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NU

5. Avranno rispetto per mio figlio

Marco

 

AVRANNO RISPETTO PER MIO FIGLIO

Marco 10,32 - 13,23

 

Traduzione CEI 2008

Questo è il quinto della serie di sei opuscoli, aiuto alla lettura del Vangelo secondo Marco. Al testo evangelico (traduzione CEI del 2008) viene affiancata una meditazione in forma di preghiera rivolta a Gesù, il Signore risorto che ci rivela se stesso, termine e compimento delle Sacre Scritture, pienezza ed eternità della nostra vita.

Le undici meditazioni potrebbero accompagnarti per sei giorni in un cammino di esercizi spirituali col metodo della Lectio Divina.

Puoi leggere e rileggere adagio il brano del Vangelo, con pace e tranquillità. Una prima lettura della meditazione può aiutarti a fissare l’attenzione sull’una o sull’altra frase del Testo evangelico. Puoi ripetere queste frasi una ad una molte volte, con calma, al ritmo del tuo respiro. Gli antichi Padri paragonavano questa ripetizione al ruminare degli animali, passaggio necessario al cibo per diventare energia vitale.

La Parola, passando e ripassando dalla nostra mente al nostro cuore, continuamente “rimasticata”, ci allieta e ci nutre con ciò che essa contiene. Essa è piena e pregna d’amore, anzi, di Spirito Santo, quello Spirito che fa risplendere sul tuo volto l’immagine e la gloria del Figlio!

Come la spugna, pregna d’acqua, passando sul tavolo, lo bagna e lo pulisce, così la Parola, passando e ripassando, purifica la nostra mente da ogni pensiero mondano, e riempie il nostro cuore dello Spirito del Dio vivente!

 

1. NOI SALIAMO A GERUSALEMME Mc 10,32-45

2. CHIAMATELO! 10,46-52

3. IL SIGNORE NE HA BISOGNO 11,1-11

4. ABBIATE FEDE IN DIO 11,12-26

5. RISPONDETEMI 11,27-33

6. AVRANNO RISPETTO PER MIO FIGLIO 12,1-12

7. PERCHÉ VOLETE METTERMI ALLA PROVA? 12,13-17

8. I MORTI RISORGONO 12,18-27

9. IL SIGNORE NOSTRO DIO È L’UNICO SIGNORE 12,28-34

10. SIEDI ALLA MIA DESTRA 12,35-44

11. VOI BADATE A VOI STESSI 13,1-23

 

1. NOI SALIAMO A GERUSALEMME Mc 10,32-45 

32 Mentre erano sulla strada per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti a loro ed essi erano sgomenti; coloro che lo seguivano erano impauriti. Presi di nuovo in disparte i Dodici, si mise a dire loro quello che stava per accadergli:

33 «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell'uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani;

34 lo derideranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno, e dopo tre giorni risorgerà».

35 Gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo».

36 Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero:

37 «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra».

38 Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo»”.

39 E Gesù disse: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati.

40 Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».

41 Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni.

42 Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. 43 Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore,

44 e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti.

45 Anche il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

1.

Signore Gesù, i tuoi discepoli, stupiti per la decisione con cui tu hai maledetto la ricchezza (10,25) smorzando così il loro desiderio di possederla, sono ora spaventati nel vederti deciso a proseguire verso Gerusalemme. Essi sanno che là, nella città santa, gioia di tutto il popolo, si sta tramando contro di te. La tua impazienza di raggiungere la città di Davide, vanto di tutta la terra, li sgomenta. La paura è nel cuore e sul volto di tutti quelli che camminano con te: tu davanti, essi dietro, tu deciso, essi incerti, quasi costretti, manifestanti malavoglia. I Dodici trasmettono a tutti gli altri la loro paura, che non sanno giustificare, paura inconsapevole, ma reale. Tu stesso, accorgendoti della loro paura ti fermi per permettere loro di raggiungerti e, in disparte, incominci a rivelare loro tutto ciò che ti attende lassù, a Gerusalemme. Già due volte hai detto loro con chiarezza qual è la volontà del Padre per te, ma essi non ti hanno ascoltato con attenzione e hanno subito dimenticato. Per questo, questa terza rivelazione è come fosse la prima. Ora sei vicino, mancano pochi giorni al realizzarsi di quelle Scritture che parlano del tuo sacrificio, e perciò nella tua istruzione abbondi di particolari: il profeta Isaia (53) ti ha istruito, e tu sai che nessuna delle sue parole andrà a vuoto.

Tu, il Figlio dell’uomo, l’uomo vero e degno di essere amato da tutti come un figlio, sarai consegnato: prima ai capi che hanno il potere nel tempio e non sopportano che tu lo sostituisca. Essi infatti ti consegneranno poi agli infedeli: non ti ritengono degno di far parte dell’alleanza del popolo di Dio, ti rifiutano. E i pagani ti copriranno del disprezzo che nutrono per il tuo popolo e per Dio stesso. Finalmente, quando gli uomini non potranno più far nulla, allora Dio interverrà con la sua potenza d’amore: dopo tre giorni ti darà la vita, quella vita che non conoscerà più la morte (Os 6,2).

Quando tu avevi parlato così in Galilea, i tuoi si misero a discutere su chi sarebbe stato il primo, e tu avevi messo davanti a loro un bambino: quello è grande e degno di essere servito!

La tua lezione non è stata compresa, o è stata dimenticata, ha bisogno di ripetizione. Noi abbiamo bisogno che tu continui a ripeterci, Signore Gesù, ciò che dobbiamo imparare per essere davvero discepoli tuoi. Sono troppe le tentazioni ed è forte l’influsso del mondo sul nostro cuore e nella nostra mente!

Ora Giacomo e Giovanni, forti del fatto che tu li hai presi con te in casa di Giairo e sul monte, e del fatto che essi sono tra quelli che tu hai chiamato per primi, hanno delle pretese. Essi vogliono che tu ubbidisca loro per mettere tutti gli altri ai loro piedi. Essi vogliono essere onorati e ubbiditi. Sono certi di avere un diritto che tu non puoi negare: il diritto di essere alla tua destra e alla tua sinistra nella gloria. Non ricordano più il bambino che tu hai abbracciato? Ad essi tu ricordi ancora qual è la tua strada per giungere alla gloria, strada che anch’essi dovranno percorrere: quella di bere il calice e di accettare un battesimo. Il tuo calice è quello dell’amarezza, bevuto dai malvagi (Sal 75,9), quello del castigo di tutti gli uomini (Ger 25,15ss), e il tuo battesimo è quello dell’angoscia della morte tra i flutti che sommergono (Sal 42,8). Tu non rifiuterai né il calice né il battesimo ai due fratelli che ti hanno seguito, anzi, vuoi che essi decidano liberamente di accoglierlo. Quanto però ad un posto di rilievo, come essi vorrebbero, tu non lo prevedi per nessuno, perché tu stesso ti sei svuotato per occupare l’ultimo posto. Chi desidera un posto di rilievo, sia esso desiderato per merito o atteso per anzianità, si mette contro Dio, perché vuole occupare il posto che spetta solo a lui. Nella tua gloria, alla destra e alla sinistra del tuo trono, ci saranno due ladroni (15,27).

Gli altri dieci hanno udito, ma non hanno ascoltato. La loro indignazione verso i due fratelli è segno che sono uguali a loro: anch’essi s’aspettano un posto, anch’essi vantano diritti dimenticando che il loro posto è quello di chi ama, di chi si sottomette perché il suo amore sia perfetto.

Tu, Gesù, sai che i tuoi si fanno condizionare da quanto avviene nel mondo. I regni degli uomini dovranno cedere il posto al regno di Dio. Nei regni degli uomini sta al primo posto la malvagità che opprime: per questo Dio vuole instaurare qui sulla terra il suo regno, dove i più grandi si fanno servitori e dove il primo gode d’essere schiavo.

Tu, proprio tu, Gesù, ti fai schiavo, vendendo te stesso perché noi, molti, siamo riscattati dalla schiavitù del diavolo che ci domina distruggendo ogni forma di amore e di comunione.

Grazie, Gesù, che sei il primo, il primo servitore di noi tutti con l’offerta della tua vita.

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2. CHIAMATELO! 10,46-52

46 E giunsero a Gerico. Mentre partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timeo, Bartimeo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare.

47 Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!».

48 Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».

49 Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». E chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!».

50 Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.

51 Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!».

52 E Gesù gli disse: «Va', la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.

2.

Signore Gesù, con i discepoli impauriti e la folla pure spaventata tu giungi a Gerico, la città che Giosuè abbatté senza usare le armi, solo facendo suonare le trombe attorno alle sue mura sette volte per sette giorni. È una città divenuta dimora dei ricchi, che temono di condividere con i poveri il freddo dell’inverno di Gerusalemme. Qui nessuno ti accoglie, nessuno si cura di te. Proprio mentre ti allontani da questa fredda Gerico, ultima tappa prima della città santa, passi vicino all’unico uomo importante, l’unico che si accorge di te, Bartimeo. Il suo nome, che l’evangelista ripete come un nome che ci porta un messaggio importante, evoca la cultura greca (Timeo è il titolo di uno dei dialoghi di Platone!), cultura che si crede ricca per la sua filosofia, ma che è cieca, incapace di aiutare gli uomini e di salvarli. Bartimeo infatti è cieco, e quindi mendicante: per vivere non può contare su altra risorsa che sulla sensibilità degli altri. Egli stesso, impedito di partecipare alla vita sociale ed economica del popolo, non può fare altro che rimanere seduto a chiedere l’elemosina. E inoltre, vergogna più grande, non può mai leggere la Parola di Dio né per sè né per gli altri.

Il rumore e il vociare di coloro che camminano con te raggiunge Bartimeo, che ha già posto in te ogni sua speranza. Gli hanno riferito il tuo nome e la tua provenienza da Nazaret, ed egli ha capito e creduto. Con tutta la sua voce ti chiama per nome e ti supplica. Egli fa risuonare la sua fede gridando: “Figlio di Davide”. Senza vederti egli annuncia la tua regalità, quella regalità messianica che ha spaventato Erode, ma che fa gioire il popolo. Il suo gridare è udito da tutti, così il tuo nome, accompagnato dal titolo messianico e dall’invocazione dell’aiuto divino, arriva agli orecchi di chi nemmeno sa che può aver bisogno di te. Egli è un mendicante, e perciò tutti pensano che egli desideri da te un’elemosina. Molti perciò lo fanno tacere, rimproverandolo. Essi ritengono che non si possa chiedere l’elemosina a te, che tu non debba vedere in una città ricca la povertà, la miseria sull’uscio degli spreconi. Inoltre essi hanno paura, giudicano pericoloso per tutti il fatto che anche solo un miserabile ti attribuisca un titolo messianico qui, dove Erode passa il tempo a gozzovigliare in una delle sue residenze. Tutti infatti hanno vivo il ricordo della sorte di Giovanni. Inoltre non sembra ammissibile che un mendicante voglia la tua attenzione, Gesù, mentre sei così deciso a continuare il cammino verso Gerusalemme. Vari sono i motivi che possono essere addotti per ritenere doveroso far tacere il presuntuoso o incauto Bartimeo.

Il figlio di Timeo sa che, se tu passi senza vederlo, egli rimarrà sempre cieco e sempre mendicante, senza uno scopo e senza una meta per la sua vita. Egli è inutile, nonostante porti un nome reso famoso dagli scritti di Platone, ritenuto grande dagli uomini che vagano a tentoni nel mare delle credenze umane. Egli perciò continua a gridare il tuo nome, ancora più forte, affinché tu lo veda. Sei tu, Gesù, che poco prima avevi insegnato che i piccoli sono grandi, e che è vera grandezza servirli. Ti fermi, perciò, obbligando tutti a fermarsi. È bello vedere che tu non vai verso il cieco, ma a quelli stessi che lo sgridavano chiedi di umiliarsi, di farlo venire a te, di condurtelo per mano. Sono essi i ciechi che non vedono chi è veramente degno di attenzione, e i sordi che non hanno ascoltato i tuoi insegnamenti e perciò non hanno udito nemmeno l’importanza del grido di Bartimeo.

Chiamandolo, essi gli donano le tue parole: la parola del coraggio, quella con cui hai dato speranza ai discepoli disperati sul mare in tempesta; la parola della risurrezione, con cui hai ridato vita alla dodicenne figlia di Giairo; e la parola che lo autorizza a camminare insieme a te, dietro a te!

Bartimeo esulta e manifesta la sua fede. Anzitutto butta il mantello, la sua unica sicurezza, la sua proprietà: anche i tuoi discepoli avevano lasciato con prontezza e con gioia la barca e la rete. Egli dà un taglio netto al suo passato: sa che con te inizia una vita nuova, la vera vita, quella che né il suo nome né il denaro raccolto poteva dargli. Egli viene a te presentandosi non in veste di mendicante, ma nella veste di uno che è pronto a ciò che tu gli chiederai. E tu anzitutto gli chiedi di esprimere davanti a tutti la sua richiesta. Così sappiamo che egli non sperava da te un’elemosina, come da tutti gli altri uomini, ma la luce per una vita nuova. La sua richiesta manifesta la sua fede in te, qualunque cosa tu faccia e dovunque tu sia diretto. Egli ti ama come suo maestro, come colui che può orientare tutta la sua vita.

Tu, Gesù, accogli il suo amore e la sua fede, fede che lo salva. Quell’uomo ha accolto te, e perciò possiede ormai vita eterna. Egli ti vede e può camminare dietro a te. Dietro a te egli cammina con decisione e con gioia, trascinando i tuoi discepoli e quella folla formata da uomini ancora impauriti e sgomenti: il cieco infatti non ha paura di venire con te a Gerusalemme: egli sa e vede che tu sei la vita!

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3. IL SIGNORE NE HA BISOGNO 11,1-11

1 Quando furono vicini a Gerusalemme, verso Bètfage e Betània, presso il monte degli Ulivi, mandò due dei suoi discepoli

2 e disse loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito, entrando in esso, troverete un puledro legato, sul quale nessuno è ancora salito. Slegatelo e portatelo qui.

3 E se qualcuno vi dirà: Perché fate questo?, rispondete: Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito».

4 Essi andarono e trovarono un puledro legato vicino a una porta, fuori sulla strada, e lo slegarono.

5 Alcuni dei presenti dissero loro: «Perché slegate questo puledro?».

6 Ed essi risposero loro come aveva detto Gesù. E li lasciarono fare.

7 Portarono il puledro da Gesù, vi gettarono sopra i loro mantelli ed egli vi salì sopra.

8 Molti stendevano i propri mantelli sulla strada, altri invece delle fronde, tagliate nei campi.

9 Quelli che precedevano, e quelli che seguivano, gridavano:

«Osanna!

Benedetto colui che viene nel nome del Signore!

10 Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide!

Osanna nel più alto dei cieli!».

11 Ed entrò a Gerusalemme, nel tempio. E dopo aver guardato ogni cosa attorno, essendo ormai l'ora tarda, uscì con i Dodici verso Betània.

3.

Signore Gesù, hai attraversato il deserto salendo da Gerico, e ora, quasi al tramonto del sole, sei vicino alla città santa. Con te ci sono i discepoli, la folla e quel Bartimeo che a voce alta ti ha chiamato “Figlio di Davide”. I villaggi che si incontrano prima della città hanno nomi significativi, neanche a farlo apposta: Betfage, «casa dei fichi acerbi», e Betania, «casa del povero afflitto»: nomi profetici per te, che non troverai Gerusalemme pronta ad accoglierti, e dovrai uscire da essa tradito e afflitto, come Davide quando fu costretto a fuggire a causa delle trame di suo figlio Assalonne (2Sam 15,30). Qui sei sul monte, luogo di manifestazione di Dio e del suo amore. È il monte degli Ulivi, che dai profeti (Zc 14,4ss) è annunciato come il luogo sul quale il Messia si prepara per celebrare la sua regalità su tutta la terra. E tu davvero prepari con cura il tuo ingresso nella città, come preparerai l’altro ingresso per celebrarvi la Pasqua (14,12). Mandi due discepoli come per una missione importante. Tutto è davvero importante, perché ogni gesto ed ogni azione manifesterà chi tu sei, e quindi come tutto il mondo deve accoglierti. Entrando nel villaggio di fronte, i due inviati trovano davvero l’asinello legato. È legato come l’asinello di cui parlò Giacobbe a suo figlio Giuda, dalla cui discendenza viene colui “cui è dovuta l’obbedienza dei popoli” (Gn 49,10). Tu, e soltanto tu, puoi slegare l’asinello, perché sei tu colui che viene a regnare con lo “scettro e con il bastone del comando”. Quel puledro è «nuovo», non ha mai portato nessuno. Esso perciò può essere consacrato a Dio e di esso può servirsi il re per la cerimonia d’intronizzazione. È la cavalcatura di dei familiari di Davide (2Sam 16,2), il re ubbidiente alla legge che vieta l’uso del cavallo, la cavalcatura dei dominatori (Dt 17,16). Questo fu importato dalle regioni pagane da Salomone (1Re 10,26), quando già aveva iniziato a vivere una vita di disobbedienza al suo Dio.

Gesù, dici tutto ciò che succederà ai due discepoli inviati: la tua Parola si avvererà. Essi, e noi con loro, saremo pronti così a donare fiducia a te anche quando percorrerai la via come un maledetto dagli uomini. Tu sai tutto, tu conosci che cosa Dio ha preparato per te, e perciò ti rimarremo fedeli anche nell’afflizione. Tu sai pure cosa diranno gli uomini quando vedranno i discepoli ubbidire a te e sai cosa essi dovranno annunciare: “Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito”. Sì, hanno capito bene, tu sei “il Signore”. Essi non ti hanno mai chiamato così, ma ora sul monte devono sapere che tu sei il Signore, colui cui tutti i popoli devono ubbidire. Su questo monte ti riveli, Gesù, come il Signore, e ti nascondi subito nella nube dell’umiltà, seduto sul giumento dei poveri e dei servi. Ma anche l’asinello serve a rivelarti: di esso hai bisogno per dire che sei l’atteso, colui di cui i profeti hanno parlato (Zc 9,9), sei il re, come ha gridato Bartimeo, il re che usa la cavalcatura di suo padre Davide, sei il re che ha il diritto di usare i beni dei suoi sudditi, ma senza privarli di ciò che ad essi appartiene: infatti rimanderai presto il puledro ai suoi padroni.

Sull’asinello ci sono ora i mantelli dei discepoli e per terra un tappeto di mantelli e di fronde: c’è gioia, c’è la certezza che tu sei colui che viene perché mandato da Dio, il Dio che salva il suo popolo e i suoi poveri.

Il canto che i pellegrini ogni anno fanno risuonare sul monte degli Ulivi, come profezia di salvezza, ora si avvera (Sal 118). Finalmente arrivi tu, pellegrino, al luogo ove compirai l’attesa di tutti i pellegrini, il sacrificio che li salva, l’offerta di riscatto che li libera da ogni schiavitù. È bello, Gesù, sentirti acclamato e vedere che tu accetti l’acclamazione. Tutti sanno ora che sei il Messia, il re del regno che viene, quello annunciato già a Davide (Is 9,6; Lc 1,33): tu solo però sai come la salvezza si realizzerà! Acclamano “Osanna”, invocando salvezza, e tu tieni nascosto nel cuore il dolore per il prezzo che dovrai versare per quella salvezza. Ai discepoli l’hai già rivelato tre volte, ma essi tre volte l’hanno dimenticato. Con questa sofferenza nascosta varchi la porta della città, e subito, sceso dall’asino, quella del tempio. Finalmente sei nella casa del Padre.

Il tuo sguardo è attento: tu vuoi vedere i segni dell’amore di Dio e vuoi vedere come il luogo santo è trattato con onore e amore, vuoi vedere se Dio è amato in modo che sia conosciuto da tutti i pellegrini come il Dio Padre dei poveri e dei sofferenti. Il tuo sguardo è un sole che illumina tutto, ora che il sole sta per tramontare e lascia scendere la notte. Il tuo sguardo è l’unico sguardo che vede e giudica, è lo sguardo del re che dev’essere temuto da quelli che non lo amano.

Perché, Gesù, al sopraggiungere della notte, con i discepoli esci dalla città? Chi cerca sicurezza, di notte entra nella città. Tu invece esci. Tu non ti affidi agli uomini, ma al Padre. Quelli che ti hanno accompagnato hanno cantato: “È meglio rifugiarsi nel Signore che confidare nei potenti” (118,9). Gli uomini attendono la notte per tenderti tranelli, perciò tu ti allontani dalle loro false sicurezze.

Gesù, osanna! Salva anche me, adoperami come hai adoperato l’asinello slegato, giudicami con il tuo amore.

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4. ABBIATE FEDE IN DIO 11,12-26

12 La mattina seguente, mentre uscivano da Betània, ebbe fame.

13 Avendo visto di lontano un albero di fichi che aveva delle foglie, si avvicinò per vedere se per caso vi trovasse qualcosa ma, quando vi giunse vicino, non trovò altro che foglie. Non era infatti la stagione dei fichi. 14 Rivolto all'albero, disse: «Nessuno mai più in eterno mangi i tuoi frutti!». E i suoi discepoli l'udirono.

15 Giunsero a Gerusalemme. Entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano e quelli che compravano nel tempio; rovesciò i tavoli dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombe

16 e non permetteva che si trasportassero cose attraverso il tempio.

17 E insegnava loro dicendo: «Non sta forse scritto:

“La mia casa sarà chiamata

casa di preghiera per tutte le nazioni”?

Voi invece ne avete fatto un covo di ladri!».

18 Lo udirono i capi dei sacerdoti e gli scribi e cercavano il modo di farlo morire. Avevano infatti paura di lui, perché tutta la folla era stupita del suo insegnamento.

19 Quando venne la sera, uscirono fuori dalla città.

20 La mattina seguente, passando, videro l'albero di fichi seccato fin dalle radici. 21 Pietro si ricordò e gli disse: «Maestro, guarda: l'albero di fichi che hai maledetto è seccato». 22 Rispose loro Gesù: «Abbiate fede in Dio! 23 In verità io vi dico: se uno dicesse a questo monte: “Lèvati e gèttati nel mare”, senza dubitare in cuor suo, ma credendo che quanto dice avviene, ciò gli avverrà. 24 Per questo vi dico: tutto quello che chiederete nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi accadrà. 25 Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi le vostre colpe». [26].

4.

Hai trascorso la notte a Betania, Signore Gesù. Quel villaggio è per te e per i tuoi discepoli un luogo accogliente, un luogo che ti permette di andare ogni giorno al tempio, la casa del Padre tuo. Lungo il cammino ti coglie la fame, come altre volte ti ha colto la sete. Perché ti rivolgi ad una pianta di fichi in questa stagione in cui sai che queste piante non danno frutti? Certamente tu vuoi che vedano e odano i tuoi discepoli. Ad essi devi dare un insegnamento perché comprendano quello che farai a Gerusalemme. Tu agisci come i profeti, che parlarono con gesti strani per attirare l’attenzione, soprattutto quando dovevano rimproverare il popolo o i suoi capi per i comportamenti disobbedienti o idolatri. Geremia aveva spezzato il vaso (19,1-10s) così da non poterlo più aggiustare, per avvisare gli anziani e i sacerdoti della gravità delle idolatrie commesse. Ezechiele era uscito da una breccia praticata nelle mura per mostrare al popolo la sorte cui sarebbe andato incontro, esilio e deportazione (12,1-11). Tu ora parli ad un fico carico di foglie e lo condanni a non portare più frutti in eterno, ad essere albero inutile. Che cosa volevi annunciare ai tuoi discepoli attenti? Avevi un rimprovero per loro? Il fico, come la vite, è simbolo del popolo d’Israele, anzi, delle persone più in vista in mezzo al popolo, come l’albero si alza imponente su tutte le viti nella vigna.

Sono i capi d’Israele: tu li vedi ormai inutili, e lo saranno per sempre, perché non sanno e non vogliono che il tempio di Dio sia il luogo dove tutti, anche i pagani, possano incontrare il Padre. Tu l’avevi già visto con lo sguardo con cui avevi esaminato tutta la situazione al tuo primo arrivo nel tempio. I tuoi discepoli sono così aiutati a comprendere ciò che farai nel luogo sacro.

Anche oggi tu sei colui che viene, e vieni a Gerusalemme ed entri nel tempio. Qui lo spazio più ampio è quello riservato ai pagani, i «gentili», perché anch’essi conoscano il Dio dell’alleanza, imparino ad avvicinarsi a lui, ad amarlo, a conoscere la sua legge e la sua volontà, ad attendere il suo Inviato promesso. Tu sai che già i profeti avevano riservato il cortile dei “gentili” alla preghiera di tutte le nazioni (Is 56,7). Tu sai che anche Neemia aveva fatto gettar fuori oggetti che non erano destinati al culto (13,7-9), e perciò, a maggior ragione tu puoi agire, per liberare lo spazio della preghiera, l’unico in cui anche i pagani possono incontrare la misericordia di Dio, da tutto ciò che ne fa invece un mercato, luogo non esente quindi nemmeno dagli inganni e dalle menzogne di cui il commercio abitualmente si serve: covo di ladri!

Tu agisci con sicurezza, perché anche Geremia ti autorizza quando dice: “Forse per voi è un covo di ladri questo tempio sul quale è invocato il mio nome?”; “vi scaccerò dalla mia presenza” (7,9-12.15). Tu scacci chi vende, e anche chi compra. Non è questo il luogo per tali azioni che danno spazio allo spirito del guadagno e dell’egoismo nel luogo dell’amore, allo sfruttamento dei poveri, al trambusto e a riempire l’aria di numeri e di menzogna anziché della lode di Dio. Anche i cambiamonete si sono piazzati là, cosicché il denaro, proibito nel tempio perché portatore di immagine idolatra, vi regna sovrano. Il cortile destinato alla preghiera dei “Gentili” serviva persino da scorciatoia a chi doveva attraversare la città: era diventato una strada qualunque. Tu accompagni i tuoi gesti decisi con l’insegnamento del profeta, insegnamento che avvalora la tua decisione: “La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le nazioni”. Israele dev’essere il popolo che attira tutti i popoli ad invocare il nome del Dio vero, l’unico. Ma se si comporta così, se impedisce ai pagani di pregare l’unico Dio, non realizza il suo scopo e diventa davvero inutile, come la pianta di fichi senza frutti. Il popolo d’Israele, per portare questo frutto non ha stagioni. Ogni momento è tempo adatto ad avvicinare gli uomini a Dio.

Coloro che hanno autorità, che avrebbero dovuto essi stessi fare ciò che tu hai fatto, non sono d’accordo, anzi, decidono la tua morte, come già i farisei e gli erodiani a Cafarnao (3,5). Sono trattenuti dal realizzare la loro decisione solo perché hanno paura del popolo che ti ammira. Tu però, anche questa volta ti allontani da quella città che per te è diventata prigione e trappola.

Ritorni di nuovo sulla stessa strada, e i discepoli vedono ancora l’albero di fichi. Ora è anche senza foglie, ha perso la sua bellezza e maestà, tutta la sua forza di attrazione. È Pietro che ricorda le tue parole e nota che si sono già pienamente avverate. La tua risposta è misteriosa: tu dimentichi l’albero e la tua profezia, ma istruisci i discepoli come se già il tempio non servisse più. Davvero esso non serve più, perché in esso non si coltiva la fede e in esso non si raccoglie il frutto dolce della preghiera.

Ora la fede dev’essere nel cuore di ciascuno dei tuoi discepoli, una fede salda, più salda del monte su cui stanno camminando. Da quella fede crescerà come frutto la preghiera, una preghiera che nutre la vita con le opere che essa ottiene da Dio. E la preghiera dev’essere preghiera da figli che sanno d’avere lo stesso Padre e perciò si perdonano continuamente. Nessuno sarà capace di vivere senza colpa e senza peccato, ma tutti saranno in grado di perdonare. Così la loro unità di figli sarà il tempio vero dove tutti potranno incontrare e gustare l’amore del Padre, tutti, a cominciare da essi stessi, i tuoi discepoli.

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5. RISPONDETEMI 11,27-33

27 Andarono di nuovo a Gerusalemme. E, mentre egli camminava nel tempio, vennero da lui i capi dei sacerdoti, gli scribi e gli anziani e gli dissero:

28 «Con quale autorità fai queste cose? O chi ti ha dato l'autorità di farlo?».

29 Ma Gesù disse loro: «Vi farò una sola domanda. Se mi rispondete, vi dirò con quale autorità faccio questo.

30 Il battesimo di Giovanni veniva dal cielo o dagli uomini? Rispondetemi».

31 Ed essi discutevano fra loro dicendo: «Se diciamo: “Dal cielo”, risponderà: “Perché allora non gli avete creduto?”.

32 Diciamo dunque: “Dagli uomini”?». Ma temevano la folla, perché tutti ritenevano che Giovanni fosse veramente un profeta.

33 Rispondendo a Gesù dissero: «Non lo sappiamo». E Gesù disse loro: «Neanch'io vi dico con quale autorità faccio queste cose».

 

5.

Signore Gesù, la città ti attira. Ogni mattina tu ritorni là, dove sta il tempio, il luogo della Presenza di Dio, luogo dove tutti lo incontrano o dovrebbero poterlo incontrare. Tu sai che quel luogo però è come la pianta di fico, attraente per le foglie, ma inutile, perché non offre quel frutto che sazia e disseta. Tu hai già fatto capire a tutti che quel luogo è diventato covo di ladri: chi vi entra si illude di incontrare Dio, ma non può essere trasformato da lui, perché in quel recinto si imbatte solo nel potere del denaro, proprio come all’esterno di esso.

Nonostante questo tu ritorni là: il Figlio deve stare nella casa del Padre, fino a quando non ne sarà scacciato.

Nel tempio, in cui ancora sembrano risuonare le parole dei profeti che hai proclamato il mattino precedente, ecco che ti incontrano tutti i rappresentanti del Gran Sinedrio. Essi hanno trovato il tempo per mettersi d’accordo a dedicare questo incontro, formale e pubblico, con cui porre le basi, plausibili per tutti, della tua condanna già decisa da loro.

Come già in Galilea (3,2.6) tu ti accorgi di trovarti di fronte a nemici. Ma i nemici tuoi sono nemici di Dio. In Galilea avevi potuto compiere molti segni a testimonianza della tua autorità divina, perché le folle ti seguivano e ti portavano i malati e gli indemoniati. Qui nessuno ha fede in te e nessuno ti dà l’occasione di manifestarti. Qui, a Gerusalemme, hanno parlato e agito i profeti, quelli la cui parola tu hai fatto risuonare con autorità. Qui a Gerusalemme tutti ricordano le parole e i gesti di Giovanni, perché tutti sono andati ad ascoltarlo nel deserto (1,5) e, facendosi battezzare da lui, a testimoniare la decisione di attendere e di accogliere colui di cui egli diceva: “Viene dopo di me colui che è più forte di me” e che “vi battezzerà in Spirito Santo” (1,7-8).

Tu non ti sei limitato a perdonare i peccati, ma hai scacciato colui che trascina l’uomo nel peccato, il diavolo, Satana, e così hai dimostrato di essere più forte di Giovanni, di essere colui che egli annunciava. Tu hai fatto udire i sordi e parlare i muti e hai aperto gli occhi ai ciechi, come testimonia Bartimeo, venuto con te qui a Gerusalemme. Di te hanno parlato i profeti, e ora coloro che pretendono di avere autorità nel tempio ti si parano davanti per inscenare un processo contro di te, dicendo: “Con quale autorità fai queste cose? O chi ti ha dato l’autorità di farlo?”. Sono essi sordi o smemorati? Non hanno udito che le tue parole sono quelle dei profeti? Sono essi ciechi? Non stanno vedendo Bartimeo dietro di te? Hanno già dimenticato Giovanni? La sua morte per mano di Erode ha reso forse inutile la sua testimonianza?

Tu, Gesù, non dimentichi le opere e gli inviati di Dio. Come ieri ti sei ricordato di Neemia, di Geremia e di Isaia, così oggi ti ricordi di colui che tutti hanno udito e cui tutti hanno creduto, Giovanni. La stessa autorità riconosciuta a lui agisce ora in te. Colui che ha inviato lui ha reso testimonianza a te mentre uscivi dall’acqua al battesimo. Chi riconosce Giovanni può e deve riconoscere te come il Figlio prediletto, che può muoversi con libertà e decisione nella casa del Padre!

Ora sei tu che attendi la risposta da quelle autorità, dimentiche di Dio. Essi, ciascuno di essi, deve rientrare in se stesso per ritrovare la propria posizione di fronte a Giovanni. È una posizione di fede o di rifiuto? È una posizione di verità o di comodo? Giovanni li costringe a mettersi davanti a Dio, perché da lui egli è mandato. Essi lo comprendono. Rimanendo muti, invece di cercare nel proprio cuore la verità, cercano nella propria mente una via di fuga, che permetta loro di non convertirsi, di continuare a trarre profitto dal commercio nel tempio, di atteggiarsi ad autorità insindacabile senza sottomettersi nemmeno all’autorità della Parola di Dio.

La loro risposta è una condanna di se stessi. Essi, che volevano e vogliono accusare e condannare te, dichiarano di non essere all’altezza del proprio compito. Essi, che dovrebbero difendere il popolo e nutrirlo di Parola di Dio, non sanno discernere un’opera tanto importante quanto il battesimo di Giovanni, che ha coinvolto tutti gli abitanti della città e della regione. Il popolo ha saputo orientarsi da se stesso di fronte al tuo precursore: ora dovrà orientarsi davanti a te anche senza e anche contro la posizione che assumeranno questi uomini, che ora dichiarano pubblicamente la propria assoluta incompetenza nelle cose di Dio. È inutile dire loro qualcosa, hanno dichiarato la propria inettitudine e la propria malevola intenzione. Qualunque cosa tu possa dire essi ti interpreterebbero ostilmente. Il tuo silenzio li costringe a ripensare alla propria risposta e a vergognarsi della propria malvagità.

Gesù, è bello vedere che, per farti conoscere, ti appoggi sulla testimonianza di Giovanni con umiltà!

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6. AVRANNO RISPETTO PER MIO FIGLIO 12,1-12

1 Si mise a parlare loro con parabole: «Un uomo piantò una vigna, la circondò con una siepe, scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano.

2 Al momento opportuno mandò un servo dai contadini a ritirare da loro la sua parte del raccolto della vigna.

3 Ma essi lo presero, lo bastonarono e lo mandarono via a mani vuote.

4 Mandò loro di nuovo un altro servo: anche quello lo picchiarono sulla testa e lo insultarono.

5 Ne mandò un altro, e questo lo uccisero; poi molti altri: alcuni li bastonarono, altri li uccisero.

6 Ne aveva ancora uno, un figlio amato; lo inviò loro per ultimo, dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”.

7 Ma quei contadini dissero tra di loro: “Costui è l'erede. Su, uccidiamolo e l'eredità sarà nostra!”.

8 Lo presero, lo uccisero e lo gettarono fuori della vigna.

9 Che cosa farà dunque il padrone della vigna? Verrà e farà morire i contadini e darà la vigna ad altri.

10 Non avete letto questa Scrittura:

La pietra che i costruttori hanno scartata

è diventata la pietra d'angolo;

11 questo è stato fatto dal Signore

ed è una meraviglia ai nostri occhi?».

12 E cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla; avevano capito infatti che aveva detto quella parabola contro di loro.

Lo lasciarono e se ne andarono.

 

Signore Gesù, quelli che non hanno voluto esprimersi riguardo a Giovanni sono ancora davanti a te. Essi hanno taciuto per paura della gente, ma tu non hai paura di loro. In ogni caso tu vuoi dare la risposta alle loro domande riguardo la tua autorità e riguardo colui che ti ha inviato. Questa risposta sarà utile per loro per riconoscere la propria posizione di distanza da Dio.

È bello udire parabole dalla tua bocca, perché ricche di sapienza e di luce. Per quella che racconti ora ti servi di immagini note e amate da tutti e perciò tutti possono comprenderne il significato e lo scopo.

Il popolo d’Israele è la vigna ben curata e custodita, piantata da Dio stesso, come dice Isaia (5,1-7; Sal 80,9ss). Tu aggiungi che è stata affidata a dei contadini perché la coltivino. Il padrone ha avuto fiducia di loro, tanto da metterla del tutto nelle loro mani. I capi del popolo che ti ascoltano cominciano a capire che parli di loro. Il loro compito e la loro autorità viene da Dio. Essi però non devono mettersi al suo posto, come padroni. Essi devono rendere conto all’unico Padrone. Questi manda loro uno dopo l’altro tre servi: il primo e il secondo li malmenano e li colpiscono, il terzo lo uccidono. A chi pensi, Gesù? Forse a Mosè e ad Elia, che hanno sofferto molto per il loro compito, e a Giovanni di cui tutti ricordano la morte violenta? Il padrone, tutti capiscono che è Dio: egli aveva mandato molti altri servi, i profeti. Sono essi ad essere chiamati “servi di Dio” (Ger 7,25). Nessuno ha potuto consegnare al padrone frutti della vigna per colpa di quei contadini cui è stata accordata piena fiducia. Ora, Gesù, parlando di Dio, ci vuoi mostrare tutto il suo amore per la vigna e per i contadini.

Il padrone della vigna ha ancora uno da mandare, e questi è il suo figlio amato. Egli lo manda, ma non con l’intenzione di mandarlo a morire. Il Padre, nonostante abbia avuto prova solo di egoismo malvagio da parte dei responsabili della vigna, tuttavia ha ancora speranza che nel loro cuore ci sia amore per lui: non può pensare altrimenti. Egli compie quindi anche quest’ultimo tentativo. È proprio l’ultima possibilità perché gli mostrino amore e riconoscenza.

Il figlio che manda è l’amato, come Isacco era l’amato di Abramo, pronto al sacrificio (Gen 22,2). I tuoi discepoli, Gesù, sanno che pure di te è stato detto, presente Giovanni, che sei il Figlio amato, e a tre di loro questo è stato confermato sul Monte. Così ti manifesti e rispondi alle domande che ti erano state poste dai capi (28). La tua parabola giunge al culmine. Tutti capiscono che stai parlando di te e di loro, che hanno deciso la tua morte, come i figli di Giacobbe hanno deciso, riguardo al loro fratello Giuseppe, l’amato del padre loro: “Venite, uccidiamolo” (Gen 37,20). Essi, i capi, membri del Sinedrio, hanno deciso di farti perire e per questo si erano radunati. Sei tu colui che, per loro decisione, deve morire. Ecco la risposta alle domande con cui essi volevano che tu pronunciassi la tua stessa condanna: Tu sei il Figlio di Dio. Da qui la tua autorità, e Dio è colui che ti ha mandato per vedere cosa essi fanno e chiedere come frutto della vigna l’accoglienza di te. Ora tu dici loro cosa essi hanno programmato di fare e faranno. Ai discepoli l’avevi già rivelato. “Lo presero, lo uccisero e lo gettarono fuori della vigna”.

Tu pronunci ora la condanna di quei contadini, cioè la condanna dei capi. Il giudizio si rivolge contro di loro.

A prima vista sembra che la vittoria sia della morte: il Figlio amato ucciso e uccisi tutti i contadini. Non c’è alcun futuro? Il padrone della vigna non si arrende, a lui sta molto a cuore la vigna e continua a prendersene cura, non l’abbandona: “Darà la vigna ad altri”. Il futuro c’è, ma senza di loro.

Tu continui a parlare, Gesù, riprendendo quel salmo con cui sei stato accolto al tuo arrivo a Gerusalemme, seduto sull’asino adorno di poveri mantelli. Esso canta l’azione sorprendente, inaspettata, di Dio: La pietra scartata dai costruttori viene presa e usata come pietra d’angolo. Costruttori di Gerusalemme si ritengono coloro che ti vogliono eliminare. Ciò che essi fanno non viene ratificato da Dio, che invece prende proprio colui che è buttato fuori per iniziare a costruire il suo edificio solido e stabile. Ai discepoli avevi parlato di risurrezione dai morti: qui ora parli di meraviglia fatta dal Signore (1Pt 2,6-7; Rom 9,33)! Ed è una meraviglia davvero inaudita: “Si meraviglieranno di lui molte nazioni; i re davanti a lui si chiuderanno la bocca, perché vedranno un fatto mai ad essi raccontato e comprenderanno ciò che mai avevano udito” (Is 52,15). La meraviglia è la tua risurrezione: il rifiuto degli uomini diventa occasione, nelle mani di Dio, per manifestare la sua onnipotenza d’amore con la tua esaltazione.

Signore Gesù, unico Figlio amato, voglio accoglierti. Non posso più accoglierti prima che tu venga ucciso, ti accolgo risorto per lasciarmi portare da te nel tuo edificio, o Pietra angolare!

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7. PERCHÉ VOLETE METTERMI ALLA PROVA? 12,13-17

13 Mandarono da lui alcuni farisei ed erodiani per coglierlo in fallo nel discorso.

14 Vennero e gli dissero: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno ma insegni la via di Dio secondo verità. È lecito o no pagare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare, o no?».

15 Ma egli, conoscendo la loro ipocrisia, disse: «Perché volete mettermi alla prova? Portatemi un denaro, voglio vederlo».

16 Ed essi glielo portarono. Allora disse loro: «Questa immagine e l'iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare».

17 Gesù disse loro: «Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare e quello che è di Dio, a Dio». E rimasero ammirati di lui.

 

7.

Signore Gesù, i membri del Sinedrio vorrebbero catturarti, ma per poterlo fare senza pericolo devono prima screditarti di fronte alla folla, che ti ammira. Dopo aver udito la parabola della vigna non si danno per vinti e non pensano nemmeno a convertirsi. Essi mettono d’accordo due partiti tra loro avversi, perché insieme ti tendano un tranello efficace e sicuro, i farisei e gli erodiani, che già in Galilea (3,6) avevano trovato un’intesa sulla necessità di eliminarti. Ora essi si sono accordati di farti parlare proprio sull’argomento che maggiormente li divide. Così la tua risposta sarà occasione per loro infallibile o di condannarti o di farti perdere la stima della gente.

Eccoli, arrivano. Tu sei ancora nell’area del tempio. Il loro parlare copre le benedizioni a Dio della liturgia e si mescola al profumo degli incensi. Ti chiamano “Maestro”, essi che hanno sempre contestato la tua autorità. E ti lodano con lodi precise. È vero che tu sei veritiero e che non dimostri soggezione davanti ad alcuno e non guardi in faccia nessuno e che insegni la via di Dio secondo verità. A queste lodi essi stessi non credono. Tu t’accorgi della loro menzogna dal tono adulatorio della voce con cui si rivolgono a te. Essi affermano che tu conosci la verità, ma non si pongono con umiltà alla tua scuola. Vogliono nascondere, dentro frasi religiose e pie, la loro malvagia intenzione.

Tu, Gesù, non sei ingenuo. Non occorre che qualcuno ti dica di stare attento. Sai che il malvagio, “più untuosa del burro è la sua bocca, ma nel cuore ha la guerra, più fluide dell’olio le sue parole, ma sono spade sguainate” (Sal 55,22).

Essi ti fanno due domande, la prima, teorica, sulla liceità o meno di pagare il tributo all’imperatore romano. Tu sai che gli zeloti lo proibivano, come atto idolatrico, mentre gli erodiani lo sostenevano perché asserviti all’autorità di Cesare; i farisei avevano scelto una via di comodo: in linea di principio erano contrari, ma in pratica pagavano i tributi, giustificandosi col dire che è Dio colui che innalza e abbassa i re, anche quelli pagani (Dn 2,21-33). Essi, che hanno già deciso come trattarti, ti fanno anche la seconda domanda, su come ci si debba comportare in pratica. Domande tranello! Se tu rispondi affermativamente la gente comincerà a perdere la fiducia in te, ti odierà come odia i romani per l’esosità delle loro tasse. Se rispondi negativamente, ci sono qui gli erodiani, pronti a denunciarti ai romani che penseranno essi stessi a toglierti di mezzo senza scomodare il Sinedrio.

Tu ti accorgi che queste domande vengono dall’unico nemico che ha sempre cercato di distoglierti dal tuo compito e di farti comprendere e accettare il tuo essere Messia secondo le attese politiche del popolo. Le domande che ti sono rivolte sono una parafrasi di quelle che avrebbero voluto sedurti nel deserto: «Tu, che sei figlio di Dio, fatti riconoscere un Messia che piace agli uomini: dà loro il pane gratuitamente traendolo prodigiosamente dalle pietre; usa poteri magici infallibili; prendi il bastone del comando al posto dei re della terra». Tu percepisci in quelle parole la tentazione: «accontenta il popolo che si attende che tu combatta e vinca i romani».

Qual è il tuo messianismo? Gesù, tu sei venuto a servire, e ai tuoi hai detto che è grande colui che si fa schiavo di tutti. Qualunque risposta alle loro domande eluderebbe la natura del tuo essere Messia secondo Dio. Per questo tu chiedi: “Perché volete mettermi alla prova?”. Volete vedere se sono fedele a colui che mi ha mandato o se prendo posizione tra le dispute e le discordie degli uomini?

Devi dare a loro e ai tuoi discepoli e a noi un insegnamento importante.

Il denaro del tributo dov’è? Tu non lo porti con te, essi invece ce l’hanno. Essi hanno già accettato di dipendere dal potere dell’uomo, tu ne sei libero, sei nelle mani del Padre. Essi conoscono pure le due facce della moneta. Sanno che essa su una faccia porta l’immagine dell’imperatore e sull’altra la sua scritta blasfema (Tiberio Cesare, figlio del Dio Augusto), e, nonostante ciò, la tengono con sè anche nel tempio, profanandolo. Con questa semplice richiesta di vedere il denaro, tu smascheri i tuoi avversari: essi sono già asserviti all’imperatore. Il denaro è un dio che domina chi lo possiede.

Le tue parole, che ora risuonano come una grande rivelazione, ci fanno conoscere chi tu sei.

“Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare”: quel denaro è di Cesare, datelo a lui, e il vostro cuore sarà libero dalla sua schiavitù. Tu, Gesù, avevi dato il pane ai cinquemila senza usare il denaro, adoperando solo la fraternità ed il servizio e l’amore del Padre. Avevi detto che il Padre conosce i bisogni dei figli, che possono affidarsi a lui senza timore. Il denaro - mammona - lo impedisce. Tu sei il figlio di Dio; egli regna nel mondo tramite il servizio dei suoi figli. Il tuo servizio ci riscatta tutti da ogni schiavitù. Il tuo servizio inaugura il tuo regno.

“E quello che è di Dio, a Dio”. Se diamo a Dio quello che è di Dio, non ci resta più nulla, nemmeno la nostra vita, perché di Dio è la terra e tutto ciò che contiene (Sal 24,1). La nostra stessa vita è di Dio, come il denaro è di Cesare, perché è lui che “plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita” (Gen 2,7), tanto che è impressa su di noi “la luce del tuo volto” (Sal 4,7).

La tua risposta, Gesù, non è opposizione alla politica, non è rassegnazione né è giustificazione per i vari Cesare del mondo. Tu ci vuoi figli di Dio, donati del tutto a lui come tu lo sei, da quando Maria e Giuseppe ti hanno offerto a lui proprio qui, nel tempio (Lc 2,22). Adesso che tu, Gesù, sei con noi, noi siamo in grado di dare a Dio ciò che è suo: senza di te non saremmo stati capaci, perché non avremmo potuto bere al tuo calice.

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8. I MORTI RISORGONO 12,18-27

18 Vennero da lui alcuni sadducei - i quali dicono che non c'è risurrezione - e lo interrogavano dicendo:

19 «Maestro, Mosè ci ha lasciato scritto che, se muore il fratello di qualcuno e lascia la moglie senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello. 20 C'erano sette fratelli: il primo prese moglie, morì e non lasciò discendenza.

21 Allora la prese il secondo e morì senza lasciare discendenza; e il terzo egualmente,

22 e nessuno dei sette lasciò discendenza. Alla fine, dopo tutti, morì anche la donna.

23 Alla risurrezione, quando risorgeranno, di quale di loro sarà moglie? Poiché tutti e sette l'hanno avuta in moglie».

24 Rispose loro Gesù: «Non è forse per questo che siete in errore, perché non conoscete le Scritture né la potenza di Dio?

25 Quando risorgeranno dai morti, infatti, non prenderanno né moglie né marito, ma saranno come angeli nei cieli.

26 Riguardo al fatto che i morti risorgono, non avete letto nel libro di Mosè, nel racconto del roveto, come Dio gli parlò dicendo: Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe?

27 Non è Dio dei morti, ma dei viventi! Voi siete in grave errore».

8.

Signore Gesù, ora vengono i ricchi sadducei a discutere con te. Questi sanno che tu hai parlato di risurrezione (8,31), di vita che si può perdere per sempre (8,35), di fuoco della Geenna (9,48), di difficoltà per i ricchi a entrare nel Regno (10,23) e di vita eterna (10,30). Essi dicono che non c’è risurrezione e di conseguenza non credono nemmeno all’importanza di Dio. Se la morte ha la vittoria definitiva su quell’opera di Dio che è la nostra vita, chi è Dio? A che cosa serve? Gli uomini che negano la risurrezione dai morti possono giustificare la propria avarizia e una lunga serie di delitti (Sap 2,10.22; 1Cor 15,32): per questo tu, Gesù, vuoi rispondere con cura alla loro domanda. Essi hanno l’intenzione di metterti in imbarazzo, in modo che tutti ridano di te, così che la gente non ti ascolti più e tu resti isolato. In tal modo capi e scribi non sarebbero impediti nel loro intento di metterti a morte.

Essi ti propongono un caso facendo riferimento ad una legge importante, quella che impegna un uomo a prendere in moglie la vedova di suo fratello, se questi non ha lasciato discendenti (Dt 25,5-10). Essa è tanto importante, che lo stesso Giuda, figlio di Giacobbe, ha dovuto suo malgrado sottomettersi (Gen 38,1), e così pure Booz, prendendo in moglie la moabita Rut (Rut 4,1): ed entrambi sono tra i tuoi antenati! Il caso che ti presentano i sadducei è fittizio, al limite del ridicolo. Dopo la morte della donna, se ci fosse risurrezione, sette fratelli se la contenderebbero a pari diritto nel paradiso.

Gesù, tutti attendono da te una parola. Riuscirai anche questa volta a meravigliare i tuoi uditori e far tacere i tuoi nemici? Tu non hai dubbio alcuno, anzi, incominci la tua risposta col denunciare l’errore di quegli uomini ricchi e nobili, uomini che contano. Essi credono di saper tutto e di poter deridere la fede dei poveri, ma sono più ignoranti di tutti. La loro ignoranza riguarda anzitutto le Scritture e poi anche le grandi capacità dell’amore di Dio. Le Scritture, che per questi tuoi interlocutori si riducono ai soli libri di Mosè, raccontano che Dio ha stipulato un’alleanza eterna con i patriarchi. Se questi fossero stati annientati dalla morte, anche l’alleanza di Dio con loro sarebbe un inganno, un’illusione. Se Abramo, Isacco e Giacobbe non fossero più, il loro Dio sarebbe un pio ricordo, incapace di sostenere la nostra speranza e quindi anche la nostra carità.

Quando Dio si rivelò a Mosè, gli parlò, sicuro di avere sempre avuto interlocutori adatti a lui, alla sua eternità e al suo amore senza limiti (Es 3,1-12; Gb 19,25).

Parlando di risurrezione questi sadducei parlano in modo infantile: infatti, facendo risorgere i morti, Dio non rimette in piedi gli uomini per renderli di nuovo bisognosi di tutto, persino di dover avere dei discendenti e quindi di avere ancora paura della morte. Tu, Gesù, conosci il Padre ed il suo amore per noi. Tu sai che nella vita che ci viene preparata per l’eternità potremo godere una pienezza che ora non conosciamo. Tu la paragoni alla pienezza di vita degli angeli, che godono di stare alla tua presenza e di lodarti. Allora non avremo bisogno di tutto ciò che ora ci occorre. Godremo una vita eterna, e non ci sarà bisogno di procurarci una discendenza.

Grazie, Gesù, che ci concedi di vedere al di là, di godere in anticipo la pace e la beatitudine che ci attende e che tu prometti a chi ti accoglie. Grazie a te noi possiamo credere e grazie alla tua risurrezione, primizia e garanzia per noi, possiamo sperare nella grande misericordia del Padre.

Tu parli volentieri di risurrezione. Ai discepoli hai già detto tre volte che, dopo che sarai stato messo a morte dagli uomini, risorgerai. Ora, proprio qui, nel tempio, davanti al luogo dove Dio riceve l’adorazione degli uomini, proprio qui ti viene data l’occasione felice di spiegare la tua risurrezione. I tuoi interlocutori pensano e programmano la tua morte, tu invece vedi i preparativi di Dio per la sua più grande opera, quella che manifesta la sua potenza d’amore: egli sta per prendere in mano “la pietra scartata dai costruttori” per farne “la pietra d’angolo”, “una meraviglia ai nostri occhi” (118,22)! Tu vivi con la certezza espressa dal Salmo: “Non lascerai che il tuo fedele veda la fossa… Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena alla tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra” (16,10)! Tu sai anche ciò che scrisse Daniele: “Si sveglieranno, gli uni alla vita eterna, gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna” (12,2-3). E così impedisci che nell’errore dei sadducei cadano i tuoi discepoli, tratti in inganno dall’influsso che quelli esercitano a motivo della loro ricchezza e dei loro titoli onorifici. Questi non sono apparenza aborrita da Dio?

In te, Gesù, riceveremo la vita: “Se i morti non risorgono, mangiamo e beviamo, perché domani moriremo… Non lasciatevi ingannare” (1Cor 15,14ss.22.32).

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9. IL SIGNORE NOSTRO DIO È L’UNICO SIGNORE 12,28-34

28 Allora si avvicinò a lui uno degli scribi che li aveva uditi discutere e, visto come aveva ben risposto a loro, gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?».

29 Gesù rispose: «Il primo è: Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l'unico Signore;

30 amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza.

31 Il secondo è questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Non c'è altro comandamento più grande di questi».

32 Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all'infuori di lui;

33 amarlo con tutto il cuore, con tutta l'intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici».

34 Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.

9.

Signore Gesù, sono belle e rincuoranti le tue parole, perché ci aiutano a volgere lo sguardo al Padre e a sentire tutta la forza del suo amore che dona una vita su cui la morte non ha potere. Queste tue parole riescono a vincere persino il legame dell’inimicizia tra i tuoi avversari. Uno di loro, apprezzando la tua sapienza e il tuo amore a Dio e alla sua Parola, riconosce d’aver trovato in te colui che può finalmente rispondere ad un interrogativo che nessuno ancora ha definitivamente risolto. Egli si avvicina a te, con coraggio. Deve uscire dal blocco d’inimicizia che ti circonda, deve compromettersi, lui che finora approvava le decisioni del suo gruppo. È vero che non possiamo mai generalizzare: ovunque può farsi strada la grazia di Dio, che conquisterà persino la durezza del ladrone e del centurione, e persino quella di Saulo. “Qual è il comandamento primo di tutti?”. Per te, Gesù, non c’è alcuna difficoltà a rispondere a questa domanda, perché tu hai sempre fatto riferimento a quel “primo”. Qual è la parola vincolante che precede tutte le parole? Qual è l’intenzione di Dio, quella che egli vuole gradualmente realizzare per noi e con noi? I comandamenti hanno lo scopo, infatti, quando vengono ubbiditi, di realizzare in noi la sapienza e l’amore di Dio.

Colui che ti parla e ti ascolta è uno scriba, uno che conosce e ama le Scritture. Tu non puoi rispondergli che facendo riferimento ad esse, così che egli possa comprenderti. Ora qui, a questa persona non puoi dire ancora che la Parola fondamentale sei tu (Gv 1,1). Gli resterà la domanda che lo porterà a suo tempo ad accogliere te (34). Egli è uno scriba che vuole ubbidire a Dio e vuol trovare perciò la chiave per leggere tutti i 613 comandi della Legge, quella chiave che gli permetterà di osservarli pur non ricordandoli tutti in ogni istante della vita. Tu sai, Gesù, e lo dirai ai discepoli, che quella chiave è lo Spirito Santo che verrà in noi per conformarci a te, per santificarci e istruirci nell’intimo. Lo scriba conosce alcuni tentativi di compendiare il gran numero di comandamenti: quello di Davide, che ne ha elencati undici (Sal 15,2-5), di Isaia che ne ha intravisti sei (33,15), di Michea, che ne scrisse tre (6,8), di Amos (5,4), che disse “cercatemi e vivrete”, e di Abacuc (2,4), che anticipò la tua risposta, condensando in uno solo tutti i precetti: “Il giusto per fede vivrà”.

Allo scriba infatti rispondi, con rispetto e attenzione alla sua capacità di comprensione e a quella di tutte le persone che si aggiravano nel piazzale del tempio: “Ascolta, Israele”! È l’inizio della preghiera che ti ha insegnato Maria e che ogni mamma e ogni papà ha ripetuto ai suoi figli perché risuoni alla sera e al mattino di ogni giorno. La notte e il giorno sono tempi di ascolto. Nessuno deve ascoltare se stesso, se non vuole ingannarsi. L’ascolto ci apre per ricevere, per essere arricchiti, per essere accolti. Colui che parla è “il Signore nostro Dio”, e lui è “l’unico Signore” (Dt 6,4-5). Ogni altro dio è una marionetta nelle mani dell’uomo, che, adorandolo, adora se stesso, e rimane solo. Non esiste altro Signore che il nostro Dio: egli è il Dio con noi, che ha amato il popolo liberandolo con grandi prodigi e ne ha fatto un segno e uno strumento per tutti i popoli. Il suo amore per me non è solo quello che io credo di riconoscere nei doni che sono stati dati a me, ma quello con cui egli ha scelto, guidato, liberato il popolo per farne la vigna scelta. La bellezza dell’amore di Dio la vedo nella pienezza di vita e santità che ha donato alla Chiesa: per quell’amore lo ringrazio e a quell’amore rispondo con tutte le forze. Se egli è l’unico, tutto il nostro essere sarà proteso sempre e soltanto verso di lui, per essere accolti nel suo abbraccio. Questo è l’amore che assorbe cuore, anima, mente e forza in un unico slancio. E tu, Gesù, che sai che noi non siamo soli, ma che la nostra vita fa continuo riferimento a chi è con noi, a chi è prima e a chi viene dopo; tu vedi che nel nostro slancio verso Dio prendiamo con noi anche tutte le nostre relazioni, quindi tutte le persone che incontriamo con il nostro sguardo. Tu vedi che l’amore a Dio è completato dall’amore al prossimo. L’amore a Dio infatti non è solo parole, ma scelte di vita, e queste coinvolgono sempre molti altri.

Amerai, è il comando! Amerai sempre, di notte e di giorno, amerai il Signore amando coloro che egli ha fatto a sua immagine e somiglianza, amerai il Signore se non disprezzi la sua immagine, anzi, se le attribuisci quell’onore che Dio stesso ha attribuito a te.

Gesù, tu concludi questa risposta dicendo non solo che questi comandi sono il primo, ma anche che sono il più grande. Ci sono altri comandi, ma nessuno può prendere il posto di questo. I tuoi discepoli ripeteranno questa tua certezza, fino a dire che senza quest’amore l’uomo è un bronzo, un nulla, è inutile (1Cor 13). Questo comando è speciale, perché non richiede solo obbedienza, ma un’attenzione costante a prendere iniziative in sintonia con il cuore del Padre. Viverlo richiede davvero tutte le forze dell’anima e del cuore e della mente. Il tuo interlocutore ha capito, ha capito che persino i sacrifici offerti sull’altare del tempio tutti i giorni devono cedere il posto all’amore: o ne sono un’espressione o non sono nulla. L’avevano detto anche i profeti (1Sam 15,22; Am 5,22; Os 6,6), ma chi li ha ascoltati?

Ti trovi bene, Gesù, con quest’uomo. Egli somiglia a quel tale che ti era corso incontro: a quello cui, per ottenere la vita eterna, mancava una cosa sola, e anche a questo scriba manca un sol passo per essere nel regno di Dio. Noi sappiamo, Gesù, che quel passo lo abbiamo fatto accogliendo te. Sei tu il re del regno di Dio, tu la Parola che deve entrare attraverso il nostro ascolto. Sei tu l’amore che riceviamo da Dio per poterglielo donare con tutta l’anima e tutto il cuore, l’amore che possiamo dare al prossimo perché si senta e si sappia amato da Dio. Gesù, quando tu sei in me io sono nel regno nel quale Dio può disporre di me per riempire di luce e di pace il mondo intero. Tu sei la prima Parola e tu sei l’ultima, la prima e l’ultima Parola di Dio.

Nessuno più aveva il coraggio di interrogarti. Nessuno è disposto a sentirsi dire che ci manca qualcosa: siamo così orgogliosi da pensare di avere tutto anche se privi di te, a posto anche senza di te. Ma al di fuori di te silenzio muto, davanti a te silenzio pieno di vita. Vieni, Signore Gesù!

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10. SIEDI ALLA MIA DESTRA 12,35-44

35 Insegnando nel Tempio, Gesù diceva: «Come mai gli scribi dicono che il Cristo è figlio di Davide?

36 Disse infatti Davide stesso, mosso dallo Spirito Santo:

Disse il Signore al mio Signore:

siedi alla mia destra

finché io ponga i tuoi nemici

sotto i tuoi piedi.

37 Davide stesso lo chiama Signore: da dove risulta che è suo figlio?». E la folla numerosa lo ascoltava volentieri.

38 Diceva loro nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze,

39 avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti.

40 Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa».

41 Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte.

42 Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo.

43 Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri.

44 Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».

10.

Signore Gesù, nessuno più t’interroga, tutti riconoscono che la tua sapienza supera i ragionamenti di quelli che si ritengono e sono chiamati maestri. Ma tu ti accorgi che nessuno sa chi tu sei. È vero che c’è stato chi ha gridato che tu sei il Figlio di Davide (10,47) e che vieni ad instaurare nuovamente il suo regno (11,10): sanno che sei il Messia, ma un Messia atteso come un rivoluzionario politico. Non puoi lasciare la folla, e soprattutto i tuoi discepoli, in questa illusione. E allora poni tu a tutti una domanda, perché almeno comincino a dubitare delle loro certezze e a convincersi di non essere in grado di conoscere i disegni di Dio senza di te. La tua domanda riguarda un’affermazione degli scribi, affermazione vera e basata sulle Scritture, ma gli scribi stessi non la sanno spiegare in modo esauriente, perché non ti conoscono e non ti riconoscono: “In che senso gli scribi dicono che il Cristo è Figlio di Davide?”. Essi lo dicono basandosi su molte Scritture (Is 9,1; 11,1; Ger 33,5; 33,14; Ez 34,23…), ma dimenticano quello che Davide stesso disse nel suo canto 110: “Disse il Signore al mio Signore: siedi alla mia destra”, cioè disse Dio al mio Messia…, quindi il Figlio di Davide è destinato alla destra di Dio, ad esercitarne l’autorità e a sottomettere i suoi nemici. Il figlio di Davide supera di gran lunga suo padre. Il regno del figlio di Davide coincide col regno di Dio. Il figlio di Davide ha quindi dignità divina. Tutti ascoltano. Avranno capito i tuoi nemici, Gesù, che saranno messi da Dio stesso sotto i tuoi piedi? Anche se riusciranno ad ucciderti, la parola di Dio non resterà senza effetto. Gesù, ora ti sei rivelato a quanti non hanno pregiudizi contro di te. Hai quasi concluso il tuo insegnamento, quello che puoi donare a tutti, nel tempio.

Ancora un particolare ti preme. Uno scriba ha parlato amichevolmente e con sapienza, e gli scribi fanno delle affermazioni vere sul Cristo. Ciò non vuol dire che gli scribi siano esemplari, ciò non significa che si deve prendere l’esempio dal loro modo di vivere per piacere a Dio e per prepararsi al suo regno. La folla ti ascolta volentieri, tu perciò dai un avvertimento importante. Come Dio, che guarda il cuore e non l’apparenza, così noi non guardiamo le vesti e l’esteriorità e il nome e la qualifica di una persona. Il suo essere gradito a Dio non dipende da questo. Gli scribi sono riveriti da tutti, dai profani e dai religiosi, sulle piazze, nelle sinagoghe, nei banchetti. Tu ci dici ancora che questi non sono motivi sufficienti per imitarli: se non conoscono te, saranno tra quelli considerati nemici da Dio e posti sotto i tuoi piedi. Essi sanno persino approfittare della sofferenza delle persone più deboli, le vedove, per arricchirsi. E ancora sanno strumentalizzare le preghiere nella loro ricerca di gloria umana: quella preghiera prolungata diventa bestemmia. Non entri nel merito del loro insegnamento: per questo essi stessi hanno dovuto ammettere più volte di conoscere poco e solo superficialmente le Scritture. È il loro comportamento che li rende degni di sfiducia. Ciò che Dio dice, essi non lo fanno. Ciò che tu hai insegnato non è da loro vissuto: tu hai detto che bisogna servire e dare la vita (10,31), pregare con fede perdonando (11,24s). Nessuno li condanna per la loro ipocrisia, vanagloria ed egoismo. Ciò non vuol dire che essi non meritino e non ricevano il castigo. Riceveranno quello di Dio, che è il più severo.

Dopo una giornata così intensa sei stanco, Gesù, ma continui ad osservare quanto avviene qui, nel tempio. Ora sei nel cortile delle donne, di fronte alle stanze del tesoro, dove sono posti i recipienti che accolgono le offerte dei devoti. Sono offerte date a Dio, come i sacrifici bruciati sull’altare. Ti siedi, per osservare con calma come la gente del tuo popolo ama Dio, tuo Padre: tu lo senti come amore dato a te! Odi il tintinnio delle molte monete che risuonano cadendo dentro le tredici casse a forma di trombe capovolte, e odi pure l’ammontare di ogni somma donata, di cui un sacerdote tiene registro. “Tanti ricchi ne gettavano molte”. Sul loro volto tu non vedi nulla di nuovo, nulla degno di nota. Quelle molte monete non cambiano nulla nella loro vita. È amore quel tintinnio o è vanità? Tu continui ad osservare, e, finalmente, vedi la gioia di Dio. E questa vuoi che la contemplino i discepoli e che la contempliamo noi. Non è uno scriba in lunghe vesti, non è un ricco generoso, è una donna, vedova e povera, senza mezzi e senza affetti, non considerata né apprezzata. Ecco la gioia di Dio, perché? “Essa ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere”: essa cioè ha fatto come hai rivelato che devono fare i tuoi discepoli per essere tuoi discepoli, e che hanno già cominciato a fare quando hanno lasciato tutto per seguirti (10,28). Daranno ancora se stessi, come stai per fare tu: “dare la propria vita in riscatto per molti” (10,45). È gioia di Dio chi ti somiglia e ti segue nell’affidare al Padre la propria vita con una fede che ci fa capaci di amarlo con tutto il cuore e tutta l’anima.

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11. VOI BADATE A VOI STESSI 13,1-23

1 Mentre usciva dal Tempio, uno dei suoi discepoli gli disse: «Maestro, guarda che pietre e che costruzioni!». 2 Gesù gli rispose: «Vedi queste grandi costruzioni? Non sarà lasciata qui pietra su pietra che non venga distrutta».

3 Mentre stava sul monte degli Ulivi, seduto di fronte al Tempio, Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea lo interrogavano in disparte: 4 «Dì a noi: quando accadranno queste cose e quale sarà il segno quando tutte queste cose staranno per compiersi?».

5 Gesù si mise a dire loro: «Badate che nessuno v'inganni! 6 Molti verranno nel mio nome, dicendo: “Sono io”, e trarranno molti in inganno. 7 E quando sentirete di guerre e di rumori di guerre, non allarmatevi; deve avvenire, ma non è ancora la fine. 8 Si solleverà infatti nazione contro nazione e regno contro regno; vi saranno terremoti in diversi luoghi e vi saranno carestie. Questo è l'inizio dei dolori.

9 Ma voi badate a voi stessi! Vi consegneranno ai sinedri, sarete percossi nelle sinagoghe e comparirete davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro. 10 Ma prima è necessario che il Vangelo sia proclamato a tutte le nazioni. 11 E quando vi condurranno via per consegnarvi, non preoccupatevi prima di quello che direte, ma dite ciò che in quell'ora vi sarà dato: poiché non siete voi a parlare, ma lo Spirito Santo. 12 Il fratello farà morire il fratello, il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. 13 Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvato.

14 Quando vedrete l’abominio della desolazione presente là dove non è lecito - chi legge, comprenda - allora quelli che si trovano nella Giudea fuggano sui monti; 15 chi si trova sulla terrazza non scenda e non entri a prendere qualcosa nella sua casa; 16 chi si trova nel campo non torni indietro a prendersi il mantello. 17 In quei giorni guai alle donne incinte e a quelle che allattano! 18 Pregate che ciò non accada d'inverno; 19 perché quelli saranno giorni di tribolazione, quale non vi è mai stata dall'inizio della creazione, fatta da Dio, fino ad ora, e mai più vi sarà. 20 E se il Signore non abbreviasse quei giorni, nessuno si salverebbe. Ma, grazie agli eletti che egli si è scelto, ha abbreviato quei giorni. 21 Allora, se qualcuno vi dirà: “Ecco, il Cristo è qui; ecco, è là”, non credeteci; 22 perché sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno segni e prodigi per ingannare, se possibile, gli eletti.

23 Ma voi state attenti! Io vi ho predetto tutto. … ».

11.

Signore Gesù, hai visto tutto quanto si svolge nel tempio e che proprio in esso si decide il tuo rifiuto e la tua morte: ora abbandoni questo luogo santo, esci per non rientrarvi più. Ricordiamo che il profeta dice che la Gloria di Dio uscì dal tempio per fermarsi sul monte degli Ulivi, prima che gli abitanti della città venissero deportati a Babilonia (Ez 10,18; 11,23). I tuoi discepoli ammirano la costruzione del tempio, la sua arte, l’impressione di stabilità e grandezza data dalle enormi pietre lavorate. Tu invece, all’interno, hai già visto i segni della sua distruzione. Il tempio non serve più allo scopo datogli da Dio, e perciò Dio lo ha abbandonato a se stesso. I pagani non vi sono accolti a pregare e chi vi entra non accoglie il Figlio di Dio: è una pianta di fichi senza frutto, quindi sarà seccata e la vigna sarà data ad altri. Già la pietra d’angolo del nuovo edificio è pronta: sei tu, Gesù. Tu sei la Gloria di Dio che sosta sul monte degli Ulivi, di fronte al tempio. Qui ti siedi, come un giudice che pronuncia il suo verdetto. Il tempio è di fronte, come un accusato durante il giudizio. In questa posizione apri il cuore ai tuoi primi discepoli, quelli che hanno fatto la fatica più grande per te, poiché ti hanno seguito quando eri solo e sconosciuto. Essi ti fanno una domanda riservata, perché chi parla di fine del tempio potrebbe essere condannato, come Geremia. Tu sei già condannato, ma essi hanno paura. Tu rispondi, e la tua risposta è anche per noi. Nella tua risposta ci insegni a difenderci, perché molti saranno i pericoli per coloro che ti seguono e sono pronti a bere il tuo calice.

Il primo pericolo è l’inganno: nessuno è esente da questo pericolo (Ger 14,15). Chi vuol far credere di essere Dio, o mandato da lui, e quindi ha delle proposte allettanti e soluzioni illusorie alla sofferenza del mondo, esercita sempre un’attrattiva per molti. Il discernimento dev’essere sempre vigile. Essi sfrutteranno le situazioni di sofferenza e dolore, come guerre, rivoluzioni e catastrofi naturali per dare forza al loro inganno, per illudere i loro adepti. Tu ci inviti a rimanere in pace. Questi disastri non sono la fine, bensì l’inizio delle doglie del parto del nuovo Regno. Ogni nuova vita nasce nella sofferenza: così il Regno di Dio in mezzo a noi (Rm 8,22). Nelle situazioni di sofferenza noi vivremo come testimoni di te, fiduciosi e pronti a consolare e a donare l’amore di Dio. Così continuerà a nascere il tuo Regno.

Il secondo pericolo che non ci deve cogliere alla sprovvista è il fatto che la nostra speranza e la nostra pace in te sarà giudicata dagli uomini come inimicizia, e il nostro amore per te come un pericolo per loro. Non saremo sicuri in alcun luogo, nemmeno in famiglia, ma non dovremo temere. Avremo molte occasioni di darti testimonianza: lo Spirito Santo ci darà luce e chiarezza per annunciarti a tutti. E se ci faranno morire, la nostra testimonianza sarà ancora più bella e più forte, perché simile alla tua, Signore Gesù! Tu ci assicuri che non dovremo aver paura né cercare avvocati per difenderci: Dio stesso sarà con noi per darci il suo Spirito. In questo modo la bella notizia che dona vita a tutto il mondo potrà diffondersi e raggiungere tutti i popoli: il Padre non permetterà che arrivi la fine prima che tutte le nazioni non lo conoscano e non conoscano te, inviato per tutti. Noi continueremo a rimanerti fedeli, Gesù, fino alla fine della storia, fino alla fine della nostra testimonianza.

Il terzo pericolo da cui tu ci metti in guardia è l’abominio della devastazione. È il pericolo peggiore, da cui ci raccomandi e ci comandi di fuggire con tempestività. È il pericolo dell’idolatria, del mettere un uomo al posto di Dio, di sostituire al Padre il potere di un’ideologia, una razza, una categoria di persone. Allora dobbiamo essere disposti ad abbandonare tutto, persino le cose indispensabili come il mantello, pronti a lasciare le case e le cose nelle mani di quell’usurpatore del posto di Dio. Ci resterà solo la preghiera, ma la preghiera degli eletti è gradita a Dio, che l’ascolterà per il loro sollievo e per il sollievo di tutti. La preghiera degli eletti è la preghiera fiduciosa e sicura di aver già ottenuto quanto chiede (11,24), perché gli eletti hanno consegnato la vita a te, il Figlio amato ed esaudito.

Gesù, tu concludi la tua visione della nostra presenza nella storia del mondo ribadendo la tua prima raccomandazione alla vigilanza. Tu sei l’unico Salvatore, l’unico Cristo. Chiunque altro è un inganno terribile, soprattutto se farà “segni e prodigi”. Dovremo guardare sempre con sospetto i miracoli, perché facilmente distolgono il cuore dal seguirti sulla via della croce.

Grazie, Signore Gesù, che non ci hai nascosto nulla. Tutto questo non ci spaventa, anzi, ci fa stare con più forza aggrappati a te, nuovo tempio di Dio, dentro le vicende del mondo amato dal Padre. È per questo suo amore al mondo che ci ha messo a vivere in esso come tuoi discepoli! Abbi pietà di noi e salvaci!

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Nihil obstat: P.Modesto Sartori, ofm capp., Cens. Eccl., Trento, 12/11/2010