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Eucaristia

Eucaristia

La celebrazione: gesti e parole

 

Introduzione

Nell’anno dedicato all’Eucaristia (2005) all’inizio di ogni omelia ho offerto queste brevi riflessioni a commento dei gesti e preghiere della S.Messa. Desideravo aiutare i miei parrocchiani, anche quelli virtuali, a vivere più consapevolmente la celebrazione centrale della vita cristiana. Queste pagine potranno forse servire ancora a far amare e cercare la Messa per viverla col desiderio e la gioia di incontrare Gesù vivo, risorto e operante, e tuttora desideroso di comunicarci la sua vita!

Don Vigilio Covi

 

Prefazione

La “gloria divina rifulge” sul nostro volto, o meglio “nei nostri cuori”, dice San Paolo. Siamo poveri e deboli, paragonabili ai recipienti di terracotta, che, pur fragilissimi, possono contenere preziosi gioielli (2Cor 4,7)! Il mondo ci disprezza, ma in noi c’è Gesù, con tutta la ricchezza della sua vita e del suo amore.

La bellezza e la ricchezza del Signore risplendono soprattutto quando egli si trova circondato da persone che lo giudicano e lo spiano per condannarlo, e lui rimane fermo nella sua obbedienza a Dio. Il Vangelo ci racconta più volte che quelli che condannano Gesù ritengono di essere i veri obbedienti, perché vietano come sacrilego ogni gesto di attenzione all’uomo nel giorno di sabato. Gesù invece in giorno di sabato fa quello che Dio ha fatto in quel giorno: Dio ha dato la gioia all’uomo appena creato! Gesù vuole la gioia dei suoi discepoli affamati, e vuole la gioia dei sofferenti, per esempio di quell’uomo che in nessun giorno della settimana può adoperare la sua mano ed è costretto a sentirsi inutile. Il Maestro vuole dare all’uomo la gioia, e sceglie il giorno della gioia di Dio, che si allieta per tutta la sua creazione e soprattutto per l’ultima sua opera, la vita dell’uomo.

Il “comandamento” che riguarda il sabato è un’occasione per riflettere sul nostro giorno di festa. La Chiesa ha attribuito il significato festoso e sacro del sabato ebraico al giorno seguente, perché in questo giorno è risorto Gesù! Noi vediamo il sabato come profezia che si compie con il “primo giorno dopo il sabato” o “ottavo giorno”. Questo è il giorno della creazione della luce, secondo il racconto della creazione, e il giorno in cui Gesù ha vinto la morte, secondo il vangelo.

Questo è il giorno in cui Gesù è apparso ai suoi riuniti insieme e ha spezzato con loro il pane. Perciò in questo giorno la Chiesa si è sempre riunita e si riunisce ancora, per ubbidire al comando “Fate questo in memoria di me”. In questo modo essa conosce e riconosce i propri membri, li nutre, li ammaestra, li raccoglie in unità realizzando il desiderio di Gesù, venuto per raccogliere in uno i figli di Dio dispersi!

È una gioia per il credente ritrovarsi con i suoi fratelli per celebrare i misteri del suo Signore!

È anche dovere di ogni cristiano partecipare all’assemblea domenicale, dovere grave verso se stesso, verso Gesù e verso i fratelli: verso se stesso per nutrirsi del Pane e della Parola, verso Gesù perché egli è il suo Salvatore che gli vuol parlare e lo vuole far crescere, verso la comunità che ha bisogno della sua presenza e dei suoi carismi per adempiere alla sua missione nel mondo.

Il cristiano non può fare a meno di celebrare la domenica, giorno che gli è dato per ricordare che egli è fatto per il cielo e non per la terra, e per vivere questa sua chiamata. In questo giorno, attraverso l’assemblea gioiosa che prega, canta e ascolta, attraverso l’amore ai piccoli e ai deboli, agli ammalati e agli anziani, attraverso varie forme che la fantasia ispirata dallo Spirito Santo suggerisce, il cristiano viene liberato dal peso del lavoro, gode del riposo e dell’armonia con gli uomini e con il creato, si orienta a ciò che rimane per l’eternità!

In un giorno solo celebriamo due eventi: la gioia di Dio per la sua creazione e la gioia del creato per la risurrezione di Gesù! Se viviamo senza santificare questo giorno, come faremo a manifestare a Dio la nostra gratitudine, e come faremo a dirci e manifestarci cristiani, redenti da Gesù?

 

Parola e Pane

1.

Durante quest’anno inizierò le omelie parlandovi dell’Eucaristia, spiegando i vari momenti della celebrazione oppure collegando esplicitamente questo mistero, che celebriamo ogni domenica, con la Parola che ci viene donata per comprenderlo e per viverlo. La Parola infatti viene dallo stesso Dio che ci offre il Pane della vita! Parola e Pane sono due modi diversi, ma uniti, con cui Gesù si offre e ci viene offerto. Egli è la Parola fatta carne, e la sua carne è il Pane vivo e vero che mangiamo, che ci nutre e ci sostiene nell’obbedienza alla Parola ascoltata. Pregate, perché il Signore stesso, se lo ritiene opportuno e utile per voi, mi conceda di riuscire ad esservi d’aiuto nell’accogliere Gesù, Parola e Pane!

2.

La Parola di Dio che noi ascoltiamo, l’ascoltiamo nel modo più fruttuoso durante l’Eucaristia, ed Eucaristia significa rendimento di grazie! Anche il nostro ascolto fa parte della nostra riconoscenza a Dio! Gli siamo riconoscenti anzitutto perché Egli, parlandoci, ci rende consapevoli che ci ama, che è attento alla nostra vita, che gli preme che non ci perdiamo. Per questo la sua Parola è dichiarazione di affetto, è consolazione, è condivisione di desideri, talora è anche ammonimento, e, qualche volta, deve essere pure rimprovero. La Parola attira la nostra attenzione, è promessa e raccomandazione. Noi l’ascoltiamo con amore, e il nostro ascolto attento è la prima forma di ringraziamento.

 

Preparazione

3.

Quand’ero bambino di quando in quando alla domenica mattina i vigili del fuoco lavavano le strade del paese prima della Messa. Chi usciva, vestito a festa, trovava così anche la strada pulita, bella, accogliente. Andavo alla chiesa più volentieri, con una gioia in più al vedere quegli uomini forti, tra cui mio padre, dedicarsi ad un lavoro che avrebbe potuto essere ritenuto superfluo, ma che rendeva accogliente il percorso verso l’Eucaristia nel giorno del Signore. L’Eucaristia è un avvenimento, e come tale merita essere preparato con cura. Per un avvenimento importante si preparano anche le strade, e i vestiti e i fiori e varie altre piccole cose. L’Eucaristia è un avvenimento: naturalmente per chi lo vive, per chi se ne nutre, per chi crede. Mi è venuto alla mente questo particolare leggendo Isaia, che parla di una strada appianata, chiamata Via santa, preparata per persone che l’avrebbero percorsa con gioia e felicità, perché di ritorno dall’esilio dove abbondavano solo tristezza e pianto! Essi tornavano alla città di Sion, città della presenza del Signore. Quanto più noi ci prepariamo per l’incontro col Signore stesso, che ci parla e si dona a noi per nutrirci!

A proposito del vestito bisognerebbe ricordare che la celebrazione eucaristica non deve essere vissuta come l’occasione per sfoggiare l’ultima moda! I cristiani si vestono in modo da non attirare l’attenzione su di sè, tanto meno sul proprio corpo! Per quanto riguarda poi le mode estive, essi sanno che certe nudità sono segno di superficialità e di mala educazione ed essi non vogliono peccare provocando tentazioni impure o seduzioni ai fratelli! Essi sono attenti alla parola: “Rivestitevi di Cristo Gesù!”, e perciò desiderano che tutto il proprio portamento attiri l’attenzione a lui!

 

4.

Per recarci alla Messa non ci dovremmo accontentare di indossare indumenti puliti e ordinati, ma anche cercare di prepararci spiritualmente e culturalmente. Dovremmo cioè fare un bagno di pulizia interiore con una bella confessione dei peccati: questo non solo per alleggerirci di piccoli o grandi pesi, ma soprattutto per approfondire la nostra comunione con Gesù e non lasciare ostacoli alla comunione con i fratelli! Di fronte a Dio siamo sempre peccatori, sempre bisognosi della sua misericordia. Che differenza tra coloro che si confessano spesso e chi invece celebra questo sacramento solo raramente! Ci si accorge della grande diversità della vita interiore tra gli uni e gli altri!

Qualcuno, inoltre, per prepararsi alla celebrazione eucaristica, legge al sabato sera, se non prima ancora, le letture che saranno annunciate, o, come minimo, il Vangelo e una sua spiegazione. Ci sono genitori che dedicano la serata del sabato a leggere con i figli il Vangelo della domenica, a drammatizzarlo, a disegnarlo, a sceglierne una frase da tener presente tutta la settimana! Chi si è preparato vive con maggior consapevolezza l’Eucaristia, che diventa più bella e sarà certamente più fruttuosa! La sua partecipazione è sicuramente un dono migliore ai fratelli!

 

5.

Arrivando alla porta della chiesa incontro altri cristiani: saluti, sorrisi, strette di mano! Sono le persone che condivideranno il momento solenne dell’Eucaristia, che mi aiuteranno a viverlo, che lo rendono possibile. Se non ci fossero, ci sarebbe qui oggi la celebrazione? Il prete andrebbe senza dubbio a celebrare altrove! Sono perciò contento che ognuno di essi sia presente, lo accolgo e mi lascio accogliere. Queste persone non sono estranee, anche se qualcuna non la conosco. Non affretto il passo, non scappo via, non giro l’angolo: staremo insieme davanti a Dio, lo loderemo insieme, saremo stimolo e aiuto reciproco! Arrivo qualche minuto prima per vivere anche questi incontri con calma e con gioia! Si sta radunando la grande famiglia dei figli di Dio! Sono un membro di questa famiglia, ne godo e ne porto la mia piccola responsabilità.

 

I RITI INTRODUTTIVI

6.

Il sacerdote s’avvicina all’altare della celebrazione e si china a baciarlo. Lo fa mentre tu canti insieme a tutti un inno di lode, che chiamiamo “canto d’ingresso”. Tu canti con gioia, e il sacerdote, a nome di tutti, con gioia bacia la mensa. Un bacio è sempre un segno: questo bacio non è dato ad un tavolo di legno o di pietra, ma è dato a colui che da esso è significato. Quando io mi chino a dare quel bacio mi rivolgo a Gesù, e gli dico: « Ti amo. Tutta questa celebrazione sia un bacio gradito a te, un bacio di tutti i presenti qui riuniti, segno della nostra fiducia in te, della nostra stima, del nostro attaccamento a te ». Hai mai fatto caso a quel bacio? Con un altro bacio all’altare si conclude la celebrazione. Hai mai cercato di parteciparvi spiritualmente? Non lasciarmi solo in quel momento! Il nostro ritrovarci è un atto d’amore a Gesù: glielo diciamo con un gesto semplice e povero. Un santo diceva che quel bacio è quello che il Signore stesso porge a noi! Infatti è lui che ci ha benedetti e amati, come spesso ripete San Paolo.

 

7.

Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Sono le prime parole che il sacerdote pronuncia iniziando la santa Eucaristia, parole accompagnate dal segno di croce con cui tutti si segnano. Le parole sono quelle del nostro Battesimo, lo rievocano, lo attualizzano. E il segno di croce, che ognuno traccia sul proprio corpo, ricorda il prezzo pagato perché noi potessimo godere di essere inseriti dentro l’amore del Dio Uno e Trino: questo prezzo è la croce di Gesù. Di quella croce non ci vergogniamo, anzi, ci gloriamo di portarla anche noi. Per questo iniziamo con il segno della croce non solo la Messa, ma ogni attività. All’inizio della giornata, di un pasto, di un lavoro, di un viaggio, di una preghiera, facciamo il santo segno della Croce accompagnato dalle parole del Battesimo! Manifestiamo così a noi stessi e agli altri chi siamo, a chi apparteniamo, quale fede ci muove e ci sostiene nel nostro impegno di carità e di servizio. Se ti vergogni a fare il segno della croce, non farlo: lo faresti male e non daresti gioia a nessuno, nemmeno a Dio! Prima butta via la vergogna, poi segnati!

 

8.

“Il Signore sia con voi”! Ben quattro volte il sacerdote rivolge questa parola all’assemblea durante la S. Messa! Non è un semplice saluto. È la stessa assicurazione che l’angelo Gabriele ha offerto a Maria: ella ricordò certamente come anche a Mosè, a Davide, a Gedeone, e ai grandi servi di Dio era rivolta tale parola quando venivano incaricati di qualche speciale missione per tutto il popolo. Ora questa frase si rivolge a te e a tutti i presenti: la celebrazione è un momento importante per la tua vita, e la tua presenza è importante per tutti gli altri. Riceverai il compito di portare Gesù in tutto il mondo da te frequentato, di essere luce e sale della terra, di rivestire e impregnare di sapienza divina gli ambienti e gli incontri dove sarai presente, di essere unito a quanti oggi ascoltano. Il Signore sia con voi: ti sarà ripetuto prima dell’ascolto del Vangelo, prima della preghiera eucaristica e prima della benedizione finale. Ti viene rivolta molte volte perché nuovo è il tuo compito nel mondo, ed è un compito di cui nessuno è capace se non è rinnovato e riempito di Spirito Santo!

Io te lo rivolgo con gioia, sapendo che vivrai con impegno questo momento. E tu rispondi rivolgendomi la stessa benedizione! “E con il tuo spirito”! Anch’io - e certamente più degli altri - devo ricordare che solo con il Signore posso presiedere la santa assemblea!

 

9.

Al posto del saluto “Il Signore sia con voi”, il sacerdote può usare altre parole. Più frequentemente viene ripetuto il saluto con cui San Paolo conclude la seconda lettera ai Corinzi: “La grazia del Signore Gesù Cristo, l'amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi”. Queste parole sono un richiamo più forte alla conoscenza di Dio che ci è stata donata e una memoria dei doni di cui egli ci fa godere costantemente nella Chiesa: grazia, amore, comunione: doni che si riversano su di noi durante la celebrazione dei santi Misteri. Aiutati da questa benedizione subito ci disponiamo a chiedere perdono.

 

La domanda di perdono

10.

Il sacerdote, con parole sue, invita a fare un breve esame di coscienza e a chiedere perdono al Signore e ai fratelli. Il perdono non lo chiediamo solo per grandi peccati, ma anche per le quotidiane infedeltà alla nostra missione, per le disobbedienze alle ispirazioni che lo Spirito Santo ci fa sentire nell’intimo, per le impazienze con i fratelli, per le ingratitudini, per le superficialità e le perdite di tempo davanti al televisore o in occupazioni e chiacchiere inutili, per le parole senza sugo con cui facciamo perder tempo ed energia agli altri. Abbiamo necessità di perdono e necessità di chiederlo esplicitamente e comunitariamente. Lo facciamo con umiltà, disposti anche a perdonare a chi celebra con noi qui o altrove il Mistero eucaristico. I peccati più gravi ci riserviamo di metterli alla luce nella celebrazione del sacramento apposito, quello della confessione; per quelli quotidiani invece, e che noi riteniamo piccoli (quando sono molti però possono diventare un grande mucchio, e quindi pericoloso ostacolo alla fede e alla carità!), ecco che ora il sacerdote dice a tutti la parola del perdono di Dio: “…perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna”. Per il Signore darci il perdono è troppo poco, egli vuole portarci avanti, farci fare dei passi sul cammino di una vita più perfetta, più piena, più ricca di amore e di pace, verso la vita eterna!

In ogni nostra celebrazione avviene quello che l’evangelista Matteo dice quando inizia a raccontare l’apparire in pubblico di Gesù: “Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce”. Dalla tenebra, in cui ogni nostro peccato ci chiude, alziamo lo sguardo, perché la parola del perdono ci apre orizzonti nuovi!

 

11.

La domanda di perdono può svolgersi in diversi modi. Si può recitare insieme il “Confesso” oppure delle invocazioni appropriate, intercalate dal canto “Signore, pietà”, o “Kyrie, eleison”! Questa invocazione, frequente in molti Salmi, la troviamo anche nel vangelo in bocca a persone bisognose d’aiuto, e che si rivolgono a Gesù con speranza e fiducia. Siamo pure noi malati, insidiati, oppressi, tentati, e abbiamo bisogno della vicinanza di Gesù, del suo aiuto, della sua misericordia e del suo perdono. Non vogliamo essere solo perdonati da lui, ma da lui vogliamo anche ricevere spirito di fortezza e di perseveranza per rimanergli fedeli e contribuire così all’edificazione della Chiesa. Con i nostri peccati infatti abbiamo reso debole la testimonianza della Chiesa stessa, privando quindi molte persone di quella luce che avrebbe potuto orientarle nelle loro tenebre. Per questo riconosciamo i nostri peccati davanti ai fratelli e chiediamo anche a loro il soccorso della preghiera! Chiesto perdono, domandiamo l’intervento potente e rappacificante del Signore sia per noi che per tutta la Chiesa e per il mondo che ci circonda!

 

Il canto

12.

Il sacerdote intona il canto del Gloria. Nelle nostre celebrazioni il canto ha un posto importante. Che cos’è il canto? Perché cantiamo? Chi deve cantare? Il nostro canto è novità: le religioni non riuniscono col canto i loro adepti. Continuando la tradizione ebraica, noi cantiamo perché siamo abbandonati all’amore fedele di quel Dio che ci fa popolo salvato! Il canto è un modo di esprimere sentimenti e valori che rallegra e aiuta a consolidare l’unità e la fraternità. Il canto è preghiera, ma è anche gioia, è volontà di essere uniti, è coscienza di formare famiglia, è superamento dei limiti del proprio io affidandosi con amore alle capacità di tutta la comunità. Un gruppetto, il coro, si è preparato per guidare e sostenere il canto di tutta l’assemblea che celebra. In qualche momento questo gruppo può anche cantare da solo, ma deve principalmente aiutare tutti ad esprimere la propria gioia e la propria unità. Il coro compie egregiamente il proprio servizio quando la sua voce scompare dentro le voci di tutti i convenuti!

Il nostro canto è pieno, completo e vera lode a Dio, quando sgorga da un cuore che lo ama e quando anche tutta la vita fa far bella figura al Signore! Il canto è bello e rasserenante quando chi canta è ubbidiente al Padre e segue Gesù senza tentennamenti! In fondo è di questo che Gesù stesso si compiace quando dice: Voi siete il sale della terra, voi siete la luce del mondo!

 

Canto del Gloria

13.

Il canto del Gloria inizia con le parole degli angeli ai pastori a Betlemme: ci fa già partecipi di quello che riempie il cielo! “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà” (s’intende la volontà buona di Dio, che è di amare tutti e perciò si traduce anche: “agli uomini che egli ama”)! Il canto fa poi memoria dell’incarnazione del Figlio di Dio, che manifesta l’amore del Padre tra gli uomini (è Gloria) e partecipa ad essi le ricchezze della sua vita (è Pace)! Il resto del canto è conseguenza: con varie espressioni adoriamo il Padre e invochiamo la misericordia del Figlio, chiamandolo “Agnello di Dio”, titolo datogli da Giovanni Battista. L’inno termina con il riconoscimento dell’unico Signore, Gesù Cristo, adorato con lo Spirito Santo a gloria del Padre! È un bell’inno, molto antico, arricchito ogni volta di melodie diverse, sempre festose, anche se, con realismo, ci fa ricordare la nostra situazione di peccato: è per esso che Gesù è venuto nel mondo, a causa di esso e per liberare noi dal suo peso ha sofferto, e ora ci ascolta, e per noi intercede alla destra del Padre!

Nei tempi penitenziali, Avvento e Quaresima, come piccolo digiuno, rinunciamo alla gioia di questo bell’inno alla misericordia di Dio.

 

Preghiamo

14.

Il sacerdote ora invita l’assemblea alla preghiera e poi lascia tutti in silenzio perché presentino al Padre le loro preoccupazioni o qualche grande desiderio. Egli raccoglie poi le intenzioni formulate da tutti nel silenzio, pronunciando a voce alta una preghiera che legge dal messale. Spesso i sacerdoti tengono conto dell’incapacità di molti fedeli a stare un minuto in silenzio, e perciò lo riducono a due secondi! Se puoi, dì al tuo parroco che saresti contento di avere il tempo di formulare la tua preghiera, affinché anche lui sia aiutato e incoraggiato nel suo compito! Questa preghiera viene chiamata “colletta”, termine latino che significa “raccolta”: essa raccoglie infatti quelle di tutti i fedeli presenti ed è diversa ogni giorno e ogni domenica, perché tiene conto delle letture, o del mistero celebrato nella festa, o delle note distintive della vita del santo ricordato. Essa termina sempre con la formula “per il nostro Signore Gesù Cristo…”: sappiamo che la nostra preghiera ha valore agli occhi di Dio Padre perché è presentata a lui dal capo della Chiesa, Gesù! Noi abbiamo solo i suoi meriti da offrire a Dio! Grazie a Gesù il Padre ci prende sul serio e ci ascolta. Questa espressione finale di ogni preghiera vuole esprimere da una parte la nostra umiltà e dall’altra la nostra fede: umiltà, perché siamo sempre debitori a Dio, fede, perché ci appoggiamo decisamente sulla croce di Gesù!

 

LITURGIA DELLA PAROLA

15.

Alla domenica ascoltiamo tre letture. La prima, di solito, è un brano tolto da uno dei 46 libri dell’Antico Testamento. La seconda è scelta da uno scritto del Nuovo Testamento, dalle lettere o Atti degli apostoli oppure dall’Apocalisse. La terza è tratta da uno dei quattro vangeli. Le prime due letture, con il salmo che le unisce, vengono lette da lettori. I lettori sono fedeli come tutti gli altri: capaci di leggere, amano la Parola di Dio e non hanno paura di coloro che ascoltano! Gloria principale del lettore è che di lui si possa dire quello che S. Vigilio scrisse del lettore S. Martirio: “Si dedicava continuamente ad apprendere e a vivere la parola di Dio che leggeva ed era ansioso di guadagnare anime a Dio”! Il lettore sa che ciò che sta leggendo è Parola di Dio e che questa Parola è importante per coloro che ascoltano: si prepara quindi con una vita fedele al Signore, esemplare per la comunità cristiana, e si prepara pure leggendo e meditando quei brani che proclamerà davanti a tutti. Chi ascolta non è meno impegnato di chi legge: si dispone a far entrare nel proprio cuore la luce e la sapienza e i desideri del Padre!

Della Parola di Dio abbiamo sete, desiderio profondo, perché su di essa si gioca tutta la nostra vita.

 

16.

Le tre letture della Messa sono programmate in modo che si richiamino a vicenda. Il legame è più evidente tra il vangelo e la prima lettura. Questa di solito contiene dei riferimenti a parole o ad aspetti importanti della vita e dell’insegnamento di Gesù. Risulta così più evidente la bellezza del Vangelo e l’importanza della persona del Signore, quando vediamo che egli realizza quanto già annunciato dai profeti o da altri passi dell’Antico Testamento. Questo poi assume un’autorevolezza e un significato pieno allorché ne costatiamo la continuazione e il perfezionamento nel Nuovo. La seconda lettura ci può fornire un’ulteriore chiave di lettura del brano evangelico per una meditazione più completa, o più mirata verso qualche aspetto della nostra fede e del nostro coinvolgimento in essa. Prima e seconda lettura sono concluse dall’annuncio: “Parola di Dio”, al quale tutti rispondiamo: “Rendiamo grazie a Dio”! Davvero rendiamo grazie? Perché Dio ci rivolge la sua parola? È segno che ci stima, che ci ama, che ci ritiene capaci di rispondere a lui, Dio dell’universo! Rendiamo grazie perché ci ritiene idonei a collaborare con lui!

Con la sua Parola, Dio ci vuole educare a vivere in modo diverso da quello abituale, e incomincia con l’educarci a sapere che lui vede le cose in modo diverso da noi. Per riuscire a cambiare la nostra vita, a convertirci, dobbiamo cominciare proprio da questo, dal guardare tutte le cose da una nuova prospettiva. Dobbiamo abituare il nostro sguardo interiore a vedere le realtà create, le persone e i fatti con l’attenzione di Dio, a vedere ciò che lui vede e che noi non riusciremmo a scorgere. La Parola di Dio ci vuol “convertire”, ci vuole cioè orientare a passare oltre i pensieri degli uomini. Da ciò che vede e pensa, l’uomo deve andar oltre, a ciò che vede e pensa Dio!

 

17.

Dopo la prima lettura viene declamato o cantato un salmo, preghiera biblica che risponde o con la gioia o con la supplica o con espressioni di fede all’annuncio che abbiamo udito. Lo chiamiamo salmo responsoriale, proprio perché con esso rispondiamo alla parola di Dio. Sono tre o quattro strofe, intercalate da un ritornello, che nella mia chiesa si canta sempre. Dio certamente gradisce che gli rispondiamo con la sua parola: le nostre parole sono troppo povere, rischieremmo di esprimere ignoranza o egoismo o superficialità. Le parole di un salmo sono preghiera che ci arricchisce, ci stimola, ci aiuta a sviluppare in noi sentimenti adeguati alla bontà e alla serietà di Dio! Tutti facciamo nostra questa preghiera cantando o recitando a voce alta il ritornello.

 

18.

Siamo stati seduti ad ascoltare le letture: ora ci alziamo per cantare il canto al Vangelo. Perché seduti e in piedi? Ha significato anche la nostra posizione? Tutto ciò che avviene nella Liturgia è segno e dono, frutto di amore, dell’amore di Dio per noi e del nostro con cui cerchiamo di rispondergli. Lo stare seduti è una posizione che esprime un’attenzione calma, riposante, come quando parli con un amico che ti comunica le sue confidenze e ti svela i suoi pensieri. Lo stare in piedi manifesta un’attenzione impegnata, prontezza per muoversi ad agire. Gesù ci sta parlando, certamente ci chiederà di metterci in cammino con lui, o ci manderà, come ha mandato i discepoli a preparare il suo arrivo in qualche villaggio, o come ha mandato qualcuno a preparare la festa…! Stiamo pronti! Stiamo in piedi come stava Maria ai piedi della croce, attenti ad ogni cenno del Signore! In qualche momento ci metteremo anche in ginocchio davanti a lui, come il lebbroso guarito, come tutti quelli che lo hanno riconosciuto Signore. Egli non è solo nostro amico e nostro fratello, è anche il Signore della nostra vita, e perciò è doveroso per noi adorarlo e piegare le nostre ginocchia alla sua presenza. Un’altra posizione sarà il camminare verso di lui: lo faremo al momento della Comunione. Ci avvicineremo a lui uno per uno, camminando alla presenza di tutti, per testimoniare così che egli è il Pane della nostra vita. Talvolta camminiamo anche tutti insieme dietro la sua croce, cantando con gioia perché egli è il nostro re! Durante la recita del Padre nostro alzeremo le braccia (lo si fa in molte chiese) a indicare il nostro desiderio di essere “conformati” al Figlio di Dio, che ha allargato e alzato le braccia sulla croce! Tutte le posizioni del nostro corpo possono essere preghiera, modi di esprimere la nostra fede e il nostro amore a Dio e a colui che egli ha mandato!

 

19.

Il canto che ci prepara all’ascolto del Vangelo è un canto di gioia, un alleluia! Il vangelo è buona notizia, notizia che riempie il cuore della Chiesa di gioia vera e santa. Mentre tutti in piedi cantano, il sacerdote che proclamerà la Parola del Signore, inchinandosi, dice sottovoce: “Purifica il mio cuore e le mie labbra, Dio onnipotente, perché possa annunziare degnamente il tuo vangelo”! Quindi si rivolge a tutti col saluto benedicente: Il Signore sia con voi! Per ascoltare la Parola è necessaria la grazia e la pace di Dio! Per questo ciascuno, col pollice, segna con tre piccoli segni di croce la propria fronte, la bocca e il petto: la Parola viene accolta dalla mente, alimenta i nostri discorsi, è custodita con amore nel cuore! Terminato di leggere il Vangelo, il sacerdote bacia il libro dicendo: “La parola del Vangelo cancelli i nostri peccati”. È davvero importante questa lettura introdotta e conclusa dalla preghiera di purificazione! La Parola stessa, accolta nel cuore, lo purifica, come aveva detto Gesù ai discepoli: “Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato” (Gv 15,3). Nelle grandi feste il libro del Vangelo viene incensato e con solennità mostrato al popolo; e con esso viene fatto un grande segno di croce come benedizione. Hai ascoltato la Parola di Gesù? È in base ad essa che egli giudicherà i vivi e i morti alla fine dei tempi, è la Parola più autorevole e più necessaria. È giusto che le diamo importanza e che lodiamo colui che ce la dona sempre come parola viva: Lode a te, o Cristo!

 

20.

Un buon predicatore… Trovare un buon predicatore, uno che ti faccia rimanere a bocca aperta e ti faccia mozzare il fiato per mezz’ora, per un’ora…? Dopo il Vangelo, la predica. Quale delusione, spesso. Molti cristiani valutano tutta la Messa dal tenore della predica. Chi è buon predicatore? Due secoli fa circa un famosissimo predicatore a Parigi attirava tanta gente da gremire la chiesa all’inverosimile; un giorno disse: “Quando predico io la chiesa si riempie tanto che, per avere un posto, qualcuno sale sopra i confessionali! Invece ad Ars, dopo la predica di Giovanni Vianney la gente entra nei confessionali per confessarsi”. Tutti i preti invidiavano quel predicatore perché sapeva, con la sua eloquenza, attirare grandi folle, lui invece invidiava il povero curato d’Ars perché, nonostante la sua ignoranza, all’udirlo molti si convertivano e cambiavano vita! Non l’eloquenza, ma l’amore al Signore produceva effetto! Io non sono un buon predicatore: me l’ha confidato un mio amico, che le mie prediche non hanno nè capo nè coda! Quando mi preparo a predicare so che non devo solo pensare cosa dire, quanto piuttosto preparare il mio cuore perché sia umile e docile allo Spirito Santo, che possa suggerirmi ciò che è necessario perché quelli che ascoltano si convertano, siano consolati, ricevano sostegno per la loro fede e per il loro amore! La predica deve essere una spiegazione delle Scritture, o meglio, un aiuto a vedere come attraverso quelle letture Dio ci aiuta ad affrontare i nostri problemi, le nostre situazioni, come lui vuole arricchire il nostro cuore e la nostra mente della sua sapienza! Io perciò mi preparo invocando lo Spirito Santo: anche tu preparati ad ascoltare lo Spirito di Dio, perché egli, delle mie parole, forse userà quelle meno appariscenti e meno preparate per interpellare il tuo cuore. È lui che devi ascoltare!

 

Professione di fede

21.

Dopo l’omelia, tutti insieme con voce chiara proclamiamo il Credo, la professione di fede che da secoli unisce i cristiani di tutto il mondo. Questo elenco di verità è detto “Simbolo della fede”: in forma sintetica esso propone quelle verità senza le quali non possiamo ritenerci cristiani. Attraverso di esso riconosciamo chi è nostro fratello e lo distinguiamo da chi non può dirsi tale. È il segno di riconoscimento, non solo per i cattolici, ma anche per gli ortodossi e i protestanti, espressione di quella fede comune che fa di noi fratelli in Gesù Cristo. Se qualcuno introducesse delle varianti al Simbolo della fede non sarebbe da ritenersi cristiano, rientrerebbe tra quei “falsi fratelli” da cui gli apostoli ci raccomandano di difenderci, perché pericolosi per la nostra vita. Cambiare qualcosa al Credo significa infatti accettare un’immagine diversa di Dio, e quindi dell’uomo, e con ciò minare le basi della nostra convivenza e del nostro modo di amarci e stimarci l’un l’altro. Non per nulla la formulazione del Credo ha assorbito tante energie e impegnato tanti dibattiti a Concili e Sinodi per decenni e secoli. All’inizio il Credo era breve, poco più del nostro attuale segno di croce. Col passare del tempo i santi Padri hanno avvertito che bisognava difendere i fedeli da sottili eresie che avrebbero, a lungo andare, reso la fede vana, inefficace per la speranza e senza frutto di carità. A varie riprese, ogni volta che si rendeva necessario, furono indetti Concili per trovare le esatte e complete formulazioni per la fede dei cristiani, sulla base dei santi Vangeli e in armonia con la tradizione genuina della Chiesa. Il Simbolo che proclamiamo oggi si chiama niceno-costantinopolitano, perché ha trovato la sua formulazione al concilio di Nicea (325) e fu completato in quello di Costantinopoli (381). Un cristiano non può accontentarsi di sapere a memoria il Simbolo della fede, ma deve averne assimilato e compreso i contenuti, cosa che avviene in lunghi periodi di partecipazione alla liturgia e ad incontri di catechesi.

Il Simbolo della nostra fede è come la voce del pastore riconosciuta dalle pecore. Noi, nella grande abbondanza di parole e discorsi che ci vengono proposti e anche gridati, dobbiamo saper distinguere ciò che è vero da ciò che ci inganna, ciò che viene dal Signore da ciò che è propinato dal suo nemico. Ecco, il Credo, pur nella sua formulazione scarna, è un criterio sicuro. Se qualche dottrina e filosofia o qualche attraente discorso si discosta da esso, dobbiamo rafforzare la nostra vigilanza: se avessimo delle incertezze dobbiamo farci aiutare da qualcuno che conosce meglio di noi la nostra fede.

Riconoscere la voce del nostro Pastore è di vitale importanza, per non seguire falsi pastori e trovarci poi su strade senza pace che ci portano a soddisfare gli egoismi, nostri o altrui! Per quest’opera di discernimento ecco il Credo, ma ecco anche coloro che nella Chiesa hanno il carisma e il compito di rappresentare il Pastore, guida e custode della fede!

 

Preghiera dei fedeli

22.

Desiderio di tutti i credenti è potersi rivolgere a Dio come figli, con grande confidenza. Il sacerdote perciò, terminata la proclamazione del Credo, invita l’assemblea a rivolgere al Padre alcune richieste per le necessità della Chiesa e del mondo. Questa preghiera è chiamata “universale”, oppure “dei fedeli”. È detta “universale” perché vorrebbe supplicare Dio per i gravi problemi del momento presente che riguardano tutti, ed è detta “dei fedeli” perché anticamente veniva formulata dopo la dimissione dei catecumeni. Questi si dovevano allontanare e rimanevano solo i battezzati, i fedeli, a esprimere e condividere questa preghiera che segnava lo stacco tra la liturgia della parola e il momento culminante della celebrazione, la liturgia eucaristica. Le singole domande possono essere proposte da qualche gruppo che le prepara in precedenza, oppure formulate in maniera spontanea al momento: ciò avviene più facilmente quando alla celebrazione partecipa qualche gruppo di cristiani un po’ più preparati e più coraggiosi di quanto non siano quelli che frequentano le normali parrocchie. Tutti poi fanno proprie le singole domande rivolte a Dio ripetendo un’espressione che può variare di volta in volta. Spesso si usa questa: “Ascoltaci, Signore!” Questa invocazione a me non garba molto: il Padre ci ascolta di certo, e con molta attenzione! Egli è attento a vedere se il suo amore è corrisposto da noi! Io dico piuttosto: “Noi confidiamo in te, Padre!”, oppure: “Venga il tuo Regno!”. Il sacerdote conclude brevemente prima di procedere alla presentazione delle offerte.

 

Presentazione dei Doni

23.

In alcune chiese il calice col vino e la patena con le particole (pezzetti di pane azzimo ritagliati da ostie più grandi) vengono preparati su di un tavolino nella navata. Dopo la preghiera universale alcuni fedeli si accostano, prendono calice, patena, ampolla con acqua, altre eventuali offerte significative per qualche evento particolare, e si avviano verso l’altare. Ho assistito ad una celebrazione dove gli africani, con gioia, portavano all’altare queste offerte danzando e cantando! Il sacerdote le attende, le riceve e le depone sull’altare. Qui egli, mentre di solito il popolo canta, alza la patena con il pane e benedice Dio con parole mutuate dalla liturgia ebraica: “Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo: dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane, frutto della terra e del lavoro dell’uomo. Lo presentiamo a te perché diventi per noi cibo di vita eterna”! Parole simili ha detto Gesù stesso. Gli evangelisti infatti, narrando l’ultima cena, dicono: “Mentre mangiavano prese il pane e, pronunziata la benedizione…”. Prima di alzare ugualmente il calice col vino, il sacerdote vi versa alcune gocce d’acqua. Il significato di questo gesto è pratico: in oriente il vino è fortemente alcolico, perciò viene mescolato con acqua; così si faceva anche alla cena pasquale. Noi diamo un significato spirituale anche a questo piccolo segno: “L’acqua unita al vino sia segno della nostra unione a colui che ha voluto assumere la nostra natura umana”. Noi siamo come un goccia d’acqua che si perde nella grandezza e ampiezza dell’amore divino acquistando le sue caratteristiche! Piccolo segno, espressivo della dignità che riceviamo celebrando l’eucaristia! Altro segno che ci tiene uniti alla tradizione ebraica, è il “lavabo”: il chierichetto versa dell’acqua sulle mani del sacerdote. Gli ebrei compiono le abluzioni: e noi ricordiamo che Gesù si è alzato per lavare i piedi agli apostoli. Egli ha dato grande importanza al suo gesto, per vari motivi. “Se non ti laverò non avrai parte con me” aveva detto a Pietro che si rifiutava di accettare. Il sacerdote lavando le mani chiede perdono per i propri peccati.

 

24.

Egli poi si rivolge all’assemblea e la invita a pregare perché al Padre sia gradita la nostra presentazione del sacrificio di Gesù! È una preghiera dettata dall’umiltà. Certamente il sacrificio di Gesù è sempre accetto a Dio, casomai è inadeguato il nostro modo di viverlo. Egli non guarderà alla nostra povertà, bensì alla pienezza d’amore del Figlio suo! L’assemblea risponde, consapevole che tutta la Chiesa riceve beneficio dalla celebrazione, e che questa è una lode all’amore del Padre!

Il sacerdote continua con una preghiera, detta “sui doni”, prima di iniziare la preghiera eucaristica, momento culminante di tutta la celebrazione.

 

LITURGIA EUCARISTICA

 

Il prefazio

 

Un dialogo tra il celebrante e l’assemblea introduce la proclamazione del Prefazio, il rendimento di grazie al Padre. Il dialogo inizia con la parola di benedizione che già abbiamo ricevuto all’inizio e prima del Vangelo: “Il Signore sia con voi!” e continua con l’invito a tenere in alto i cuori. Il cuore, cioè il centro della nostra volontà e dei nostri desideri, è già presso “le cose di lassù”, già presso il Signore: le letture e le preghiere, l’omelia e i canti ci hanno aiutato a indirizzare la nostra attenzione a lui! Non possiamo che dire grazie, esprimendo riconoscenza per i preziosi e grandi misteri con cui il Padre arricchisce la nostra vita. “Rendiamo grazie al Signore nostro Dio!” “È veramente cosa buona e giusta!”. Dopo questa introduzione ecco che viene proclamata o cantata la solenne preghiera di azione di grazie a Dio!

 

25.

Il grazie rivolto a Dio da un cuore sincero e da un’assemblea riunita è frutto della presenza dello Spirito Santo! È lo Spirito Santo infatti che ci dà luce per conoscere, apprezzare e amare i misteri dell’amore del Padre! È lo Spirito Santo che ci fa riconoscere Gesù come il Figlio di Dio e il nostro Salvatore. Illuminati dallo Spirito e uniti dalla sua forza di comunione partecipiamo al rendimento di grazie che viene innalzato a Dio con il prefazio, la solenne preghiera con cui inizia la liturgia eucaristica. I motivi del nostro rendimento di grazie sono infiniti, perché infiniti sono i fatti e i modi con cui il Padre ci manifesta e ci comunica il suo amore, infiniti sono i Misteri della sua bontà. Nei vari tempi liturgici e nelle varie feste dei Santi i prefazi perciò esprimono diversamente la riconoscenza della Chiesa!

“È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre…”. Rendere grazie è davvero fonte di salvezza! Quando ti trovi stanco o sfiduciato, rendi grazie e guarirai! Sei deluso e scoraggiato? Rendi grazie e risorgerai. Soffri di solitudine o per altri problemi, tentazioni e tribolazioni? Il trovare motivi nella vita e nella morte di Gesù per render grazie ti risolleva, e ti prepara a “cantare uniti agli angeli e ai santi con voce incessante l’inno di lode: Santo, santo, santo!”

 

26.

La preghiera del Prefazio si conclude sempre con il canto dei Serafini: Santo, santo santo! Il profeta Isaia (c 6) è testimone di questo canto, che noi facciamo risuonare con un’infinità di melodie. Davvero santo è il Signore, davvero grande il nostro Dio e degno di essere lodato e cantato da tutte le voci, anche dalle nostre, che certamente non possono competere con quelle degli angeli! Dio però gradisce il suono della nostra voce, perché in essa percepisce il desiderio del nostro cuore e la gioia del nostro spirito, gioia di figli che si sanno da lui amati. Noi poi completiamo il canto dei Serafini con quello con cui i discepoli hanno accompagnato Gesù in Gerusalemme: Benedetto colui che viene…! Osanna nell’alto dei cieli! In tal modo facciamo della nostra lode un atto di fede, fede nella uguaglianza di dignità di Gesù e del Padre, fede nell’amore del Padre che ci dona il Figlio, fede nello Spirito che ci riempie il cuore di gioia per riconoscere e l’uno e l’altro uniti come unica luce! Questo canto conclude la grande preghiera di azione di grazie e vi fa partecipare tutta l’assemblea, che si dispone poi a vivere nel silenzio il mistero più grande: la presenza divina nel pane e nel vino donati da Gesù!

 

Il Canone

27.

La preghiera eucaristica che continua dopo il canto del Santo porta il nome di Cànone. È una parola latina atta a sottolineare il fatto che tale preghiera è fissata da una regola e nessuno può apportarle cambiamenti. Fino al Concilio Vaticano II usavamo sempre la stessa, che chiamiamo Canone romano. Dopo il Concilio i Vescovi hanno approvato l’uso di altri Canoni, riscoperti dall’antichità o nuovi, formulati sul loro schema. I sacerdoti possono scegliere di volta in volta quello che ritengono più opportuno. Lo schema di queste preghiere è sempre lo stesso: lode al Padre, invocazione dello Spirito Santo sui doni del pane e del vino, le parole di Gesù nell’Ultima Cena, l’acclamazione dei fedeli, il ricordo del mistero centrale della salvezza, l’offerta del sacrificio, l’invocazione dello Spirito sui fedeli, la memoria dei santi, la preghiera per i pastori e per i propri cari viventi e defunti, e la dossologia finale.

Prendiamo in considerazione il terzo Cànone, che mi pare sia il più usato, forse perché non è molto lungo, ma nemmeno il più breve. Esso inizia riprendendo la parola del “Santo”: Padre veramente santo, a te la lode da ogni creatura! Il Padre è degno di essere ammirato perché per mezzo di Gesù e grazie allo Spirito, egli dà vita e santità alla Chiesa e la riunisce come popolo che non ha altri confini che quelli della fede. La Chiesa è riunita proprio per celebrare l’Eucaristia, il sacrificio perfetto. Noi godiamo di questo disegno del Padre che ci fa grandi, ci rende degni di un mistero che mette in risalto la nostra indegnità!

 

28.

Iniziata la preghiera eucaristica con la lode al Padre, a lui rivolgiamo una richiesta: è il motivo per cui siamo riuniti. Gli chiediamo di mandare il suo Spirito perché il pane e il vino, posti sul tavolo-altare, siano da lui santificati e diventino quello che dicono le parole stesse di Gesù: suo Corpo e suo Sangue! Il sacerdote durante questa preghiera stende le mani sulla patena, che contiene le ostie di pane azzimo, e sul calice. Questo è un gesto consacratorio che esprime la fede della Chiesa: lo Spirito Santo dà nuovo significato e nuova « sostanza » a quel pane e a quel vino. Su di essi il sacerdote traccia pure un segno di croce con la destra, segno che rivela il nesso esistente tra quanto avviene qui e quanto è avvenuto sul Calvario. È sulla croce che il corpo di Gesù è stato offerto e il suo sangue è stato versato, non possiamo dimenticarlo. Calvario e Ultima Cena sono un unico mistero di amore di Dio realizzato da Gesù, mistero che ora riviviamo! Ora il sacerdote, tenendo in mano il pane, dice cosa ha fatto il Signore nella notte in cui è stato consegnato. Egli rese grazie al Padre, spezzò il pane e lo distribuì ai discepoli. Questi erano i gesti di ogni capofamiglia alla cena pasquale: li ha compiuti anche Gesù, attribuendo loro un significato nuovo, rivelato dalle parole pronunciate. Quel pane non sarebbe stato più un memoriale della liberazione dalla schiavitù dell’Egitto, ma di un fatto nuovo, il sacrificio della sua vita! È questo il fatto che costituisce noi popolo di Dio, fatto che ci apre la porta a diventare santi, figli di Dio, portatori della grandezza del suo amore! Quel pane non è più un cibo per sostenere il corpo, ma un nutrimento che costruisce la nostra vita interiore introducendo in noi la pienezza stessa di Dio!

 

29.

“Prendete, e mangiatene tutti”: è l’invito con cui Gesù richiama l’attenzione dei discepoli e introduce le parole nuove sul pane e sul vino. Il sacerdote le ripete ad alta voce: tutti i presenti ricevono l’invito! Per accoglierlo senza compiere un gesto sacrilego dobbiamo prima di tutto esaminare noi stessi, come ci raccomanda San Paolo. Gesù tiene in mano il pane spezzato: “Questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi”! Le sue parole dicono che mangiando quel pane saremo un tutt’uno con lui mentre viene consegnato alla morte, con lui mentre si offre per le iniquità di noi tutti. Il “per voi” ci fa ricordare le profezie di Isaia, che parlano del Servo di Dio consegnato alla morte, “trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità”. Le parole che il sacerdote pronuncia mettono con chiarezza il pane in relazione con la morte di Gesù, una morte da lui non subita, ma accolta per offrirsi: è l’offerta che ha valore di sacrificio. Queste stesse parole sono percepite dal sacerdote e dai fedeli come profezia che li riguarda direttamente, perché essi mangeranno quel corpo: anch’essi saranno offerti in sacrificio, anch’essi sono quindi pronti a non vivere per se stessi, ma per lui che “è stato messo a morte per i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione”.

 

30.

Dopo la cena Gesù ha sorpreso ancora i discepoli. Tenendo in mano la coppa del vino, dopo aver ringraziato il Padre, disse una parola che li sbalordì. Egli pronunciò le parole “mio sangue”, “nuova alleanza” e “remissione dei peccati”. Di nuova alleanza parla nella Bibbia il profeta Geremia: è un’alleanza tra Dio e gli uomini destinata a non essere più interrotta nemmeno dai loro tradimenti. Ogni alleanza, quella stipulata da Dio con Abramo, con Mosè, con i Giudici, con Davide, è sempre stata infranta dal popolo con le decisioni di seguire i propri comodi, cioè i vari idoli di turno, invece che tener fede alla Parola di Dio! L’alleanza detta “nuova” è diversa: Dio si impegna a mantenerla comunque, anche se gli uomini non riescono ad essere fedeli. Per le loro infedeltà viene inaugurata la “remissione dei peccati”, ottenuta non con il sangue di capri o di agnelli, ma con il sangue stesso di Gesù, cioè con l’offerta della sua vita. Gesù dice queste cose tanto belle tenendo il calice in mano e porgendolo ai suoi! Il sacerdote le ripete: oggi siamo noi i suoi discepoli, e il calice del vino è lo stesso che teneva in mano il Signore. Unica differenza: allora Gesù sarebbe morto poco dopo, ora è già morto e risorto. Non è una differenza sostanziale, perché comunque la vita di Gesù rimane offerta in sacrificio. Oggi anche noi facciamo parte del Corpo che egli offre, e il nostro sangue fa parte del Sangue che egli ha versato. Se pensiamo al sangue dei martiri, dei testimoni che ogni giorno soffrono e muoiono per la nostra fede, comprendiamo meglio. Come siamo fortunati e benedetti a poter celebrare ogni domenica questo mistero!

 

Il sacerdote alza sia il Corpo che il Sangue di Cristo. Qualcuno pensa che questo gesto venga compiuto perché tutti vedano i santi Doni. E invece è il gesto di presentazione a Dio del sacrificio di Gesù, l’unico sacrificio che noi possiamo offrirgli. I sacerdoti del tempio di Gerusalemme, prima di posare sul fuoco dell’altare le carni o i pani o le altre oblazioni perché fossero bruciate come sacrificio, le alzavano per presentarle a Dio, come gesto di offerta. Da quel momento quelle cose non erano più dell’uomo, erano di Dio! Noi alziamo Corpo e Sangue di Cristo: offriamo al Padre il memoriale del sacrificio di Gesù, che si è offerto per essere innalzato sulla croce! È il sacrificio con cui ci presentiamo a lui!

 

31.

“Fate questo in memoria di me”! Con questo comando Gesù ha cambiato finalità alla cena pasquale. Fino a quel momento questa veniva vissuta come memoria della liberazione del popolo dall’Egitto, memoria dell’opera di Mosè, nell’attesa di un’altra Pasqua che realizzasse la liberazione definitiva da ogni giogo di oppressione. Ogni Pasqua era vissuta come attesa del regno di Dio, il Regno in cui non fossero i potenti a comandare, e quindi a opprimere! “In memoria di me”! È il dono del corpo e del sangue di Gesù che ora dà vita e speranza al nuovo popolo fondato sui dodici Apostoli. Noi non attendiamo più altre liberazioni: quella vera è quella operata dal Signore quando ha versato il suo sangue per la remissione dei peccati. La nostra celebrazione è un godere i frutti di quel sacrificio di Gesù Cristo. Noi gli obbediamo, nutrendoci del pane spezzato e bevendo il vino dal suo calice. Noi gli obbediamo “spezzando” il nostro corpo, donandoci cioè nell’amare i fratelli, perché questo comando “fate questo” si esplicita nel “comando nuovo” “amatevi come io vi ho amato”!

Il sacerdote si inginocchia in segno di adorazione: quel Pane e quel Vino che sono stati alzati sono davvero Corpo e Sangue del Signore, sono la sua vera presenza. Egli si inginocchia per adorarli e per dire così a tutti che sull’altare ora è veramente presente colui che nessuno vede, ma di cui tutti viviamo! In memoria di Gesù dunque siamo riuniti, per amore suo cantiamo e preghiamo insieme, grazie a lui e al dono del suo Spirito abbiamo ascoltato la sua Parola. Ci abituiamo così a vivere tutta la nostra vita in memoria di Gesù: ogni nostra decisione sarà realizzazione di qualche suo suggerimento, di un aspetto del suo volere, o meglio del suo amore!

 

32.

Mistero della fede! Una parola breve, acclamazione di meraviglia per un fatto che noi stessi compiamo, ma in cui si manifesta la presenza e l’amore di Dio, Signore del cielo e della terra! Le parole pronunciate sul pane e sul vino non sono rimaste parole: la nostra fede sa che Dio ha agito e che siamo protagonisti di un amore che supera la nostra comprensione. Questa acclamazione estatica viene completata da tutta l’assemblea: Annunziamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta! Così San Paolo aveva interpretato questo momento: quando mangiamo il corpo del Signore noi siamo profeti e messaggeri che, senza parole, annunciamo il mistero pasquale, morte e risurrezione di Gesù e la sua gloria, che si concluderà con la sua venuta alla fine! Queste parole spesso le cantiamo, perché dobbiamo esprimere la gioia di tutto il popolo di Dio! Tu non hai voglia di cantare? Canta ugualmente: non devi esprimere la gioia sentimentale che oggi forse non hai, ma quella dei santi e quella dei peccatori che attendono la redenzione, che ricevono grazie alla celebrazione di questo mistero!

 

33.

Due preghiere dopo la consacrazione sono importanti. La prima riprende l’annuncio del mistero della morte, risurrezione, ascensione al cielo e della prossima venuta del Signore Gesù, già cantato da tutta l’assemblea, e continua dicendo che questo è il clima in cui vogliamo offrire al Padre il “sacrificio vivo e santo”. Che cosa significa « sacrificio »? È un segno della nostra volontà di essere vicini a Dio: non sapendo come fare, gli presentiamo ciò che riteniamo più « nostro »! Prima dell’arrivo di Gesù gli uomini offrono a Dio sangue, non il proprio, bensì quello di animali, uccisi per sostituire la propria vita. Da quando siamo battezzati la nostra realtà più preziosa è Gesù! Offriamo al Padre perciò Gesù stesso, cioè l’offerta che egli ha fatto di sè al Padre sulla croce, anticipata nell’ultima Cena e nel Getsemani. Quello è il sacrificio certamente gradito a Dio! Noi non abbiamo da presentare al Padre null’altro che gli piaccia. Questo lo possiamo offrire perché Gesù stesso ce l’ha detto, anzi, comandato: “Fate questo in memoria di me”. La nostra non è una « ripetizione », ma una ripresentazione di quell’unico sacrificio offerto già una volta per tutte.

Con la seconda preghiera chiediamo lo Spirito Santo, che ci unisca in un solo corpo e un solo spirito. La tentazione più grave e più frequente è quella della divisione e della discordia, - e noi siamo tenaci nel trovare giustificazioni alle nostre divisioni -; sappiamo quindi che questa preghiera incontra il desiderio di Dio, che vuole che la nostra vita nella Chiesa manifesti l’unità, l’amore vissuto dalla Trinità. Abbiamo fiducia che il Padre ci ascolti e ci doni davvero lo Spirito Santo perché egli gradisce l’offerta che gli presentiamo e di cui ci nutriamo, cioè il corpo e il sangue del suo Figlio prediletto!

 

34.

Abbiamo presentato al Padre il vero sacrificio che gli è gradito. Ora il sacerdote gli presenta le nostre attese, attese del suo intervento di amore perfetto: grazie a questo sacrificio Dio ci deve esaudire! Preghiamo quindi per noi, desiderosi di raggiungere i nostri fratelli ormai al sicuro: di essi nominiamo la Madre, Maria Ss.ma, gli apostoli e i santi patroni! Li ricordiamo, poiché essi vivono grazie a Dio, e quindi anche noi li riteniamo viventi, benché non li vediamo con i nostri occhi! Con i loro esempi di fede e di amore ci sono di stimolo e di aiuto! Essi sono i primi membri della Chiesa, ambiente in cui viviamo più intensamente la fede e l’amore, famiglia in cui la speranza è condivisa da tutti. Preghiamo per essa, in particolare per il papa e per il vescovo, di cui facciamo il nome: la Chiesa è una realtà concreta, riconoscibile, ordinata; come in una famiglia, anche nella Chiesa c’è chi è caricato del servizio dell’autorità in vista dell’unità e dell’armonia. Preghiamo per i sacerdoti e per tutto il popolo, chiedendo d’essere confermati nella fede e nell’amore: sono queste le nostre necessità più urgenti, senza le quali la Chiesa stessa non è Chiesa! Non ci dimentichiamo degli assenti, quelli impediti da infermità o da particolari situazioni, o quelli che non sono venuti perché hanno ceduto alla tentazione della pigrizia, del materialismo e dell’egoismo, o quelli la cui fede è divenuta fragile e cede ai venti contrari. Fanno parte della Chiesa anche i fratelli già defunti, che hanno completato il loro servizio su questa terra e sono stati “promossi alla vita eterna” (così dicono i certosini!). Li consegniamo al Padre perché ci possiamo ritrovare anche con loro quando egli ci chiamerà a sè. In queste preghiere vediamo la Chiesa nella sua totalità, nella sua ampiezza, che comprende non solo noi peccatori in pericolo, ma anche i fratelli che attendono la gloria e quelli che vi sono già ammessi dalla “buona” volontà del Padre, che ha esaudito i desideri del suo Figlio Gesù!

 

35.

La preghiera eucaristica si conclude con la dossologia, una lode esplicita alla Trinità Ss.ma. È una lode che, pur con estrema brevità, riassume tutto il ringraziamento e l’adorazione della Chiesa, che sa d’essere immersa nella vita divina e gusta come propria gioia la gloria di Dio. Davvero quando si dà gloria a Dio proviamo le gioie più intense e profonde, più condivise e più vere! A Dio Padre nell’unità dello Spirito Santo riconosciamo ogni onore e gloria per mezzo di Gesù Cristo, insieme con lui e immersi nella sua figliolanza! La vita trinitaria di Dio non è la convivenza di tre persone che stanno una accanto all’altra, ma è il protendersi reciprocamente l’uno all’altro, offrendosi l’un l’altro, donandosi fiducia completa e amorosa obbedienza: all’interno di questa circolazione d’amore Dio accoglie anche noi, miseri e peccatori! A questa lode, che il sacerdote spesso canta, tutta l’assemblea risponde con un solenne “Amen”! Con questo Amen, pronunciato ad alta voce o cantato, tu esprimi la tua fede e dai il tuo assenso a tutto quanto è avvenuto: la consacrazione del pane e del vino e la loro offerta al Padre come sacrificio di Gesù per la vita e la missione di tutta la Chiesa! Con questo Amen l’assemblea partecipa attivamente, diventa un sol cuore e si prepara a rivolgersi al Padre in modo deciso e filiale.

 

Preparazione alla Comunione

36.

Quando il Corpo di Cristo è sull’altare, insieme con Gesù ci rivolgiamo al Padre con le parole coraggiose che egli stesso ha insegnato ai discepoli, e che la Chiesa al momento del nostro battesimo ci ha consegnato personalmente. Sono parole coraggiose, tanto che talvolta l’invito a recitarlo suona così: “osiamo dire”! Perché sono parole coraggiose? Prova a immaginarti per un attimo di essere un pagano, o un ebreo, oppure un musulmano. Nessuno di questi si sognerebbe di presentarsi al suo Dio con parole simili: le ritiene o presunzione, o trasgressione, se non addirittura un’offesa. Padre nostro che sei nei cieli… Ora non ti spiego questa preghiera, perché non terminerei tanto facilmente. Ti dico solo che nella prima parte ci rendiamo disponibili a realizzare i desideri e la volontà di Dio, di quel Dio che si è impegnato con noi dandoci la vita: non per nulla lo chiamiamo Padre! È come dicessimo: eccomi, voglio santificare il tuo nome lasciandomi riunire con i tuoi figli, mi rendo disponibile a realizzare il tuo regno, sono pronto a fare la tua volontà, insieme con Gesù, anche se comporta la croce. Nella seconda parte ci facciamo mendicanti: chiediamo il pane, quello materiale, ma soprattutto quello spirituale per ciascuno e per tutta la Chiesa. Il pane che nutre e tiene unita la Chiesa è lo Spirito Santo che riceviamo tramite l’Eucaristia: ogni giorno questo Pane la nutre e la fortifica, spesso fino al martirio! Chiediamo il perdono, e ci disponiamo a perdonare, perché l’amore del Padre pervada tutto il Corpo di Cristo! Chiediamo protezione, perché grande è la forza delle tentazioni, e chiediamo liberazione dal Maligno: forse abbiamo raggiunto ricchezza e piaceri, ambizioni e soddisfazioni ascoltando i suoi consigli, forse abbiamo compiuto opere malvagie suggerite da lui. Per questo egli vanta dei diritti sul nostro corpo e sulla nostra anima!

 

37.

L’ultima frase del Padre nostro viene ripresa per continuare la preghiera. Liberaci dal male! I mali sono molti, ci sono le tentazioni di divisione, quelle di invidia, di odio, di vendetta, di impurità, di avarizia, di ingordigia, di ira, di superficialità, di pigrizia. Molti sono i mali da cui abbiamo bisogno di essere liberati, mali che ci turbano e ci fanno paura, perché sono il segno della presenza del maligno, nostro nemico. Ci sono i mali dentro di noi e ci sono quelli che ci assalgono dall’esterno. Ci sono i peccati detestati e quelli approvati da tutti, quelli compiuti da noi e quelli compiuti dai nostri familiari, quelli programmati da grandi organizzazioni e società che sembra non abbiano alcun rimorso di coscienza e non si facciano scrupoli di sorta pur di raggiungere lo scopo di dominare per arricchire: preparano guerre e opprimono popoli interi. Liberaci, o Signore! In mezzo a tutti questi mali noi coltiviamo la gioia dell’attesa di Gesù salvatore! La sua prossima venuta sarà la definitiva liberazione: a lui appartiene il regno e la gloria! A lui chiediamo pure la pace, quella che egli ha promesso. La sua pace è interiore a ciascuno, ed è una pace che avvicina i cuori gli uni agli altri. Gli chiediamo che egli non decida nulla in base ai nostri peccati, e così anche noi vogliamo imparare a fare: guardando alla fede della Chiesa non saremo trascinati o influenzati dal peccato dei nostri fratelli.

 

38.

Chiesta la pace con la preghiera, il sacerdote la dona ai fedeli riuniti: La pace del Signore sia sempre con voi! E subito invita tutti a trarre conseguenze dalla preghiera rivolta a Dio con fede: se la pace è con noi, ce ne scambiamo il segno stringendoci la mano. A questo punto della Messa non hai mai cercato di incontrare lo sguardo di qualcuno cui hai fatto un torto o da cui l’hai ricevuto? Non ti sei mai avvicinato a porgere la mano ad un tuo “nemico”? Se l’avessi fatto sapresti quant’è bello prendere sul serio Gesù!

E subito un canto si eleva da tutta l’assemblea. Ci stiamo avvicinando al momento in cui mangeremo il Corpo di Cristo. Ma come fare? Siamo peccatori, lo siamo davvero! Ci rivolgiamo ancora a Gesù, chiamandolo con quel titolo con cui ce lo ha presentato Giovanni Battista: Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo! Il peccato del mondo pesa anche su di noi, perché anche noi lo abbiamo sviluppato, ampliato, favorito, ce ne siamo resi colpevoli. Abbi pietà di noi!

Ripetiamo tre volte questa preghiera, umile e vera: la prima volta per il nostro peccato personale; la seconda per quello della nostra famiglia o comunità, cui abbiamo contribuito; la terza volta per quello diffuso nel mondo e che noi non riusciamo o non ci impegniamo ad impedire. Riformuliamo poi in altro modo questa invocazione risvegliando la nostra fede: Non sono degno di partecipare alla tua mensa: ma di’ soltanto una parola e io sarò salvato! È la preghiera del centurione che sapeva che Gesù, da buon ebreo, non avrebbe potuto entrare in casa di un pagano. Questo è il momento di riconoscerci con sincerità peccatori.

Per accostarci al Corpo del Signore dobbiamo riconoscere che esso è davvero il Corpo del Signore. Chi non vuole dare adesione alla fede della Chiesa non può ovviamente mangiarlo, ma nemmeno chi non ha confessato i propri peccati gravi o chi vive situazioni irregolari: compirebbe azione menzognera verso il Corpo di Cristo. Se non sei in queste situazioni, pur sapendo di non essere del tutto senza peccato, accogli con umiltà e con gioia l’invito che Gesù stesso ci ha rivolto, e avviati verso il sacerdote che sta distribuendo il Pane della vita!

 

39.

Mentre si canta “Agnello di Dio…” il sacerdote compie un piccolo gesto che tu nemmeno vedi, se non sei particolarmente attento: dopo aver spezzato l’ostia, ne stacca un frammento e lo lascia cadere nel calice. Il gesto risale ad un’usanza molto antica e viene ripetuto ancora, anche se oggi non può più avere il significato originario. È un’abitudine che si era andata consolidando nella città di Roma allorché si formavano molte comunità distanti da quella centrale presieduta dal vescovo, cioè dal papa. Quelle comunità si sentivano unite a quella in cui celebrava il loro vescovo: per esprimere quell’unità attendevano che arrivasse un diacono con un frammento dell’Ostia consacrata dal papa, lo mettevano nel loro calice e quindi procedevano a distribuire la s. Comunione! Un segno di comunione con il proprio vescovo, la consapevolezza di non essere soli, ma uniti a tutte le altre comunità della diocesi formanti un’unica Chiesa presieduta dal Vescovo, successore degli Apostoli! Il sacerdote stesso che celebra sa di poter celebrare perché mandato dal vescovo, perché fa parte di un presbiterio unito e obbediente, perché ministro, cioè servo della Chiesa, Corpo di Cristo! Oggi non attendiamo che qualcuno ci porti un frammento dell’Eucaristia dal nostro Vescovo, non è nemmeno pensabile. Questo gesto però rimane presente nella nostra celebrazione per ricordare l’unità della Chiesa e l’importanza di avere un Vescovo che vigila sulla nostra fede e che fa sì che noi tutti abbiamo il cibo spirituale per la nostra vita!

 

Comunione

40.

Coloro che partecipano alla santa Comunione si avviano verso l’altare. Qualcuno però rimane nel banco e, con raccoglimento, fa la comunione spirituale: “Vieni, Gesù, in me. Non mi sono preparato adeguatamente con la confessione per qualche peccato che per te è grave,… sono vissuto distratto per tutta la settimana,… sono in situazione di vita irregolare perché convivo con una donna, o con un uomo, e per ora non posso cambiare la mia situazione…: se puoi, abbi misericordia di me e vieni per fare di me un figlio di Dio, adoperami per il tuo regno”. Coloro che invece si mettono in fila, si avvicinano al sacerdote e ricevono l’Ostia santa con devozione. La possono ricevere direttamente sulla lingua, oppure presentano la mano sinistra poggiata sulla destra a forma di croce. Così, diceva S. Agostino, ricevi il Signore come su di un trono formato dalle tue mani; prima di girarti, inchinandoti, lo porti alla bocca. Scegli tu stesso il modo che ti dà maggior pace. Il sacerdote ti ha detto: “Corpo di Cristo”, e tu a voce alta hai confermato con il tuo “Amen”. È il Corpo di Cristo ciò che mangi; tu diventi corpo di Cristo; è Corpo di Cristo la Chiesa che te lo porge! Non è pane quel pezzetto di pane, e tu non sei più un semplice uomo, e l’assemblea non è più solo un’adunanza di uomini, ma qui ora c’è davvero Cristo Gesù! Tu mangi lui, sei diventato lui, e vivrai in maniera degna di lui con la forza che egli stesso ora ti dona; l’assemblea è una schiera di santi, amati da Dio, che formano il Corpo di Cristo e rispondono a lui con l’amore di chi vuol vivere ormai solo con lui e per lui! La Comunione! Ombra e splendore di paradiso!

 

41.

Mentre ci accostiamo a ricevere la santa Comunione il gruppo che anima il canto ci aiuta a manifestare la fede, la gioia e la pace di cui godiamo! Normalmente questo canto è tranquillo, esprime fede e amore al Signore Gesù, e dona serenità, fiducia, gioia, sicurezza per la vita presente e per l’eternità! Qualche volta ci viene donata in questo momento anche una pausa di silenzio, momento prezioso che riempiamo di stupore, di ringraziamento, di adorazione a colui che è entrato in noi attraverso quel Pane consacrato. In qualche occasione il Pane viene intinto dal sacerdote nel Vino del calice, oppure ci viene concesso di bere direttamente dal calice: una partecipazione più significativa al sacrificio del Signore, anche se non indispensabile. Questa usanza è stata smessa anticamente e oggi non è tornata in uso per semplici difficoltà pratiche, e per paura che s’allunghi la durata della celebrazione. Dove i cristiani sono arrivati ad una fede viva non esiste questo problema: essi vivono la celebrazione eucaristica come il momento più intenso e prezioso della loro vita, e perciò non guardano l’orologio!

Con la santa Comunione noi siamo diventati Corpo di Cristo, ma anche lui, il Signore Gesù, è diventato nostro! L’orazione dopo la Comunione conclude il silenzio: con essa chiediamo a Dio che il Corpo di Cristo porti frutto attraverso di noi nel mondo in cui viviamo!

 

Conclusione

42.

La conclusione della Messa è brevissima. Prima di stendere le mani sopra il popolo per la benedizione, il sacerdote dice per la quarta volta: “Il Signore sia con voi”: la benedizione infatti è un momento importante e solenne. Essa viene pronunciata in vario modo, con parole diverse nelle varie festività, ma è conclusa sempre da un segno di croce tracciato sopra l’assemblea nel nome della Ss.ma Trinità. Quel segno vorrebbe comunicare a tutti la pienezza dell’amore di Dio, che “ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito”. Ogni fedele accoglie la benedizione tracciando su di sè il segno della croce, come all’inizio della celebrazione. La benedizione trasmette forza e serenità per compiere il proprio servizio nel regno di Dio, un servizio sempre nuovo, importante, prezioso per la comunità ecclesiale, per la propria famiglia e per la società. Questa benedizione prepara ad accogliere il mandato: Andate in pace! Questo non è un congedo, ma la trasmissione di un incarico: « Ora, che ti sei nutrito della Parola e del Pane di vita, va’ a comunicarne la sapienza e la forza a quanti incontrerai. Ora che ti sei unito al tuo Dio, va’ a portarne la luce nel mondo. Ora che sei stato arricchito dei beni celesti, va’ a condividerli con coloro che non li conoscono ancora. Ora che vivi la vera pace, portala con te nel mondo, perché molti l’attingano da te come da una fonte sicura! Ora sei missionario di Dio, mandato come il Figlio: fa’ in modo che altri lo possano conoscere e incontrare. Non farai il predicatore, ma vivrai in modo tale da generare ammirazione, così che qualcuno ti chieda spiegazione del tuo comportamento, e allora parlerai del tuo Signore e della Chiesa che te lo ha fatto incontrare e che te ne dona ogni giorno la Parola e la presenza »!

 

Aggiunte

43.

Mi hanno raccontato che in America, in varie parrocchie, al termine della Messa alcune donne invitano tutti i partecipanti a prendere il caffè in una sala adiacente alla chiesa! Essi hanno così l’occasione di intrattenersi amichevolmente, conoscersi, condividere la gioia o il dolore di quanto è successo nella settimana, chiedere o donare qualche consiglio, continuare l’amicizia, rendere cioè effettiva quella fraternità che è nata o cresciuta con la partecipazione alla liturgia! Questo momento di incontro è particolarmente importante in un paese dove i cattolici vivono disseminati in mezzo ad una popolazione in cui sono praticate varie confessioni cristiane, protestanti e anglicani, o addirittura varie religioni, islamica e buddista e altre ancora, e dove molti vivono in modo del tutto privo di riferimenti religiosi. È molto importante poter continuare tra credenti, in svariate modalità, l’incontro profondo e santo della fede con i segni quotidiani dell’amicizia. Se non si può farlo subito dopo la celebrazione, lo si può certamente in altri momenti della giornata. Se nella tua parrocchia esistono questi momenti, fa di tutto per parteciparvi: ritienilo tuo grave dovere! Se non esistono, attivati per inventarli! Con la santa Comunione siamo cresciuti come fratelli, grazie a Gesù, e dobbiamo cercare di manifestare questa nostra identità! Questo diventa gioia e fonte di speranza per molti!

 

44.

Sei andato alla S.Messa, hai ascoltato la Parola di Dio, ti sei nutrito del suo Pane: ora arrivano i frutti di tanta ricchezza di doni! Queste azioni sante e grandi non possono rimanere senza conseguenze. Non si possono elencare gli effetti di avvenimenti nei quali è stato all’opera nientemeno che Dio stesso! L’esperienza ci dice che i frutti della Messa sono molti, e molto belli, frutti che abbelliscono la persona con quella pace e serietà, armonia e serenità che vengono da una vita interiore, frutti che arricchiscono la società di relazioni nuove o rinnovate, frutti che danno ispirazione a iniziative di solidarietà, di aiuto, di attenzione a coloro che soffrono o che vivono senza nemmeno accorgersi di soffrire la mancanza della pace e della luce del Signore! Scopri quali sono i frutti che la tua Messa già porta nella tua vita e nella tua società: ringraziane il Signore! Aggregati poi a quelle iniziative cui altri hanno dato vita come frutto della stessa Eucaristia! Se il Signore ti fa vedere altri campi di lavoro e ti dona anche fantasia e capacità, impegnati in nuove imprese per amore del suo nome, imprese che facciano crescere gli uomini in sapienza, giustizia e santità!

 

45.

Domenica prossima ritornerai a celebrare l’Eucaristia! Questo è il giorno della gioia di Dio: egli vuole godere di te! È il giorno della gioia di Dio per la creazione dell’uomo: possa egli godere della tua fede e del tuo amore per lui, della tua obbedienza alla sua parola che ti rammenta di santificare le feste. Noi abbiamo ricevuto una festa solenne, quella della risurrezione di Gesù! “Otto giorni dopo” egli stesso stette tra i suoi discepoli per donare loro la pace, per farsi riconoscere anche dal discepolo incredulo, per riempirli tutti di gioia e del suo santo Spirito! Noi non lasciamo passare l’ottavo Giorno senza riunirci per incontrarlo, per ascoltare la sua Parola e ricevere il suo Corpo ed il suo Sangue. Non possiamo davvero fare a meno del giorno del Signore, giorno attraverso cui si manifesta la nostra identità! Siamo cristiani? Lo si vede in questo giorno! Amiamo Gesù? Lo si vede in questo giorno! Non possiamo amare Gesù senza amare il Corpo che lo rende visibile nel mondo, senza desiderare e volere ciò che lui ha fatto, senza continuare ciò che lui ha cominciato. Egli ha dato inizio alla Chiesa, come Corpo di cui continua ad essere il Capo: noi lo amiamo vivendo secondo le sue intenzioni! Rinuncerai ad andare ai monti o al mare, rinuncerai a varie gioie per vivere la gioia di questo giorno, ed essere così testimone per molti dell’importanza di Gesù Cristo e della sua Chiesa!

 

46.

Ogni domenica è giorno di Eucaristia! Il cristiano che alla domenica non celebra l’Eucaristia impoverisce la sua fede, si priva delle occasioni per rendere testimonianza al suo Signore e soprattutto, a lungo andare, dimentica di essere fatto per la festa eterna, per il Paradiso! La Chiesa ci dice e ci esorta a frequentare l’Eucaristia ogni domenica; ce lo dice con forza, e con sicurezza afferma che, se la evitiamo volutamente, commettiamo un grave peccato. La Chiesa è madre e maestra: quanto dice lo ha maturato in secoli e secoli di esperienza. Si sono visti spesso, purtroppo, dei bravi cristiani abituarsi un po’ alla volta a disertare l’Eucaristia domenicale. In tal modo si estraniavano dalla comunità, divenivano deboli nella resistenza alle tentazioni, incapaci di superare ostacoli e scandali della fede, trattenuti e dominati sempre più dalle cose di questa terra.

L’Eucaristia però santifica ogni giorno in cui viene celebrata! Coloro che possono partecipano anche nei giorni feriali a questo momento così carico di eternità, così pieno di vita e di gioia, così completo dell’abbondanza dell’amore di Dio! La liturgia romana ha ridotto all’essenziale le preghiere e i riti, in modo che tutta la celebrazione non occupi tanto tempo, e possa essere celebrata senza incomodo da molti!

Grazie al Signore Gesù, che ogni giorno ci rende possibile entrare nella pienezza del suo mistero d’amore e di offerta!

Grazie al Padre, che ogni giorno ci unisce al sacrificio del Figlio!

Grazie allo Spirito Santo, che ogni giorno ci riempie, attraverso l’Eucaristia, della sua forza e sapienza, e ci riveste della sua luce!

 

47.

Ho terminato la spiegazione dei vari momenti e riti della S.Messa, ed ho quasi nostalgia di queste occasioni che mi hanno permesso di intrattenermi con voi su questa celebrazione dei misteri del Signore! Prima di concludere proprio del tutto, desidero comunicarvi ancora alcuni pensieri e impressioni che porto nel cuore: forse potranno essere utili a qualcuno!

Una prima riflessione riguarda le celebrazioni delle solennità più grandi come Pasqua e Natale. In queste occasioni le chiese si riempiono, ed aumenta la gioia di tutti. Tutti riceveranno grazia e Spirito Santo sia dall’ascolto della Parola che dalla preghiera particolarmente intensa di quei giorni. Anche il celebrante gode in quell’occasione nel vedere l’assemblea raddoppiata di numero, però il suo cuore non può non soffrire e non percepire la sofferenza di tutta la Chiesa: molti infatti di coloro che sono presenti in quel giorno solenne non hanno il cuore aperto per donarsi al Signore Gesù, poiché hanno già deciso che nessuno, nemmeno Dio, potrà chiedere loro la fedeltà settimanale, manifestata dagli altri cristiani con la frequenza domenicale all’Eucaristia! Questa chiusura della volontà rallenta e soffoca gran parte dell’amore e della gioia della comunità, e spesso riesce a condizionare il sacerdote nella predicazione. Io non so cosa si possa fare… Ti esorto ad essere sempre disponibile al Signore, attento a lui e animato da affetto fraterno: chissà che qualcuno, la domenica seguente, non ritorni, attratto a partecipare dal calore del tuo sorriso sereno e disinteressato, in cui può aver percepito un dono e un richiamo di Gesù!

 

48.

Durante l’Eucaristia vedi muoversi attorno all’altare i chierichetti, ragazzi cui sono affidati piccoli servizi. La loro presenza è preziosa per loro e per tutta l’assemblea. Essi stessi sono aiutati a partecipare con attenzione e con gioia e, perché no?, con ambizione! Anch’essi devono essere fieri di appartenere e di avere un compito nella Chiesa e di collaborare alla sua edificazione. Da qualche anno, tra i chierichetti - solitamente maschietti - si vedono anche fanciulle e ragazze. Nessuno è escluso dal servizio nell’assemblea liturgica. Qualcuno vede in questo fatto una eco della mentalità femminista che reclama per la donna uguaglianza all’uomo. Qualcuno teme ed esperimenta il pericolo che, a lungo andare, i maschietti si ritirino dal servizio, perché ad una certa età ci sono varie implicanze psicologiche che impediscono il collaborare sereno tra loro o fanno nascere emulazioni strane… Qualche parroco ha trovato il sistema di affidare compiti diversi agli uni e alle altre, perché allo stesso tempo tutti si sentano accolti pur senza confondere le sane e sante diversità. I maschietti stanno attorno all’altare, le ragazze dai primi posti si muovono per portare le offerte, per tenere la tovaglietta della comunione, per accogliere e congedare i presenti…! In ogni caso la presenza dei ragazzi è segno e certezza dell’amore del Padre e di Gesù per i piccoli! Se non ci fossero bambini, saranno gli adulti ad essere presenti attorno all’altare come “ministranti” per svolgere i piccoli servizi necessari. Il servizio principale non è tanto ciò che essi fanno, ma la loro presenza, che fa percepire al celebrante d’essere anche lui membro di una comunità e fa sentire all’assemblea di essere assemblea attiva e non platea di spettatori!

 

49.

I genitori cristiani portano con sè alla celebrazione domenicale anche i bambini, fin dalla più tenera età. Non capiscono nulla? È vero, ma noi adulti, capiamo tutto? La celebrazione eucaristica non ci è stata data per essere capita, ma anzitutto per essere goduta. In essa anche i bambini godono, godono del clima di Spirito Santo, clima di cui nemmeno a casa possono godere, e nemmeno al nido o alla scuola materna! I bambini non capiscono, ma vedono, ascoltano, ricevono: essi più di noi adulti sono liberi e aperti ad essere positivamente influenzati dalla grazia che il Signore effonde con larghezza mentre noi cantiamo, preghiamo e stiamo in silenzio adorante dei suoi Misteri. Io godo al vedere i bambini in braccio ai loro genitori, anche se dormono, o mentre si muovono tra i banchi alla ricerca di una posizione loro confacente. Le loro espressioni rumorose non mi disturbano: mi paiono una lode del Signore. Egli li prendeva tra le braccia e li benediceva: anche oggi li benedice!

 

50.

Malati e anziani spesso non possono partecipare alla celebrazione eucaristica, e neppure mamme con neonati o bambini malati, persone che svolgono qualche servizio o lavoro inderogabile. Chi non può nemmeno partecipare ad un’eventuale celebrazione al sabato sera, cercherà di essere presente in un altro giorno della settimana. Gli ammalati, potendolo, ascolteranno la S.Messa che viene trasmessa per radio o per televisione. Quest’ascolto non sostituisce la partecipazione all’assemblea, ma aiuta comunque a sentirsi parte della comunità, a pregare, ad ascoltare la Parola. Se in casa tua c’è un malato o un anziano che sta ascoltando la S.Messa in tal modo, non disturbarlo nè distrarlo: mettiti piuttosto ad ascoltare insieme a lui, perché la tua presenza e preghiera gli faccia sentire che appartiene davvero alla Chiesa, tanto più se in quel giorno attende un ministro straordinario dell’Eucaristia che gli porterà il Corpo di Cristo!

 

51.

Talvolta, trovandoti in viaggio o in ferie o in visita ad un amico o ad un parente, puoi trovarti nella necessità di frequentare l’Eucaristia in una comunità che non è la tua abituale. Certamente ci saranno delle novità rispetto alla celebrazione della tua parrocchia: pur usando le stesse formule di preghiera e gli stessi riti, ogni comunità ha un suo stile, un suo modo di vivere e di abbellire la propria celebrazione. Tu parteciperai adattandoti alle abitudini di quella comunità col desiderio di imparare! Osserverai le diversità godendone, perché anche piccoli accorgimenti a volte arricchiscono di bellezza il volto della Chiesa! Non cederai ad eventuali tentazioni di giudicare o di disprezzare le diversità, ma invece sarai riconoscente al Signore che suggerisce altri modi per lodarlo, e gradisce l’amore dei suoi fedeli che si esprime con tanta abbondanza di espressioni! Anche qui tu cercherai di amare il Signore, di essere attento a lui, cosicché il tuo amore sia di testimonianza alla fede dei fratelli che trovi in quella comunità. È al Signore che tu ti doni e ti consacri, è lui che ti incontra, è lui che fa di tutti i suoi discepoli dei veri fratelli!

 

 È veramente cosa buona e giusta renderti grazie e innalzare a te l’inno di benedizione e di lode, Dio onnipotente ed eterno, per Cristo nostro Signore.

Nell’ultima cena con i suoi apostoli, egli volle perpetuare nei secoli il memoriale della sua passione e si offrì a te, Agnello senza macchia, lode perfetta e sacrificio a te gradito.

In questo grande mistero tu nutri e santifichi i tuoi fedeli, perché una sola fede illumini e una sola carità riunisca l’umanità diffusa su tutta la terra.

E noi ci accostiamo a questo sacro convito, perché l’effusione del tuo Spirito ci trasformi a immagine della tua gloria.

Per questo mistero di salvezza il cielo e la terra si uniscono in un cantico nuovo di adorazione e di lode, e noi con tutti gli angeli del cielo proclamiamo senza fine la tua gloria: Santo, Santo, Santo…

 

Nihil obstat: Arco, 22 dicembre 2005, P. Modesto Sartori