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Seguimi

Seguimi

 

Una specie di “contemplazione”della sequela di Matteo e di Pietro fanno cornice alle altre riflessioni-osservazioni che riguardano il seguire Gesù, che troverai in queste pagine.

Essere poveri, esercitare l'amore casto, vivere in atteggiamento ubbidiente, aver volontà decisa di unità con gli altri discepoli e farsi tenere per mano da un «padre», sono grandi necessità di una piccola vita che ascolti la voce di Gesù che sussurra: “seguimi”.

Se qualcuno riceverà aiuto, ringrazi Dio. Se troverà scandalo, mi perdoni. Sempre lodiamo e benediciamo il Signore Gesù Cristo!

don Vigilio Covi

 

INDICE

Seguimi (Mt 9, 9)

Vivere nell'unità

Vivere poveri

Vivere casti

Vivere l'obbedienza di Gesù

Vivere accompagnati

Tu segui me (Mt 22, 22)

Seguimi (Mt 9,9)

 

Seguimi.

Una sola parola, ma sufficiente a coinvolgere una vita intera.

È una parola coraggiosa! Chi se la sentirebbe di dare un ordine o un consiglio simile ad un'altra persona?

Gesù se la sente di rivolgere questa parola a Matteo.

Matteo aveva sempre fatto riferimento a qualche modello per le scelte della sua vita. Quando doveva prendere una decisione, una di quelle che non vengono tanto spontanee, di quelle su cui bisogna riflettere, Matteo correva colla mente a quel tale o a quel tal altro di cui aveva stima, e dentro di sé faceva un'operazione complessa, ma importante: “Come farebbe il tale in questa occasione?”. Matteo, come ogni uomo, aveva bisogno di un modello, perché la sua “psiche”è fatta così. Di tanto in tanto cambiava i suoi modelli: ne trovava di nuovi, di migliori.

Ora Matteo non si rende ancora conto del tutto quale portata abbia la parola che ode dalla bocca di Gesù: seguimi. Intuisce che un nuovo modello gli si propone, esigente. Non è lui che sceglie, stavolta. È Gesù stesso che si mette con sicurezza davanti a lui come Modello.

Dove prende il coraggio costui per una proposta simile?

Gesù può avere questo coraggio senza che esso si tramuti in superbia. Difatti Egli sa di essere mandato da un Altro e di essere in cammino. Gesù non vuole mettersi davanti a Matteo che per fargli da guida e condurlo al Padre. Del Padre, Gesù è sicuro. Del Padre Gesù si può fidare. E Gesù conosce il Padre, ne conosce la volontà, i gusti, i sentimenti, le opere, le intenzioni, l'amore.

Gesù può essere deciso: sa che Matteo troverà la propria realizzazione presso il Padre, anzi, già nel camminare verso di Lui. E Gesù sa di essere l'unico che può condurre senza errori gli uomini al Padre, perché Egli stesso vi è incamminato. Egli è la via, il Padre è la mèta.

Matteo sente la sicurezza di Gesù e la trova attraente: più della propria sicurezza poggiata su basi vacillanti, sia per il cuore sia per la mente.

Ode la parola unica - seguimi -, la scompone subito nelle tre parole di cui è formata - TU SEGUI ME -, in un attimo, come un baleno, vede le tre persone coinvolte in questa nuova faccenda sé, Gesù, il Padre -, e decide.

Un'unica decisione, che noi scomponiamo in tre decisioni d'azione. La decisione di Matteo lo fa alzarsi, fissare lo sguardo su Gesù, mettersi in cammino.

Non è semplice farlo, come dirlo, sembra ricordarci Matteo.

La prima azione comporta abbandonare un lavoro, una carriera assicurata, un benessere raggiunto con fatica. Ti pare semplice?

La seconda azione comporta lasciare tutti quei modelli di vita sul cui esempio ho basato le mie scelte fino ad ora. Distaccarmi da quei modelli, dentro, nell'anima, è come riconoscere inutili o sbagliate quasi tutte le azioni compiute fino ad ora, perché non erano Gesù! Questa seconda azione comporta puntare tutto su Gesù, quasi scommettere tutto quello che ho, su di Lui, e restarmi solo Lui davanti agli occhi. La vita comincia a divenirmi strana.

Ma la terza azione di cui si compone la mia decisione è ancora più seria. È muovere dei passi. Seguire difatti implica un camminare. Non resto mai dove sono. Non sono mai arrivato. Non avrò mai più sicurezza nel cuore, se non d'essere dietro a Lui. Solo Lui sa. Una sola sicurezza che mette pace nello spirito e da questo scende -nel cuore e nel corpo. Il corpo non ha più sicurezze, non ha più pace con cui far tacere lo spirito. Seguire Gesù è fare dei passi, allontanarmi di continuo dalla posizione raggiunta, abbandonarla. Nulla più è sicuro, solo Gesù.

E talvolta Gesù non lo vedi: direi quasi che ha girato l'angolo troppo in fretta. Sono nel buio. Mi restano solo le sue tracce, le orme, da discernere in mezzo a molte altre che si perdono in infinite direzioni. Sì, puoi sempre distinguerle con facilità, ma quanta fatica sceglierle, perché immancabilmente portano il segno dei chiodi! Bagnate di sangue! Di alcune di esse ho scoperto il nome, di altre non ancora, lo scoprirai tu.

Eccone alcune: semplicità, castità, pazienza, gratuità, mitezza, coraggio, obbedienza, umiltà, fermezza, sopportazione, abnegazione, povertà, gioia, modestia, timor di Dio, perdono...

La “confessione”di Matteo è quanto mai seria. Si sente che ha camminato insieme con Pietro, che, già nella sua prima lettera ai cristiani, diceva qualcosa di simile (1Pt 2,21-25).

Ma seguiamo ancora un attimo l'esperienza di questo Apostolo, che ora chiamiamo fortunato!

La sua decisione di seguire Gesù richiama alla nostra attenzione tre gruppi di persone.

Il primo è formato da quelle che Matteo ha lasciato.

Sono colleghi di lavoro, peccatori, soldati romani e chi sa quanti altri. Non è facile lasciarli. Soprattutto se con loro c'è stata un'amicizia poco seria, basata forse sull'aver commesso insieme qualche birichinata (più o meno grossa); è difficile lasciarli. Matteo si attira l'ira di questi amici. Si sentono traditi, si sentono i-nessi in disparte: i loro ragionamenti, le loro azioni soprattutto non sono più accettate né condivise da Matteo. La condivisione di Matteo delle loro parole e della loro vita era una sicurezza: potevano almeno dire: fanno tutti così. Ora non è più vero.

Ora c'è uno che non fa più così: li rende vacillanti, si sentono in pericolo, lo odiano, come si odierebbe il terremoto che mette in forse la sicurezza delle fondamenta di una casa.

Essi continuano a seguire i vecchi modelli di Matteo, e non saranno mai accontentati. Matteo lascia queste persone, non perché le voglia disprezzare, ma perché esse non seguono Gesù ed egli, invece, ha deciso. Se egli segue Gesù... chissà, forse qualcuno ancora dei suoi vecchi amici comincia a riflettere seriamente...

E così ecco Matteo da solo.

No, la sua solitudine dura poco. Dio non vuole che l'uomo sia solo. Eccolo Matteo con Gesù. Ma con Gesù c'è già qualcuno: c'è Simone, Giacomo, Giovanni, Andrea, Filippo, Bartolomeo. Seguendo Gesù, Matteo trova un nuovo gruppo di amici. Li trova, sono già fatti, sono amici di Gesù. Egli però segue Gesù; lo mette bene in chiaro, quando si sente addosso le occhiate di qualcuno di loro che non ha in simpatia gli impiegati delle tasse.

Egli segue Gesù, si sente amato da Lui. Ma ecco che c'è subito da sopportare il carattere di Pietro, e quello di Filippo... La gioia di seguire Gesù si unisce subito ad una croce. I Suoi amici, quelli che si tira dietro, non sono santi come Lui, non sono buoni e seri come Gesù. Seguirti, Gesù, in un altro modo? Ma come fare? Se voglio seguire Te devo stare con quelli che ti sei scelto.

E per di più Matteo si accorge ora - prima non aveva avuto l'occasione di notarlo - di avere egli stesso un carattere non del tutto perfetto. Perché Giovanni mi sopporta senza dir nulla? Forse che Giovanni mi vuol bene perché ha scoperto qualche lato buono della mia personalità? No. Matteo scopre che Giovanni gli vuol bene, solo perché vuol far piacere a Gesù, vuol assumere gli stessi sentimenti di Gesù. Lasciarsi amare... Matteo deve imparare a lasciarsi amare gratis, per amore di Gesù. E così impara pure ad amare gratis, per amore di Gesù. In fondo, dopo che ha provato, scopre che è più bello e che quest'amore è più vero.

Le tentazioni di Matteo in questo gruppo di amici sono tante. Ce n'è una che rischia di non essere avvertita nemmeno come tentazione: siccome Pietro è il capo, e Giovanni è oggetto d'amore particolare, e Giuda si guadagna la fiducia tanto da esser fatto cassiere del gruppo, Matteo pensa di prender loro come modelli di qualcuna delle sue scelte.

Grazie a Dio, Matteo evita questa tentazione.

Egli è chiamato da Gesù, deve guardare sempre a Lui. Se prendesse come modello Pietro, quale fedeltà darebbe a Gesù? Se prendesse come modello Giuda, quale amore gli regalerebbe? Quante delusioni nella vita di Matteo quando si accontenta di seguire l'esempio dei discepoli di Gesù! Ogni volta deve imparare a confrontarsi soltanto con l'amore e l'insegnamento di Gesù. Ogni volta deve imparare a stare in quella comunità non per amore della compagnia, ma solo per amore di Gesù.

Talvolta cercherebbe consolazioni dalle parole di Pietro o di Tommaso, ma se essi non lo portano a Gesù il cuore resta vuoto e spinoso. Talvolta sono gli altri che vengono a lui a cercare comprensione ed egli sente che la dà solo quando li ama per amore di Gesù e li indirizza a Lui.

Matteo così raccoglie un mucchio di esperienze: impara ad amare i suoi condiscepoli non perché se lo meritano, non perché sono buoni o fedeli, ma soltanto perché Gesù li ama e li tiene con sé. Impara, inoltre, a fare tutto quel che fa, come per Gesù, e non per sentirsi dire bravo dagli altri: qualunque cosa facciate, anche quelle che vi piacciono, fatele come per Gesù!

Dopo aver chiamato Matteo, Gesù chiama ancora qualcuno...

Succede quel che capita nelle famiglie: il primogenito, tutto d'un tratto, si trova accanto una sorellina o un fratellino. Con lui deve condividere tutto, eppure non l'ha scelto. Se lo trova là, bello o brutto, sano o malato non importa. Matteo fa la stessa esperienza. I suoi nuovi fratelli li sceglie Gesù: con che criteri? Gesù te lo dice e non te io dice: ha anche Lui i suoi segreti, soprattutto ha la Sua Sapienza e lungimiranza. Accetto, ripete Matteo molte volte! Se badasse alle sue comodità, idee, gusti e discernimenti i suoi occhi perderebbero di vista Gesù, immediatamente. Meglio non rischiare.

Nel suo cammino Gesù continua ad incontrare nuove persone, di tutti i colori.

Matteo, che Lo segue, si trova a contatto con questo terzo gruppo di gente: quella a cui Gesù è inviato dal Padre!

Matteo impara da Gesù ad avvicinarle. Sono peccatori, sono lontani da Dio, con il cuore pieno, a volte di cattiveria, a volte di bontà, spesso di sofferenza, non raramente di interrogativi, dubbi, vuoto. Anzitutto Matteo davanti a loro è sempre in attesa: chissà cosa dice loro Gesù? Forse il cuore di alcuni si apre ed entra la luce! Quante sorprese ha vissuto finora!

Chissà che Gesù non dica a qualcuno: “seguimi”?

Matteo è sempre pronto al miracolo, pronto a ricevere come fratello nuovo, quelli che incontra nel suo cammino seguendo Gesù.

Quando meno se l'aspetta trova qualcuno che da volgare e ubriacone o sprezzante diventa docile, buono, credente!

Verrebbe voglia a Matteo di correre e dire: venite con noi, noi siamo un bel gruppo di gente, noi siamo la nuova società! Non può mai farlo perché taluno dei suoi amici io delude subito... e sarebbe menzogna. Matteo potrà dire con libertà, gioia e sicurezza: vieni a Gesù, va' a Gesù: Egli ti libera, Egli ti salva, Egli ti ama! Chi lo ascolta sente una voce disinteressata, felice e vera!

Le persone cui Gesù va incontro non sono ancora unite, sono divise e sparpagliate, proprio come pecore senza pastore. Al suo arrivo succede qualcosa di nuovo e di bello: si uniscono, si sentono al sicuro... sono trasformate.

Matteo ammutolisce continuamente e pensa: se queste persone vengono qui da Gesù, vedono anche me. Bisogna che in me trovino un aiuto per ascoltare e per dar fiducia a Gesù: se mi vedono modellato e plasmato secondo le Parole che Gesù dice, anch'io sarò un aiuto per loro ed una buona testimonianza per il Signore: ciò che Egli dirà troverà un riferimento concreto nella mia vita. Se mi vedono modellato da Gesù, incontrano qualcosa che vai la pena incontrare. La mia responsabilità è grande verso di loro. Non voglio far apparire Gesù bugiardo; lo crederebbero se vedessero me, suo amico, comportarmi da disonesto, impuro, avido, impaziente, preoccupato.

E così Matteo si ritrova impegnato a purificare la sua vita e a dedicarsi ad un'ascesi seria e gioiosa, per amore di Gesù.

Matteo trova motivo di deludersi degli altri suoi amici, proprio di quelli a cui Gesù affida compiti di responsabilità. Ma alla fin fine egli scopre che tale delusione è provvidenziale, ci voleva, per avere un solo motivo di stare loro insieme: l'amore per Gesù.

Talvolta egli vede gruppi interi che rifiutano di ascoltare e di seguire le parole del suo Maestro e se ne allontanano. Che vergogna prova in quei momenti, ma è l'occasione buona per ripetersi nel cuore:

“Non vengo dietro a Te, Gesù, perché molti ti seguono,

ma perché Tu mi hai scelto,

non vengo con Te perché tutti ti stimano,

ma perché Tu vali”!

E così nel suo cuore cresce la libertà dagli uomini ed il timore del Signore. Il suo uomo interiore si sviluppa fino alla perfezione, fino a diventare forte e capace di trascinare altri nella sequela di Gesù.

Matteo, dicano tutti quei che vogliono, ma sei molto cambiato dall’inizio, da quando stavi seduto alla dogana.

Sembri colla testa tra le nubi,

ma starai in piedi anche quando tutti cadranno!

 

Vivere nell'unità

Parliamo di unità perché la viviamo e perciò la conosciamo.

Pur vivendola non la esauriremo mai: è una prerogativa di Dio, e può perciò esser vissuta dagli uomini giacché vivono in Dio, ma non la vivremo mai esaurientemente.

Dio vive l'unità. Gesù lo manifesta. Dio può vivere l'unità perché è Trinità: il Padre è unito al Figlio, il Figlio al Padre con vincolo di Spirito Santo.

La loro unità è vissuta fino alle ultime conseguenze: il Padre rinuncia a parlare (come invece, ad es., faceva con Mosè) perché ora parla il Figlio (in tal modo - quasi - il Padre scompare...). Il Figlio accoglie il volere di salvezza di Dio per gli uomini e muore! Lo Spirito vive in Dio... si diffonde su tutta la terra e fa agire gli uomini con la sua forza: non lo si vedrà più! se non quasi identificato ai discepoli!

È un'unità che costa la morte.

L'unità in Dio è completa. Dov'è una Persona là vi sono le altre due. Ciò che si può dire dell'uno, lo si può dire degli altri due. Dio è alla ricerca di unità con gli uomini, perché nella sua creazione risplenda tutta la sua gloria!

L'unità che Dio diffonde tra gli uomini raggiunge gradi e profondità diverse, determinati dalla situazione spirituale della persona.

La prima unità deve avvenire tra le varie dimensioni attraverso cui vive e si esprime l'uomo: corpo-anima-spirito. L'uomo è continuamente tentato di divisione: vorrebbe fare ciò che non riesce, fa' ciò che non vuole, vorrebbe essere dove non è, desidera essere amato da chi non lo ama, desidera amare chi non può o come non può. Il corpo, sia esso sano e ancor più se malato, lo limita, lo tiene in tensione con la sua anima e col suo spirito. Lo spirito stesso, mutevole e soggetto a cambiare secondo gli impulsi esterni e interni, non è condiviso dagli affetti e dalle funzioni del corpo...

Dio vuole costruire l'uomo nell'unità. Dà all'uomo un centro di attrazione unico per tutte le componenti della persona: un centro, che è quello di tutto l'universo, cosicché l'uomo che si unisce all'interno di sé, si ritrova in armonia con tutto il creato: e con Dio stesso, perché il centro che Dio ci dà non può essere altro che il Suo: GESÙ!

È il Figlio, amato particolarmente dal Padre, assistito e glorificato dallo Spirito Santo.

L'uomo che unifica le sue forze per attendere Gesù e per glorificarlo si trova così in sintonia col Padre, con lo Spirito e con coloro che già sono uniti a Lui! e si trova in armonia con tutte le creature Come si esprime l'unità con Dio? si esprime molto concretamente, nell'avere gli stessi desideri di Dio, nel fare ciò che Dio fa, nel dire le Sue Parole!

Quando l'amore di Dio è in me, allora sono unito a Dio.

Quando amo fino a dare ciò che ho di più caro, quando guardo al fratello con desiderio di salvezza e cercando per lui l'unione con Gesù, quando amo perché Dio ama, allora sono unito a Dio.

Quando offro la mia vita insieme a Gesù, quando faccio ciò che Gesù dice e solamente perché è Lui che lo dice e non perché è logico, quando vivo con lo sguardo fisso su di Lui anche mentre sto insieme ai fratelli, allora sono unito a Dio!

Quando tra me e i fratelli pongo la comunione dello Spirito Santo, allora sono unito a Dio!

La comunione dello Spirito Santo sia con tutti voi!

Questa comunione - che raggiunge le profondità dello spirito perché è comunione divina - sia con voi!

Mi rintrona spesso questo saluto che rivolgo all'assemblea eucaristica: “... e la comunione dello Spirito Santo sia con voi! ”. Mi rispondono: “E con il tuo spirito ”. Mi sono chiesto più volte cosa possa essere questa comunione dello Spirito Santo. Me ne sono reso cosciente quando l' ho sperimentata e l'ho potuta apprezzare nel confronto con altre comunioni che non sono dello Spirito Santo.

Ho notato che tra noi ci possono essere delle “comunioni” molto limitate e poco fruttuose. La comunione di “classe“ - formata dallo spirito di solidarietà -, la comunione dell'età, la comunione del lavoro, e quella dello sport, e altre, sono forze che ci uniscono: ci uniscono per momenti più o meno lunghi, ma non penetrano la mia scorza. Le ho sperimentate tutte superficiali e incapaci di dare una spinta alla mia fede, al mio amore, addirittura incapaci di compenetrarmi di pace e di gioia. E ogni incontro animato da queste "comunioni“ mi lascia il desiderio di qualcosa di più, di più profondo e di più semplice, di più umano e di più divino.

Credo che mi lasciano il desiderio della comunione dello Spirito Santo. Desiderio inappagabile?

Dio non mente. Se ci dà lo Spirito Santo, ci dà pure la comunione dello Spirito Santo, quella che ha il sapore della comunione che c'è tra il Padre ed il Figlio. È comunione di amore e di fiducia, di serietà e di pace serena.

La sperimento quando qualcuno mi chiede di confessarsi, ad es.

Allora - se non sono distratto - sento tra me ed il penitente la presenza di Dio, perché prendiamo sul serio la Sua azione e la Sua parola; godiamo in quei momenti la gioia del Padre e l'amore di Gesù. La sperimentiamo quando comunichiamo a qualcuno la nostra relazione con Dio, quando lasciamo scoprire ad altri la nostra fede.

Vivere la comunione dello Spirito Santo non è solo bello! è anche fonte di forza per lo spirito, di coraggio per la testimonianza, di salute per il corpo, di armonia per il lavoro, di pace e serenità per il cuore.

A questo tipo di unità devo tendere con i fratelli e le sorelle.

È un'unità che può far cambiare vita, mestiere, amicizie. I motivi per cambiare abitazione o lavoro sono, di solito, molto contingenti, basati sulla situazione finanziaria o sui gusti personali o sull'efficienza. La comunione dello Spirito Santo è un motivo inesistente per il mondo, mai preso in considerazione: i credenti non possono essere indifferenti a questo motivo: anzi, è il loro unico motivo per fare qualsiasi passo nella vita (dovrebbe essere... !).

Quando si vive una vita d'unità - sia essa permanente (tutto il giorno, stessa casa) che saltuaria (incontri settimanali o più) - nel nome di Gesù, si vive la vita trinitaria di Dio. Si permette a Dio di rendere manifesta la sua vita (il mistero nascosto da secoli) in modo comprensibile agli uomini. In tal modo si dà gloria a Dio più che facendo miracoli - ove di Dio si manifesta solo la onnipotenza -! In tal modo si dà pure speranza agli uomini, che vedono vicino a sé in modo abbordabile Dio stesso i

Ma quando si vive una vita così, il Maligno scatena tutta la sua forza e astuzia. Tentazioni di divisione, di invidia, di gelosia, di pretesa, di giudizio diventano pane quotidiano. Chi non si lascia guidare concretamente, chi, poco avveduto, si lascia portare dai sentimenti, chi vive senza disponibilità a soffrire e a pensare positivamente dei fratelli (di tutti), chi non s'umilia dinanzi al fratello per chiedere perdono e chi non dà fiducia al pentimento del fratello, costui distrugge l'unità, costui si fa giocare dal Maligno divenendo un impedimento a Dio stesso, oltre che una sofferenza per i fratelli. Nella vita di comunione spirituale è necessaria la vigilanza personale e comunitaria. È necessaria l'umiltà e la sottomissione. È necessario avere questa chiarezza continuamente presente in modo vigoroso: “la mia vita non deve emergere, deve emergere solo Gesù, il Figlio di Dio, l'unico che deve venire e che viene con potenza, purché egli riceva gloria e possa esser "visibile", sono disposto a rinunciare alla mia personalità, alle mie vedute, ai miei gusti, alle mie abitudini - in una parola - a perdere la vita, morire e a dare la vita, a nasconderla”.

Gesù, crea tu comunione e luoghi di unione di Spirito.

VIENI, SIGNORE GESU'! AMEN.

 

Vivere poveri

Beati i poveri in spirito: di essi è il Regno dei cieli. Dio, il nostro Dio, è povero!

A Lui appartiene il mondo e quanto esso contiene, ma Egli è povero! Dio Padre ha dato tutto al Figlio, gli ha consegnato l'universo e ogni potere!

Gesù, il Figlio, nato in una stalla, non ha una pietra ove posare il capo.

Lo Spirito Santo è chiamato padre dei poveri, non ha nulla; Egli è colui che realizza lo scambio d'amore tra Padre e Figlio. Il nostro Dio è un Dio “povero in spirito”!

Il cristiano sa che Dio ha dato ad Adamo il dominio sulle cose create. Ma sa pure che l'uomo, soggetto alla tentazione, spesso usa i beni datigli da Dio per mettersi contro di Lui o contro i Suoi figli. Il discepolo di Gesù vuole rimanere libero da legami con le cose, vuol essere unito solo al suo Signore.

Egli adopera le sue risorse per obbedire a Gesù. Non gli resta tempo e fantasia per cercare quel che il mondo cerca, per subordinare i beni spirituali e materiali all'egoismo. Il discepolo di Gesù ha rinunciato all'egoismo e all'egocentrismo, ne consegue che non vuole per sé nulla. Ha messo al centro della propria vita Gesù, il Figlio di Dio: ogni cosa deve dar gloria a Lui.

Le “cose“ (denaro, beni, lavoro, diritti d'autore...) sono doni di Dio: devono rimanere e continuare a essere doni che Dio usa (forse con la mia mente e le mie mani) per l'edificazione della comunità, per il servizio del Regno di Dio, come strumento e occasioni d'amore al prossimo.

Quello che il cristiano ha, non lo possiede, ma lo adopera: e se un altro fratello lo può usare per il Regno di Dio, glielo cede: ciò che importa è che il Regno di Dio cresca, non importa se con le mie mani o con quelle degli altri.

La povertà, essenzialmente, non è la ricerca di avere, né la ricerca di non avere, ma l'esercizio dell'usare non per sé, ma per il Signore! E ciò vale sia per i beni materiali (roba, soldi, lavoro), sia per i doni naturali (doti umane, d'intelligenza ecc...) che per i carismi spirituali (discernimento, guarigione, preghiera).

Povertà è non avere più motivi di gioia né di pianto su questa terra, ma godere “che i nostri nomi sono scritti in cielo”.

Povertà è la risposta del cristiano alla parola “Dove è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore”. Il cuore del cristiano è in Dio: è Lui l'unico tesoro.

Questo Dio ha dato i beni di cui disponiamo: perché?

L'uso dei beni dipende da questo “perché ”: perché Dio li ha dati? Dio ad ogni persona e alla comunità cristiana ha affidato dei compiti: i suoi doni serviranno per l'espletamento di questi compiti!

Qualcuno ha ricevuto il compito di educare, altri di dirigere una famiglia, altri di essere strumento di carità e solidarietà, altri di diffondere l'annuncio del Vangelo ecc...

Ognuno userà i beni che riceve per il compito che ha nella Chiesa Nel Vangelo troviamo alcune parole e alcuni atteggiamenti verso i beni terreni. Li elenco brevemente.

- “Guardate gli uccelli del cielo: il Padre celeste li nutre “ (Mt 6, 26).

Gesù vuole il cuore del discepolo libero da preoccupazioni materiali: queste preoccupazioni impedirebbero la pace, l'occuparsi del Suo Regno.

- “Vide anche una vedova povera che vi gettava due spiccioli “questa vedova, povera, ha messo più di tutti“ (Lc 21, 2.4).

Vi ha messo la propria vita: il suo cuore è di Dio! I beni materiali sono usati dalla vedova per realizzare il -distacco da questo mondo e l'unione con Dio!

- “Perché quest'olio profumato non si è venduto per trecento denari per poi darli ai poveri?“ (Gv 12, 5).

Maria di Magdala ama Gesù più di tutto e di tutti! Lo sa dimostrare così!

- “Vendi quello che hai e dallo ai poveri”: ... “andò via triste” (Mt 19).

Il giovane ricco viene impedito nella sua felicità dalle sue ricchezze.

- “La metà dei miei beni la do ai poveri”... (Lc 19, 8).

A Zaccheo le ricchezze non servono più: ha trovato la sua gioia in Gesù.

C'è chi sa tutto ciò e sceglie di vivere la povertà, il distacco da tutto...

E vi riesce perché unisce tutto il suo cuore al Figlio di Dio, si lascia riempire il cuore da Lui: non v'è più spazio per altro.

E se altro ci fosse sarebbe “come mosca in una coppa d'oro colma di vino pregiato”.

Costui gode la libertà di spirito, gode d'intima gioia e diviene per i fratelli «profeta»: la sua

- vita povera è manifestazione che Dio è sufficiente a riempire tutto il cuore!: “rallegratevi che i vostri nomi sono scritti in cielo” (Lc 10, 20).

- Vita povera è segno dell'attesa della venuta del Signore: “stolto, questa notte ti sarà richiesta la tua vita” (Lc 12, 20).

- Vita povera è condizione di vigilanza: “state ben attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni” (Lc 21, 34).

- Vita povera è segno dell’importanza dei talenti spirituali che Dio ci dà da far fruttificare: fede, Parola ecc.

- Vita povera è dare l'occasione a Dio di far miracoli: “Sappiate che il Signore fa prodigi per il Suo fedele” (Sai 4).

“Vi è mai mancato qualcosa?” “Nulla!”.

“Cercate il Regno di Dio e tutte queste cose ve le troverete davanti” (Lc 12, 31).

- Vita povera è atteggiamento necessario per ascoltare ed essere pronti ad ubbidire a Gesù: “Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c'è bisogno” (Lc 10, 41). “Chi di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo” (Lc 14, 33).

- Vita povera è l’atteggiamento che permette di amare il prossimo, vedi il ricco epulone e il buon Samaritano: “Ciò che spenderai in più te lo rifonderò al mio ritorno” (Lc 10, 29).

- Vita povera è condizione e conseguenza della vita comune. Chi non è povero non è capace di stare insieme agli altri nel nome di Gesù e chi si mette a vivere con altri nel nome di Gesù viene aiutato a distaccarsi sempre più da tutto ciò che non è il Signore! “Nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva” (Atti 4, 32).

 

Vivere casti

L'uomo creato da Dio è destinato ad amare. L'uomo normale e maturo ama.

Egli sviluppa ed esprime l'amore a tutti i livelli della sua persona, vale a dire che l'uomo ama con lo spirito, con l'anima e con il corpo: questi vari livelli dovranno rimanere uniti e subordinati l'un l'altro, pena non essere più capaci di esprimere amore, ma egoismo. Ad es. l'uomo che lasciasse libero campo ai modo d'amare del suo corpo senza subordinarlo allo spirito sarà solo in grado di accontentare i suoi istinti passionali. O colui che non dominasse la sua anima, la “psiche”, sarà portato ad attaccarsi agli altri, rimanendone succube, in preda ad alti e bassi di malinconie, nostalgie, entusiasmi, simpatie e antipatie, adulazioni, paternalismi. Lo spirito dell'uomo deve amare e travolgere anima e corpo in questa impresa! Lo spirito dell'uomo deve diventare amore, spirito d'amore! E lo può quando rimane costantemente sotto l'influsso di Dio, che è amore. Quando l'uomo sa esprimere con la sua persona l'amore di Dio, ecco, allora possiamo parlare di amore casto, di castità!

Castità è amore, amore che ha come unico movente l'amore di Dio. Amo il fratello, o la sorella, non per qualche loro buona qualità, non perché mi risultano simpatici o perché hanno fatto qualcosa, o perché valgono agli occhi degli uomini: li amo, mi dono a loro semplicemente perché vedo posarsi su di loro gli occhi benevoli di Dio Padre!

Castità è amore: vedo il Padre mandare Gesù per i miei fratelli: li amo, perché vedo su di loro il segno di Gesù che li ha acquistati col suo sangue, che li redime e li attira a sé.

Amo per amore di Gesù.

Quando amo i fratelli, non amo loro, amo Gesù... e così essi ricevono un amore più intenso, più fedele, più stabile e più fermo.

Castità è amore puro, santo.

Può esserci in me un amore puro e santo?

Può il mio corpo ed il mio cuore amare in modo degno di Dio? L'amore è puro quando non è mischiato, come l'acqua è pura quando in essa non v'è altro.

L'amore è puro quando all'amore, che è Dio, non aggiungo altro!

So che l'amore di Dio, donato, è il Verbo, il Verbo che si è fatto carne in Gesù.

Castità è amare Gesù! Amare Gesù con lo spirito, con l'anima e col corpo, offrire a lui cuore, tempo, cose, talenti e spirito, mani e piedi, ecco la castità!

Gesù è degno di avere, possedere, guidare e usare la mia vita, le forze, gli istinti, le membra del corpo, le intuizioni, le qualità, gli affetti dell'anima, le spinte e i moti dello spirito.

Egli è degno d'averli: glieli dono. Tutto a Lui, senza riserve.

Beati i puri di cuore!

Coloro che nel cuore non mettono altro, non aggiungono motivi per amare e oggetti da amare.

Gesù è il centro, il perno dell'amore: lo amo perché è degno d'essere amato; lo amo donandogli tutto, senza divisione e distinzione. Non tutti capiscono: non tutti, ma solo i chiamati possono comprendere. E chi comprende si sente attirato e chiamato, perché sa che la sua vita non sarebbe completa altrimenti.

Egli rinuncia all'amore-affetto di tutti, dei parenti, degli amici.

Egli rinuncia all'amore-affetto di una donna, o di un uomo.

Ha scoperto un amore-affetto più grande, quello che tutti desiderano e cercano e sperano di trovare amando e legandosi con l'affetto ad una persona.

Ha scoperto la perla preziosa, il tesoro nascosto.

Ora si occupa solo di questo, di Gesù.

E nonostante ciò, anzi, proprio per questo, gli uomini che lo avvicinano si sentono amati di più, si sentono presi più sul serio, compresi più profondamente.

La castità è l'amore per Gesù e diventa amore di Gesù fedele e costante per chi entra nel raggio d'azione di chi lo porta. Chi porta quest'amore è pronto in ogni momento a perdere la propria vita, a donare se stesso.

Castità è amare come sposo Gesù: uno sposo geloso, poiché, se non ami solo lui e se non ti attendi amore solo da Lui, non Lo ami nemmeno.

Avere come sposo Gesù è avere con Lui una confidenza e una intimità in cui nessun altro è ammesso; è decidere con Lui solo, a tu per tu, le cose principali della vita, è lasciarsi fecondare solo da Lui! Avere come sposo Gesù è mettere in noi sentimenti - volontà desideri che non sono i nostri, ma i suoi: “abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù”!

Castità è quindi completezza, la più piena: unisce il mio destino a quello di Gesù!

Far voto di castità significa perciò impegnarsi nell’amore esclusivo di Gesù tutta la vita, non solo un momento o un periodo. Significa garantire a Gesù la propria fedeltà, come una moglie al proprio sposo e viceversa: “domani potrai ancora contare su di me, sarò vicino a te: sono tuo del tutto e non ritirerò il dono di me stesso”.

Fare un passo del genere non è normale.

Se t'arrischi sarai ritenuto pazzo. A nessuno di questo mondo è sufficiente l'amore di Gesù e nessuno a questo mondo sogna di donare il proprio amore solo a Lui.

Se tu arrischi questa strada, preparati a venir trattato da alienato e preparati a esser abbandonato: come il giovane che si fidanza e si sposa sente staccarsi da sé lo sguardo e l'attenzione delle altre ragazze: ma gli basta la sua. Il mondo arriva a capire quei tali che non si sposano perché non sono dotati delle qualità fisiche e psichiche necessarie. Il mondo capisce anche quelli che non si sposano perché non trovano un compagno adatto a loro. Il mondo arriva a capire pure e giustificare coloro che non si sposano per potersi dedicare totalmente alla scienza o alla politica.

Ma il non sposarsi “per il regno dei cieli”non rientra nella normale facoltà di capire degli uomini. Non ce ne meravigliamo. “Chi può capire, capisca”, dice Gesù.

Potrà capire chi ha gli occhi puntati nell'al di là, chi mira più lontano, oltre i confini terreni e mortali. Costoro capiscono. Difatti la “castità”, per amore del regno dei cieli, è una profezia.

L'amore esclusivo per Gesù, la scelta di Gesù corre sposo è un gesto profetico reale: mostra ciò che succede nel futuro a tutti: “alla risurrezione infatti non si prende né moglie né marito, ma si è come angeli nel cielo” (Mt 22, 28).

Chi sceglie Gesù come sposo annuncia a tutti la realtà della vita futura, fa già vedere ciò a cui tutti siamo destinati, è un aiuto, quindi, offerto a tutti perché riescano a vedere già fin d'ora un raggio delle realtà ultime ed eterne!

Chi sceglie Gesù come sposo è profeta pure in un altro modo: lascia intravedere con la concretezza di una vita, come il comando di Dio non abbia limiti: “amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore...”.

Dio può essere amato fino al punto da non scegliersi un uomo o una donna, perché l’amore di Dio è così concreto e stabile e vero, che può bastare all'uomo!

S.Paolo arriva al punto da raccomandare ai giovani credenti la castità, “chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore” (1 Cor 7, 32); “ai non sposati e alle vedove dico: è cosa buona per loro rimanere come sono io» (7, 8).

“Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo?... glorificate dunque Dio nel vostro corpo”.

Anche queste parole possono essere riassunte in maniera profetica, senza limiti posti dagli uomini.

Se il mio corpo è membra di Cristo non penso ad altro che a farmi suo tramite, suo strumento per il suo amore ai fratelli, alle altre membra del “corpo”.

Altro aspetto della castità: l'amore di cui sono oggetto da parte degli uomini. Non sempre l'amore con cui sono amato è casto: anzi, raramente. Sono amato per le mie buone qualità, per qualche gesto di bontà compiuto; ricevo riconoscenza e segni di amicizia per la posizione che occupo, con speranze più o meno segrete di guadagno in considerazione o in denaro...

Castità comporta lasciarsi amare solo da Gesù, e rimanere liberi dai legami o lacci degli “amori”degli uomini.

Consegno subito a Gesù l'amore che ricevo! Lui è il solo degno di essere amato, anche da parte di chi ama me. Consegno a Gesù gesti e parole che esprimano amore per me!

Gesù, ti amo, perché nessuno è come Te! Come ti amerò nell'eternità voglio già cominciare ora, nel tempo.

Nessun amore che ricevo è amore vero se non passa nei tuo cuore: che nessuno mi ami se prima di tutto e sopra tutto non ama Te. Tu sei l'Amore!

 

Vivere l'obbedienza di Gesù

L'obbedienza è l'atteggiamento che assumiamo non quando facciamo ciò che è logico, ciò che è applaudito, o che è normale fare, ma quando facciamo ciò che ci viene detto da un altro. Nel nostro caso, di discepoli di Gesù, si tratta di fare ciò che Gesù dice.

Qualche volta può sembrarci così bello, comodo, naturale e logico ciò che Egli ci chiede, da non apparirci nemmeno ubbidienza. Altre volte, invece, l'azione o l'atteggiamento o la scelta che ci viene domandata può andare contro le aspirazioni della nostra carne, contro le attese dei nostri affetti, del nostro spirito, e risulta veramente difficile.

Potrebbe esserci utile osservare qualche esempio nella vita delle prime persone che hanno obbedito a Dio: Abramo, Isacco, Giacobbe.

Abramo è famoso per la sua ubbidienza, tanto da esser citato più volte dagli Apostoli nelle loro lettere. Egli è l'uomo ubbidiente a Dio; l'uomo che lascia tutto e parte come gli aveva ordinato il Signore (cfr. Gen 12). Ogni volta che il Signore gli parla, egli ubbidisce. Abramo non ubbidisce perché vede chiaro, perché sa dove va o perché sa che dove va è meglio che dove sta, Abramo ubbidisce sempre e solamente perché si fida di Dio che gli parla.

Quando ubbidisce a Dio, Abramo va contro ogni logica umana; alla età di novant'anni il Signore gli appare e gli dice: “lo sono Dio onnipotente, cammina davanti a me e sii integro... sarai padre di una moltitudine di figli, ti renderò molto fecondo... Da parte tua devi osservare la mia alleanza, tu e la tua discendenza, dopo di te, di generazione in generazione.

Allora Abramo si prostrò con la faccia a terra e rise e pensò: “Ad uno di cento anni può nascere un figlio? e Sara all'età di novanta anni potrà partorire?”e Abramo disse a Dio: “Se almeno Israele potesse vivere davanti a Te!” “e Dio rispose: “No, Sara tua moglie ti partorirà un figlio e lo chiamerai Isacco”. E Abramo credette.

L'obbedienza di Abramo in questo caso è proprio contro ogni evidenza ed esperienza umana!

È addirittura contro ogni evidenza divina quando gli viene chiesto il sacrificio di Isacco, il figlio della promessa, figlio nato all'età di novant'anni.

Se Isacco muore ancora ragazzo, come fa-rà Dio a mantenere la sua promessa di renderlo padre di una moltitudine di figli? Abramo potrebbe sentirsi in dovere di difendere la fedeltà di Dio, la sua capacità di essere Dio. Invece, anche in questo caso, quando Dio gli dice: «Abramo, Abramo...”rispose “Eccomi”. “Prendi tuo figlio e offrilo in olocausto». “Abramo si alzò di buon mattino, sellò l'asino, prese con sé due servi, il figlio Isacco...”.

Abramo ubbidisce; Dio vede più di lui, Dio è Dio, la sua parola è più stabile delle evidenze di Abramo, delle realtà del mondo, delle realtà terrene e umane. L'ubbidienza di Abramo è la sua fede messa in pratica.

Credere in Dio ha la conseguenza di ubbidirgli senza discutere.

L'ubbidienza di Isacco è un po' diversa; in Isacco vediamo il figlio che vive tranquillo, in lui non c'è la sofferenza della fede come la possiamo osservare in Abramo, come una prova forte e drammatica. L'ubbidienza di Isacco possiamo leggerla tra le righe dei racconti che si riferiscono a lui, più che nelle parole stesse del testo sacro. Il servo di Abramo va a prendere Rebecca, figlia di Betuel per consegnarla ad Isacco come sposa. “Isacco esce sul far della sera per svagarsi in campagna e alzando gli occhi vede venire i cammelli. Alza gli occhi anche Rebecca, vede Isacco e dice al servo: Chi è quell'uomo che viene attraverso la campagna incontro a noi? Il servo risponde: È il padrone.

Allora ella si coprì col velo; il servo raccontò ad Isacco tutte le cose fatte; “Isacco introdusse Rebecca nella tenda che era stata di sua madre Sara, si prese in moglie Rebecca e l'amò. Isacco trovò conforto dopo la morte della madre”(Gen 24).

Qui l'obbedienza di Isacco è obbedienza a suo padre e al servo di suo padre. Prende in moglie la ragazza che gli portano, appena la vede la ama, non perché se l'è scelta lui, non perché gli piace, ma perché è quella che gli è stata scelta da Dio. Attraverso tutte le vicende, infatti, egli capisce che Rebecca è la donna che gli è stata preparata dal Signore. Isacco ubbidisce in questo modo con semplicità, abbandono e mitezza alla volontà di Dio. la sua vita non è stata, per quanto possiamo comprendere, una vita di fede così difficile come quella di Abramo o così travagliata come quella di Giacobbe. È l'uomo mite che si lascia guidare da Dio con semplicità. Anche Giacobbe ubbidisce. Il suo spirito di obbedienza si esprime in alcuni momenti strani e particolari. “Rebecca disse a Giacobbe: Ecco, ho sentito tuo padre dire a tuo fratello Esaù: "portami della selvaggina e preparami un piatto, così mangerò e poi ti benedirò davanti al Signore prima della morte". “Ora, figlio mio, ubbidisci al mio ordine: va' subito al gregge e prendimi di là dei capretti”.

Rispose Giacobbe: “sai che mio fratello Esaù è peloso, mentre io ho la pelle liscia?“ (Gen 27).

A Giacobbe viene richiesto di obbedire a sua madre che gli dà un ordine non del tutto sereno e limpido, che non sembra del tutto onesto. Egli obbedisce, non solo, ma aiuta anzi la madre a scoprire le difficoltà di quell'obbedienza, senza però metterla in discussione. Un'altra volta la stessa madre gli dice: “Ebbene, figlio mio, ubbidisci alla mia voce, su, fuggi a Canaan da mio fratello Labano, rimarrai con lui qualche tempo...”ecc.

Rebecca comanda, Giacobbe ubbidisce e questa obbedienza viene usata da Dio nei suoi progetti. Benché il comando non porti esplicitamente e chiaramente i caratteri dei comandi divini, Dio adopera la obbedienza ad essi: avviene quello che si dice: Dio può scrivere diritto sulle righe storte. Dio porta a compimento la sua volontà anche attraverso gli sbagli degli uomini, quando vogliamo dare gloria a Lui, quando vogliamo che la nostra vita sia a gloria sua.

Non è tutta qui l'ubbidienza di Giacobbe; la si potrebbe osservare in altre fasi della sua vita e troveremo vissuti da lui momenti simili a quelli del nonno Abramo.

L'obbedienza di Gesù riassume quella di Abramo, di Isacco e di Giacobbe.

Umanamente, ciò che Dio Gli chiede, sembra andare contro le prospettive divine che sono di salvare il mondo attraverso di Lui, il Salvatore: il Padre chiede a Gesù di morire appena dopo tre anni di predicazione. Viene portata a compimento la prova di Abramo, il sacrificio di Isacco. Gesù accetta la volontà del Padre con grande sofferenza, come Abramo, e più ancora, e in altri momenti con la serenità di Isacco. È con la serenità di Isacco che Gesù accetta la sua sposa, la Chiesa, così come è, senza conoscerla in anticipo, ma soltanto perché il Padre gli presenta e gli consegna questa comunità di persone da amare.

L'ubbidienza di Gesù, come ce la presenta il Vangelo di Giovanni, è totale: “Non faccio niente se non ciò che vedo fare dal Padre; non dico niente se non ciò che sento dire dal Padre; faccio tutto quello che il Padre mi dice di fare per portare a termine la sua opera”. Il Vangelo di Giovanni è costellato di queste frasi che ci rivelano le caratteristiche dell'ubbidienza di Gesù al Padre, tanto che Gesù sa d'essere una cosa sola col Padre. Ha pure una sua volontà, che gli viene dal suo essere uomo: questa volontà talvolta si fa sentire, come nell'Orto degli Ulivi, ma Gesù la sottomette: “Non la mia, ma la Tua Volontà sia fatta”.

La morte di Gesù è stata un atto di obbedienza alla volontà del Padre, non a logiche umane e evidenze terrene.

Si impone una domanda importante per noi: “come facciamo ad ubbidire così a Dio? col tipo di obbedienza esercitata da Gesù? o da Abramo, Isacco, Giacobbe?”.

Se ci regoliamo da soli nella nostra vita e cerchiamo di stare attenti da soli alla voce di Dio e facciamo quello che a noi sembra la Sua volontà, difficilmente succederà che obbediamo: la volontà di Dio potrà essere scambiata con i nostri pensieri.

Per poter concretamente ubbidire, dobbiamo lasciarci dire concretamente quello che dobbiamo, che possiamo, che è opportuno fare. A questo modo di agire sono chiamati in modo particolare coloro che vivono assieme nel Nome di Gesù. Se costoro facessero ciascuno quello che vuole o che gli sembra bene, la loro vita comune non sarebbe più un vivere assieme nel nome di Gesù. Se viviamo insieme nel nome di Gesù dobbiamo permettere a Gesù di agire nel nostro vivere insieme, permettergli di agire al di là delle evidenze, al di là di ciò che ci sembra buono e giusto, in modo che sia veramente Lui ad agire e non noi, in modo che la gloria appartenga veramente a Lui, che tutto il peso venga messo su di Lui. È per questo che dove alcune persone vivono insieme nei nome di Gesù è necessaria l'obbedienza come atteggiamento volontario e libero dei singoli. È perché si vuol mettere in pratica l'obbedienza di Gesù che c'è un'autorità in ogni comunità.

Non è l'autorità che vien prima, ma l'obbedienza. Dal momento che ci sono persone obbedienti nelle comunità o famiglie religiose, si rende necessario che qualcuno porti il peso del servizio dell'autorità. Anche l'autorità del Padre su Gesù viene dopo, prima c'è l'ubbidienza di Gesù: “Ecco, io vengo per fare la tua volontà. Mi hai dato un corpo perché io faccia la tua volontà”dice Gesù; per questo il Padre fa conoscere la propria volontà in un atto d'amore che permette al Figlio di esercitare la sua ubbidienza! potremmo dire che il Padre stesso vive in spirito ubbidiente: dona i cenni della sua volontà in un atto di obbedienza, quando gli vengono chiesti dal Figlio. Dio non “comanda”mai nulla e non obbliga nessuno per forza, ma dice soltanto a chi è libero la sua volontà. Soltanto dopo che uno Gli ha offerto la propria obbedienza, allora Dio gli può “comandare", ed il suo comando non suona più come tale, ma come esaudimento di una preghiera! Lo sperimentiamo nella nostra vita. Quando Dio ci ha detto di fare qualche cosa? dopo che noi gli abbiamo detto: “Padre, sia fatta la tua volontà”. “Parla, Signore, il tuo servo ti ascolta”.

La nostra ubbidienza ad una persona nel nome di Gesù è semplicemente un atto di amore al Signore per permettergli di tenere Egli stesso le redini della nostra vita. Ed Egli le tiene in mano, anche se ciò che mi viene ordinato va contro le evidenze umane, per il fatto che io ubbidisco a ciò che mi viene detto dal mio "superiore", sapendo che egli mi manifesta la volontà di Dio: ubbidisco a Dio i Tale ubbidienza è quindi impegnare Dio ad intervenire attraverso ciò che faccio nell'obbedienza. il mio modo di ubbidire è garanzia che ciò che si fa è giusto perché è divino. Non è il tipo di autorità che mi dà garanzia che l'ordine è giusto o non giusto, ma il tipo di ubbidienza! Oggi è difficile dire queste cose, però sono sempre state dette e vissute nella Chiesa, nelle varie comunità, e hanno portato frutto e so che ne porteranno ancora.

Questo discorso è molto difficile perché sembrerebbe di dire in tal modo che un'autorità può far quel che vuole! Ora non parlo della autorità, ma dell'ubbidienza. Se si parlasse a chi svolge il servizio dell’autorità si direbbero tante altre cose!

Come deve svilupparsi la nostra obbedienza? Deve svilupparsi come un aspetto dell'amore, sulla linea di quella di Gesù: non fare nulla se non ciò che viene richiesto, fare tutto ciò che viene richiesto, come Gesù non fa nulla se non ciò che vede fare dal Padre. La nostra ubbidienza diventa perciò un atteggiamento di estrema attenzione agli altri, alle persone che stanno attorno nella comunità; diventa amore che coglie continuamente i segni della volontà di Dio negli altri, nei loro desideri e nelle loro necessità.

Gli esempi potrebbero essere infiniti, gi di e piccoli. Chi è ubbidiente nelle piccole cose sarà capace di esseri o anche nelle grandi. Difficilmente è viceversa. Anzi, una che non ha un atteggiamento di ubbidienza nelle piccole cose, nelle grandi riesce sì ad ubbidire, ma solo perché gli viene comandato, non per amore di Dio, non perché ,abbia gloria Dio, non perché egli sia ubbidiente!

Se la nostra ubbidienza è al Signore, non siamo attenti solo a chi ha il compito dell'autorità, ma a tutti i nostri fratelli; in questo modo, se ci lasciamo compenetrare dallo spirito di obbedienza, diventiamo veramente un cuor solo e un'anima sola con gli altri. Si realizza quell'unità in cui Gesù è costretto ad essere presente e ad agire, perché ha promesso di essere là dove due o più sono uniti nel Suo Nome.

È per questo che proprio nelle comunità, nelle piccole comunità dove si vive l'obbedienza, dove si vive l'unità delle volontà, possono succedere delle grandi conversioni. Là c'è il più piccolo, quindi il più grande nel regno dei cieli, perché s'è fatto più piccolo, perché non ci tiene ad avere una propria volontà; proprio là succedono le conversioni più grandi; anzitutto le nostre conversioni.

Molte volte l'obbedienza non ci è facile: allora possiamo ricordare un versetto del salmo che dice: “È preziosa agli occhi del Signore la morte dei suoi fedeli”.

Ubbidire è morire: lo è stato per Gesù, lo è stato per Abramo... Ubbidire a Dio è morire, un morire parziale o un morire totale, comunque un andare contro se stessi. Ubbidire è una morte perché si è chiamati ad agire contro tutto ciò che appare evidente, logico, naturale, umano e così rimane in piedi soltanto l'opera di Dio, da sola, senza appoggi, rimane in piedi proprio per fede e basta. “È preziosa agli occhi del Signore la morte dei suoi fedeli”.

L'ubbidienza non è mossa da spirito di inferiorità, come l'autorità non nasce da spirito di superiorità. L'ubbidienza presuppone la coscienza di essere fratelli, di essere sullo stesso piano davanti ai Signore; se ci fosse spirito di inferiorità non ci sarebbe ubbidienza. Non viene da Dio lo spirito di inferiorità, il sentirsi da meno degli altri. Non è perché ci sentiamo da meno degli altri che ubbidiamo, che attendiamo la voce dell'altro o il cenno della sua volontà per fare qualcosa. Lo spirito, di inferiorità viene dal sentirsi inferiori agli altri, dal sentire gli altri migliori di noi riguardo a doti umane; in fondo significa valutare le doti umane più del nostro essere figli di Dio. È facile provare spirito di inferiorità di fronte ad una persona molto istruita (ha studiato, ha una posizione), ma sono tutte motivazioni umane quelle che sostengono lo spirito di inferiorità. Se invece noi consideriamo: “è un figlio di Dio”, ci sentiremo fratelli! La nostra fede ci mette e ci fa sentire alla pari degli altri, non ci mette sotto gli altri. Solo in questa situazione potrà svilupparsi ed esprimersi una vera ubbidienza!

Chi ubbidisce entra nel riposo di Dio. Il salmo 95 dice che gli Ebrei non sono entrati nel riposo di Dio perché hanno disubbidito: “Sono un popolo dal cuore traviato, ... non entreranno nel luogo del mio riposo”. Lo spirito di ubbidienza rende l'uomo umile, semplice e gradito a Dio: potrà riposare in Lui.

Ci può essere utile, nei momenti in cui diventa difficile mantenere uno spirito ubbidiente, rileggere quanto l'autore della lettera agli Ebrei scrive riguardo all'obbedienza di Gesù: “Proprio per questo nei giorni della sua vita terrena Egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a Colui che poteva trarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà; pur essendo Figlio imparò l'obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono, essendo stato proclamato sacerdote alla maniera di Melchisedech” (Ebr 5, 7-9).

Gesù impara l'ubbidienza dalla sofferenza, così diventa salvezza per chi Gli ubbidisce, e chi Gli ubbidisce diventa salvezza per gli altri, poiché rivive nella sua carne l'obbedienza e la sofferenza di Gesù.

 

Vivere accompagnati

I discepoli di Gesù vogliono assumere i suoi stessi atteggiamenti interiori, imparando da Lui, mite e umile di cuore. Leggendo il Vangelo, scopriamo come Gesù sta in continua attenzione alla volontà del Padre. Gesù non fa la sua volontà, ma sempre quella del Padre. La sua ubbidienza è totale.

Come possono i seguaci di Gesù vivere questo atteggiamento di totale obbedienza? Sia coloro che vivono in comunità, come anche coloro che vivono da soli, sparsi nel mondo? Già abbiamo osservato che il Padre mostrava a Gesù la Sua volontà attraverso situazioni concrete, avvenimenti, incontri con le persone, attraverso parole dette da altri.

Un discepolo di Gesù si lascia guidare dal Padre attraverso situazioni concrete, attraverso parole concrete.

Uno che vuol seguire Gesù, ricevere lo Spirito santo e camminare secondo lo Spirito, scopre che deve dipendere, che senza dipendere fa la propria volontà e rischia di rovinare l'opera di Dio, rischia di ubbidire ai propri pensieri invece di lasciar intervenire Dio nella sua vita.

È così facile illudersi, prendere come spirituale un'immaginazione umana, addirittura ritenere spirituale una ispirazione diabolica! È molto facile illudersi, perché il diavolo assale coloro che vogliono tenersi uniti a Dio.

Dice la Bibbia: “Figlio, se ti prepari a servire il Signore, preparati alla tentazione”. Coloro che vogliono seguire Gesù sono i più soggetti alle tentazioni del maligno, come Gesù stesso lo è stato, in modo molto forte. Perciò il discepolo del Signore deve lasciarsi guidare, anzi vuole farsi guidare per non correre questi pericoli, per non soccombere alla tentazione.

Il discepolo di Gesù cerca una guida a cui confidare tutto, a cui sottoporre tutto, perché non ci sia in lui niente che possa rimanere nelle tenebre.

Da quando una persona si fa guidare da un altro sulla via della sequela a Gesù si realizza tra quelle due persone un'unica volontà, tra quelle due persone l'amore per Gesù ha un'unica espressione, la sequela di Gesù prende un volto unico, si realizza veramente un'unità nello Spirito Santo. E quanto più profonda è l'unità tra due persone unite nel nome di Gesù, tanto più Gesù può essere presente ed agire:

“Dove due o più sono uniti nel mio Nome”. Padre e figlio spirituale sono uniti non per motivi di lavoro, non per motivi di interesse, sono uniti nel Nome di Gesù soltanto per motivi spirituali, per dar gloria a Gesù, per permettere a Gesù di operare. Non sono uniti per motivi psicologici, né per motivi di simpatia o di condiscendenza, sono uniti soltanto perché vogliono seguire nel modo migliore, più profondo, vero e umile le orme di Gesù.

Questo è un modo di vivere in profondità la parola: “Dove due o più sono uniti nel mio Nome...”! È la maniera di viverla, accessibile a tutti i cristiani. Non a tutti è possibile vivere e realizzare in una comunità questa unità, ma a tutti è possibile vivere in unità di figlio con un padre spirituale, realizzando così la somiglianza di Gesù Figlio con Dio Padre. Tra Padre e Figlio nella Santissima Trinità c'è un'unità d'amore così, grande che diventa persona, che è persona: lo Spirito. Lo Spirito tiene uniti Padre e Figlio; lo stesso Spirito ' è presente dove uno ricerca la guida di un altro nel nome di Gesù, e questi accetta tale impegno. Lì è presente Gesù nello Spirito, nel modo più vero e più reale. La fiducia che uno ha nel proprio padre spirituale è la fiducia ad un uomo, alla sua sapienza, alla sua prudenza spirituale. Bisogna che ci sia fiducia da parte del figlio per il padre e da parte del padre per il figlio. La fiducia reciproca è necessaria, però la fede non si fonda nel padre spirituale; essa rimane fondata in Dio e in Gesù presente in questa unità profonda delle volontà.

L'ubbidienza del figlio è a Gesù, non al padre spirituale. Se ubbidisce al padre spirituale perché è un uomo che comanda, perché ha autorità, o perché è una persona affascinante, non è ancora un'ubbidienza, non si realizza un'unità nel nome di Gesù. Il figlio spirituale ubbidisce a Gesù, a quel Gesù che parla, a quel Gesù che gli manifesta la sua volontà attraverso la voce del padre spirituale.

La stessa cosa vale per il padre spirituale; egli non comanda al figlio perché è più logico come vede lui, "padre", perché il figlio è condiscendente, obbediente; dà invece dei consigli, dei suggerimenti, dei cenni della volontà di Dio, perché li "sente", li percepisce nello Spirito come provenienti da Dio. Egli sta molto attento ai segni per riconoscere ciò che viene da Dio per il suo figlio spirituale.

Chi è il padre spirituale? Può essere un prete o un laico, ma deve essere una persona che vive nello Spirito, che sappia stare attenta alla voce dello Spirito Santo.

Più comodo e più logico potrebbe essere un padre spirituale prete, perché può dare eventualmente la soluzione dei peccati, ma potrebbe essere senza difficoltà un laico: uomo o donna, che viva però nello Spirito, che cerchi soluzioni non di logica umana, ma che sia attento alla voce di Dio.

Il padre spirituale lo si può scegliere o lo si può ricevere. Dio può farmi incontrare una persona nella quale sento di avere fiducia: e la circostanza dell'incontro può sembrarmi chiaramente come un segno di Dio a scegliere quella persona, perché sia mia guida nella vita dello Spirito.

Può succedere pure che o l'autorità della Chiesa o l'autorità della mia comunità mi offra un padre spirituale: in tal caso l'accetto nella ubbidienza. Allora l'unità che si crea con questo padre spirituale diventa ancora più significativa, perché coinvolge in modo più esplicito tutta la Chiesa.

Ogni padre spirituale, per essere tale, deve essere unito alla Chiesa; egli stesso deve farsi guidare a sua volta da un padre spirituale; da un padre spirituale all'altro si crea una catena armoniosa che unisce tutti nella Chiesa, e alla sua autorità: al Vescovo.

È una condizione indispensabile per un padre spirituale che egli stesso sia guidato. Rischia altrimenti di diventare guida cieca. Se qualcuno si mette a far il padre spirituale di altre persone, senza essere lui stesso guidato, porta al fallimento spirituale anche gli altri. Il padre spirituale deve essere stabile o instabile? È evidente che deve essere stabile, deve poter seguire ciò che lo Spirito Santo suggerisce anche per lunghi periodi, e perciò deve essere uno solo. Ci sono molti pericoli se uno ha due o tre padri spirituali, se ascolta una parola di qui e una di là, poiché corre il rischio di scegliere quello che lui vuole e non ciò che vuole Dio. Se si ritiene opportuno chiedere consiglio ad altri, lo si farà in unità con il proprio padre spirituale, esplicitamente. Può succedere ad un certo punto che si rompa il rapporto di fiducia verso il padre spirituale: d'accordo con lui se ne cerca un altro; non è impossibile, purtroppo, che questo rapporto di fiducia venga meno per motivi terreni o diabolici: allora è meglio fare un taglio netto e cercare altrove.

Quali aspetti della propria vita bisogna sottoporre al consiglio e alla direzione del padre spirituale? Tutto ciò di cui si vuol la garanzia di Gesù. Se è vero che nell'unità coi padri spirituali si realizza quell'unità, che è garanzia della presenza di Gesù, si esamina con lui in questa unità tutto ciò che è possibile esaminare. ]il padre spirituale stesso mano a mano che il figlio cresce nello spirito potrà dire: “In questo campo sei maturo abbastanza, non occorre che mi chiedi consigli, o addirittura, in tutto ciò che decidi e che fai sono d'accordo, sono unito con te”.

In tutte le decisioni deve rimanere l'unità. Il padre può dire ad un certo punto del cammino: “Adesso sai guidarti spiritualmente bene”ma non deve lasciare il figlio a se stesso, deve manifestargli sempre la propria unità. “In tutto ciò che decidi io sono d'accordo, sono unito nel nome di Gesù con ciò che tu fai”. Ecco allora anche se il figlio spirituale decide delle cose da solo, senza essersi consultato col padre, perché è lontano o perché non ne ha l'occasione, sa però che è nell'unità con lui.

Inoltre si tiene molto unito con la preghiera: il figlio spirituale prega molto per il suo padre.

Si possono sottoporre all'unità coi padri spirituali le relazioni con Dio. Com'è il mio rapporto con Dio, con il Padre, con il Figlio, con lo Spirito Santo? Com'è la mia preghiera? Com'è la mia meditazione, com'è il mio amore per Lui?

Gli sottopongo ogni rapporto con le altre persone, e poi ancora il mio rapporto con il mio passato: ciò che mi viene in mente, ciò che mi è successo nella vita e mi lascia delle conseguenze positive o negative. Inoltre il rapporto con le decisioni da prendere: che stato di vita intraprendo, quali scelte operare riguardo al lavoro, al servizio ecclesiale, ecc ... : in una parola, tutto ciò di cui si compone la nostra vita, tutto ciò di cui si vuole la garanzia di Gesù. Se io faccio qualcosa nell'ubbidienza al padre spirituale, nell'unità con lui, so che Gesù dà garanzia a queste scelte, a questa unità, e allora ciò che faccio - anche se umanamente difficile o umanamente non logico o umanamente non razionale - avendo la garanzia di Gesù, Egli stesso si impegna, Egli stesso fa in modo che queste scelte operate nell'unità portino frutto nel regno di Dio. Naturalmente, sono solamente i frutti per il regno di Dio che vanno cercati, non soddisfazioni per la propria avarizia o egoismo o vanità.

La direzione del padre spirituale oltre ai frutti per il regno di Dio porta dei frutti nella persona stessa del figlio spirituale: anzitutto una grande pace, una grande serenità, perché non si sente insicuro, ma sente addirittura la sicurezza di Dio e Dio dà pace quando seguiamo i Suoi comandi: “Grande pace nell'obbedienza alla Tua legge”, dice un salmo.

L'unità col padre spirituale porta inoltre grandi frutti di grazia per gli altri, attraverso la pace e serenità guadagnata facendosi guidare: “Beati gli operatori di pace”. “Chi diffonde pace attorno a sé raccoglie frutti di pace e di salvezza”, dice san Paolo.

Un altro frutto è la crescita dell'uomo interiore, crescita di Gesù nel figlio spirituale; una crescita interiore di cui egli stesso non si accorge, forse! Il Signore lo può adoperare ancora di più per il regno di Dio! Se ne accorgono gli altri, acquistano fiducia in lui e andranno da lui per ricevere consigli: a sua, volta, piano, diventa inconsapevolmente padre spirituale per altri.

Un altro frutto della direzione spirituale è, come già accennato, la unità profonda con la Chiesa universale; si sente che si appartiene a qualcuno, che si appartiene a un popolo in un modo vero, si percepisce d'esser legati con gli altri da vincoli di amore, di pace, di ubbidienza e non ci si sente più soli. Questo è un frutto di cui c'è grande bisogno nel popolo di Dio e che non si raggiunge in altri modi. Un altro frutto è questo: il padre spirituale non dà soltanto indicazioni per la strada da seguire, ma dà al proprio figlio spirituale anche la forza nel Nome di Gesù per percorrere la strada, per compiere le iniziative che si sono viste provenire dallo Spirito: per noi non basta la buona volontà per fare qualcosa, ma ci vuole la forza di Dio, la grazia di Dio. Molti vedono e sanno qual è la volontà di Dio, ma poi non hanno la forza per compierla.

Abbiamo bisogno non soltanto di veder chiaro, ma anche di acquistar forza ed energia spirituale. Questa non ci viene soltanto dalla conoscenza, non ci viene da noi stessi: dobbiamo riceverla. Ed allora il padre spirituale, o attraverso la confessione o per mezzo di una benedizione particolare, o attraverso un esorcismo, se ce n'è bisogno, o attraverso una parziale o totale effusione dello Spirito, diviene strumento di Dio che dona la forza al figlio spirituale per vivere ciò che ha visto, per portare a termine ciò che il Signore vuole da lui. Ho detto queste parole: esorcismo, effusione dello Spirito...

Molte volte ci si accorge che una persona fa qualcosa non perché lo vuole, ma perché è spinto all'interno da forze che non si riescono a dominare: non è raro trovare qualcuno che sente venirsi in gola la bestemmia; non vuole bestemmiare, non ha mai bestemmiato, eppure sente venire alle labbra una bestemmia e fatica a trattenerla. Oppure, a volte, qualcuno viene preso da un grande spirito di inferiorità, di superiorità, oppure taluno può essere invaso da un grande spirito di vanità, tanto da cercare in ogni cosa la propria gloria; oppure ancora c'è chi viene assalito da una infinità di immagini sessuali o vien preso da un senso di ribellione verso tutto e verso tutti, o di critica o di insofferenza degli altri anche nelle cose più piccole, o di tristezza e scoraggiamento: non vorrebbe essere così, eppure ci sono questi spiriti negativi che gli disturbano la preghiera, le relazioni con gli altri, il proprio silenzio, la propria pace: non dipendono dalla volontà, non li vorrebbe. “Come mai ci sono in me questi atteggiamenti, questi spiriti?”. “Come faccio a liberarmene? Con tutti gli sforzi, con tutta la mia buona volontà non riesco. Come faccio?”.

Gesù ha dato ai discepoli il potere di scacciare i demoni, tanto più quel potere vale per scacciare questi spiriti negativi. Il padre spirituale, che conosce, che sa queste cose, interviene.

Quando vede che il proprio figlio spirituale non riesce a vincere un determinato atteggiamento, il padre può sentire se questo atteggiamento è prodotto da uno spirito che va scacciato. Nei Nome di Gesù, con la forza del Suo Sangue lo scaccia, gli comanda di uscire. È importante che sia il padre spirituale a farlo, perché riesce a distinguere gli spiriti e a vedere anche quelli che il figlio non intravede. Quando un figlio chiede una liberazione da questi spiriti, il padre la amplia anche ad altri che il figlio non vede ancora.

Nello stesso tempo, quando una persona viene liberata da questi spiriti negativi, c'è bisogno di invocare lo Spirito Santo, perché riempia il cuore, altrimenti “altri sette spiriti peggiori di prima” entrano in lui. li figlio spirituale deve accogliere in sé Gesù e lo Spirito Santo come in un tempio pulito e adorno. Il padre spirituale può invocare lo Spirito Santo sul figlio reso libero e così, con questa benedizione ed effusione, avviene un cambiamento interiore, a volte un cambiamento radicale che appare anche esteriormente.

Chi può agire in questo modo? Chi ne è stato a sua volta oggetto, chi vive costantemente nella realtà di essere egli stesso liberato. Questa realtà spaventa qualcuno. Non è il caso; anzi, godiamo i Se scopriamo che in noi c'è qualche spirito non buono, qualche spirito che non viene da Dio, non ci scoraggiamo né spaventiamo perché sappiamo che il Nome di Gesù è potente. Ci mettiamo subito sotto la protezione del sangue di Gesù, attendiamo l'incontro col padre spirituale e chiediamo la forza di Dio attraverso la sua preghiera e la sua benedizione.

Essere consapevoli di questa realtà ci fa essere anche molto più attenti, più comprensivi verso gli altri, perché se vediamo in loro dei difetti, o delle mancanze che si ripetono, sappiamo che non dipendono da loro; sono essi i primi a soffrirne! Dipendono invece da qualche forza negativa che li blocca e impedisce in loro lo svilupparsi delle buone qualità.

Essi stessi spesso non se ne accorgono nemmeno. Noi possiamo pregare per loro, benedirli, invocare il Nome di Gesù, anzitutto per non essere noi stessi dominati dagli stessi spiriti e per non lasciarci influenzare da loro, ma anche perché il Signore Gesù liberi queste persone che incontriamo. Così riusciremo a comprendere meglio i nostri fratelli. Dobbiamo però cercare con decisione di non usare la nostra attenzione per scoprire i segni della presenza diabolica: rischieremmo di veder il diavolo dappertutto. Cerchiamo di scoprire i segni della presenza di Dio, pur sapendo che questi segni sono disseminati in un mondo perverso, in un mondo dominato dalle tenebre i Non occorre che noi stiamo attenti a scoprire i segni della presenza del Maligno! Egli si fa vedere da solo, si fa vivo, non occorre che lo cerchiamo!

Noi cerchiamo i segni della presenza di Dio per poterli sviluppare e lasciarli crescere. Non dobbiamo neanche assumerci il ruolo di accusatori dei fratelli, di rivelatori della presenza del male. Se notassimo qualche spirito non buono in un nostro fratello, non siamo chiamati a dirglielo; siamo chiamati a pregare per lui. Noi possiamo rivelare a qualcuno la presenza di negatività, solo nel momento in cui abbiamo anche la possibilità di invocare espressamente su di lui il Nome di Gesù perché sia liberato, altrimenti il nostro intervento potrebbe trasformarsi in un danno, invece che in un aiuto. La nostra attenzione maggiore però deve rivolgersi a noi stessi. Abbiamo bisogno di lasciarci guidare, di vivere nell'obbedienza, di vivere l'unità in modo che la nostra volontà non ci sia più, ma ci sia in noi soltanto la volontà di Gesù, quella che si manifesta nell'unità con uno a cui si obbedisce come al Signore.

La direzione spirituale è necessaria soprattutto per le persone che incominciano a camminare nello spirito, ma anche per gli altri, per tutti. Non è poi il padre che deve correre dietro al figlio per dirgli come deve fare, è il figlio che deve cercare il padre.

Il Padre dei cieli non va in cerca del figlio prodigo, ma lo attende, ed è il figlio che va dal padre! ]I rapporto padre-figlio spirituale deve essere estremamente libero; ogni passo di ubbidienza nell'unità deve essere fatto perché è voluto.

Quanto sta male il figlio che parla male del suo padre spirituale Vuol dire che non lo ritiene padre, vuol dire che lì non c'è un'unità nel Nome di Gesù. È segno che non si comporta più da figlio! Quando uno si lascia guidare dal padre spirituale viene facilmente abbordato da altri per chiedere un consiglio, un parere e poi col tempo anche per essere guidati spiritualmente. È importante che ci rendiamo disponibili a questo servizio. È necessaria perciò molta preghiera, in modo da essere continuamente uniti a Gesù; perché se ascoltiamo le miserie o gli interrogativi di qualcuno, li ascoltiamo consegnando immediatamente a Gesù, li ascoltiamo come fosse Gesù che li sta ascoltando. Possiamo poi intervenire, ma soltanto se sentiamo che le parole non vengono da noi, dalla nostra intelligenza, dalla nostra furbizia, dalla nostra prudenza, ma se sentiamo che vengono dallo Spirito, se sentiamo che sono parole, esortazioni, consolazioni che vengono dall'Alto. Per questo è necessario che la nostra vita diventi sempre più una vita divina, unita continuamente a Dio, altrimenti il nostro servizio potrebbe diventare falso, un dominio, una vanità o un pretesto per chiacchierare.

Uno a cui venisse richiesto qualche consiglio spirituale deve coltivare molta umiltà, perché egli stesso deve esser guidato, egli stesso può cadere negli stessi peccati degli altri.

L'umiltà è indispensabile, così come la cordialità, la semplicità e una grande capacità di ascolto. Ciò che vale è che Dio ascolti le parole di chi parla; Egli può farsi sentire direttamente attraverso il Suo Spirito, anche senza che noi diciamo nulla.

I grandi santi e i grandi monaci ti aiuteranno ancora più a scoprire il valore, la necessità e il modo di avere un padre spirituale. Mi pare perciò utile aggiungere alcuni pensieri dì un grande padre spirituale, vissuto in totale ubbidienza al suo: Silvano del Monte Athos:

“Non bisogna mai dimenticare che il padre spirituale compie il suo servizio divino nello Spirito santo, e per questo dobbiamo onorario. Credete, fratelli, che se accadesse a qualcuno di morire alla presenza del padre spirituale, e gli dicesse: "Padre santo, benedicimi, perché io veda il Signore nel Regno dei cieli ", e il padre spirituale rispondesse: “Va', o figliolo, e vedi il Signore", ciò avverrebbe secondo la benedizione del padre spirituale, perché lo Spirito santo è lo stesso nel cielo e sulla terra.

Le preghiere del padre spirituale hanno una grande efficacia. lo ho sofferto molte tentazioni da parte dei demoni a causa della superbia, ma il Signore mi ha umiliato ed ha avuto misericordia di me grazie alle preghiere del mio padre spirituale. Ora il Signore mi ha manifestato che sui padri spirituali riposa lo Spirito santo, e per questo ho nei loro riguardi una profonda venerazione. Per merito delle loro preghiere riceviamo la grazia dello Spirito santo e la gioia nel Signore, il quale ci ama e ci ha aperto la strada che ci conduce alla salvezza dell'anima.

Se l'uomo non dice tutto al padre spirituale, la sua strada è tortuosa e non porta alla salvezza. Ma se dice tutto, va per la via diritta verso il Regno dei cieli.

Chi vuole pregare incessantemente, deve essere coraggioso e saggio e deve interrogare su tutto il suo padre spirituale. E se lo stesso padre spirituale non ha esperienza della orazione, gli si chiederà comunque il suo consiglio e le sue preghiere, e per l'umiltà il Signore avrà misericordia di noi e ci terrà lontani dalla via dell'errore”.

Silvano del Monte Athos, Archimandrita Sofronio, Gribaudi, 1978, ppgg. 362-363).

 

Tu segui me (Gv 21, 22)

Pietro ha seguito Gesù ormai da tre anni. Ha avuto successi e insuccessi, le ha provate tutte. Ormai si sente un esperto di vita comune, e Gesù lo riconosce dandogli un incarico di guida anche per gli altri. Eppure i rischi non sono finiti, e nemmeno le prove e i pericoli.

L'occasione non tarda a venire.

Gesù gli svela un segreto del futuro: “Da vecchio, altri ti condurranno dove non vuoi...”.

Pietro avrebbe avuto modo di rinnovare il suo amore per Gesù e la sua fedeltà. Ed eccolo invece fare i confronti. “E Giovanni? Cosa sarà di lui?”.

Pietro lascia spazio ancora al Simone di una volta: considera i suoi amici nuovi, quelli incontrati e acquisiti durante il cammino con Gesù, alla stregua di quelli di un tempo, desidera il confronto con loro.

Gesù lo distoglie subito! Pensi quale pericolo sovrasta i discepoli del Signore? Possono far valere verso gli amici di Gesù le leggi dell'amicizia umana, accoglierli con affetti umani, lasciarsi trascinare da sentimenti di antipatia e simpatia come una volta. Il gruppo-comunità dei fratelli di Gesù sarebbe morto, cadavere. In tal caso non sarebbe più Gesù l'unico centro, l'unica legge, l'unico amato, l'unico motivo dell'amore e dell'unità con gli altri.

Il discepolo Giovanni direbbe con decisione: “Hai abbandonato il tuo amore di prima... Ravvediti e compi le opere di prima”(Apoc. 2, 4-5).

Gesù si è limitato a ripetere a Pietro una parola, scandendola bene:

«Tu segui me» (Gv 21, 22).

È come dire: a te basta sapere che sei con me, non cercare gratificazioni negli altri. Anche rimanessi tu solo con me, tu continua a seguire me. Segui me. Gli altri guardali solo per aiutarli a seguire me. Tu sei come un missionario verso gli altri miei amici. Tu segui me.

Difficoltà? Ce ne saranno. Chi potrà darti forza per portarle nel silenzio come una croce? I tuoi fratelli peccheranno. Chi ti darà amore per loro e volontà di rimanere ancora insieme per testimoniarmi? Tu sarai debole e peccherai. Chi ti darà perdono e ti rialzerà? Mi servirò della voce e delle mani dei miei amici, ma sono lo che faccio tutto questo, che risolvo i problemi, che rialzo i caduti e do il pane per il viaggio. Tu segui me.

Pietro ha sentito certamente la parola che Gesù aveva detto a tutto il gruppo: “siate perfetti com'è perfetto il Padre vostro celeste”(Mt 6). Tra le varie perfezioni di Dio, o aspetti della sua “vita” Pietro ha certamente notato quello della fedeltà! Dio è fedele, promette e mantiene le promesse, giura un'alleanza eterna con i suoi figli: egli sarà sempre Padre, avrà pietà per sempre dei suoi figli! Anche quest'aspetto può essere assunto dal discepolo di Gesù. Il discepolo di Gesù può assomigliare a Dio anche in questo, farsi portatore nel suo tempo della fedeltà eterna di Dio: ed ecco un'infinita schiera di amici di Gesù che, lungo i secoli, giurano fedeltà: “per tutta la vita mi impegno alla povertà, alla castità, all'obbedienza, all'unità, per amore di Gesù!".

Votano la vita a Gesù Cristo, gliela dedicano tutta con un impegno solenne e pubblico: Gesù lo merita i ed essi divengono così ancora una volta profeti, manifestando in una vita umana le prerogative della vita e della promessa divina: Dio è fedele i

Hai sperimentato ieri la sua bontà e la verità della Sua parola: puoi fidarti anche domani: Egli è fedele!

Tu puoi incarnare la Sua fedeltà impegnandoti davanti ai fratelli, affinché sappiano che possono contare su di te, sul tuo servizio, sul tuo essere fratello o sorella in ogni momento anche in quelli più difficili.

I tuoi “voti”di povertà, castità, obbedienza sono così anche un atto d'amore ai fratelli: essi sanno che il tuo dono a Gesù non è una prova, un esperimento, ma un dono duraturo, e potranno contare su di te come su di un dono di Dio, un dono che Dio non ritira perché è fedele ed eterno!

Pietro gode certamente nella sua attuale visione di Dio, ma gode pure del fatto che tu, contemplando la sua esperienza ti lasci trascinare da Gesù sulla via che conduce al Padre! e ti dice dalla sua gloria: segui Gesù, seguilo! non fermarti! Egli è la vita! donagli tutto, se vuoi che Egli si doni tutto a te! Egli è il tesoro e la perla preziosa, Egli è la vita vera e la gioia, Egli è la pace: seguilo, perché è degno di avere te, non solo le tue cose, i tuoi doni, ma te stesso! Donagli tutto, poiché allora avrai posto per riceverlo.

 

SEGUIMI!

La tua voce è decisa, perché sai che nessun'altra via è sicura e stabile e sai la mia debolezza e fatica.

Seguimi

La tua voce è dolce, perché la tua meta è l'unica meta che dà gioia e conforto e pienezza alla mia vita.

Seguimi!

La tua voce è libera e liberante. Non vi è costrizione, non vi è obbligo di sorta. I tuoi seguaci sono volontari.

Seguimi!

La tua voce è sicura: Tu conosci le difficoltà e le asperità del cammino, conosci ogni curva, ogni passaggio: l'hai già percorso.

Seguimi!

La tua voce è tranquilla, piena di pace: sei Tu che dai la forza, la luce, il coraggio per percorrere tutta la strada.

Seguimi!

La tua voce ora attende... attende il suono dei miei passi, attende d'udire che l'invito è stato accolto con amore.

Seguimi!

La tua voce ora è gioiosa perché riflette la mia gioia d'aver già messo il piede sulle orme calcate dal tuo.

Gesù, continua a farmi udire la tua voce!

 

Breve schema di aiuto per introdurti a tre meditazioni oppure a tre giorni di silenzio o deserto sugli argomenti trattati in questo opuscolo.

Esamino i tre atteggiamenti che sorgono in me davanti all'amore delle Tre divine Persone, Padre, Figlio Spirito Santo.

 

1. Mi metto davanti al Padre e lo contemplo.

Davanti a Lui si risveglia in me l’atteggiamento di Gesù, l'obbedienza:

«non faccio nulla se non ciò che vedo fare dal Padre”, «non dico nulla se non ciò che ho udito dal Padre”, “non la mia, ma la Tua Volontà sia fatta”...

Il mio amore al Padre diventa desiderio di compiere la sua Volontà, che, in fondo, è anche la mia,

perché Egli mi conosce e sa il vero bene mio, della nostra Chiesa e del mondo.

L'atteggiamento di amore ubbidiente davanti al Padre non smette in me nemmeno quando mi trovo davanti ai fratelli.

 

2. Mi metto davanti al Figlio, Gesù:

mi lascio guardare da Lui!

Gesù è lo sposo che mi ama con amore esclusivo e pieno, un amore che chiamo castità.

Davanti a Lui contraccambio con amore “esclusivo”e “fedele”.

“Non cerco amore da altri, amo solo Lui”...

Il mio cuore “integro”, tutto intero per Gesù.

L'amore dei fratelli lo accolgo come segno dell'amore di Gesù.

L'amore ai fratelli lo dono come segno d'amore a Gesù.

 

3. Mi metto sotto l'influsso dello Spirito Santo: desidero essere strumento libero per la sua opera, perciò nasce e cresce in me

il distacco da tutto:

dalle cose materiali

dalle doti naturali

dai doni divini ricevuti.

Distacco per essere disponibile all’azione libera dello Spirito, pronto a dire “sì”, “eccomi”!

Dio adopera il mio cuore non le “mie” cose...

Povertà.

“Sto in silenzio, non apro bocca, perché sei Tu che agisci”!

 

Nulla osta: don Iginio Rogger, cens. eccl., Trento, 10 dicembre 1980