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LO SPIRITO DI DIO ALEGGIAVA SULLE ACQUE

Quando tu arrivi in un luogo... succede così?

LO SPIRITO DI DIO ALEGGIAVA SULLE ACQUE

Considerazioni sullo Spirito Santo nell'Antico Testamento.

È bello mettersi alla ricerca dello Spirito di Dio!

Dove lo trovo? Dove si nasconde e dove si rivela il movimento delle sue ali, il leggero fruscio del suo soffio, il calore della sua fiamma, la dolcezza del suo suono?

Nella Storia della Salvezza è Lui il protagonista, ad ogni passo. Dio Padre ha preparato la culla per il suo Figlio con l’azione delicata e paziente dello Spirito! E così il Figlio ora continua a portarci al Padre sospingendo le nostre vele con lo spirare del vento dello steso Spirito!

Queste meditazioni sono un tentativo di andare in cerca dello Spirito nelle pagine della Sacra Scrittura. te le offro nella speranza di godere anch’io del frutto della tua rinnovata preghiera allo Spirito Santo!

Don Vigilio Covi

1.

Ora la terra era informe e deserta

e le tenebre ricoprivano l’abisso

e lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque. (Gen 1,2)

Dio ha scelto fin dal principio la strada o il metodo della gradualità, della crescita, della pazienza; egli ha messo l’attesa come colore alle sue opere, e l’umiltà come sapore costante di tutto il suo agire. Quando egli crea il cielo e la terra, li crea bisognosi ancora di tutto. Del cielo sappiamo poco - o nulla - perché esso è quella parte di creazione che i nostri occhi non sfiorano e le nostre mani non raggiungono. Della terra è detto che era informe e deserta: la terra era senza forma e senza vita. Ed essa è ancora senza forma e senza vita: vari spazi, immensi, sono ricoperti di tenebra; o, per intenderci meglio, così sembra a noi, che abbiamo spesso gli occhi chiusi e non ce li lasciamo illuminare dalla sua luce!

La creazione è ancora ed è sempre in cammino. E noi, che dimoriamo in essa, dobbiamo ancora imparare a contemplarla e ad amarla con lo sguardo e il cuore di Colui che l’ha creata.

Quando la terra e l’abisso ricevono forma e luce?

Quando la terra riceve significato?

Quando sulle montagne e sulle colline spuntano e crescono la vita e la gioia?

Quando l’abisso della morte, così spaventoso e orribile, viene illuminato in modo che ogni tenebra fugga e lasci il posto alla pace?

Sulla creazione di Dio, quella creazione che appare sempre agli inizi e di cui ci sembra di non vedere mai la pienezza, aleggia lo Spirito di Dio. Questa creazione è sempre in movimento, come le acque, talora tumultuose e travolgenti.

Lo Spirito di Dio sta sopra tutto. Egli non si mescola alle tenebre né si perde nella terra deserta. Egli sta al di sopra. Lo Spirito di Dio è presente, e col suo movimento - come lo sbatter tranquillo delle ali di un’aquila - apre il nostro sguardo a vedere terra e abisso e acque divenire servitori dell’umile e paziente amore del Padre!

Lo Spirito di Dio dà forma alla creazione, la forma provvidenziale all’uomo, conveniente perché l’uomo possa percorrere la strada che lo porta al Padre.

Lo Spirito di Dio continua nei secoli e negli anni della mia vita ad animare tutta la creazione, finché essa trovi nel mio cuore la risposta dello stupore e del rendimento di grazie!

Lo Spirito di Dio muove gli abissi e le realtà informi, e le porta vicino al mio cuore, e muove il mio cuore, perché, grazie all’amore che egli suscita, anche le varie cose e le varie situazioni divengano tessere del grande mosaico del disegno di Dio, amico degli uomini!

Il terremoto del mese scorso, le acque che inghiottirono la nave, le armi che hanno travolto un popolo con la valanga di sofferenze e disperazione sono “la terra informe e deserta” e “l’abisso” ricoperto di tenebra.

Ma lo Spirito di Dio non solo non è assente, egli “aleggia”, egli continua a confortare e infondere vita e a creare nuovi movimenti di amore. Proprio là lo Spirito di Dio muove le realtà, che si lasciano mettere in ordine dal suo soffio, a nuovi esercizi di amore, a nuovi impulsi di fede generosa e fresca, a nuovi sguardi che s’innalzano verso il Crocifisso, colui che nella tenebra dell’abisso più fondo è diventato luce e speranza e risurrezione!

Lo Spirito di Dio è sempre ancora lo Spirito del Risorto dai morti, di colui che dal deserto più solitario e tremendo, mosso dallo Spirito, viene per alitare sui luoghi di morte e di tenebra della creazione di Dio!

Spirito Santo, Spirito del Dio vivente, grazie della brezza vivificante con cui continui a ristorare la terra nel suo cammino verso la pienezza!

Grazie della tua presenza sopra tutti gli abissi e le tenebre, sopra i deserti e sopra le situazioni che, ancora informi, col tuo agire diverranno amore!

Grazie della luce con cui nell’abisso della morte ci illumini Gesù risorto!

2.

Allora Giacobbe si svegliò dal sonno e disse: «Certo, il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo». 17Ebbe timore e disse: «Quanto è terribile questo luogo! Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo». 18Alla mattina presto Giacobbe si alzò, prese la pietra che si era posta come guanciale, la eresse come una stele e versò olio sulla sua sommità. (Gen, 28,16-18)

In questo brano della Genesi non si parla direttamente dello Spirito Santo. Si parla invece dell’olio versato su di una pietra per consacrarla a Dio. E noi abbiamo imparato a collegare l’unzione con l’olio allo Spirito Santo di Dio. Gesù stesso ci fa pensare allo Spirito Santo quando a Nazareth parla della propria consacrazione: “Lo Spirito del Signore è sopra di me: per questo mi ha consacrato con l’unzione...” (Lc 4, 18)

Giacobbe è sconvolto. Egli è in fuga: ha paura del fratello che ha scoperto d’esser stato da lui ingannato. Quello è un fratello forte e violento.

Ora la notte costringe Giacobbe ad una sosta nella fuga. Egli si ferma per riposare, per dormire e riprendere le forze per portare al sicuro la propria vita minacciata. In quella notte, nel sonno, egli ha un sogno. È il famoso sogno della scala, che dalla terra raggiunge il cielo, una scala che serve agli angeli e solo agli angeli per salire e scendere. Giacobbe non capisce perché gli angeli salgano e scendano, non capisce nemmeno perché sia necessaria una scala. Egli capisce che quel sogno è una parola di Dio per lui, pieno di paura e angoscia.

Quel sogno è un segno che Dio lo accompagna, che non lo abbandona. Quel sogno è un segno che Dio non è rimasto presso la tenda di suo padre Isacco, ma lo sta seguendo e precedendo nella sua corsa. Quel sogno è per lui un’esperienza che ha reso visibile l’invisibile, vicino colui che è ritenuto lontano, presente nella propria storia Colui che viene istintivamente pensato assente o distante.

Per Giacobbe quel sogno ha reso la Presenza di Dio più concreta di quella pietra su cui aveva tenuto poggiato il capo nella notte. Proprio quella pietra, il suo guanciale provvisorio, resterà come segno di quell’incontro notturno. E Giacobbe non si limita ad alzare la pietra, a metterla cioè in una posizione tale che tutti capiscano che è un segno posto dalle mani e dalla volontà d’un uomo, ma vi versa sopra dell’olio. L’olio è frutto della benedizione data da Dio alla terra e al lavoro dell’uomo. L’olio è nutrimento, ma è anche protezione delle membra dall’arsura del caldo, è ristoro alla stanchezza, è unguento che fa brillare il volto di gioia! L’olio è dono di Dio, di quel Dio che ama gli uomini come un Padre!

La pietra unta con l’olio è segnata per sempre: essa è consacrata ad esser ricordo di Dio, memoria del suo amore per l’uomo che fugge dal fratello. La pietra unta con l’olio è una pietra qualunque, ma per un disegno meraviglioso e misterioso, è un punto di contatto della terra col cielo!

Pietra viva, consacrata, unta con l’unzione dello Spirito è Gesù. Egli è la prima pietra innalzata come segno, luogo di contatto della terra col cielo, memoria della Presenza di Dio nella storia dell’uomo. Unto dal suo Spirito sono anch’io pietra viva, segno e ricordo dell’amore di Dio all’uomo che cammina con angoscia nella notte del mondo.

Lo Spirito Santo mi fa “casa di Dio”, abitazione del suo amore, membro vivo di quell’edificio spirituale nel quale il Padre accoglie i suoi figli: la Chiesa! Essa è l’appoggio sulla terra della scala che gli angeli continuano a percorrere salendo e scendendo, portando in alto il bisogno di salvezza dell’uomo e riportando dal cielo la risposta, Gesù, Salvatore donato per tutti!

Spirito di Dio, grazie che consacri il mio cuore, inerte come pietra, ad esser membro del Corpo di Cristo e segno dell’amore del Padre!

Spirito Santo e vivificante, gloria a te e alla tua azione trasformatrice: tu divinizzi l’uomo, tu rendi me peccatore segno della grazia e della consolazione del Padre!

3.

“L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco in mezzo a un roveto.” (Es 3,2)

La fiamma di fuoco, cui Mosè vorrebbe avvicinarsi per soddisfare la propria curiosità, mi ricorda le parole di Gesù: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!” (Lc 12,49) e le parole del Battista, che presentò Gesù così: “Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco!” (Lc 3,17) E ancora la stessa fiamma in mezzo al roveto mi porta al ricordo della prima Pentecoste dopo la Resurrezione di Gesù: lingue come di fuoco risplendettero - senza consumare - sopra i Dodici.

Fiamma di fuoco che rivela la Presenza di Dio, del Dio vivente capace di parlare all’uomo, capace di chiedergli impegni di vita! Dalla fiamma che non brucia esce infatti una voce: è una voce amica, e proprio per questo esigente. Mosè, all’udire quella voce che non gli permette di avvicinarsi se non scalzo, si copre persino il volto per paura di vedere ciò che la fiamma già gli nasconde.

Il fuoco che Gesù porta sulla terra è come questo, un fuoco che non brucia, un fuoco che illumina, un fuoco che attira a sé l’uomo risvegliandogli il desiderio prepotente di udire la Voce che parla pur senza scorgere il Volto dell’Interlocutore, di udire la Parola, anche se questa stessa Parola esige che l’uomo si privi dei suoi calzari, delle sue sicurezze.

Quel fuoco che illumina Mosè gli mostra un nuovo cammino, una nuova direzione per la sua vita: egli non vivrà per se stesso e per la propria famiglia, egli vivrà per il suo popolo, quel popolo ormai così abituato ad essere schiavo, da non desiderare più la libertà, perché troppo impegnativa e responsabilizzante.

Illuminato da quella fiamma e dalla Parola che ne esce bruciante Mosè è cambiato. È ancora sì un pover’uomo che non sa parlare speditamente la lingua dei suoi fratelli, è ancora uno su cui pesa il ricordo del passato e dei suoi errori giovanili, è ancora uno che non gode la stima e deve guadagnarsi la fiducia all’interno del proprio popolo, ma è pure un uomo nel cui cuore brucia ora una fiamma che non lo lascia più chiuso in se stesso. In lui ora brucia la sete di vedere salvi i suoi fratelli, di liberare i suoi consanguinei dalla schiavitù, di far udire anche a loro quella Voce amica che ha riempito i suoi orecchi e il suo cuore e non si separa più dalla sua mente.

Ecco il fuoco in cui Gesù battezza i suoi. È un fuoco come quello che sull’altare del tempio trasforma le vittime e le oblazioni e le fa salire in alto al cospetto di Dio!

Fuoco bruciante e trasformante è lo Spirito in cui Gesù immerge coloro che si rivolgono a lui scalzi per udire la Parola ardente: fuoco che trasforma l’uomo in offerta d’amore, fuoco che fa perdere all’uomo l’attenzione a se stesso per rivolgerla tutta ai desideri di colui che lo incontra inaspettatamente e lo vuole disponibile e pronto, anche se incapace e timoroso.

Fiamma nel roveto: il roveto può rimanere spinoso e inestricabile come il cuore dell’uomo, ma la fiamma col suo calore e la sua luce espande lontano la propria influenza benefica. Fiamma nel roveto è lo Spirito che copre i Dodici nella Pentecoste: ad ognuno di loro rimangono le spine della propria umanità, debolezze e incapacità, ma da ognuno di loro si effonde l’azione benefica del Dio che salva gli uomini dal loro peccato e dalla loro solitudine.

Vieni, Spirito Santo! Vieni, ardi in me. Ardi nella Chiesa del Figlio di Dio. Dal tuo fuoco la Parola, che trasforma e impegna gli uomini al servizio dei fratelli per portarli a Dio, sarà accolta! Tu sei fuoco che rende la mia e la nostra vita una vera offerta al Padre, gradita e santa!

4.

“Come il popolo udì il suono della tromba ed ebbe lanciato il grande grido di guerra, le mura della città crollarono.” (Giosuè, 6,20)

Un grande clamore, un popolo che lancia un grido di guerra non appena ode il suono della tromba, un popolo obbediente ai suoi sacerdoti che suonano il corno, e le mura della città nemica crollano!

Non ci sono varchi nelle mura di quella città, che è una continua minaccia per il popolo di Dio. Essa lo minaccia con due mezzi, la forza e la seduzione.

La città che fa paura al popolo di Dio può usare l’esercito per impedirgli il cammino, oppure potrebbe usare l’arma ancora più temibile della seduzione, perché esso si arresti da solo: dar voce alle proprie divinità, farle apparire attraenti, dipingerle dello stesso colore dell’Arca santa, cioè far in modo che esse annuncino quegli stessi valori che nascono come frutto della fedeltà a Dio: prosperità, salute, armonia, unità, fraternità, eguaglianza, libertà!

Se le divinità di Gerico, col loro oro e col loro argento, fossero capaci di sedurre il popolo di Dio, questi farebbe pace: le accoglierebbe: sarebbe l’inganno peggiore, apostasia dal Dio vivente, morte del popolo.

Nessuno può abbattere Gerico. È una città troppo sicura, troppo salda e ben difesa. Ignorarla sarebbe pericoloso. Bisogna affrontarla. Giosuè si fa ispirare dall’angelo di Dio, si pone in ascolto.

In ascolto dell’angelo di Dio, Giosuè apprende che le armi dell’uomo e gli uomini forti e valorosi e intelligenti non servirebbero a nulla. Qui ciò che serve è uno spirito nuovo: uno spirito povero, che si fida di Dio, uno spirito semplice che accoglie proposte persino infantili, uno spirito obbediente, solo obbediente, che per sette giorni faccia le stesse cose senza frutto, e al settimo giorno le ripeta ancora per sette volte prima di vedere qualcosa! Sette trombe suonate da sette sacerdoti: un suono che tiene l’animo desto e rivolto a Dio.

Sono i suoi sacerdoti che fanno vibrare l’aria donando speranza, la speranza che Dio può intervenire e interverrà per sbarazzare il cammino del popolo da ogni ostacolo pericoloso.

Mi pare di udire il fragore di quelle sette trombe di corno d’ariete nel giorno di Pentecoste, a Gerusalemme! Questa volta non sono nemmeno i sacerdoti del Tempio che le suonano, sono angeli di Dio nascosti, invisibili.

Quel fragore indica l’irrompere nel popolo nuovo, appena uscito dal deserto tremendo della morte in croce del suo unico Fondamento, l’irrompere dello Spirito: Spirito nuovo, Spirito di povertà, Spirito di semplicità, Spirito di obbedienza che dà coraggio a Dodici uomini di affrontare senza armi, con la sola tromba dell’Evangelo, le mura secolari della città del Mondo!

Al suono della loro Tromba crolleranno le mura di città potenti, le città dell’odio, della vendetta, quelle della dea Venere e del dio Bacco, che rendono gli uomini schiavi dei loro piaceri, quelle di Mercurio e di Afrodite, di Iside e di Saturno, che col loro materialismo ed egoismo edonistico impediscono la fraternità e la pace, poiché impediscono i passi al popolo di Dio e cercano di sedurlo con la loro apparenza di bene e di religiosità.

Lo Spirito Santo di Dio è il suono che esce dalla Tromba degli Apostoli, l’unica arma che vince il mondo, mio nemico. Lo Spirito Santo è l’unica speranza, l’unica potenza su cui posso contare per il nostro cammino verso il Padre, l’unica forza che può liberare il mondo dalle sue schiavitù. Lo Spirito Santo è l’unica arma che posso indossare per risultare invincibile.

Vieni Spirito Santo!

  

5.

“Corse da Eli e gli disse: mi hai chiamato, eccomi!”

(1Sam 3,5.6.8)

Una voce chiama nel sonno. Sembra voce d’uomo: è una voce che chiama per nome, una voce che sveglia più volte alla stessa maniera.

Né il ragazzo chiamato, né l’anziano interpellato sanno riconoscere colui che chiama.

È una voce reale, inconfondibile, ma lascia confusi e, in un primo momento, disorientati.

Samuele era giovane: “In realtà Samuele fino allora non aveva ancora conosciuto il Signore, né gli era stata ancora rivelata la parola del Signore. Egli continuava a servire il Signore sotto la guida di Eli”. Il ragazzo si lasciava guidare, era un giovane obbediente: serviva il suo Dio nella sottomissione. Il suo superiore non era un ‘santo’, anzi, era stato richiamato da un profeta di Dio per non aver punito i suoi figli depravati. Samuele non lo giudicava, continuava a lasciarsi guidare da lui.

In questo “ambiente” di docilità si fa udire la Voce nella notte. È la voce di Dio, è lo Spirito di Dio che diventa parola che risveglia, parola che desta l’attenzione.

Samuele non lo sa discernere. Egli continua a pensare che quella che ode sia voce d’uomo, continua a credere che sia un richiamo naturale, e naturalmente gli obbedisce, senza cedere a critiche o giudizi contro l’uomo che gli potrebbe apparire come bugiardo. Egli va da lui senza dirgli: perché mi chiami e poi dici che non sei stato tu? Samuele in questa confusione notturna non pensa nulla. È chiamato e risponde. È rimandato e ubbidisce.

Samuele così è pronto per essere strumento di benedizione divina per il suo Popolo, è pronto a ricevere la Parola e divenire lui stesso la voce che la fa risuonare agli orecchi degli uomini, è pronto ad esser mosso dal soffio delicato e appena percettibile dello Spirito di Dio. Samuele, senza sapere e senza volere, diviene Profeta.

Nella vicenda giovanile di Samuele troviamo molto aiuto per discernere l’agire dello Spirito Santo nella nostra storia, nelle nostre esperienze all’interno della vita della Chiesa.

Lo Spirito Santo, soffio leggero e delicato, si serve di persone docili, di persone provate nella disponibilità; lo Spirito di Dio non rifiuta il giovane e l’inesperto, il ragazzo abituato solo ad ubbidire, la persona che non si lascia sfuggire un lamento. Anzi, è proprio il piccolo e il povero, l’umile e il semplice ad essere il preferito dallo Spirito che gli manifesta i segreti del Padre, come ha detto anche Gesù!

Il piccolo e il povero nemmeno s’accorgono d’essere adoperati da Dio, non riuscirebbero a pensarlo da sé, eppure i grandi uomini della storia della salvezza dell’umanità sono sempre stati trovati tra i semplici e gli umili.

“Se Dio avesse trovato uno più ignorante di me, avrebbe potuto fare di più”, hanno detto molti santi!

Lo Spirito Santo ha bisogno del nulla per manifestarsi e per operare: ha trovato la persona più umile e libera da se stessa per generare in lei il Figlio di Dio!

Lo Spirito Santo ha trovato dei rozzi pastori per renderli i primi gioiosi testimoni del Salvatore Bambino! Ha trovato dei pescatori di un piccolo lago per affidare loro il messaggio che doveva solcare i mari e gli oceani!

Ha trovato un persecutore intelligente e caparbio: lo ha reso cieco e lo ha buttato a terra per poterlo chiamare con una voce d’amore e trasformarlo in apostolo umile e deciso! Non ha ascoltato la sua preghiera che chiedeva forza e salute, perché rimanesse umile e non contasse sulla propria bravura, sulla propria energia ed eloquenza, ma solamente sulla grazia e sulla forza dell’amore divino!

Ha trovato molti poveri uomini e umili donne per formare la sua Chiesa, renderla perseverante nella fede, continuatrice lungo i secoli della sua azione benefica verso tutti i popoli. Ha trovato molti che, come Samuele, hanno risposto con umiltà alla sua voce!

Vieni, Spirito Santo, fa udire ancora la parola di Dio, chiama. Spero d’essere pronto anch’io!

6.

“Quando lo spirito sovrumano investiva Saul, Davide prendeva in mano la cetra e suonava: Saul si calmava e si sentiva meglio e lo spirito cattivo si ritirava da lui.” (1Sam 16,23)

Che cosa succedeva al re? Egli stesso non sapeva spiegarselo, non riusciva a darsene ragione. Il fatto è che non riusciva a dominarsi. Una forza più potente delle sue energie, una forza che vinceva su tutte le sue più buone intenzioni entrava in lui. Ed egli si sentiva burattino, ma non di quelli che divertono. Tutti si dovevano allontanare da lui. L’esperienza strana e avvilente del re Saul la comprendono molti oggi. Anzi, piuttosto che comprenderla la conoscono, perché la vivono o la subiscono da parte di qualche familiare.

Che cosa fare in simili frangenti? L’impotenza assoluta scoraggia e intristisce. La rassegnazione non può dar pace, perché gli effetti di un simile comportamento allargano a macchia d’olio le sofferenze. Il regno di Saul è costernato: non solo i suoi ministri e i suoi familiari, che non sanno quando possono fidarsi di avvicinarlo..., ma tutto il popolo rimane come paralizzato.

La famiglia di quel mio amico, che con me è tanto gentile e servizievole, è impietrita: in casa, proprio lui, così dolce quand’è al bar o per strada o in canonica, si scatena: uno spirito sovrumano lo investe.

Che cosa fare? Si può fare qualcosa?

Da che cosa dipende un simile repentino cambiamento? Chi è quello ‘spirito sovrumano’ che sceglie un uomo invece di un altro come sua abitazione temporanea? Chi l’ha chiamato? C’è stato qualche incantatore o mago che ha fatto con lui un patto affinché mandi un dipendente di Satana? Qualche spiritista gli ha imposto le mani fingendo di guarirlo da qualche malattia, e in compenso della salute gli ha preso una parte dell’anima? Qualche invidioso o qualche malefico ha inviato la sua maledizione o l’ha concretizzata in qualche oggetto strano e misterioso deposto in casa? O lui stesso, peccando gravemente contro Dio, s’è consegnato al Maligno per compiere qualche azione peccaminosa segreta?

Da qualunque parte venga, quello spirito estraneo alla vita normale e benedetta dell’uomo deve andarsene. Da solo non se ne va.

C’è un giovane, già amico di Dio. Egli sa suonare la cetra dolcemente. Quella dolcezza, segno dell’amore di Dio e dell’unione con lui, dono dello Spirito Santo, quella dolcezza trasformata in suoni tranquilli placano l’uomo tormentato. Lo spirito sovrumano se ne va.

Davide aveva fatto conto della forza di Dio. Egli si era affidato all’assistenza dell’Altissimo invece che alle armi di fronte al forte Golia. In lui era presente e operante lo Spirito di Dio, lo Spirito che fa stare l’uomo in comunione e confidenza col Padre. Davide era un ragazzo quando aveva dato la sua fiducia al Dio del suo popolo. Sono i piccoli, e coloro che si fanno piccoli, capaci di vivere sotto l’influsso dello Spirito Santo, Spirito che ci porta ad amare Dio come il bambino ama il papà!

Questo stesso Spirito, dolce e soave, tenero e onnipotente, irresistibile e forte, si comunica all’ambiente e alle persone che frequentano il ragazzo umile e obbediente. Le note della cetra di Davide diventano il veicolo che lo Spirito Santo adopera per mettere in fuga gli spiriti dissennati e violenti che vogliono fare di Saul un violento: proprio come succede quando in occasioni particolari facciamo cantare i bambini. Gli spiriti gravi e seri, corrucciati e avari degli adulti cedono il posto alla tenerezza e alla gioia dello Spirito Santo!

Vieni, Spirito Santo, tu che riposi negli umili e nei piccoli che amano Gesù. La loro presenza è dono che fa strada a Te per venire, per toccare il cuore, per cambiare l’atmosfera delle nostre case!

7.

“Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero.” (1Re 19, 12)

Elia, profeta di Dio per il suo popolo, aveva dovuto fuggire. Fuggì dagli uomini potenti che lo cercavano per ucciderlo, ma ormai voleva fuggire dalla vita stessa. Per questo s’inoltrò nel deserto, desideroso di incontrarvi la morte: vedeva ormai inutile la propria vita. Ma in quella disperazione Dio stesso gli venne incontro facendogli trovare pane e acqua. Era un segno chiaro: la morte non era volontà divina, egli doveva vivere ancora e ancora camminare.

Dopo quaranta giorni eccolo sul monte su cui Dio s’era manifestato a Mosè. Il Signore si manifesterà ancora, anche al suo profeta? Ora non c’è il popolo in attesa alle falde del monte, non c’è nessuno che desideri la Parola del Dio vivo: Dio stesso, lui sì desidera farsi ancora sentire al suo popolo infedele!

Ed ecco anzitutto i segni paurosi, quelli che gli uomini attribuiscono a Dio: gli uomini sanno d’essere disobbedienti e attendono castighi, attendono punizioni. Nella bufera che spazza via tutto, nel terremoto che seppellisce ogni bellezza, nel fuoco che in un lampo fa sparire ogni cosa, essi vedono la presenza di Dio, di quel Dio che essi immaginano irritato, adirato, offeso.

Anche Elia attende di vedere il volto di Dio e di udire la sua voce dentro questi avvenimenti che squassano tutto e terrorizzano ogni creatura, ma Dio, il vero Dio, quel Dio che gli ha procurato pane ed acqua e che lo vuole incontrare, non è presente negli eventi che spaventano. Quel Dio che ora vuole rivelarsi ad Elia non è un Dio che fa paura. Ciò che spaventa l’uomo viene dal nemico di Dio, da colui che vorrebbe rendere Dio odioso al popolo e gode che il cuore dell’uomo s’allontani dal suo Creatore.

Ecco “il mormorio di un vento leggero”, oppure, traducendo letteralmente, “il fruscio di un silenzio leggero”. Il silenzio che permette di udire il fruscio di una brezza ristoratrice, questo è l’ambiente in cui Dio, il Dio vero, l’unico Padre che da la vita, si rende presente al suo servo! Egli non vuole spaventare, non vuole che l’uomo fugga davanti a lui.

Il vero Dio, l’amico degli uomini che si fa presente a loro perché li vuol salvare dal nemico, si nasconde e si rivela nel silenzio di un vento leggero!

Elia rimane conquistato da questo silenzio e dal suo fruscio: in esso può percepire la voce di Dio che lo chiama ancora e lo manda ad esercitare il suo ministero profetico.

In ogni epoca, come anche oggi, gli uomini sono amati da Dio, ma, come Elia, così anche gli uomini del nostro tempo attribuiscono a Dio i sentimenti dell’ira e della vendetta, che sono alieni dal suo cuore, mentre sono tipici del nemico. Anche per noi deve avvenire il cambiamento che solo il silenzio di un fruscio leggero può operare. È lo Spirito Santo che, quale vento leggero e vivificante, ci riporta alla realtà, ci fa aprire gli occhi perché vediamo il Volto buono e paterno dell’unico Dio. È lo Spirito Santo che ci apre gli orecchi perché udiamo la sua voce che ci chiama a donarci al Padre e ci manda ad esercitare doni e carismi a vantaggio del suo popolo e di tutti gli uomini.

È lo Spirito Santo che ci fa perdere e deporre ogni sentimento di violenza che il nostro cuore accumula e che poi vorrebbe attribuire a Dio, per giustificare la propria inquietudine e cattiveria.

È lo Spirito Santo che ci fa camminare nel deserto per lunghi giorni, perché solo in una profonda distanza dall’agitarsi degli uomini, sempre un po’ idolatri, è possibile incontrare la pace di Dio e divenirne portatori.

Lo Spirito Santo ci fa udire i fruscii più leggeri del silenzio di Dio, silenzio sempre carico della sua Parola d’Amore!

Nel silenzio, che i deserti percorsi dall’uomo ci fanno percepire, siamo attesi per ricevere i segreti più belli di Dio. Nel deserto della malattia, in quello della solitudine, in quello del disprezzo, in quello dell’insuccesso, a volte anche in quello del peccato, là ci attende Dio per manifestarci Gesù in croce come il suo abbraccio più tenero. Là lo Spirito Santo tiene i nostri occhi e il nostro cuore aperto, finché occhi e cuore si riempiono dell’amore più grande: Gesù!

Vieni, Spirito Santo, vieni. Il tuo soffio leggero mi renda attento alla voce silenziosa che mi ama e mi chiama.

Spirito Santo, dolce ospite dell’anima!

8.

“Eliseo prese un paio di buoi e li uccise; con gli attrezzi per arare ne fece cuocere la carne e la diede alla gente, perché mangiasse.” (1Re 19, 21)

Eliseo ha un grosso lavoro, un’impresa non indifferente. “Arava con dodici paia di buoi davanti a sé”: un agricoltore ricco con grandi possibilità. Elia, il profeta, gli passa accanto mentre egli stesso sta arando col dodicesimo paio. L’uomo che lavora la terra conosce molti segreti, è a contatto diretto con la creazione di Dio e con le leggi di vita che vi sono nascoste e vi operano: perché non potrebbe essere lui ad ascoltare la voce divina per trasmetterla al suo popolo?

È un popolo che dovrà essere arato in profondità, un popolo che deve ricevere ancora il seme della parola per lasciarla portar frutto.

Elia sceglie Eliseo senza nemmeno interpellarlo. Gli lascia il tempo di baciare il padre e la madre e di far festa, una grande festa!

Guardiamo quest’uomo durante il banchetto offerto alla gente, i suoi operai, i vicini, i parenti. Egli non è più il contadino preoccupato della semina e del raccolto: uccide due buoi, spezza gli attrezzi e li usa per cuocere la carne. La festa è più importante del lavoro, la festa è più utile del lavoro, la festa è un amore più grande del reddito.

Eliseo comincia ad essere profeta con l’organizzare una festa. Questa è l’origine e lo scopo di ogni profezia. Dio infatti, il Dio che Eliseo si appresta a servire, è un Dio che vuole gli uomini felici, li vuole in comunione, li vuole nella gioia. Eliseo comincia ad essere profeta - senza saperlo - quando raduna i suoi servi e i suoi parenti a mangiare a sazietà! Gli assomiglia Matteo, il pubblicano che, visto e chiamato da Gesù, ha lasciato il proprio lavoro e seguito il nuovo Maestro. Anch’egli ha dato un banchetto. Anch’egli ha organizzato una festa: vi ha invitato anche Gesù, e Gesù non si è rifiutato di partecipare alla gioia del suo nuovo discepolo, anzi, ha dato speranza e verità alla gioia dei peccatori, che gli son divenuti amici.

Nell’uno e nell’altro caso il lavoro è sacrificato alla festa, al banchetto! È la profezia dell’Antica e della Nuova Alleanza: Dio chiama gli uomini a rallegrarsi. Li chiama e li attende peccatori e smemorati, li risveglia alla gioia: così il Padre del figlio prodigo vuol partecipare la sua gioia anzitutto al figlio stesso, e quindi a tutti gli altri, offrendo una festa!

Eliseo e Matteo col loro banchetto sono profeti dell’amore del Padre. Lo Spirito di Dio li ha conquistati, li ha spinti a organizzare la festa! La gioia d’essere divenuto, da padrone di molta terra, servo di Dio, - per Eliseo -, e la gioia di essere passato dal servizio del denaro al servizio degli uomini, - per Matteo -, è profezia, è parola di Dio all’uomo distratto e chiuso nel lavoro e nel denaro privi di vita.

Il banchetto di Eliseo e quello di Matteo sono organizzati dallo Spirito Santo: è lui che porta nel mondo la gioia di Dio, è lui che vuole far sparire le smorfie di tristezza dalle immagini divine che sono i volti degli uomini! È lui, lo Spirito di Dio, che fa diventare vino l’acqua delle nozze di Cana: gli sposi, per quanto si amino, come potranno amarsi al punto da darsi gioia l’un l’altro, se non per opera dello Spirito Santo?

È lo Spirito di Dio che fa diventare gioia dei genitori il sorriso dei bimbi!

È lo Spirito di Dio che dà ai figli quella grazia e quella pace che tornano ad onore dei loro genitori!

È lo Spirito di Dio che dà al lavoro dell’uomo un significato così grande e bello di benedizione e di comunione, tanto che la fatica venga offerta come un atto d’amore!

Ed è lo stesso Spirito che tiene il cuore dell’uomo staccato dalle cose, staccato dal suo lavoro e dal suo guadagno, perché rimanga pieno di quella gioia che continua a venire dall’Alto!

È lo Spirito di Dio che mette negli occhi degli uomini la luce perché vedano i fiori e odano gli uccelli come segno della sapienza e della bontà del loro Creatore!

È lo Spirito di Dio che mi fa vedere Gesù come l’amico che mi fa sedere continuamente al banchetto della sua gioia, della gioia della sua Risurrezione dai morti, del suo Rendimento di grazie al Padre: l’Eucarestia!

Vieni, Spirito Santo: tu trasformi la mia vita in una festa, la festa dell’amore di Dio per gli uomini. Spirito Santo, tu dai all’uomo la gioia di cambiare, di passare dal mondo al Padre, dal lavoro al servizio, dal guadagno alla sequela di Gesù! Vieni, Spirito Santo!

9.

“È come olio profumato sul capo...”! (Salmo 133, 2)

“L’olio che scende sul capo, che scende sulla barba, sulla barba di Aronne” è l’olio della consacrazione sacerdotale. Aronne è consacrato sacerdote, riservato cioè a Dio, dall’olio versato sul suo capo. L’unzione santa dà nuovo significato alla sua vita: egli sarà tramite tra il popolo e Dio!

Il Salmo 133 ci fa ammirare e desiderare la vita fraterna come una consacrazione sacerdotale.

“Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme! È come olio che scende...”. La vita fraterna è una specie di consacrazione, è olio che scende sul capo con abbondanza tale da fluire fin sulla barba e sul collo delle vesti del capostipite della famiglia sacerdotale del popolo di Dio!

Che i fratelli vivano insieme “è buono e soave”: è volontà e dono di Dio, è grazia che si riceve ed è azione che si offre, è obbedienza che rende giusti, graditi al Padre.

Il vivere insieme come fratelli è opera dello Spirito di Dio, lo Spirito che fa superare le tendenze incallite dell’uomo all’egoismo, a farsi servire, a pretendere, a farsi centro delle attenzioni altrui.

Vivere insieme come fratelli non è possibile se non per opera dello Spirito Santo.

Nel mondo dove regna mammona, il dio-denaro, dove regnano i desideri di comodità e del piacere sessuale, dove regnano l’ambizione e la ricerca della vanità e della popolarità, là non è possibile vivere insieme come fratelli, né lo è dove regna l’amore per la propria famiglia e per l’unità del parentado: qui si riesce a vivere insieme come schiavi gli uni degli altri, ma non come fratelli!

È opera dello Spirito Santo il vivere insieme come fratelli! Lo Spirito Santo ci unisce a Gesù, sempre più strettamente.

Chi dona a Gesù la propria vita nella grazia dello Spirito Santo si trova ad essere capace di vivere come fratello. È una grazia, è opera divina, è miracolo! È miracolo che dà sostegno alla fede, che rende possibile il credere in Dio Padre a coloro che non lo conoscono ancora. Gesù rivolge al Padre questa preghiera: “siano in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17,21). È opera divina l’unità degli uomini come fratelli. Lo Spirito Santo compie quest’opera.

Coloro che sono uniti nel Nome di Gesù come fratelli mostrano al mondo la bellezza del disegno di Dio per l’uomo. La loro vita parla di Dio pur nel silenzio, la loro vita mette i nostri occhi a contatto con Dio, mette il nostro cuore in sintonia con lui.

La loro vita è un sacerdozio, una mediazione vera, grande, santa, più efficace dei riti sacerdotali del tempio. Infatti, dove due o tre sono riuniti nel nome di Gesù, là Gesù stesso è presente, come egli ha detto! E la presenza di Gesù è salvezza, è benedizione, è vita, è garanzia di eternità! La presenza di Gesù è già cielo aperto, è presenza di Dio, è il mondo futuro sulla terra!

La vita dei fratelli che stanno insieme è perciò “benedizione”: è dono di grazia, è luogo di salvezza, è incontro concreto con l’amore del Padre!

La vita di coloro che vivono insieme come fratelli è “vita”: è già caparra della vita eterna, anticipo della luce e dell’armonia che sarà data ai santi fedeli di Dio nell’assemblea celeste.

Lo Spirito Santo entra profondamente nella vita dell’uomo fino a trasformarla, fino a renderla manifestazione del Dio uno e trino, ma per far questo la mette a fianco della vita di altri uomini, perché la comunione - segreto della vita trinitaria di Dio - diventi visibile! Lo Spirito Santo ci rende fratelli!

Per questo la Chiesa invoca sempre - ogni giorno - lo Spirito Santo: lo invoca sul popolo di Dio, perché nutrendosi del Corpo e del Sangue del Signore diventi un cuor solo ed un’anima sola! È la consacrazione degli uomini, che nella fraternità vivono la loro consacrazione sacerdotale. Lo Spirito Santo trasforma per noi il pane e il vino nel Corpo e Sangue di Cristo perché noi - nutriti di lui - possiamo vivere come fratelli ed essere vita e benedizione per il mondo!

Grazie, Spirito Santo! Grazie che svuoti il nostro cuore dell’egoismo, grazie che intervieni per renderci membra del corpo di Cristo e capaci perciò di fraternità!

Grazie, Spirito Santo, che così formi la Chiesa, vita e benedizione per il mondo!

Nihil obstat: cens. Eccl. Mons. Iginio Rogger, Trento, 5/4/1998