cos'è bene, ma ha ascoltato e si è resa disponibile alla Parola di Dio.

L'obbedienza supera il moralismo!

(19) Il dono di Dio non può esser sostituito dai doni dell'uomo.

(20) Senza vita interiore la vita cristiana è inesistente, non ha forza, non supera le difficoltà interiori ed esteriori. Ci sono modi di «fare pastorale» fondati sull'agire, sul darsi da fare, organizzare, socializzare. Se non c'è vita interiore l'azione è come un guscio d'uovo svuotato! non ne nasce nulla, anche se lo si cova per anni!

( 21 ) Una tendenza diffusa toglie gli spazi di silenzio dalla vita del cristiano, ritenendoli inutili, senza frutto (cfr. 19). V'è sottinteso l'intendere i frutti della vita cristiana in modo materiale.

Si propongono ore di adorazione senza nemmeno dieci minuti di silenzio. Le nostre parole non possono sostituire il parlare personale e intimo di Dio!

( 22 )La Chiesa non è un patronato o un sindacato per gli uomini contro altri uomini!

( 23 )Pretesa nei confronti di Dio: Egli è visto in maniera magica.

(24) Quietismo: starsene inerti, senza ascoltare i segni della Volontà di Dio. Lasciare che le cose vadano come vogliono gli altri, senza donare il frutto della contemplazione.

(25) Efficientismo: continuare a fare, senza porsi la domanda: che cosa vuole Dio? Egli può volere cose diverse da quel che sto facendo!

(26) Cecità spirituale: non vien usato il dono del discernimento degli spiriti.

Si pensa e si agisce superficialmente in base ai sentimenti o ai criteri della logica e dei modi consueti di fare degli uomini.

( 27 ) Dominio pastorale: tentazione sottile di noi sacerdoti, coltivata spesso dai laici coi foro silenzio. Si esprime inconsapevolmente in molti modi quando il prete non cerca la vita interiore per sé e per i suoi parrocchiani. È facile vedere i carismi degli altri in funzione del mio carisma di pastore, invece che esser io a servizio dello sviluppo del carisma (dono o chiamata di Dio) di ciascuno. È frequente pure l'abitudine di formulare preghiere per far capire qualcosa agli altri... (strumentalizzazione della preghiera, che diventa così odiosa!).

(28) Psicologismo: assolutizzazione della conoscenza dell'animo umano, della sua formazione e delle sue reazioni. Non lascia spazio aviazione dello Spirito Santo, e soprattutto non propone di lasciar agire lo Spirito di Dio in sé o di obbedirgli. Diventa dominio dell'uomo debole, non gli lascia libertà.

 

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Nulla osta: don Iginio Rogger, cens. eccl. - Trento 22 luglio 1986