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Troverà la fede sulla terra?

Troverà la fede sulla terra?


Il battistero di una chiesa diroccata ci aiuta a ripensare la domanda di Gesù posta a titolo di questo quaderno. “Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18,8). Che la nostra fede abbia un futuro garantito non è scontato. È vero che della Chiesa Gesù ha detto: “Le potenze degli inferi non prevarranno su di essa” (Mt 16,18), ma è anche vero che in molti luoghi la fede cristiana ha come testimoni ormai solo delle pietre.

Ho ripensato la fede che la Chiesa ogni domenica professa a voce alta, fede della quale la nostra vita vuol essere testimonianza in comunione con i santi del cielo e con i nostri fratelli che per essa soffrono o persecuzione e superano pesanti tentazioni. In questo cammino perseverante la gioia del nostro Dio sarà la nostra forza!

Don Vigilio Covi


Fede e credere

01.

“Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18,8). Questa domanda mi interpella fortemente. Forse Gesù prevedeva un affievolirsi della fede? Lungo i secoli e nelle varie nazioni o regioni la fede cristiana ha visto il proprio espandersi, ma anche il diminuire fino a scomparire del tutto. Nella nostra nazione come sarà la fede negli anni prossimi? Ci sarà sempre chi vive l’amore del Signore Gesù? L’unica risposta che possiamo dare è un rinnovato impegno a fondare la nostra vita e tutte le nostre scelte sulla fede che ci è stata donata, sulla fede in Gesù Cristo, Figlio di Dio! Quando io credo sto aiutando gli altri, quelli che stanno attorno a me, a rivedere la propria vita alla luce delle parole del Signore. Se io opero scelte di fede, chiare e decise, aiuto molti a fare altrettanto. Voglio rispondere così alla domanda di Gesù: «Sì, Signore, troverai la fede sulla terra! Troverai la fede mia e quella che io avrò seminato: vieni, Signore Gesù!».

Il termine «fede» vuole esprimere l’atteggiamento che realizziamo credendo. Credere è il verbo della fede. “Fede” è «qualcosa» che si ha, o che si vorrebbe avere, e “credere” è ciò che facciamo per esprimere la fede. È significativo che Giovanni, nel suo vangelo, non usi mai il termine “fede”, ma solo - e molto spesso - la parola «credere». Forse vuol farci capire che non ci dobbiamo illudere di avere la fede una volta per sempre, perché essa è un rapporto di fiducia con Dio che c’è soltanto mentre la si pratica.

Quando dico «Io credo» significa che io so di non essere solo, ma di vivere in rapporto con Dio, di donare a lui la mia fiducia, e perciò di essere sereno perché “portato in braccio” da lui. La fiducia in lui è totale, e perciò dire «io credo», significa anche che ritengo vero quanto Dio ci ha rivelato di sè o quanto ha comunicato attraverso la sua Parola, il suo Figlio Gesù Cristo.


02.

Quando Gesù, il Figlio dell’uomo, tornerà, vorrà trovare persone e popoli che vivano la sua Parola e, con la loro carità, la presentino al mondo. Egli godrà di vedere comunità di persone che vivono mettendo in pratica i suoi insegnamenti, anzi, di più, che vivono unite a lui, compiendo la sua missione di rendere attuale l’amore del Padre per ogni uomo. Fede e amore non possono essere disgiunti, benché siano atteggiamenti diversi. Chi crede, lo fa realizzando l’amore di Dio, e chi ama, ama davvero solo se lo fa a causa di Dio. Solo l’amore che procede dalla fede può essere un amore disinteressato, gratuito, libero. Il credere è il fondamento del vero amore, ciò che lo fa sussistere e perseverare. Per questo Gesù cerca chi crede. È importante l’amore, perché ci fa partecipi dell’essere stesso di Dio, ma deve essere l’amore vero, quello fondato nella fede.

Dicendo «credere» poi non intendiamo semplicemente ritener vero che esiste un Dio al di sopra di noi, o professare una qualunque fede in qualsiasi divinità. Nel Nuovo Testamento i «credenti» sono unicamente le persone che hanno accolto Gesù come Signore e Figlio di Dio morto e risorto dai morti. Questo termine distingue persino i cristiani dagli ebrei! Non che questi non credano in Dio, ma la loro fede non è completa: essi non credono in “colui che il Padre ha mandato”! Questo è il credere che incide nella vita dell’uomo, lo riempie di speranza e gli dà motivazioni per vivere la carità. Il credere del cristiano si distingue perciò dal credere di qualsiasi religione. Alcune religioni non usano nemmeno la parola credere, perché in esse non si parla nemmeno di un Dio personale, e non vi è previsto l’incontro con Un Altro: è il caso, per esempio, del buddismo. Nelle religioni primordiali, animiste, si pensa all’esistenza di uno o più divinità. Queste possono essere sì pregate, cioè si può chiedere loro di farci del bene e di non farci del male, ma non può esserci con loro un rapporto di fiducia che vada oltre la morte. Persino nell’islam siamo sì certi dell’esistenza di un unico Dio, ma questi non si rende disponibile ad un rapporto vivo con l’uomo: a lui rimangono tutte le paure, frutto della presenza della morte.


03.

Il credere è vivere un rapporto di fiducia come quello che il bambino vive con suo papà o sua mamma. Egli si fida del loro braccio che lo porta e della loro mano che lo guida, ma anche della loro bocca che non inganna. Così il nostro credere in Dio è un affidarci sereno al suo amore e un attendere con desiderio la sua Parola. Abbiamo degli esempi bellissimi, sia nelle sacre Scritture, sia nella nostra esperienza quotidiana. La vita di Abramo ci viene presentata dalla Bibbia come un grande atto di fede realizzatosi in vari momenti. Abramo crede all’amore di Dio, e perciò gli ubbidisce partendo da Carran, e poi portando il figlio sul monte per offrirlo in sacrificio (Gen 22). Altro esempio di fede per noi molto caro è tutta la vita di Maria: ella ascolta la Parola dei profeti rivoltale dall’angelo Gabriele, e la prende sul serio (Lc 1). Ella ascolta i fatti che la toccano, ne coltiva il ricordo, li confronta con la Parola udita, ne rimane rafforzata a continuare un ascolto animato dalla fede. Ella crede a Dio e crede quindi a suo Figlio, persino quando questi parla dalla croce. Ella, per rimanere fedele alla sua Parola, accetta di vivere il resto della vita in casa con il discepolo amato da Gesù. Abramo e Maria sono gli esempi caratteristici e maggiormente vivi nella memoria dei cristiani, ma ogni giorno il nostro calendario porta nomi di persone che lungo i secoli sono state una luce, un esempio, uno stimolo per il credere di tutti gli altri. E ciascuno di noi porta nel cuore qualche momento della vita dei propri cari o di persone incontrate casualmente, che con una loro decisione basata nella fede ci sostengono ancora nella fatica del credere, o, meglio, nella fatica di vincere le tentazioni di incredulità.


04.

Ho cercato di descrivere il nostro credere come fiducia in Dio, in quel Dio che ama l’uomo come un Padre. Abramo e Maria, esempi fulgidi, hanno manifestato la loro fede ascoltando Dio che parla. Senza ascolto infatti non c’è fede. Io credo quando ascolto una Parola del mio Dio e la prendo sul serio. Se non ascolto non posso dire di credere. Quando un cristiano crede, cerca la Parola di Dio, la ama, la desidera, non riesce a farne senza. La Parola di Dio è davvero “Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino” (Sal 119,105), come dice la Scrittura. Il primo segno di una vera conversione è l’amore a quella Parola e la volontà di nutrirsene ogni giorno. Il cristiano che passa settimane senza curarsi della Parola di Dio, senza ascoltarla, senza cercarla, come fa a dire che crede? Egli crede a se stesso, oppure dà alla parola, spesso vuota, degli uomini l’importanza su cui poggiare le proprie giornate e le proprie fatiche. Quelle parole diventano il suo pane, che però non nutre e non sazia. Noi vogliamo essere veri credenti, e perciò cerchiamo la Parola con cui Dio si fa conoscere e con cui ci rivela chi siamo noi per lui. I cristiani e i pastori dei primi secoli della nostra storia, la storia della Chiesa, hanno cercato di formulare in modo facilmente ritenibile a memoria, i fatti e i misteri con cui Dio si è rivelato e che ci ha comunicato. Sono le verità stabili e necessarie per riuscire a vivere in comunione con lui e in pace tra noi, arricchiti di speranza e fortificati per la carità. Tale formulazione la recitiamo ogni domenica dopo aver ascoltato la Parola di Dio e la sua spiegazione. È importante che la conosciamo nei dettagli, perché dalle verità contenute in essa possiamo riconoscere i veri credenti. Essa ci è stata tramandata appunto come simbolo della fede, come segno di riconoscimento della vera fede dei cristiani. Ad essa dobbiamo confrontare ogni credenza che ci viene proposta esplicitamente o implicitamente dai racconti e dai linguaggi moderni.


Il «Simbolo» della fede

05.

Il Credo, con cui professiamo la nostra fede ogni domenica, è chiamato Simbolo Niceno-Costantinopolitano: fu infatti redatto nei Concili di Nicea (325) e di Costantinopoli (381). I vescovi di quei due Concili se ne sono occupati attentamente per fornire ai cristiani delle formulazioni esatte della fede, da contrapporre a quelle che stavano trascinando i credenti nell’errore. In particolare il Concilio di Nicea proclama la divinità del Figlio di Dio, e quello di Costantinopoli la divinità dello Spirito Santo. Il Credo elenca le verità fondamentali della nostra fede, desunte da una lettura corretta delle Sacre Scritture e della fede vissuta dagli apostoli e da tutte le comunità cristiane. È importante per un credente conoscere questa formulazione delle verità della fede: non basta certamente conoscerla a memoria, ma è necessario comprendere il significato di ogni singola sua frase e di ogni singola parola. Allora esso sarà una vera difesa dalle molte credenze che anche oggi si presentano come possibili e, a prima vista, attraenti verità. Difendersi da queste è necessario, ed è perciò necessario conoscere e approfondire ciò che noi crediamo: il grande amore del Padre che ha mandato Gesù, e l’amore e la sapienza di Gesù, che ci ha promesso e inviato il suo santo Spirito! Cercherò di trasmettere quanto io sono riuscito a comprendere del simbolo della fede, sapendo che non sarò capace di esaurire tutta la ricchezza che vi è contenuta!


Credo in un solo Dio Padre

06.

Credo in un solo Dio Padre! Così comincia la nostra professione di fede. Già ho detto che “credo” qui non si riferisce al fatto che so che esiste Dio, ma al fatto che mi affido a lui. Noi non riusciamo poi a pensare all’esistenza di più divinità, perché abbiamo il concetto che Dio è l’Essere increato da cui dipende l’esistenza di tutto l’universo, l’essere perfetto cui non manca nulla! Quindi è chiaro che Dio è uno, non ne possono esistere molti. In passato, e forse tuttora, qualcuno è convinto dell’esistenza di due divinità, quella del bene e quella del male: questa credenza è stata chiamata dualismo. Esistono tuttora culture e religioni che prevedono l’esistenza di più divinità (politeismo). In queste culture o religioni le divinità possono essere paragonate a spauracchi: l’uomo deve comprare il loro favore con riti o sacrifici adeguati. Potremmo dire che la credenza in queste divinità favorisce una cultura da tangentopoli spirituale e la stregoneria; qualcuno infatti si sente in grado di stabilire chi è il colpevole di eventuali disgrazie, e chi deve espiarle, anche con la morte, per placare qualche «divinità» offesa. Noi affermiamo che di divinità ne esiste una, e, soprattutto, che questa ha verso di noi un atteggiamento di amore. Il nostro Dio è Padre, è colui che ci ha voluti, e quindi ci ama! Con quest’unico termine - Padre - esprimiamo un’infinità di concetti, e di sentimenti. Anzitutto l’uso di questa parola afferma la certezza che viviamo grazie a lui. Da lui ha origine la nostra vita, da una sua decisione d’amore; egli è superiore a noi sempre, sia per quanto riguarda l’intelligenza che la sapienza di vita. Il significato del termine «padre» si arricchisce poi nell’ascolto di Gesù, che ci rivela aspetti inauditi del rapporto d’amore di Dio verso di noi. Chiamandolo Padre, noi automaticamente pensiamo al rapporto che il nostro padre terreno è riuscito ad instaurare con noi, ma ascoltando Gesù vediamo che nessun padre terreno può eguagliare la sapienza e l’amore di Dio Padre!

07.

Credo in Dio… Padre! Ascoltando Gesù possiamo conoscere un volto di Dio amorevole e santo! Basta che pensiamo alla parabola del figlio prodigo e a quella della pecora smarrita, dove il Padre si rallegra di incontrare il peccatore, e non pensa a castigarlo; a quella della vite e dei tralci, dove il Padre è presentato come il vignaiolo che si cura del frutto dei tralci stessi. Ricordiamo quanto Gesù dice riguardo al perdono: lo dice perché sa che Dio per primo è in grado di concederlo. Il Padre sembra essere capace solo di amare: egli fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi! L’amore di Dio previene le capacità dell’uomo, anzi, è il suo amore che le suscita e le fa crescere: “la tua bontà mi ha fatto crescere”, dice un salmo (18,36)! Anche quando abbiamo l’impressione che Dio ci castighi, in realtà il suo intervento è solo amore: egli vuole evitarci sofferenze più grandi, quelle del nostro peccato! Una rivelazione particolare del Padre la troviamo nella preghiera di Gesù: conosciamo a memoria questa preghiera, fonte inesauribile di conoscenza del Padre! Egli è «nostro», cioè di tutti quelli che imparano da Gesù ad essere figli! Egli è nascosto nei cieli, là donde ci può raggiungere sempre, anche se noi non lo possiamo vedere nè condizionare! Egli ha un nome che egli stesso vuol santificare, e per santificarlo adopera la bellezza della nostra vita e della nostra comunione reciproca! Egli ha un regno da inaugurare, e ancora si serve di noi per instaurarlo sulla terra, e così rende preziosa la nostra vita. Ha una volontà, che non può essere che amore, e ci permette di collaborare per realizzarla. Ha un pane per ogni giorno, un pane che ci fa crescere come singoli e come comunità; ha una capacità di perdono che trasforma la nostra vita in una festa! È nostro alleato nelle tentazioni, ed è pronto a liberarci da quel male che ci afferra per rovinarci! Credo in Dio Padre!


Padre onnipotente

08.

Credo in un solo Dio, Padre onnipotente: in che consiste l’onnipotenza di un Padre? Più volte la Bibbia ci dice che “nulla è impossibile a Dio”. Ognuno di noi interpreta queste parole secondo i propri desideri! Quel «nulla» è da intendersi che nessuna cosa di quelle che Dio ha promesso, nessuna parola di quelle che ha pronunciato è un discorso vano. Quanto dice egli fa! “Nulla è impossibile” non significa che Dio possa o voglia agire a capriccio. Egli è sempre Padre, e perciò la sua onnipotenza è una qualifica del suo amore. La realizzazione più grande e più bella dell’onnipotenza del Padre è la morte e risurrezione di Gesù! La sua onnipotenza è l’onnipotenza del suo amore: il suo amore può tutto, può anche chiedermi di morire, di rinnegare me stesso, di offrire qualche sofferenza: egli può usare quanto appare negativo per costruire il suo Regno, può servirsi di una situazione di sofferenza per farmi crescere nella capacità di amare. San Paolo scrive: “Tutto concorre al bene per coloro che amano Dio!” (Rom 8,28). L’onnipotenza di Dio è un amore che scrive diritto sulle nostre righe storte, è un amore che adopera tutti i nostri contrattempi per realizzare i suoi grandi progetti, è un amore che è sempre presente, anche quando noi non riusciamo a vederlo. Dato che io credo all’onnipotenza di Dio posso permettermi di non arrabbiarmi per nulla, di non prendermela, di essere sereno in ogni situazione, di coltivare speranza anche nei momenti più difficili e bui. Sapere che Dio è onnipotente è una buona e sicura base per la nostra fede e per la nostra carità, è soprattutto fonte di serenità per la nostra obbedienza a lui. Dato che egli è onnipotente, io posso ubbidirgli anche quando mi sembra impossibile che le sue indicazioni possano andare a buon fine! È necessario che quando pensiamo all’onnipotenza di Dio non dimentichiamo che egli è sempre e comunque Padre, fonte di ogni vero amore!


Creatore del cielo e della terra

09.

Quando pensiamo a Dio siamo abituati a pensare che egli è il Creatore del cielo e della terra. Questo è frutto della conoscenza biblica, che non facciamo fatica a percepire corrispondente alla verità delle cose. Dio è creatore di tutte le cose! Questa è l’affermazione della Bibbia fin dalla sua prima pagina. Noi lo crediamo! Se lo crediamo significa che questa non è la conclusione di un ragionamento scientifico, ma un atto di fede! Il ragionamento scientifico ad un certo punto ci abbandona, ci lascia in balia del mistero. Siamo riconoscenti alla fede che ci fa superare questo passaggio. Dal fatto poi che crediamo che Dio è il creatore di tutto scaturisce il nostro modo di guardare alla realtà che ci circonda con grande rispetto e stima: tutto è opera di Dio, tutto è dono del nostro Padre! Credere che Dio è creatore di tutto significa essere estremamente interessati a lui, e nello stesso tempo fortemente attenti a tutto ciò che vediamo. Se Dio ha creato tutto, egli, attraverso ogni cosa manifesta qualche aspetto del suo amore, della sua fedeltà, della sua sapienza, della sua misericordia, della sua bontà. A noi interessa il suo volto, e ne cerchiamo i lineamenti attraverso ogni sua opera. Ogni cosa diventa preziosa per noi, non per un suo valore intrinseco nè per un suo valore commerciale, ma perché è opera voluta e realizzata dal nostro Padre! Credere che Dio è creatore di tutto significa vedere, osservare, cogliere in ogni cosa qualcosa di più, e adoperare ogni cosa per formare o accrescere il nostro rapporto con Dio e maturare in lui i nostri rapporti reciproci. Credere che Dio è creatore ci immerge in una cultura positiva, sicura, ricca di stabilità, capace di accettare e di cercare la verità. Questa fede apre il nostro cuore e la nostra mente ad accettare una verità oggettiva che ci avvicina gli uni agli altri e ci rende capaci di comprenderci e stimarci reciprocamente. Nell’ultimo secolo si è diffuso il tentativo di combattere questa nostra fede, e di combatterla armandosi delle conoscenze scientifiche, come se la nostra capacità di ragionare e di scoprire fosse una nuova divinità che sostituisce Dio stesso.

10.

Dio è davvero creatore di tutto? Questa è la nostra fede, negata dal nemico di Dio. Ci sono scienziati che si vantano di qualche scoperta, o semplicemente di qualche teoria o ipotesi, come se queste potessero scalzare dal nostro cuore la fede. Quando essi arrivano a dire che basta l’ipotesi di un big-bang per negare l’esistenza di Dio e la sua opera creatrice, mi dimostrano la loro stoltezza. Noi continuiamo il loro ragionamento: Se tutto ha avuto origine da uno scoppio, ditemi «Che cosa» è scoppiato?. Se è scoppiato «qualcosa», quel qualcosa dov’era? Da dove veniva? Per quale legge scientifica è avvenuto tale scoppio? Per quali altre leggi, fisiche o chimiche, ne deriva che siamo qui noi ora a parlarne? Quel «qualcosa» e «quelle leggi» da dove vengono? Queste e altre teorie o ipotesi che gli uomini riescono a formulare, se fossero vere, mi convincono di una fantasia o di una sapienza ancora più grande di Dio, tanto da meravigliarmi sempre più di lui!

La fede in Dio creatore è assente dalle credenze delle religioni e filosofie dell’estremo Oriente. Dato che quelle credenze sono in qualche modo supportate da pratiche proposte per assicurarci la salute, esse si diffondono nei nostri ragionamenti senza discernimento e, a lungo andare, scalzano la nostra fede e le nostre certezze. Che cosa dicono le credenze orientali? Io non sono in grado che di riassumerlo in modo superficiale. All’inizio di tutto sta un principio filosofico, l’Uno, che la povera gente può anche chiamare Dio. Questo ha perso il suo equilibrio. Di qui ha avuto origine una vibrazione di energie che, solidificandosi, hanno dato origine a tutta la materia, compreso il mio corpo. Da tali affermazioni o simili consegue che Dio non è persona che possa dialogare con noi, ma invece che tutto è Dio, anch’io! La mia individualità scompare come goccia d’acqua dentro quell’oceano che è l’«Uno»! Se l’universo funge da Dio, non c’è bisogno nè di redenzione nè di salvezza, perché io sarei una particella di Dio, e quindi non potrei commettere peccato! Comprendete come convenga negare un Dio creatore a coloro cui non piace riconoscersi peccatori, e bisognosi quindi di salvezza!

11.

La nostra fede in un Dio creatore ha conseguenze molto profonde e belle, che io non sono capace di elencarvi e di descrivervi. Già ho detto che questa fede ci fa vedere il creato con simpatia, come opera del nostro Padre e quindi espressione del suo amore per noi. Ho detto che da questa fede ne consegue la possibilità di una verità oggettiva delle cose e quindi la possibilità di fondare la nostra vita su certezze che non dipendono dal nostro sentire, ma dalla concretezza della realtà. Al contrario, ignorare che tutto è opera di Dio, getta l’uomo in un soggettivismo che poi gli fa paura: ognuno si riterrebbe padrone di dare un significato alle cose dipendendo dal proprio capriccio, ognuno potrebbe sentirsi in diritto di soddisfare i propri egoismi senza badare alla vita degli altri. Chi non crede in Dio creatore, crede in se stesso e mette se stesso a fondamento della propria vita, e di conseguenza non ammette di dover render conto a nessuno delle proprie azioni. La cultura in cui ci troviamo immersi sta dipendendo da questi pensieri. Non per nulla oggi molti ritengono che la verità dipenda dal proprio sentire o dal proprio piacere. Noi crediamo che la nostra vita sia opera di Dio, e così la vita di ogni uomo. Dentro questa fede matura la certezza, trasmessaci dalla Bibbia proprio nel racconto della creazione, che noi siamo creati a immagine e somiglianza di Dio. Ogni uomo è opera di Dio, e perciò ogni uomo è dono di Dio per gli altri uomini! Il valore di ogni persona umana non sta nelle sue capacità o nella sua bellezza o nelle sue proprietà, ma nel fatto stesso che esiste. Ogni cosa che faccio per un altro uomo è gioia di Dio, o sua tristezza, se la mia azione torna di danno fisico o morale agli altri. Sappiamo che tutto quello che un uomo fa per un altro uomo è visto da Dio come fatto alla sua immagine, come fatto a lui stesso!


Creatore di tutte le cose visibili e invisibili

12.

Dio è creatore, continuando ad essere Padre! Il creare di Dio è amore che dona vita, è amore che manifesta e dona se stesso! Il creare di Dio è completo, ossia è sua opera non solo tutto ciò che vediamo e percepiamo con i nostri sensi, ma anche tutto quanto noi non vediamo e rimane irraggiungibile e non dominabile da noi. Egli è il creatore delle cose “visibili e invisibili”. Con questa espressione dichiariamo che anche tutte le realtà spirituali di cui l’uomo gode o di cui egli ha paura sono sotto il dominio di Dio! Parlando di realtà invisibili noi pensiamo alla nostra anima, ma anche agli angeli e ai demoni e a tutti quegli spiriti e forze che sentiamo premere dentro di noi o che ci pare ci sommergano dall’esterno. Anche San Paolo pensa a queste realtà, che noi non sappiamo definire, appunto perché invisibili. In un certo modo invisibili sono anche le forze della natura che noi non possiamo dominare. Tutto è sottomesso a Dio, tutto opera sua. Può farci problema pensare che i demoni e quelle forze che ci trascinano al male siano creature di Dio. Essendo Dio infinita bontà e amore, non possiamo pensare che egli abbia creato il male. Questo non può venire che dalla disobbedienza a lui delle sue creature, da lui dotate del grande dono della libertà. Così ci spieghiamo l’esistenza dei demoni e degli spiriti che creano sofferenza e trascinano al male gli uomini. Sapendo che Dio, il nostro Padre, è l’unico creatore di tutto, noi non avremo paura di nulla, riversando su ogni cosa l’amore che egli ha posto dentro di noi!

Leggendo il catechismo saremo aiutati a scoprire molti altri aspetti dipendenti dalla nostra fede in Dio creatore. Egli crea dal nulla, egli è l’unico creatore di tutto, e crea in unità con il Figlio suo e con lo Spirito Santo! Il Figlio è la sua Parola, il suo progetto, e lo Spirito la sua sapienza. La creazione è frutto dell’amore del Padre, del Figlio e Spirito Santo. E tutto è frutto del suo amore che opera con libertà!

13.

A proposito della creazione di Dio ci sarebbe da dire molto, sia del creato che dell’uomo, degli angeli e degli spiriti, della relazione tra di essi, e soprattutto del perché Dio ha creato tutto. Da cos’è stato mosso e che cosa si aspetta dalla sua creazione? L’uomo, con la sua intelligenza e libertà, riesce a modificare il creato, a svilupparlo, a scoprirne sempre nuove possibilità. Basta che pensiamo agli sviluppi della scienza e della tecnica di questi ultimi decenni. Possiamo quasi dire che l’opera di Dio non è mai finita, e che è prevista proprio così, dotata di sempre nuovi sviluppi. Allora diventa ancor più importante la domanda che ci siam posti: “Da cos’è stato mosso Dio Padre a creare il mondo e che cosa si aspetta dalla sua creazione?”. La risposta a questa domanda è importante per sapere in che modo noi possiamo e dobbiamo unirci a lui nel far progredire la creazione. Se noi non ci facciamo muovere dalla stessa motivazione di Dio e se non ci aspettiamo la stessa cosa che si aspetta lui, introduciamo nella creazione stessa una specie di schizofrenia, un contrasto tra l’uomo e l’ambiente in cui egli vive.

Se noi crediamo che Dio è amore, comprendiamo che egli non può essere stato mosso che dall’amore anche nel creare l’universo. “Tu ami tutte le cose esistenti e nulla disprezzi di quanto hai creato; se avessi odiato qualcosa, non l'avresti neppure creata.” (Sap 11,24). “Aperta la mano dalla chiave dell’amore, le creature vennero alla luce”, dice S.Tommaso d’Aquino. Dio consegna tutta la creazione all’uomo: così dice la bibbia. Il suo progetto quindi è l’uomo, e per lui, per il suo bene e il suo sviluppo, tutto il resto! Per questo noi non terminiamo mai di lodare e ringraziare Dio per le sue creature: rivolgendoci ad ognuna di esse diciamo: “Benedite, opere tutte del Signore, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli” (Dn 3,57)!

L’uomo è creato addirittura a immagine e somiglianza di Dio! Questo ci dice la bellezza e grandezza e umiltà dell’amore di Dio, un amore che vuole manifestarsi e comunicarsi: Dio vuole rendere l’uomo divino, il Padre lo vuole con sè come figlio! Egli si aspetta che gli uomini siano suoi figli e come tali vivano nel mondo, ricoprendolo e riempiendolo dell’amore di cui li ha dotati attraverso il Figlio suo Gesù!

14.

La nostra fede in Dio creatore è ricca di conseguenze anche spirituali e morali. Il rispetto per ogni uomo anzitutto: e più che rispetto, quasi venerazione: ogni uomo infatti, anche chi non avesse una formazione completa, anche il bambino, anche chi fosse malato, anche chi avesse commesso qualche delitto, è portatore dell’immagine di Dio, è oggetto del suo amore infinito, è voluto da lui e degno quindi del nostro amore. Ma, dato che anche tutto ciò che vediamo è voluto e creato da Dio, noi consideriamo l’intera creazione frutto dell’amore del Padre, e perciò ci guardiamo bene dall’agire contro di essa. Non disprezziamo nulla, anzi, cerchiamo di conservare tutto e di farlo progredire: chi viene dopo di noi potrà lodare e benedire il Padre per tutte le sue opere. La salvaguardia del creato è uno dei principi che devono guidare non solo i responsabili delle nazioni e gli operatori industriali, ma anche ogni singola persona occupata a trasformare il proprio ambiente. Dalla Bibbia ci viene un sapiente rimprovero, perché noi guardiamo il creato in modo materialistico. Il libro della Sapienza dice: “Davvero stolti per natura tutti gli uomini che vivevano nell'ignoranza di Dio e dai beni visibili non riconobbero colui che è, non riconobbero l'artefice, pur considerandone le opere. … Occupandosi delle sue opere, compiono indagini, ma si lasciano sedurre dall'apparenza, perché le cose vedute sono tanto belle. Neppure costoro però sono scusabili, perché se tanto poterono sapere da scrutare l'universo, come mai non ne hanno trovato più presto il padrone?” (13,1.7-9). Di fronte alle cose piccole e a quelle grandi teniamo aperti non solo i telescopi e i microscopi, ma anche gli occhi del cuore per vedere il volto di colui che ce le dona! E dato che Dio è creatore pure delle cose invisibili, manteniamo viva l’attenzione anche agli angeli per discernere quelli che ci aiutano ad adorare il Padre da quelli che ci vorrebbero allontanare da lui! La fede in Dio creatore ci fa star lontani da ogni magia, spiritismo e satanismo, da ogni superstizione, per essere in ogni momento orientati a lui, con un amore semplice, fedele e gioioso.


Credo in un solo Signore, Gesù Cristo

15.

Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio! La nostra fede in Dio Padre ci orienta ad ascoltare Gesù! Sul monte della trasfigurazione i tre discepoli che lo accompagnavano hanno udito l’invito: “Ascoltatelo”! E anche i miracoli operati da lui sono un segno chiaro, proveniente da Dio stesso, che la nostra fede nel Padre può essere completa e stabile quando ascoltiamo e diamo fiducia a “colui che egli ha mandato”! Del resto, è tramite Gesù che conosciamo Dio come Padre, ed è grazie a lui che abbiamo imparato a vivere come figli. A lui attribuiamo il titolo di “Signore”, il termine che nell’Antico Testamento veniva attribuito al “Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe”! Colui che il Padre ha mandato è per noi una figura determinante, che deve orientare tutta la nostra vita, i pensieri, i desideri e le azioni. Egli ha per noi l’autorità di Dio, perché Dio stesso “lo ha provato e lo ha trovato degno di sè”, gli ha dato piena approvazione e autorità facendolo risorgere dai morti e innalzandolo nella gloria. Chiamandolo “Signore” noi riconosciamo che la sua autorità si estende su tutto l’universo, e infatti ci accorgiamo che dove lui non è riconosciuto, e, dove non si vive secondo la sua sapienza, gli uomini non riescono ad esprimere tutte le capacità di amore e di concordia di cui sono capaci! Dato che ha l’autorità di Dio, noi gli presentiamo pure il nostro cuore, lo amiamo, e ci uniamo a lui nel considerare Dio nostro Padre! Egli non impone la sua signoria su di noi e sull’universo come dominio: è sua attenzione che la nostra libertà sia del tutto rispettata. Siamo noi che riconosciamo la sua signoria, perché ci accorgiamo che è l’unico modo per realizzare in pieno la nostra vita e godere comunione con gli altri uomini! Per noi è difficile, ed è nostro impegno quotidiano, far sì che alla parola che pronunciamo, “Gesù è Signore”, corrisponda un comportamento che ne manifesti la verità. Se crediamo cioè che Gesù è il Signore, cercheremo di avere sempre presenti i suoi desideri e le sue parole, perché dalla nostra vita si riconosca la bontà e la sapienza di colui che ci guida, di colui cui apparteniamo, di colui che serviamo! Dire che il Signore è Gesù significa anche dire che per noi le autorità umane non sono assolute: prima della loro autorità c’è quella del vero e unico “Signore”!

16.

Credo in un solo Signore, Gesù Cristo: colui che il Padre ha mandato come nostro Signore è un uomo cui è stato dato il nome “Gesù”. Già l’angelo, che ha annunciato a Maria e poi a Giuseppe la sua nascita, ha rivelato questo nome, comune tra gli ebrei. Questo nome significa “Dio salva”, “Dio è salvatore”, significato che corrisponde a “Dio con noi”: è chiaro che, se Dio è con noi, siamo già salvi, non possiamo aver paura di nulla! Il nome di Gesù è il dono più grande: “Non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati” (Atti 4,12). È nel nome di Gesù che gli apostoli guariscono lo storpio alla porta del tempio a Gerusalemme: “Nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi sano e salvo” (4,10). In Samaria Filippo “recava la buona novella del regno di Dio e del nome di Gesù Cristo” (8,12): il nome di Gesù è buona novella, vangelo! Questa è una verità che noi stessi sperimentiamo. Invocare il nome di Gesù, o semplicemente pronunciarlo, ci libera da paure, da dubbi, da debolezze, da incapacità. Non è un nome da usare come tecnica infallibile, magica. È un nome da pronunciare con amore, entrando in rapporto con lui, vivendo con lui i momenti belli, ma anche quelli difficili e dolorosi, e soprattutto disponendoci ad ascoltarlo. Egli è “Cristo”, termine greco che traduce l’ebraico Messia. Cristo significa unto: chi veniva consacrato re o sacerdote riceveva un’unzione. Cristo è l’unto per eccellenza, colui che porta la piena regalità e il sacerdozio perfetto e gradito al Padre! È il consacrato da Dio, consacrato per essere il suo portavoce, il suo “profeta”, e per noi “re”, colui cioè che esercita l’autorità di Dio nel nostro mondo, e per noi “sacerdote”, colui che offre a Dio i nostri sacrifici. Il nome di colui che il Padre ha mandato è “Gesù”, il suo compito per noi è rivelato dal termine “Cristo”!


Unigenito Figlio di Dio

17.

Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio! Ora ci fermiamo su quest’ultima parola. Gesù è Figlio di Dio. È per questo che noi possiamo dire di credere in lui, perché egli è Dio! Nell’Antico Testamento questa espressione è semplicemente un titolo, tanto che è attribuito agli angeli e al popolo e a tutti gli israeliti. Viene poi usato con accentuazione particolare per il re messianico (Sal 2). Quando Pietro pronuncia questa parola, essa comincia ad esprimere il suo significato più pieno: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16), tanto che Gesù gli risponde che questo l’ha potuto dire per una rivelazione del Padre stesso! Anche San Paolo “proclamava Gesù Figlio di Dio” (At 9,20). Lo proclamava perché Gesù stesso si è fatto conoscere così (vedi al Battesimo al Giordano e sul monte della Trasfigurazione). Nel vangelo si racconta che il Sinedrio ha interrogato Gesù esplicitamente: “Tu dunque sei il Figlio di Dio?”. Egli ha risposto: “Lo dite voi stessi: io lo sono”! Che cosa intendiamo noi con questo termine quando pronunciamo la nostra professione di fede? Lo dicono le espressioni che vengono dopo: con esse ci soffermiamo proprio a specificare il significato del termine «figlio», e quindi la divinità di Gesù. È attorno a questa fede della Chiesa che per secoli si sono concentrati i dubbi che hanno portato a varie eresie e hanno occupato la riflessione teologica dei cristiani e dei vescovi nei primi concili ecumenici, impegnati a comprendere in pienezza il significato della filiazione divina. Già il termine “Unigenito” ci aiuta a pronunciare la parola Figlio in maniera non generica, ma specifica. Siamo abituati a dire che siamo tutti figli di Dio: è vero, ma in questa espressione il termine figlio corrisponde quasi soltanto al temine «uomo», termine che ci distingue dalle bestie. Gesù è “l’unigenito” Figlio di Dio: egli è Figlio in maniera speciale, unica.


Nato dal Padre prima di tutti i secoli

18.

“Credo in… Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli, Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre”! È un lungo elenco di qualifiche per affermare chiaramente e inequivocabilmente la divinità di Gesù. Che egli sia uomo verrà detto dopo. Qui ora ci soffermiamo a dichiarare la nostra fede nella sua divinità. Naturalmente per affermare che Gesù, uomo, è Dio, dobbiamo tener presente che noi riconosciamo solo un modo di essere Dio, l’essere amore. L’amore è il donare se stesso! Dio dona il proprio essere, la propria vita, e ciò che ne scaturisce come dono è ancora amore pieno, divino, perfetto! Perciò diciamo: Dio da Dio! Dio vero da Dio vero! La Scrittura ci offre anche la definizione che Dio è luce e in lui non ci sono tenebre (1Gv), e perciò la luce che emana da lui è luce piena! Il primo concilio di Nicea nel 325 ha respinto l’arianesimo, una dottrina facile, che afferma che Gesù è solo uomo. Con tale dottrina verrebbe negato il valore eterno al suo sacrificio, alla sua morte e alla sua risurrezione. Se Gesù non fosse Dio, i suoi insegnamenti perderebbero d’importanza: infatti, se egli fosse uomo soltanto, la sua parola non sarebbe parola di Dio, e per noi non sarebbe tanto importante conoscerlo. Non ci sarebbe possibile nemmeno coltivare un’intimità con lui quale egli stesso desidera quando dice: “Rimanete in me, Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto”, oppure: “Io in loro e tu in me”. La divinità di Gesù non è quella immaginata dai pagani, una sorta di superpotenza capace di fare quel che vuole, egoisticamente! La sua divinità non è una sorta di concorrenza con la divinità del Padre, ma è l’esser “figlio” di Dio, cioè obbediente al Padre e amante come lui. La sua divinità è servizio, dono di sè, offerta della propria vita. Per questo in lui risplende l’amore, tanto che possiamo dire che in lui Dio è glorificato. Nella sua vita appare ai nostri occhi quanto grande è la misericordia di Dio Padre e la sua fedeltà!


Generato, non creato, della stessa sostanza del Padre

19.

Credo in… Gesù Cristo,… generato, non creato, della stessa sostanza del Padre. È molto importante per noi avere idee chiare e sicure su Gesù, benché il mistero della sua vita e della sua presenza nel mondo superi sempre la nostra capacità di comprensione. Alcune certezze, quelle che i primi Concili ecumenici ci hanno trasmesso, sono fondamentali: tra queste anche la frase citata. Per affermare la divinità di Gesù diciamo che egli non è una creatura, ma che è generato da Dio, che viene cioè dall’essere stesso di Dio Padre. E aggiungiamo che è della sua stessa sostanza: usiamo termini tipici della cultura antica del mondo greco e latino, che sono però tuttora comprensibili e non lasciano equivoci. Che il Figlio sia “della stessa sostanza del Padre” ci lascia comprendere chiaramente che egli partecipa della stessa divinità del Padre e che non può essere creato. Ma perché è importante questa verità? Sentiamo il Concilio Vaticano II: “Con l’incarnazione il Figlio stesso di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo. Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria Vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato” (Gaudium et spes, 22). Si è fatto uno di noi il Figlio di Dio, che è Dio. In tal modo egli conferma il valore e la dignità di ogni essere umano. Partendo da questa verità, lentamente, ma sicuramente, il cristianesimo, là dov’è arrivato, ha promosso l’abolizione della schiavitù e ha disgregato la rigida divisione degli uomini in caste, ha affermato la dignità di tutti, degli ammalati e dei carcerati, dei bambini e degli anziani. Là dove il cristianesimo viene rifiutato o ignorato queste divisioni tornano efficaci e la persona umana viene considerata con occhi egoistici, quindi come possibile cliente, o trattata come merce che può essere economicamente utile o può intralciare. Noi affermiamo con sicurezza la piena divinità di Gesù e la sua indiscutibile umanità!


Per mezzo di lui tutte le cose sono state create

20.

“Per mezzo di lui tutte le cose sono state create”. Nel primo articolo del credo abbiamo affermato che Dio Padre è il creatore di tutto l’universo. Dato che pure il Figlio è Dio, è anche lui creatore? Certamente anche il Figlio partecipa all’atto creatore di Dio. Noi diciamo che la creazione è avvenuta per mezzo di lui, ripetendo alcune frasi del Nuovo Testamento. L’evangelista Giovanni dice infatti nel prologo del suo vangelo: “Tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste” (1,3). Lo stesso concetto viene ripreso da San Paolo nella lettera ai Colossesi: “Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui” (1,16). Il Figlio partecipa all’atto creatore del Padre in modo distinto e diverso, in quanto Figlio! Egli è la Parola di Dio, il progetto d’amore che Dio vuol trasmettere e comunicare: attraverso quest’amore Dio crea tutte le cose. In tutte le cose noi perciò troviamo la traccia o l’impronta del Figlio. Egli stesso ci avvia in questo modo ad osservare ciò che ci circonda, quando dice, ad es.: Io sono la via, io sono la luce, io sono la porta, io sono il pane, io sono la vite, ecc. Ogni realtà ci fa comprendere qualcosa dell’amore del Padre, che egli, il Figlio, incarna nella totalità. Noi cristiani dovremmo abituarci a osservare tutto nella luce di Dio e a vedere ovunque il riflesso del suo amore, e quindi le caratteristiche distintive del suo Figlio, di Gesù. Se lo facessimo come lo hanno fatto molti santi, saremmo molto più sereni e gioiosi, molto più profondi nei nostri ragionamenti, e, senza dubbio, molto più ottimisti! Tutte le cose che ci circondano sono state fatte per mezzo del Figlio: per capire il significato di ogni cosa dobbiamo guardare a lui, immedesimarci in lui e nel suo amore. Se lo facciamo, non ci lamentiamo più di nulla, nemmeno del freddo o del caldo, nè della pioggia o del sole! Tutto ci darà gioia, di ogni cosa ringrazieremo, in ogni cosa cercheremo qualche aspetto dell’amore con cui il Padre ci raggiunge tramite il Figlio!


Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo

21.

“Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo”. Abbiamo affermato la nostra fede nella divinità del Figlio di Dio; ora affermiamo la sua umanità in modo semplice, raccontando quanto ci è narrato dai vangeli. Anzitutto dobbiamo dire come egli è presente sulla terra, non perché creato come tutti gli altri uomini, ma perché è venuto sulla terra dalla sua dimora abituale, il cielo. Consideriamo il cielo come la sede di Dio, il «luogo» della divinità. Dicendo “disceso dal cielo” diciamo che il Figlio di Dio non è più irraggiungibile, non è più nascosto nel mistero. Se è disceso dal cielo ora si trova qui sulla terra, dove siamo noi, dove noi ci muoviamo, accanto a noi. Ma perché Dio ha squarciato i cieli (come direbbe il profeta Isaia) ed è disceso fino a noi? Non l’ha fatto per se stesso: lui non ne aveva bisogno. Lo ha fatto “per noi uomini”, per noi che siamo peccatori e lontani da Dio sin da quando Adamo ha rifiutato l’obbedienza e si è nascosto allo sguardo del Padre. “Per noi uomini e per la nostra salvezza”! Il Figlio di Dio è divenuto uomo a nostro favore, perché potessimo essere salvi: il nome che gli è stato dato dice appunto questo, “Dio salva”! Noi guardiamo a lui perciò con tutto il nostro desiderio, sapendo che la sua umanità è necessaria alla nostra vita. Nessun altro uomo infatti è venuto al mondo con questo compito e con questa capacità. Quegli uomini che si sono proposti all’umanità come maestri o come profeti non hanno nemmeno saputo darsi il titolo di salvatori: non avevano coscienza del peccato e della forza negativa del peccato. Essi avevano forse una sapienza, ma solo una sapienza da insegnare, non da testimoniare con la offerta della propria vita fino alla vittoria sulla morte. Per la nostra salvezza è venuto Gesù!


Incarnato

22.

“E per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria”. Il Figlio di Dio è divenuto uomo: ciò ovviamente non è avvenuto per volontà di uomini nè per loro capacità, ma solo per volere di Dio e per suo intervento. Questo intervento non è solo miracolo, fatto straordinario che supera le leggi della natura, ma grande mistero che manifesta e realizza il disegno dell’amore del Padre. La presenza di Dio nella natura umana, o nella carne umana, è opera dello Spirito Santo. È Dio stesso nella sua relazione d’amore che compie il grande salto, per noi impensabile, di racchiudere l’infinità e l’eternità divina entro lo spazio limitato della vita umana. “Si è incarnato”! Questo avvenimento è narrato e affermato più volte nei vangeli e negli altri scritti del Nuovo Testamento. “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”, dice San Giovanni. L’evangelista Luca narra l’incontro di Maria con l’angelo Gabriele, che le dice: “Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio”. Noi riassumiamo la narrazione e la fede in quest’evento con la frase: “E per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria”. Nominiamo esplicitamente la vergine Maria, perché Dio stesso ha atteso l’assenso di lei: Dio è il protagonista dell’incarnazione del Figlio, ma ha chiesto la libera collaborazione della Donna che ne sarebbe divenuta la Madre. Ella è Madre del Figlio di Dio, ma è pur sempre vergine. Richiamando la sua verginità ripetiamo ciò che i vangeli dicono, affermando nuovamente che Dio ha agito in maniera divina. Egli ha voluto agire con l’aiuto dell’umanità attraverso la Donna, e ha voluto intervenire senza bisogno dell’uomo. È stupefacente il modo di fare di Dio!


Nel seno della Vergine Maria

23.

“Si è incarnato nel seno della Vergine Maria”: esprimiamo così il più grande mistero della storia e dell’eternità. È grazie a questo mistero che possiamo conoscere tutti gli altri, quello della paternità e quello della misericordia di Dio, quello della nostra santificazione o divinizzazione, come pure la certezza della dignità dell’uomo e della sua destinazione ad essere divino! Il Figlio di Dio si è incarnato: è diventato uomo, concreto, palpabile, visibile. Questa notizia è un mistero, un dono di Dio. Come mistero, da noi non è pienamente compreso, ma noi nemmeno riusciamo a dirlo del tutto in maniera adeguata: è ineffabile! Eppure è un mistero che ci è stato consegnato perché su di esso appoggiamo tutta la nostra vita e tutta la storia dell’umanità. Noi lo affermiamo perché i vangeli ce ne parlano con chiarezza, e ne parlano come dell’avverarsi di profezie lontane.

Alla donna, Eva, Dio ha promesso una discendenza capace di schiacciare la testa al serpente, discendenza più forte del male. Ai patriarchi ha promesso che dalla loro discendenza sarebbe venuto colui “cui è dovuta l'obbedienza dei popoli” (Gen 49,10), colui cioè che ha l’autorità di Dio. Il profeta Isaia parla esplicitamente della vergine che concepirà e darà alla luce un figlio chiamato “Dio con noi”! Il vangelo ci parla dell’angelo che trova a Nazaret Maria, umile ragazza del popolo. A lei vengono rivolte le parole del profeta, che in lei si avverano. La ragazza è umile, ma ancor più umile è Dio, che cerca in lei la strada attraverso cui entrare nel mondo e nella storia.


E si è fatto uomo

24.

“E si è fatto uomo”. A Natale, quando pronunciamo queste parole, ci inginocchiamo. Noi adoriamo questo progetto di Dio che si è realizzato per davvero. Dio stesso è diventato uomo. La pienezza dell’amore divino non è un’idea, un pensiero, un’immaginazione, ma è realtà concreta. Dio si è lasciato prendere da un così grande amore per l’uomo da assumerne la natura, da diventare uno di noi. Noi percepiamo in questo mistero tutta la solidarietà di Dio nei nostri riguardi. Noi siamo peccatori, capaci di rendere il mondo luogo di sofferenza, siamo operatori di iniquità. Dio viene qui, con noi. Non viene a collaborare con i nostri modi iniqui e perversi, non viene a sostenere i nostri egoismi, viene a seminare dentro questo campo, che noi gli presentiamo, dei semi di novità. Egli pone se stesso dentro l’umanità come seme di un’umanità nuova, finalmente capace di vivere l’amore del Padre per tutti. Dentro questo campo, che siamo noi, egli si mette come seme per morirvi. È l’unico modo possibile per trasformare il campo, da campo di morte in campo di vita! “Si è fatto uomo”! Ha assunto la povertà e il pericolo della nostra condizione, così che noi riceviamo la sua forza e la garanzia della sua eternità. Da quando lui è uomo, noi non ci sentiamo più condannati ad essere iniqui e perversi, operatori di sofferenza, ma piuttosto ci sentiamo capaci di opere divine, di opere d’amore, di consolazione, di riconciliazione, di pace! E siamo capaci di questo proprio perché c’è lui, e soltanto perché lui è con noi!


Fu crocifisso per noi

25.

“Fu crocifisso per noi”. Nella professione di fede non ricordiamo i prodigi operati da Gesù e nemmeno i suoi grandi insegnamenti, ma soltanto la sua nascita e la sua morte. La nascita ci mostra il grande amore di Dio per l’umanità, tanto da entrare nella nostra limitatezza e vulnerabilità. La morte ci dimostra l’amore di Gesù per il Padre e per ciascuno di noi. “Fu crocifisso per noi”: non ci vergogniamo del modo orribile con cui Gesù è morto. Noi ora, come dice l’apostolo, ci gloriamo della croce del Signore, la consideriamo albero di vita, legno di salvezza. I pagani deridevano i cristiani che seguivano un uomo crocifisso, noi invece ci vantiamo di lui, perché conosciamo l’amore che egli ha vissuto sulla croce e sappiamo quanto Dio ha apprezzato l’offerta che egli ha fatto della sua vita. “Per loro io consacro me stesso”, aveva detto al Padre nella grande preghiera durante l’ultima Cena. E ancora: “Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso” (Gv 10,17-18). La croce è il modo con cui Gesù ha realizzato questa sua offerta, un atto di amore completo e perfetto. “Fu crocifisso per noi”. Non ci soffermiamo nel Credo a considerare chi è stato a crocifiggere Gesù: sappiamo che la causa principale è il peccato dell’uomo, di tutti gli uomini, non solo di quelli che lo hanno condannato o di quelli che hanno eseguito la condanna. Sappiamo inoltre che il frutto della sua morte come atto d’amore è un frutto di salvezza per tutti, e perciò non ci lamentiamo della sua morte. Affermiamo però che essa è avvenuta “per noi”, a nostro favore. Dio infatti, accettando l’offerta della vita di Gesù, che si era caricato dei nostri peccati fin dal battesimo nel Giordano, ci accoglie tutti come figli. Guardando Gesù in croce noi diciamo grazie: grazie a lui che è morto amando, e grazie al Padre che ha chiesto al Figlio Dio di morire perché noi possiamo vivere!


Sotto Ponzio Pilato

26.

“Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato”: il mistero della morte di Gesù è collocato con precisione dentro la storia dell’umanità. Il nome di Ponzio Pilato non è qui per altro motivo. Professando la nostra fede non vogliamo condannare nè criticare nessuno, perché noi ci dobbiamo riconoscere peccatori tanto quanto i contemporanei di Gesù che lo hanno calunniato e ne hanno esigito la condanna a morte. Facendo il nome di Pilato esprimiamo con forza la fede che l’incarnazione e gli altri fatti riguardanti Gesù hanno avuto posto concreto nella storia dell’umanità. La nostra fede non è una raccolta di idee belle, sante e sapienti. La fede della Chiesa è basata su fatti avvenuti in un preciso momento della storia e in luogo del nostro pianeta. Il tempo e il luogo precisi sono definiti dal nome dell’uomo che fu il governatore della Giudea dal 26 al 36 della nostra epoca. Nominandolo nel Credo non formuliamo alcun giudizio sulla sua persona, e nemmeno su quella dei capi giudei da cui egli si è lasciato ricattare. Come ho detto non è questo lo scopo per cui pronunciamo il suo nome, e nemmeno lo scopo per cui proclamiamo la nostra fede! Anzi! Sappiamo che la fede ci porta ad amare i nostri nemici, perché l’amore di Dio è un amore per i peccatori, cioè per i suoi nemici. Noi lasciamo a Dio ogni giudizio e ogni valutazione sul comportamento delle persone che hanno avuto un ruolo nella morte di Gesù. Sappiamo che proprio uno dei suoi discepoli lo ha consegnato per del denaro, e che Pietro lo ha rinnegato, e tutti gli altri lo hanno abbandonato. Noi non siamo migliori di loro, nè migliori di chi gridava a Pilato “Crocifiggilo” e nemmeno migliori dei soldati che si divertivano a moltiplicare le torture al Signore. Gesù ha offerto la sua vita al Padre per noi, ma anche per loro, per la salvezza di tutti coloro che lo bestemmiamo e lo vorrebbero allontanare dal ricordo dell’umanità.


Morì e fu sepolto

27.

“Morì e fu sepolto”. Di quando in quando sui giornali appare la notizia che qualcuno afferma che Gesù sarebbe sopravvissuto e si troverebbe in qualche zona inaccessibile della terra. Che egli non sia morto, ma sia stato sostituito sul Calvario da un altro personaggio, è pure una certezza affermata dall’islam. Lungo la storia c’è sempre stato il tentativo di negare il mistero della morte di Gesù, mistero che crea qualche problema alla nostra intelligenza o al nostro orgoglio. Accettare che Gesù, Figlio di Dio, sia morto, non è facile. Significa accettare che Dio è entrato nella più profonda povertà dell’uomo, che egli ha accettato ciò che noi non riusciamo ad accettare, che egli ha consacrato con la sua presenza persino la morte, ciò che ci fa maggiormente paura. Noi facciamo tutto il possibile e l’impossibile per evitare, allontanare, eliminare la morte, e il nostro Dio invece l’ha accettata! Noi lo crediamo, e da questa fede riceviamo una luce nuova, una forza inspiegabile, come testimoniano i martiri di Gesù. Se egli è morto, la morte non è il male peggiore. Se Gesù è morto possiamo anche noi morire con serenità, anzi, possiamo persino desiderare la morte piuttosto che perdere la fede e la comunione con Dio! Affermando che Gesù morì, non ripetiamo solamente un fatto storico testimoniato da tutti i vangeli e dagli scritti apostolici, confermato dalle profezie dell’Antico Testamento, ma affermiamo pure con sicurezza che l’incarnazione del Figlio di Dio è stata completa: egli è divenuto uomo assumendo tutte le conseguenze dell’essere uomo! Affermiamo pure che noi vogliamo guardare avanti verso la conclusione della nostra vita senza paura, senza disperazione. “Morì e fu sepolto”. La sepoltura è la conseguenza della morte, almeno nella cultura ebraica, una cultura che nutre la speranza nella risurrezione dai morti. Altri popoli, invece di seppellire i morti, li consegnano al fuoco o in pasto agli uccelli o ad altri animali della terra o del mare. Il corpo di Gesù fu sepolto, consegnato alla terra, che lo custodisca per il giorno della potenza di Dio, che fa risorgere i morti. I vangeli parlano della sepoltura di Gesù narrando vari particolari, quali il lenzuolo, gli oli profumati, il sepolcro nuovo di Giuseppe d’Arimatea scavato nella roccia, la pietra che lo chiudeva, i sigilli e le guardie che ne custodirono l’ingresso e che poi furono pagate per mentire. L’avvenuta sepoltura è una conferma della realtà incontestabile della morte.


Il terzo giorno è risuscitato secondo le Scritture

28.

“Il terzo giorno è risuscitato secondo le Scritture”. Già il fatto che colui che è morto sia il Figlio di Dio ci lascia sperare. Le profezie dicevano che il servo di Dio non sarebbe rimasto nella morte, ma gli uomini non erano capaci di prenderle sul serio, perché noi crediamo troppo a quel che vediamo, e perciò riteniamo la realtà della morte come conclusione definitiva della vita. Gli apostoli ci hanno testimoniato la risurrezione di Gesù, e l’hanno fatto in un modo che non possiamo dubitarne. I dubbi più forti li hanno avuti essi stessi. Ci basti pensare come hanno trattato da visionarie le donne che annunciavano il loro incontro con l’angelo al sepolcro, o come Tommaso ha resistito alla notizia gioiosa degli altri Dieci! Una prova della risurrezione l’abbiamo anche nella conversione di Saulo - Paolo, che lo ha incontrato e ne ha udito la voce. Poter confrontare l’esperienza di Gesù risorto con le parole delle Scritture è di grande aiuto a rafforzare la nostra fede: Dio ha promesso e ora mantiene! Qualche prova della presenza viva di Gesù l’abbiamo anche noi, prova che vale per noi stessi: la gioia e la consolazione ricevuta nella confessione dei peccati, la pace all’ascolto della sua Parola, la forza dopo una comunione eucaristica, o altro ancora: tutto ci conferma che Gesù è vivente. Noi crediamo dunque che Gesù è risorto. Non sappiamo come, non sappiamo com’è il suo corpo da risorto, ma sappiamo che egli è vivo di una vita gloriosa, manifestatrice cioè dell’amore di Dio. Noi crediamo che egli è vivo, e perciò crediamo che la morte è stata vinta. Grazie alla fede nella risurrezione possiamo vivere obbedendo a Dio anche quando ci sembra che la sua Parola sia difficile o impossibile. Egli è risorto il terzo giorno: non si vede subito la vittoria di Dio, ma è sicura. Quando abbiamo difficoltà e sofferenze la certezza della risurrezione di Gesù dopo la morte ci consola e ci apre alla speranza.


È salito al cielo, siede alla destra del Padre

29.

“È salito al cielo, siede alla destra del Padre”! Parlando del Figlio di Dio abbiamo detto che è disceso dal cielo per la nostra salvezza. Adesso, dopo aver ricordato la nascita, la morte e la risurrezione affermiamo un ulteriore passaggio della sua vita. È salito al cielo. Ricordo nuovamente che chiamiamo “cielo” la sede di Dio, il «luogo» della divinità, il modo di essere di Dio nell’eternità. Gesù stesso aveva affermato: “Nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell'uomo che è disceso dal cielo” (Gv 3,13). Salire e scendere dal cielo è espressione che indica familiarità con Dio, anzi, l’essere partecipe della stessa divinità. Dopo la sua risurrezione noi non vediamo più Gesù, ma egli è ancora il Dio con noi, egli è ancora il Vivente! Egli non si è allontanato da noi, ma è ri-entrato nella condizione in cui si trovava prima dell’incarnazione. “E se vedeste il Figlio dell'uomo salire là dov'era prima?” (Gv 6,62). Gesù ora vive nella gloria di Dio, dove siede alla destra del Padre: anche questa espressione, proveniente dai palazzi regali, ci assicura della sua autorità divina. Chi siede alla destra del re porta l’anello col suo sigillo ed esercita quindi il suo potere. Se Gesù siede alla destra del Padre, dispone dell’autorità dell’amore di Dio Padre! Attraverso queste affermazioni noi esprimiamo la fede che Dio è quello che ci ha fatto conoscere Gesù e quindi che la sua parola è davvero il volere di Dio per noi. Nulla è più sicuro e nulla più importante degli insegnamenti che egli ci ha affidato. Possiamo ubbidire a lui senza paura di sbagliare, anzi, siamo certi che sbagliamo quando non mettiamo in pratica la sua parola. Il Padre ci giudicherà in base alla nostra obbedienza alla sua Parola e ci salverà perché abbiamo amato quel suo Figlio che ora sta per sempre presso di lui.


E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti

30.

“E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti”. L’ascensione al cielo non è un modo adottato da Gesù per estraniarsi dalla vita e dalla sorte degli uomini. Dio Padre, e con lui Gesù Cristo, non si dimentica mai di noi! Il Figlio, che il Padre ha mandato come completo e definitivo atto d’amore al mondo bisognoso di salvezza, continua ad amare gli uomini. Egli “di nuovo verrà”: noi attendiamo questa sua venuta, e lui pure attende di poter venire per farci vedere e gustare la pienezza del suo amore. Noi lo attendiamo, perché ogni giorno ci accorgiamo della necessità di essere salvati. Lo attendiamo con gioia, perché siamo sicuri d’essere amati da lui. Nell’attesa cerchiamo di vivere in modo che la sua parola porti frutto di santità, di carità, di verità nella nostra vita e nel nostro ambiente. Egli stesso ce lo ha raccomandato con i suoi insegnamenti e parabole. Viviamo come nell’attesa del nostro padrone che torna da una festa, e torna in tempi e modi imprevisti. Noi cerchiamo di non avere altro desiderio che di piacere a lui e realizzare i suoi progetti. Quando tornerà infatti sarà lui che giudicherà i vivi e i morti! Ciò significa che tutti possono e devono confrontarsi con lui, tutti, viventi e defunti, cristiani e non cristiani, credenti e non credenti. Non esiste alcun altro personaggio al mondo che possa dichiarare giusta una persona. Il vangelo dice che “il Figlio non è venuto per giudicare, ma per salvare” (Gv 3,17): il suo giudizio infatti viene esercitato da lui per salvare quanti sono vissuti obbedendo alla sua Parola o si riconoscono suoi discepoli. Gli altri non sono da lui condannati, ma restano nella situazione di chi non si è lasciato salvare. Noi viviamo attendendolo: questa attesa ci tiene liberi dalle cose di questo mondo, dalle futilità che ci farebbero perdere tempo inutilmente e ci dà sapienza per cercare sempre ciò che conta, per dar peso all’amore, e soprattutto per tenere il nostro sguardo fisso su di lui, su Gesù!


E il suo regno non avrà fine

31.

“E il suo regno non avrà fine”. A Nazareth l’angelo Gabriele concluse con queste parole la descrizione del Figlio che Maria avrebbe dovuto accogliere: «Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine»! Gesù poi, quando ha cominciato a predicare, annunciava la vicinanza del regno di Dio come la gioia più grande, quella che doveva aiutare gli uomini a convertirsi cambiando modo di vivere e di ragionare! Il regno di Dio, di cui egli doveva essere il re, era un regno nemmeno paragonabile ai regni di questo mondo; così il Signore stesso si espresse parlando a Pilato, mentre veniva accusato di ribellione a Cesare, l’imperatore di Roma. Il suo regno, dice San Paolo, non è questione di cibo o di bevanda, e nemmeno di quel potere che fa violenza agli altri per poter sussistere, ma è “pace e gioia nello Spirito Santo”! Il regno di Dio è il sogno di tutti gli uomini, stanchi di quelle violenze e di quelle ingiustizie di cui i regni umani sono portatori e che non riescono a eliminare. Nel regno di Dio chi è il primo è servo di tutti, chi è importante si fa piccolo, chi è piccolo viene ritenuto degno di attenzione e di cure, chi soffre viene visitato, chi è ricco trova il sistema per trasformare le ricchezze in atti di amore e misericordia, chi ha delle doti impara a metterle a disposizione degli altri, tutti si offrono ad essere fratelli. “Il suo regno non avrà fine”, perché il re non muore più, è risorto! Il regno di Dio non ha confini, non può essere conquistato con la forza, non può essere sopraffatto nè eliminato, fin tanto c’è qualcuno che si offre a Gesù. Coloro che vogliono opporsi al regno di Dio possono soltanto uccidere i suoi membri, come hanno cercato di uccidere il re, Gesù, ma non riusciranno a distruggerlo, perché proprio in quelle circostanze lo Spirito di testimonianza e di martirio si diffonde ancor più!

32.

Ancora: “e il suo regno non avrà fine”. Il regno di Gesù! Di questo regno egli ha voluto parlare molto, soprattutto in parabole. Molte di esse iniziano appunto: “Il regno dei cieli è simile a…”. Dalle parabole dunque sappiamo come Gesù stesso vede il regno e quindi anche il suo ruolo di re! Il regno incomincia con la semina della Parola, che poi cresce e, in modo diseguale a seconda delle circostanze, porta frutto! Il regno deve fare i conti col suo nemico, che semina in mezzo ad esso ostacoli e iniquità, cose che fanno soffrire e procurano nuovo lavoro ai messaggeri di Dio, ma non impediscono la salvezza di molti. Il regno inizia in modo quasi invisibile, come un seme di senape, ma nulla può fermare la sua crescita e il suo essere benedizione per molti! Il regno è nascosto come il lievito nella farina, ma è pure necessario, proprio come il lievito, perché la farina diventi pane gustoso e facile da mangiare e da digerire: coloro che ubbidiscono a Gesù come ad un re rendono la vita nel mondo bella e gioiosa, perché diffondono confidenza in Dio e rendono i rapporti umani sereni e fiduciosi! Il regno prevede che chi vi entra sia un po’ furbo, come quel tale che trova un tesoro in un campo senza valore: non dice nulla a nessuno, e fa di tutto pur di acquistare quel campo. Il regno prevede anche che chi vi vuol entrare non abbia null’altro da anteporgli: proprio come il mercante che ha adocchiato una perla veramente preziosa vende tutte quelle che ha pur di poterla acquistare. Il regno è anche come una rete che raccoglie tutto, ma poi qualcuno deve separare ciò che è di Dio da ciò che non lo è, chi appartiene a Gesù da chi non gli appartiene: questo lavoro verrà fatto da chi ne sarà autorizzato, con verità e senza false compassioni! Nel regno di Gesù è necessario vivere di perdono, perdono da dare e da ricevere, perché in esso ostinazione e vendetta non entrano. Allo stesso modo non vi entrano i ricchi, se non dopo che hanno dato una destinazione d’amore alle loro ricchezze, e vi entra solo chi s’è fatto un cuore da bambino! Noi godiamo perché “il suo regno non avrà fine”.


Credo nello Spirito Santo

33.

“Credo nello Spirito Santo”. Finora abbiamo professato la fede nel Padre e in Gesù, Figlio di Dio; ora ci rivolgiamo allo Spirito del Padre e del Figlio per affidare a lui la nostra vita. Chi è lo Spirito? Il termine “spirito” significa «soffio», quel qualcosa cioè che garantisce e manifesta la presenza della vita nell’uomo, e che dal di dentro di lui esce all’esterno, e all’esterno produce un movimento e comunica calore. Quando scriviamo “Spirito” maiuscolo, intendiamo quel «soffio» che dalla nascosta e irraggiungibile vita di Dio esce per muovere la nostra vita, cambiarla, renderla capace di mettersi in azione seguendo i movimenti dell’amore del Padre e del Figlio. Qualcuno ha osato fare il paragone con la luce o il calore che escono dal sole: Dio raggiunge noi uomini e tutto il creato con il calore e la luce del suo Spirito. Lo Spirito di Dio è santo. Ciò pare tanto ovvio, ma sappiamo cosa significa? Questo è il termine usato nelle Scritture per dichiarare la qualifica più appropriata del Dio d’Israele. Egli manifesta la propria santità amando quel popolo che è stato ed è sempre infedele, incorreggibile, incapace di obbedire. Essere santo corrisponde quindi a non essere condizionato dall’esterno: è come se Dio dicesse al suo popolo: «Tu ti ribelli a me? Io ti amo lo stesso perché io sono buono! Tu ti rifiuti di amarmi? Io continuo a volerti bene! Tu mi accusi e mi maledici e bestemmi? Io ti benedico e trovo tutti i modi possibili per farti godere la mia presenza e la mia salvezza». Lo Spirito di Dio è Santo, è uno Spirito che comunica la santità anche a noi, quando ci esponiamo alla sua azione, quando lo accogliamo dentro di noi e lasciamo muovere i nostri sentimenti e la nostra intelligenza e volontà seguendo i suoi impulsi. Credere nello Spirito Santo significa volere che lui ci muova dal di dentro, e allora anche noi ameremo chi non ci ama, benediremo chi ci maledice, pregheremo per chi ci perseguita, faremo di tutto perché si salvi chi ci odia, saremo gioiosi per l’amore che riceviamo da Dio, anche se dagli uomini ricevessimo ingratitudine! “Credo nello Spirito Santo”: è una grazia grande e un impegno non indifferente, fonte di amore e fonte di gioia perenne!


Che è Signore e dà la vita

34.

Dopo aver detto “Credo nello Spirito Santo”, seguono alcune parole che ci aiutano a evitare quelle false concezioni dello Spirito di Dio che sono facili da pensare, ma che privano la fede della sua forza, e la conoscenza della Trinità di Dio della pienezza della sua verità. Qualche eresia si è diffusa già nell’antichità per negare la personalità dello Spirito Santo, affermando che egli è solo una energia di Dio, una sua qualifica, e quindi non è Dio. Se ne è occupato il primo Concilio di Costantinopoli nel 381. in sintonia con quel concilio seguiamo le affermazioni del Nuovo Testamento, che a più riprese, sia nei vangeli che negli scritti apostolici, parla dello Spirito Santo come di Qualcuno che agisce con libertà e interviene nella nostra vita a sostenere la nostra fede e la nostra carità. È lui che ci permette di chiamare “Abbà” il Padre, e che ci rende idonei ad obbedire a Gesù chiamandolo “Signore”. Questo titolo è la traduzione greca del nome che la bibbia ebraica attribuisce a Dio: noi perciò lo usiamo anche per lo Spirito stesso. Continuiamo infatti la professione di fede dicendo: “che è Signore e dà la vita”. È Gesù stesso infatti che afferma: “È lo Spirito che dà la vita” (Gv 6,63): se è capace di dare la vita è anch’egli qualcuno che agisce, è persona, è Dio! La pagina che racconta l’annunciazione dell’angelo a Maria Ss.ma attribuisce allo Spirito l’azione dell’incarnazione del Figlio di Dio voluta dal Padre. Il vangelo di Giovanni ci riferisce poi molte parole di Gesù, parole con cui egli ci presenta l’opera dello Spirito: è il consolatore, suo testimone; rende i discepoli capaci di rendergli testimonianza; ricorda loro le sue parole; li guida alla pienezza della verità; darà loro dei criteri sicuri per discernere ciò che è peccato e ciò che è condannato da Dio, e, finalmente, glorificherà Gesù in loro.


E procede dal Padre e dal Figlio

35.

“E procede dal Padre e dal Figlio”. Lo Spirito Santo è persona divina, ma non un Dio accanto a Dio. Dio è uno solo, però non un essere che vive di solitudine. Dio è amore, vive di amore, e amore è relazione, è offrirsi, donarsi. Per questo affermiamo che il Padre genera il Figlio, il quale partecipa della stessa divinità. Tra Padre e Figlio avviene un continuo scambio di amore, che è appunto lo “Spirito Santo”. Diciamo quindi che lo Spirito “procede” dal Padre: non è creato, non è generato, ma proviene, si effonde, viene emanato dal Padre mentre guarda il Figlio con amore. Se volessimo cercare un’immagine dalla nostra esperienza potremmo dire che è come il soffio che proviene da noi, come la luce dal sole, come il suono dalla voce, il calore dalla fiamma: ma non è una cosa, bensì Persona, con caratteristiche divine: capacità di amare, di agire, di rispondere, in modo perfetto! Viene dal Padre, la persona da cui tutto ha origine. Gesù, quando promette lo Spirito Santo, dice che lo manderà dal Padre o che il Padre lo manderà nel suo nome! Egli dice anche esplicitamente che lo Spirito “procede dal Padre” (Gv 15,26). I cristiani di Oriente, gli ortodossi, nel simbolo della fede dicono soltanto “e procede dal Padre”. Noi, in Occidente, dai tempi di Carlo Magno, cioè dall’800, aggiungiamo “e dal Figlio”. Quest’aggiunta è giustificata dal testo evangelico “Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza” (15,26) e, inoltre, dal fatto che Gesù risorto dice agli apostoli: “Ricevete lo Spirito Santo”, alitando su di loro. È dalla sua bocca che esce il soffio che fa di loro dei testimoni accreditati da Dio! Purtroppo gli orientali per molti secoli hanno fatto leva su questa nostra aggiunta, la cui verità del resto non possono contestare, per giustificare l’avversione, originata peraltro da altri fattori, politici o militari, a ricercare l’unità con la nostra Chiesa cattolica.

36.

“E procede dal Padre e dal Figlio”. Stiamo pronunciando questa affermazione come una grande verità che dà forza e luce alla nostra vita, come, del resto, tutte le verità che annunciamo recitando il Simbolo della nostra fede. Che cosa significa per noi dire queste parole?

Se lo Spirito Santo “procede dal Padre e dal Figlio”, egli, venendo in noi, ci riveste o ci permea delle caratteristiche dell’amore del Padre e dell’amore del Figlio!

L’amore del Padre è un amore che previene, un amore che prende iniziative, l’amore che si occupa di donare la vita là dove essa non esiste ancora. Quest’amore è quello che ci rende capaci di perdonare, di dare amore a chi nemmeno ci vuol salutare, a chi non è capace di amare, persino a chi volesse maledirci! I genitori amano i propri figli per molti anni prima che essi li ringrazino, e così colui che riceve Spirito Santo ama tutti quelli da cui non è amato, senza pretesa e senza attesa di ricompensa. Gesù ci ha pure detto che, se uno ci dà uno schiaffo, dobbiamo “porgere l’altra guancia”, continuare cioè a presentare il sorriso a chi ci rivolgesse segni e gesti di odio o di pretesa. È possibile? Sì, è possibile a chi ha ricevuto lo Spirito Santo, lo Spirito che viene dal Padre. Un papà ama il proprio figlio anche quando questi si ribella e fa capricci. Lo Spirito del Padre ama sempre, senza far distinzione tra “buoni e cattivi”.

Questo Spirito del Padre viene alitato dal Figlio, da Gesù, e perciò introduce in noi anche le caratteristiche dell’amore del Figlio! Quali sono? Il figlio ama ascoltando e obbedendo! Il figlio risponde alle iniziative proposte da altri, ama offrendosi a realizzare quanto gli viene suggerito. Il figlio sa e vuole essere disponibile. Lo Spirito Santo ci fa essere servitori di tutti, ultimi tra tutti, come ha mostrato Gesù con l’esempio e come ci ha proposto con i suoi insegnamenti. Venendo dal Padre e dal Figlio, lo Spirito ci fa essere padri prudenti e fratelli attenti e figli disponibili per tutte le persone, sia quelle che incontriamo occasionalmente, sia quelle che incontriamo ogni giorno in casa nostra. È importante perciò per noi affermare dello Spirito Santo che “procede dal Padre e dal Figlio”. Ricordiamo così di aver ricevuto la capacità di essere gli uni per gli altri padri e figli, e la possibilità di donarci reciprocamente un amore che sa prendere iniziative e un amore che le sa accogliere, un amore che ama e un amore che accetta d’essere amato!


Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato

37.

“Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato”. Anche lo Spirito Santo riceve adorazione e gloria quando adoriamo il Padre e il Figlio! Lo Spirito Santo è Dio insieme al Padre e al Figlio, non può essere disgiunto nè dall’uno nè dall’altro: egli agisce con loro, e con loro riceve la nostra obbedienza e il nostro amore. Noi adoriamo il Padre e adoriamo Gesù. Oggi la parola adorare viene usata frequentemente per esprimere un amore smisurato verso una persona o verso qualche hobby o un’abitudine che gratifica. Noi cristiani l’adoperiamo per esprimere quel particolare atteggiamento di obbedienza, amore e venerazione che rivolgiamo soltanto a Dio. Tutta la Chiesa adora lo Spirito Santo e lo invoca perché venga ad occupare il nostro cuore, a muovere il nostro pensiero verso la benevolenza, la misericordia, la temperanza e la sobrietà, a renderci attenti alle parole del Figlio di Dio, a compiere la volontà che il Padre ci manifesta attraverso di lui. Noi per adorare Dio non usiamo solo le parole di lode e di benedizione, ma anche i gesti, come gli inchini e le genuflessioni o prostrazioni. Ma siamo ovviamente attenti ad accompagnare tali espressioni con una vita nuova, orientata dagli insegnamenti del Signore, altrimenti siamo peggio di quei farisei, che furono rimproverati duramente da lui. Adoriamo Dio “in spirito e verità”: spirito è il respiro, e verità è la manifestazione e rivelazione del Dio nascosto. Adorarlo “in spirito e verità” corrisponde quindi a manifestare l’amore di Dio con la continuità del nostro respiro, con tutto il nostro vivere! Quando adoriamo il Padre e il Figlio lo facciamo grazie allo Spirito Santo che è in noi, e che perciò riceve gloria proprio nel mentre gli permettiamo di trasformarci in amore! Spesso diciamo la preghiera: “Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo”! È una preghiera che non solo unisce nel nostro cuore le tre divine Persone, ma che pure ci impegna ad essere attenti che i nostri pensieri e le nostre opere siano rivelatrici dell’amore fedele di ognuna delle Persone divine e della loro comunione trinitaria!


E ha parlato per mezzo dei profeti

38.

“E ha parlato per mezzo dei profeti”. Lo Spirito Santo non ha una propria voce per far sentire a noi i suoi suggerimenti, e perciò si serve della voce di persone attente alle sue ispirazioni. Queste persone le chiamiamo profeti: uomini dediti a Dio, scelti da lui per dire a tutti o a qualcuno ciò che Dio vuol comunicare o ricordare. Dio sceglie chi vuole, ma notiamo che egli preferisce persone ubbidienti, persone che vogliono ubbidire alla Parola che essi stessi comunicano. Profeta è stato Mosè, che ha ascoltato sul monte la Parola di Dio e l’ha ripetuta poi al popolo. Profeta è stato Elia, che ha ascoltato nel silenzio il sussurro della fede nel vero Dio per comunicarlo con forza. Profeti sono stati molti altri nel popolo d’Israele, che hanno trasmesso parole di rimprovero, di esortazione, di invito alla fede, ma hanno anche compiuto dei gesti, o operato delle scelte significative, idonee a comunicare i messaggi di Dio anche con un linguaggio diverso dalla parola. Tutto questo per preparare il popolo alla venuta e all’accoglienza del Messia. Viene chiamato profeta anche Giona, l’uomo che ha rifiutato la missione di chiamare a conversione una città pagana, Ninive. Questa figura ci dimostra che la Parola di Dio non si lascia condizionare dalla bontà o bravura e santità dell’uomo che l’annuncia: essa può venire anche dalla bocca di un uomo incapace di viverne la misericordia; lo Spirito Santo può servirsi anche di lui. Ultimo dei profeti è Giovanni il Battista, che ha indicato la presenza di Gesù come agnello di Dio e come sposo, la manifestazione cioè dell’amore del Padre al popolo e ai popoli. Dopo Giovanni il significato di profeta è mutato. Gesù è presente e non deve più essere profetizzata la sua venuta. Ora è profeta chi ripete la sua parola, chi aiuta a ricordare e notare la sua presenza di risorto nella vita della Chiesa. Popolo profetico è tutta la Chiesa, che con la sua esistenza animata dallo Spirito Santo continua ad annunciare l’amore del Padre e ripresenta il sacrificio di Gesù Cristo. Quest’aspetto lo affermeremo quando professeremo la fede a proposito della Chiesa. Qui ora diciamo: “e ha parlato per mezzo dei profeti”, dando rilievo a quanto è stato detto per mezzo dei profeti dell’Antica Alleanza.

39.

Ci fermiamo ancora sull’affermazione: “e ha parlato per mezzo dei profeti”. Lo Spirito Santo ha messo in bocca agli uomini la Parola di Dio! Come ha fatto? Che differenza c’è tra il dire che Dio ci ha parlato direttamente e dire che lo Spirito Santo “ha parlato per mezzo di profeti”? Comprendere questo significa comprendere la differenza tra il modo di parlare di Dio come è affermato dall’islam e quello creduto da noi cristiani. L’islam dice che il libro “sacro”, il Corano, è Parola di Dio venuta dal cielo. Il modo di leggerlo perciò deve essere letterale, perché se Dio ha detto così, così è, e ci s’illude di essere capaci di comprendere, senza interpretarlo, il linguaggio usato dagli arabi di millequattrocentoanni fa! Noi invece diciamo che Dio ha parlato tramite i profeti, uomini ispirati dallo Spirito Santo. La Parola che viene dallo Spirito, tramite gli uomini, usa i termini del nostro linguaggio, della nostra cultura, dei nostri problemi e infermità, dei nostri crucci, sofferenze e gioie per far passare quando Dio vuol comunicare. Noi baderemo allo spirito che ha animato i profeti nel parlare, anche se le immagini, parole ed espressioni da essi usate non fanno più parte del nostro bagaglio culturale. Leggeremo perciò ogni pagina della Bibbia rimanendo in quello stesso Spirito di amore a Dio e agli uomini, che hanno avuto gli scrittori di cui Dio si è servito per tradurre in linguaggio umano il suo amore. Per fare un esempio: quando leggo che “il Signore è il mio pastore”, io non penso di essere una pecora, ma che Dio ha cura di me nei minimi particolari, che mi stima grandemente, che non mi abbandonerà mai! Possiamo così ricevere un messaggio da parte di Dio superando l’impedimento che ci potrebbe venire da immagini e abitudini superate, non più presenti nell’attuale mentalità. Nostro impegno è, quindi, abbandonare ogni spirito contrario a quello di Dio, spirito di invidia, di egoismo, d’impurità, di menzogna e di pretesa, di orgoglio e di superiorità per rimanere invece nello Spirito Santo, Spirito di amore paterno e Spirito di amore filiale, Spirito che si offre per obbedire e per creare nuove iniziative di amore: così saremo in grado di comprendere quanto l’amore del Padre e del Figlio ci vuol dire o ci vuol chiedere.


Credo la Chiesa

40.

“Credo la Chiesa”. A questo punto della nostra professione di fede c’è un cambiamento. Non diciamo credo “nella” Chiesa, ma credo “la” Chiesa. Noi diamo la nostra fiducia e affidiamo la nostra vita a Dio soltanto. L’affidiamo al Padre e a Gesù, che è ubbidiente al Padre, e ci affidiamo allo Spirito Santo, che è lo Spirito d’amore sia del Padre che del Figlio. Affidandoci alle tre Persone divine ci sentiamo affidati ad un unico amore, ad un unico Dio che ci purifica, ci redime, ci valorizza e ci accoglie nella sua vita piena. Ora diciamo “credo la Chiesa”: ciò significa che so che Dio agisce nel mondo raccogliendo quelli che accolgono il Figlio Gesù e adoperandoli per trasformare l’umanità. Coloro che vengono raccolti formano la Chiesa. Credo che la Chiesa è opera di Dio, è voluta dal Padre, radunata dal Figlio, animata dallo Spirito Santo! I profeti dell’Antico Testamento hanno affermato che Dio vuole radunare gli uomini di tutti i popoli come un pastore raduna le pecore disperse. Prima che venisse Gesù, Dio non è riuscito a compiere questo suo progetto, perché la sua volontà non è stata compresa dai capi del popolo d’Israele, che avrebbero dovuto realizzarla. L’unità costa fatica e rinuncia, sempre, a tutti, anche ai popoli: proprio per questo non è stata possibile prima e senza Gesù! È lui che, con la sua passione e morte vissuta come offerta d’amore, e con il dono del suo Spirito, apre la possibilità agli uomini di essere uniti. È da lui che sorge la Chiesa come nuovo popolo di Dio, del Dio dell’amore e della misericordia. Gesù comincia con il chiamare i discepoli, scegliere tra essi gli apostoli, formarli con i suoi insegnamenti, donar loro il suo Spirito e radunare attorno a loro tutti quelli che cominciano a credere in lui. Così nasce la Chiesa, strumento di cui Dio vuole servirsi per continuare a portare a tutti i popoli l’annuncio e il dono del suo amore. Gesù ha lasciato insegnamenti preziosi anche riguardo alla Chiesa. Quando ha spezzato i pani per i cinquemila e poi ancora per i quattromila, ha dato i pani stessi ai discepoli da distribuire. Chi vuole il pane di Gesù non lo prende direttamente da lui, ma dalle mani dei suoi discepoli. Comprendiamo così la volontà di Dio: tutti devono rivolgersi alla sua Chiesa se vogliono ricevere i suoi doni, compresa la sua parola. Infatti Gesù disse: “Chi ascolta voi ascolta me”!

41.

“Credo la Chiesa”. Questa affermazione ci mette in contrasto con il pensiero e la pratica di moltissima gente e anche di molti che si dicono cristiani. Quanti si ostinano a dire: «Cristo sì, la Chiesa no»! Noi diciamo: “Credo la Chiesa”. Credo che la Chiesa è opera di Dio, quindi non mi metto contro di essa, per non mettermi contro Dio. Io sono membro della Chiesa da quando sono stato battezzato, e perciò la sento come madre, come luogo dove sono cresciuto nella fede, dove sono stato nutrito, dove sono stato perdonato, dove ho goduto della fatica di molti, dove ho ricevuto l’esempio di santi e sante fedeli al Vangelo, dove ho svolto e sto svolgendo qualche incarico per sostenere la fede e la carità di altri figli di Dio. “Credo la Chiesa”. Quando si parla male di essa, so che sono bestemmie che vengono pronunciate, parole che offendono l’amore e la compassione di Dio. Egli ha istituito la Chiesa sulla morte e sulla risurrezione di Gesù, gli è costata il sangue del Figlio, l’ha impreziosita della luce e della pace del suo Spirito. Egli ha fatto della Chiesa il luogo dove riposa e dove lavora il suo amore, impegnato a raggiungere tutti gli uomini sofferenti: chi soffre perché il peccato ha trovato spazio nel suo cuore, chi soffre malattie, chi l’assenza di significato della propria vita e la mancanza di comunione. La Chiesa è impegnata a donare a tutti l’amore di Dio. Essa è l’edificio in cui Dio vuole raccogliere coloro che nel mondo s’accorgono di essere bisognosi di salvezza. Essi arrivano da tutte le parti, da tutti i popoli, da ogni condizione di vita, e anche da ogni esperienza di peccato. Essi sono in via di conversione, e percorrono i gradini della conversione. Qualcuno di essi è avviato bene, qualcuno ha appena cominciato e sente il peso dei peccati commessi, qualcuno soffre ancora di tentazioni forti che non riesce a vincere sempre. La Chiesa è un popolo dove convivono e collaborano persone sane e malate, anche spiritualmente malate. Se nella Chiesa guardo il peccato degli altri e mi sento orgoglioso di una mia giustizia, faccio soffrire il cuore di Dio. Se invece guardo il mio peccato sento compassione anche per quello degli altri, non faccio lo scandalizzato, e mi impegno per aiutare a camminare e raggiungere l’unico Signore di tutti, Gesù! “Credo la Chiesa”, è dire, «Cristo sì e la Chiesa insieme a lui»!


Credo la Chiesa, una

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“Credo la Chiesa, una”. Dio ha mandato il Figlio unigenito, e questi ha alitato un unico Spirito. La Chiesa non può essere doppia, nè divisa. Gesù ha cercato di farcelo capire in molti modi, quando si è presentato come buon pastore, come vite vera, come vita e verità, come via. Purtroppo il peccato d’orgoglio, presente ancora nei figli di Dio, porta questi a cercare i primi posti, posti d’onore e di comando. Se cercassero solo i posti di servizio, come ci ha comandato Gesù, non ci sarebbero divisioni nella Chiesa. Gesù ha anche pregato con insistenza per l’unità dei suoi discepoli. Dobbiamo dire che questa sua preghiera viene esaudita tutti i giorni dal Padre, perché sono moltissimi i segni di unità nella Chiesa, moltissimi i discepoli disponibili a soffrire pur di mantenere l’unità tra i fedeli. E questo è un motivo di quotidiana riconoscenza a Dio! Ma della preghiera per l’unità c’è ancora e sempre bisogno, e ce ne sarà bisogno finché viviamo in questo mondo, dove il maligno continua a seminare la zizzania. La tunica del Signore, che i soldati non hanno strappato, e la rete che raccoglieva molti grossi pesci, che non si è spezzata, sono immagini che ci fanno comprendere il disegno di Dio: la Chiesa non deve essere divisa. Ma finché c’è il peccato nel mondo ci saranno pure strappi e divisioni anche all’interno dell’unica Chiesa. Sono divisioni che nascono da chi si fa guidare dall’intelligenza che vuole imporre e seguire una propria visione delle cose, o dai sentimenti del cuore, che non accetta di amare fratelli con altre mentalità e abitudini, o dall’avidità, che vuole per sè i beni della terra, o dalla memoria, che non vuole perdonare violenze e ingiustizie dei fratelli. Noi sentiamo la tragicità delle divisioni, proprio perché conosciamo la volontà di Dio e la bellezza dell’unità nella fede e nell’amore. Ci uniamo alla preghiera di Gesù per chiedere al Padre l’unità dei suoi figli e di tutte le Chiese tra loro, e ci uniamo a portare la croce di Gesù, perché soltanto portando la sua croce sarà possibile l’unità tra di noi, credenti in lui! “Credo la Chiesa, una”, è una realtà nell’intenzione di Dio, un desiderio nel nostro cuore, che si dispone al sacrificio e al rinnegamento di sè!

43.

“Credo la Chiesa, una”. È importante questa parola nella professione della nostra fede, perché la Chiesa, con la sua unità, è e deve essere testimone dell’unità di Dio! Dio Padre, Figlio e Spirito Santo sono uno solo, un unico Dio, e così le varie comunità ecclesiali sono un unico ovile del Signore, un’unica famiglia, un unico corpo con molte membra che vive animato dal medesimo Spirito. L’unità è opera e dono di Dio, miracolo continuo, grazia che manifesta l’amore delle Persone divine. Quanto Gesù dice di quell’altra opera di Dio che è l’unità degli sposi nel matrimonio, vale anche per l’unità della Chiesa: “L’uomo non separi ciò che Dio ha congiunto”! Le nostre idee, convinzioni, abitudini, i nostri sogni e progetti, nulla deve spezzare ciò che Dio ha voluto unire. Noi siamo figli dell’unico Dio, discepoli dell’unico Maestro, animati dal medesimo Spirito, dobbiamo testimoniare questa verità. Lo possiamo fare restando uniti anche a costo di soffrire persino ingiustizie, come ci esorta San Paolo. Egli dice che è una vergogna per i cristiani ricorrere ad avvocati e a giudici infedeli per portar avanti litigi tra di loro. “Perché non subire piuttosto l'ingiustizia? Perché non lasciarvi piuttosto privare di ciò che vi appartiene?” (1Cor 6,7). I cristiani pregano ogni giorno dicendo “Venga il tuo regno”, perché desiderano che Dio regni, e poi invece vogliono regnare essi stessi! Diciamo al Padre “Sia fatta la tua volontà”, e poi dividiamo ciò che egli ha congiunto! L’unità della Chiesa è un bene e un dono cui non possiamo rinunciare: possiamo rinunciare a tutte le ricchezze e a tutti i progetti, ma non a questo. Un unico motivo può giustificare la divisione, ed è quando un fratello o un gruppo di fratelli rinnegano la fede o si ribellano al vescovo: da loro ci distanziamo con dolore. “Credo la Chiesa, una”. È un grande e grave impegno che ci assumiamo pronunciando queste parole. Lo facciamo volentieri e con fede, perché sappiamo che il dono dell’unità è la più bella testimonianza che diamo al nostro Dio e il miracolo che egli adopera per convincere gli uomini a credere: “Tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17,21).

44.

“Credo la Chiesa, una”: lungo i secoli molti fattori hanno fatto sì che vari popoli si trovassero in condizioni geografiche, politiche, linguistiche, ideologiche e militari tali da non poter comunicare gli uni con gli altri. In tal modo anche le Chiese presenti in essi hanno percorso un cammino nei secoli senza la possibilità di avere uno scambio reciproco, e si sono credute le uniche al mondo, detentrici della verità, di tutta la verità. Ora viviamo da alcuni decenni la possibilità di comunicare come non mai, e perciò è nata e si è sviluppata anche nelle Chiese la volontà di conoscersi, di scambiarsi reciprocamente le ricchezze di fede e di martirio ricevute dal Signore, di intraprendere un cammino verso un’unità visibile e concreta. Questo cammino non è facile e nemmeno immediato, perché si sono accumulate molte differenze di cultura e di storia, di lingua e quindi anche di comprensione delle verità della fede e di pratica di vita. Ci sono però in tutte le Chiese schiere di testimoni, santi e sante, che ci fanno sentire viva, nonostante tutto, l’unità, dono dello Spirito Santo! Considerando la vita di questi santi possiamo notare che è proprio l’amore vivo a Gesù che fa di tutti uno solo: con loro sentiamo forte l’unità, dono dello Spirito Santo! E perciò comprendiamo che il nostro impegno per l’unità delle Chiese coincide con quello di vivere la santità senza sconti, senza annacquamenti, con gioia e decisione! Le Chiese, per le quali preghiamo in modo da raggiungere un’unità più piena, sono la copta (Egitto), l’etiopica (Etiopia), l’armena, la siriaca, quella bizantina-ortodossa (tutto l’Oriente compresa Russia e repubbliche annesse) e altre ancora. Da queste Chiese alcune comunità hanno già cercato la piena unità con il Vescovo di Roma, pur mantenendo le loro tipiche forme di preghiera e di celebrazione dei sacramenti. Esiste perciò una chiesa copto-cattolica, armeno cattolica, siro-cattolica, malancarese in India, ecc. oltre alla chiesa caldea (Iraq), malabarese (India), maronita (Libano), che sono unite con la Chiesa cattolica romana. La Chiesa è una nel cuore di Dio, ma soffre di tensioni e divisioni qui sulla terra. Saranno del tutto “una” alla fine dei tempi, quando Gesù ci presenterà al Padre!


santa

45.

“Credo la Chiesa… santa”. Un altro attributo della Chiesa è quello stesso di Dio, il solo santo! Abbiamo visto il significato di questa parola quando parlammo dello Spirito Santo. Essendo la Chiesa opera dello Spirito di Dio, anch’essa gode di questa qualifica e della chiamata a manifestare agli uomini la santità di Dio. La Chiesa è santa perché in essa è presente Gesù, il Figlio di Dio, e perché è guidata dallo Spirito Santo. È santa perché in essa molti uomini ricevono lo Spirito Santo, e ne diffondono la consolazione, la gioia, la forza, la bontà! Essa è santa, perciò, anche se raccoglie in unità e in obbedienza a Dio uomini peccatori. La loro presenza nella Chiesa non diminuisce la sua santità, anzi, possiamo dire che le dà l’occasione di manifestarla accogliendoli, amandoli, perdonandoli, facendoli crescere con pazienza verso la statura del Figlio di Dio! Chi guarda solo gli uomini trae la conclusione che la Chiesa è solo peccatrice, ma chi guarda il volto e la mano di Dio ne va fiero, e lo ringrazia di averlo reso figlio della Chiesa stessa. Nessuno di noi può accusare la Chiesa di peccato, perché questo è dei singoli membri. E finché io sono e sarò peccatore non posso vantarmi al di sopra degli altri membri della Chiesa, nè pretendere che essi siano senza peccato, ma posso pregare sia per me che per gli altri perché siamo perdonati. La Chiesa, come il paradiso, raccoglie una folla di peccatori perdonati, perdonati e amati da Dio! Non dobbiamo lasciarci impressionare da chi continua a criticare la Chiesa per il fatto che in essa ci sono preti e vescovi antipatici e peccatori. Accettiamo questa critica perché nella Chiesa ci sto io, che sono davvero peccatore, ma continuiamo ad amarla, perché da essa, e solo da essa, possiamo essere perdonati! Le azioni principali della Chiesa sono appunto i santi Sacramenti, che mettono gli uomini a contatto con la santità e la potenza di Dio. Quando Gesù ha sfamato i cinquemila con i cinque pani e i quattromila con i sette pani, non ha offerto il pane direttamente a nessuna delle persone affamate e sedute in attesa sull’erba. Egli ha dato agli apostoli i pezzi di pane perché li distribuissero. Il pane di Gesù era nelle mani di Pietro e di Giovanni, di Giacomo e di Bartolomeo, di Tommaso e di Giuda. Non c’erano alternative, e nemmeno oggi c’è altra possibilità: nessuno può vedersela da solo con Dio, nessuno può dire «Cristo sì, la Chiesa no». Quel tale si condannerebbe a rimanere senza il pane che lo nutre e lo unisce alla schiera dei credenti e a Gesù stesso. Cristo è il capo della Chiesa, non lo trovi altrove! Per questo la Chiesa è santa!

46.

“Credo la Chiesa… santa”: Dato che la Chiesa è santa, anche quanto essa compie porta l’impronta e l’efficacia della santità. In particolare alcune azioni della Chiesa, compiute in obbedienza al Signore Gesù, sono sante e santificano. Sto pensando ai santi Sacramenti, con i quali la Chiesa esprime e comunica l’amore fedele del Padre. Il Battesimo immerge l’uomo nella vita di Dio, nella sua perfezione d’amore. La Confermazione lo consacra e lo santifica rendendolo testimone della novità di vita. L’Eucaristia nutre il fedele dell’amore con cui Gesù si è offerto al Padre fino alla morte, e la Confessione gli restituisce, dopo il peccato, la comunione con Dio e con i fratelli nella comunità. L’Unzione degli infermi santifica la sofferenza delle malattie del corpo e le unisce a quelle offerte dal Signore Gesù sulla croce per la salvezza del mondo. Il sacramento dell’Ordine sacro conferisce all’uomo l’autorità divina perché la Chiesa possa compiere ciò che Dio compie per i suoi figli. E il sacramento del Matrimonio santifica l’amore umano dei coniugi per renderlo segno efficace dell’amore divino, di modo che la famiglia sia santa e luogo di santificazione. La santità della Chiesa si riflette nella santità della famiglia, che diventa il luogo privilegiato dell’azione di Dio: qui i figli vengono preparati a conoscere la paternità di Dio e a vivere in comunione con il Figlio obbediente; gli sposi, con il loro amore fedele, manifestano a tutti la fedeltà dell’amore di Gesù, che per essere fedele è pronto a portare la croce.

La santità della Chiesa viene comunicata a tutti i suoi figli in gradi e con sfumature diverse, che rendono la Chiesa stessa come un mazzo di fiori variopinto. Il momento in cui la sua santità si manifesta del tutto è quando essa viene perseguitata e soffre violenza, quando il mondo tenta di impedirle di essere fedele a Gesù e di esercitare l’amore che i cristiani vogliono offrire a tutti. In quei momenti diremo con gioia e fierezza: Credo la Chiesa “santa”!


cattolica

47.

“Credo la Chiesa… cattolica”. «Cattolico» significa universale, «su tutta la terra». La Chiesa è cattolica perché può raccogliere attorno a Gesù uomini di ogni popolo e nazione, di ogni lingua e di ogni razza umana presente sul pianeta. Gesù ha mandato i suoi apostoli a tutte le genti: lo ha detto e lo ha lasciato capire quando ha mandato i settantadue discepoli ad annunciare la venuta del Regno di Dio; erano settantadue, come i popoli elencati nella Bibbia al tempo di Noè! E l’apostolo Giovanni pure annuncia questa verità con l’immagine della rete che, gettata in obbedienza a Gesù risorto, ha raccolto centocinquantatre grossi pesci senza rompersi. Era il numero dei popoli conosciuti in quel periodo storico. La Chiesa è cattolica perché il suo capo, Gesù, è stato mandato dal Padre ed è venuto per tutti. Il vangelo secondo Matteo si conclude proprio con il comando dato dal Signore ai suoi apostoli: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo”. Egli ama davvero tutti gli uomini, e tutti possono accogliere il suo amore e rispondere ad esso, possono ricevere da lui lo Spirito Santo, che è Spirito di comunione, e quindi possono lasciarsi riunire nella Chiesa, luogo di fraternità e di vita. La Chiesa è perciò “cattolica”!

Da qualche secolo questa parola viene usata per designare la Chiesa che vive in piena comunione e obbedienza al vescovo di Roma, Patriarca dell’Occidente, il papa, per distinguerla dai cristiani e dalle chiese che non gli riconoscono alcuna autorità su di loro. Noi crediamo che tutti gli uomini sono chiamati da Dio a far parte della Chiesa “cattolica”, cioè dell’ovile che Gesù ha voluto fosse unico, del suo Corpo che è uno solo, e dell’edificio che il Padre ha fondato su di lui, pietra angolare. Chi non crede e chi, pur credendo in Gesù, non si sente unito alla Chiesa, ha la possibilità, con la grazia di Dio, di arrivare alla fede e alla piena comunione: per questo noi chiamiamo già “fratelli” tutti gli uomini. Essi sono nostri fratelli in Cristo Gesù, o perché già riuniti nell’unica Chiesa, o perché potrebbero esserlo: è la speranza che coltiviamo nel nostro amore per loro, amore missionario!


apostolica

48.

“Credo la Chiesa… apostolica”. Con questo quarto aggettivo, “apostolica”, manifestiamo un’altra caratteristica della Chiesa. Essa è costruita “sul fondamento degli apostoli” (Ef 2,20). La sua origine è la testimonianza che gli apostoli hanno reso a Gesù Cristo stesso, che ha voluto proprio dare i suoi apostoli come guide e maestri a tutti i suoi futuri discepoli. Essi, i dodici apostoli, tutti chiamati per nome nei vangeli, sono quelli cui Gesù ha detto: “Chi ascolta voi ascolta me”, e “chi disprezza voi disprezza me”. Essi hanno avuto l’autorità divina di Gesù, e l’hanno trasmessa a loro volta col segno dell’imposizione delle mani, cioè il Sacramento dell’Ordine Sacro, a quelli che furono e sono i loro successori. In tal modo di generazione in generazione l’autorità del Signore è rimasta e rimarrà presente sulla terra nella Chiesa per aprire ai fedeli la via della salvezza e chiudere le porte a chi vorrebbe ingannare i fedeli. Crediamo che la Chiesa è apostolica perché tutto il suo insegnamento è quello stesso degli apostoli. Lungo i secoli le loro parole e il loro amore per il Signore Gesù Cristo è stato trasmesso fedelmente. Ce ne dà la certezza il costante confronto che la Chiesa ha sempre fatto, e che anche noi continuiamo a fare, con la parola dei profeti e quella che alcuni apostoli stessi o i loro discepoli ci hanno lasciato scritto nei vangeli e nelle lettere. La Chiesa è apostolica, e perciò vive con passione il comando che Gesù ha dato: “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi” (Gv 20,21) e “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura” (Mc 16,15). Essa è dunque missionaria: vuole cioè portare l’amore del Padre in tutti i luoghi del mondo a tutte le genti, che stanno attendendo. Tutte le religioni degli uomini infatti coltivano quei desideri che solo Gesù può soddisfare pienamente!

Noi ci sentiamo al sicuro nella Chiesa, proprio perché è apostolica, perché gode dell’autorità che gli apostoli hanno ricevuto da Gesù stesso. Vogliamo rimanere in essa, fedeli a Gesù e obbedienti alle indicazioni dei pastori che lui ci ha dato e a cui ci ha affidato!


Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati

49.

“Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati”. Abbiamo dichiarato la nostra fede nell’origine divina della Chiesa: in essa siamo entrati attraverso il Battesimo, come attraverso una porta sicura, come attraverso l’unico passaggio che ci introduce alla presenza dell’unico Dio che Gesù ci ha fatto conoscere come Padre! Il battesimo non solo ci introduce a conoscere e amare Dio, ma ci trasmette la sua vita stessa, ci rende partecipi del suo amore, ci fa suoi figli. Questo battesimo, azione che impegna la santità della Chiesa e la sua autorità divina, è l’unico che noi celebriamo. Gli ebrei chiamavano battesimo ogni immersione nell’acqua, praticata per vari motivi attribuendole significati diversi: essi conoscevano perciò più di un battesimo. Noi conosciamo e pratichiamo solo quello che Gesù ci ha trasmesso e ci ha comandato di celebrare. La nostra vita è obbedienza solo a lui, anzi, egli stesso è la nostra vita. Il battesimo che celebriamo è ritornare, insieme a Gesù, al Padre, riducendo, anzi, annullando, la distanza che ci separa da lui, quella distanza maturata con i peccati. Essendo obbedienza a Gesù e unione con lui nello Spirito Santo, il battesimo è perciò perdono dei peccati, eliminazione del loro effetto. I peccati nostri, e quelli dei nostri antenati e della società in cui viviamo, hanno creato degli abissi tra noi e Dio, che permangono tra noi e Gesù. Tali abissi ci distanziano sempre più dal Padre perché ci siamo abituati a vivere molti aspetti della vita in disobbedienza a lui senza nemmeno accorgercene. Il battesimo ci immerge nella vita divina, e, se lo viviamo con un amore filiale e fiducioso così come ci viene insegnato, ci fa iniziare una vita veramente nuova sotto tutti gli aspetti. La sperimenta più facilmente chi viene battezzato da adulto, ma anche chi da adulto ha la grazia di ricominciare la sua vita di credente in qualche gruppo di fedeli che vogliono vivere sul serio il vangelo senza annacquarlo. Essi non finiscono di ringraziare il Signore Gesù, di essere riconoscenti alla Chiesa, di vivere l’impegno di ogni momento come un grazie a Dio che ha loro rinnovato la vita!


Aspetto la risurrezione dei morti

50.

“Aspetto la risurrezione dei morti”. La nostra vita è una continua attesa. Sappiamo infatti che stiamo camminando verso un traguardo, e che questo non può essere la distruzione. Sembra che la morte sia l’ultima vicenda della nostra vita, ma abbiamo troppi segnali che non è così. I sogni e le visioni, che varie persone confidano di avere, di qualche parente o amico defunto, sono segni di una continuità della vita oltre i confini della morte, ma non sono tanto decisivi quanto la Parola di Dio. È su questa che ci appoggiamo per attendere con ferma speranza la risurrezione dei morti. Che cosa comporti questa risurrezione non lo sappiamo: rimane un mistero. San Paolo dice che “si semina corruttibile e risorge incorruttibile; si semina ignobile e risorge glorioso, si semina debole e risorge pieno di forza; si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale” (1Cor 15,42). È un “mistero”, cioè disegno di Dio, che lui conosce; egli ce lo rivela per quel tanto che riusciamo a comprendere, ma noi lo possiamo credere senza dubitare. Viviamo attendendo il compiersi del mistero che per noi è salvezza: Dio infatti non smette il suo amore verso di noi, nemmeno se noi non lo comprendiamo del tutto. I cristiani, grazie a quest’attesa, orientano le scelte della vita in vista della patria futura e tengono viva una speranza che permette loro di superare le sofferenze e portare le croci di questo pellegrinaggio terreno. Molte parabole di Gesù parlano del futuro oltre la morte e ci esortano a vivere nell’attesa. Tutti gli insegnamenti degli apostoli raccolti nelle loro lettere sono appoggiati a questa fede e da essa ricevono forza. San Paolo scrive: “Tutti saremo trasformati, … i morti risorgeranno incorrotti e noi saremo trasformati” (1Cor 15,51s); “La nostra patria invece è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso” (Fil 3,20s). S.Pietro pure afferma: “Carissimi, io vi esorto come stranieri e pellegrini ad astenervi dai desideri della carne che fanno guerra all'anima” (1Pt 2,11). Se non avessimo la certezza della risurrezione, mistero che ci unisce a Gesù risorto, non riusciremmo nemmeno a testimoniare il Signore, anzi, avremmo disprezzo della fedeltà eroica dei numerosissimi martiri di tutti i secoli della storia della Chiesa.


E la vita del mondo che verrà

51.

“E la vita del mondo che verrà”. Durante la celebrazione dell’Eucaristia più volte esprimiamo la nostra fede nella vita futura e il desiderio che essa si avvicini: “Nell’attesa della sua venuta”, “nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro salvatore Gesù Cristo”. Ripetiamo sempre queste parole, parole importanti, che plasmano la nostra vita. Il Signore stesso, quando promette a Pietro e agli altri apostoli il centuplo, aggiunge: “e nel futuro la vita eterna” (Mc 10,31). Ripeto, come per la frase precedente del Credo, che siamo ignoranti, perché la vita futura non la conosciamo, non essendo capaci di comprendere la totalità dell’amore di Dio e quindi il mistero della sua volontà di salvezza per noi. Interviene la nostra fede, per cui possiamo dire: «Io non capisco, io non conosco il futuro, non vedo la vita eterna, ma so che tu ci ami, so che non ci inganni e non prometti nulla che tu non riesca a mantenere; mi affido a te, credo che tu sai ciò che io non posso capire perché è più grande di me»! Il mondo che verrà sarà bello, meraviglioso. L’apostolo Giovanni usa molte immagini nel libro dell’Apocalisse per dirci qualcosa della bellezza di questo mondo che verrà, quando descrive la Gerusalemme celeste che scende dal cielo. A noi basterebbe la promessa che Gesù ha rivolto ai suoi apostoli durante l’ultima cena: “Vado a prepararvi un posto” (Gv 14,2). Il “posto” che Gesù stesso ci prepara non può essere qualcosa di banale, anzi, sarà certamente migliore del meglio che possiamo desiderare! Con questa parola e con lo sguardo rivolto al futuro sigilliamo la professione della nostra fede aggiungendo “Amen”!

L’amen, che ripetiamo molte volte concludendo tutte le preghiere, è un’esclamazione in lingua ebraica. Essa vuole esprimere la sicurezza, la certezza che deriva dalla fedeltà di Dio. Credendo quanto abbiamo professato ad alta voce la nostra vita diventa stabile, il nostro edificio spirituale saldo e sicuro come la casa costruita sulla roccia. Questa parola è quasi un giuramento per confermare quanto asserito prima da ognuno e da tutti insieme. Con sicurezza e con gioia diciamo “Amen” a tutto l’amore che Dio ci ha donato e manifestato!


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Nulla osta: Trento, 19/06/2009, P.Modesto Sartori capp.

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