ME
NU

Un uomo aveva due figli.

Un uomo aveva due figli.

La parabola del Padre fedele, narrataci da Gesù e trascrittaci da Luca nel suo Vangelo, è conosciuta con molti titoli: il più diffuso è «del figlio prodigo».

Essa è un racconto semplice e ricco, uno strumento di vera conversione dei rapporti dell'uomo con Dio e con gli altri uomini.

È una parabola amata da tutte le generazioni dei cristiani, che hanno trovato in essa uno specchio, un insegnamento, uno stimolo al cambiamento del cuore sempre valido.

Di essa sono stati scritti moltissimi commenti e sono stati intrapresi moltissimi tentativi di lettura per le occasioni e situazioni più svariate.

E ancora non abbiamo finito! Lo Spirito Santo ci fa leggere queste parole di Gesù in modi sempre nuovi, senza stancarci mai!

All'ombra delle bellissime e fruttuose spiegazioni mi pongo anch'io con queste pagine. Non vorrei impedirti, anzi stimolarti a cercarle, per approfondire ancora più sia i magnifici significati delle pagine evangeliche che i sublimi passi della vita spirituale da compiere nel nostro cammino verso il Padre!

 

Introduzione.

«Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito»!

Con queste parole l'evangelista Giovanni ci presenta il mistero profondo di Dio. Lo presenta così ai farisei in occasione della visita che il loro rappresentante Nicodemo fece a Gesù di notte (Gv 3): essi avrebbero pensato volentieri ad un Dio che giudica e condanna i disubbidienti, un Dio da temere per la sua giustizia, un Dio pronto a castigare i peccatori.

Queste stesse parole sono rivolte anche a coloro che - allora come oggi - ritenessero Dio un illustre assente, disinteressato e indifferente a quel bene e a quel male che continua a mescolarsi nel mondo.

«Dio ha tanto amato il mondo»: che cos'è questo "mondo"? sembra facile la risposta: è l'insieme degli uomini, quegli uomini però di cui è scritto:

«Tutti hanno traviato, sono tutti corrotti;

più nessuno fa il bene, neppure uno.» (Sal 14,3)

Che interesse ha Dio ad amare il mondo, questo "mondo"?

Una domanda sbagliata, eppure essa affiora nei discorsi degli uomini. È sbagliata questa domanda perché l'amore, se è vero amore, non ha interessi! Eppure noi ce la poniamo, perché il nostro amore spesso è comunque interessato. Noi conosciamo purtroppo l'amore che vive attendendosi sempre un contraccambio.

E pensiamo che l'amore di Dio sia come il nostro.

Se l'amore di Dio fosse come il nostro sarebbe alquanto limitato.

Noi siamo limitati e amiamo persone che sono tutti peccatori. Il limite del nostro amore è in noi e negli altri. Il mio amore passa attraverso i miei sentimenti e attraverso i miei sensi, e si aspetta un ritorno, una ricompensa, sempre attraverso i sentimenti e i sensi. Per questo, lo stesso termine "amore" viene adoperato per esprimere tensioni interiori e gesti sensuali, e infine anche sessuali. Per questo motivo qualche religione rifiuta di pensare che Dio possa amare l'uomo e che l'uomo possa amare Dio: non vuole - giustamente - attribuire a Dio nulla di sensuale, di egoistico!

Noi continuiamo a dire che «Dio ha amato il mondo». Sappiamo tuttavia che il suo amore non assomiglia al nostro amore, ma piuttosto il nostro amore deve cercare di assomigliare al suo. Noi riceviamo la capacità d'amare da Dio e chiamiamo perciò amore quei sentimenti e quelle azioni che possono essere riferite a Lui. Noi non ci riteniamo capaci di amare, dobbiamo imparare. Lo dice S.Giovanni: «Non siamo stati noi ad amare Dio, è lui che ha amato noi!» (1Gv 4,10). Impariamo l'amore da Dio. Guardiamo con quali azioni egli lo esercita, e così comprendiamo qual è il vero amore!

Come ha fatto Dio ad amare il mondo? «Ha dato il suo Figlio unigenito».

Questa parola è davvero rivelazione: Dio ha generato un Figlio. Egli è Padre. Egli cioè è amore. Dio è Padre e Figlio, e il Padre può "dare" il Figlio. Il Figlio lascia che il Padre disponga di lui. Questo Figlio è unigenito, l'unico!

Il Figlio di Dio vive in mezzo a noi, è dato a noi, è uomo come noi, consegnato a noi: ciò significa che Dio cerca e vuole un rapporto stretto con l'umanità, vuole che noi siamo suoi interlocutori e partecipi del suo essere amore, vive in modo da… costringerci ad accorgerci di lui. Così potremo essere salvati dalla solitudine e dalla disperazione in cui ci ha gettati il peccato di Adamo, quel peccato che ci ha avvelenato il sangue, quel peccato che noi continuiamo a ripetere fin dalla giovinezza e dal quale non siamo mai definitivamente liberi.

Stando col figlio che viene direttamente dal Padre saremo sanati, guariti, santificati!

È proprio questo figlio, il figlio che porta in sé tutto l'amore del Padre per tutti i peccatori di tutti i tempi, che cerca le nostre parole per raccontarci in che modo il Padre ci vede, ci guarda, ci incontra, ci parla, ci tratta, e, in una parola, ci ama.

Nasce così la parabola trascrittaci da S.Luca, quella parabola che certamente più di altre ci aiuta a contemplare il volto del Dio invisibile!

***

 

Dal Vangelo secondo Luca, capitolo 15

11 Disse ancora: "Un uomo aveva due figli. 12 Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze. 13 Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. 14 Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15 Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. 16 Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava. 17 Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18 Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; 19 non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. 20 Partì e si incamminò verso suo padre.

Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21 Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. 22 Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi. 23 Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24 perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa.

25 Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26 chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. 27 Il servo gli rispose: E' tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. 28 Egli si arrabbiò, e non voleva entrare. Il padre allora uscì a pregarlo. 29 Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. 30 Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso. 31 Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32 ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato".

 

***

 

Disse ancora

Gesù ha già raccontato la gioia di Dio per un peccatore che ritorna a lui. L'ha raccontata con due parabole. Una di esse era ambientata nei pascoli faticosi delle montagne desertiche della Palestina, ed era destinata a farsi comprendere prevalentemente dall'uditorio maschile: il pastore fa festa con gli amici quando torna dopo aver cercato e trovato sui monti la pecora smarrita (Lc 15, 4-7).

Per l'uditorio femminile Gesù pensa un'altra parabola, tenendo in considerazione le abitudini e le vicende che succedevano all'interno di una povera casa del popolo: la donna fa festa con le vicine quando, dopo aver affannosamente cercato con la scopa nella terra del pavimento della sua grotta, finalmente trova la dramma perduta (Lc 15, 8-10).

Dio è capace di far festa! La sua gioia sono i peccatori che si convertono!

Chi sta ascoltando questi racconti?

Lo stanno ascoltando con attenzione «tutti i pubblicani e i peccatori» (Lc 15, 1s) che si avvicinano a lui: essi si sono accorti che egli non ha paura, come gli altri "Rabbi", di essere contaminato dalla loro presenza e si sono pure accorti che egli rivolge la parola a chiunque: non esclude nessuno dalla sua considerazione! Stupiti di questa apertura e meravigliati per la sua disponibilità a correre rischi a causa della loro presenza accanto a lui, lo ascoltano ancora più attentamente.

Il rischio è davvero presente: farisei e scribi non approvano che egli si intrattenga con pubblicani e peccatori, anzi, lo accusano esplicitamente. Lo condannano prima ancora di ascoltarlo. Non importa cosa dice: non dovrebbe dire nulla ai peccatori, e soprattutto non dovrebbe sedersi a mangiare con loro. Facendo così si contamina, facendo così sembra approvare la vita disobbediente di coloro che egli accoglie a tavola.

Anch'essi, farisei e scribi, ascoltano Gesù. Essi pure sono molto attenti: chissà che, oltre ad essere sospetto il suo comportamento, anche il suo insegnamento non sia eretico? In tal caso avrebbero nuovi motivi per condannare questo Rabbi che sembra ignorare la legge di Mosè e che mette in discussione le loro indiscusse abitudini. Essi non vedono la gioia di Dio. E se anche la vedessero, non vogliono parteciparvi! Proprio questi ascoltatori hanno bisogno di una nuova parabola.

Ed ecco il racconto che ora leggerò con calma e con gioia: esso è un "vangelo", una bella notizia destinata a sollevare molti cuori afflitti e disperati, a risanare rapporti umani falliti, a correggere reazioni ritenute giuste dagli uomini, ma non condivise da Dio, a far sì che nella Chiesa i rapporti reciproci siano ispirati dalla gioia del Padre!

 

Un uomo aveva due figli

 

Arrivando alla fine del racconto ammetteremo senz'alcun dubbio che Gesù, parlando di quest'uomo, pensa a Dio!

Si può rapportare Dio ad un uomo?

I fondatori di religioni antiche e nuove griderebbero allo scandalo! I mistici delle tradizioni indiane ci presentano un Dio che non può esser considerato come Persona: non è Qualcuno con cui si possa entrare in comunione! È il Tutto e il Nulla in cui l'uomo che gli si avvicina si inabissa perdendosi senza ritorno.

Coloro che sono cresciuti alla scuola di Maometto concedono a Dio di essere Qualcuno, ma gli donano una distanza talmente grande per cui non solo nessuno lo può conoscere, ma nemmeno amare. E nemmeno lui può amare l'uomo, nessun uomo. L'amore lo avvicinerebbe troppo all'uomo, che invece deve conservare la distanza abissale, distanza come tra padrone e schiavo! Se Dio amasse l'uomo, rischierebbe di essere coinvolto nella sua storia di povertà, di umiliazione e di peccato.

Gli uni e gli altri hanno capito benissimo che l'uomo non ha nulla da dare a Dio, nemmeno la propria immagine, nemmeno la propria vicinanza. Gli uni e gli altri però, per fortuna, non parlano di Dio, del Dio vero, ma di una immagine di Dio, quale essi sono stati capaci di costruire.

Del Dio vero ci parla Gesù. Dal suo raccontare noi percepiamo che egli lo ha conosciuto, lo ha amato, lo porta in sé, poiché «è nel seno del Padre» (Gv 1,18) fin dall'eternità! E soprattutto percepiamo che è il Dio vero, quello che corrisponde al nostro essere più profondo! Gesù non ha paura di presentarci Dio sotto le sembianze d'un uomo. In qualche misura lo avevano già preceduto i grandi amici di Dio del suo popolo. Essi parlavano degli occhi e degli orecchi di Dio, attenti alla situazione del povero e del debole. Parlavano delle mani e del braccio potente di Dio, pronti a sostenere, a condurre, a proteggere chi confida in lui. Parlavano dei passi di Dio, passi che accompagnano il cammino dell'uomo o gli vengono incontro! Parlavano addirittura dell'uomo creato a immagine e somiglianza di Dio! Tra le parole sante c'erano persino quelle che, rivolte ad un uomo, dicono: «Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato» (Sal 2,7).

Gesù dunque, parlandoci di quest'uomo ci parla di Dio.

Egli non ci dice nulla di quest'uomo in sé, non ci fa di lui nessuna descrizione né alcun elogio. Se è vero che l'uomo è creato a immagine di Dio è tuttavia vero che Dio non è fatto a immagine dell'uomo: ogni uomo ha dei limiti e dei difetti che non si possono ovviamente attribuire a Dio. Di quest'uomo Gesù narra solo in che relazione sta con i propri figli. Egli ci parla delle relazioni di Dio con l'uomo: è l'unico campo in cui noi possiamo entrare, in cui noi - pur peccatori - siamo entrati per conoscere il Vivente, ed è l'unico campo in cui lo possiamo eventualmente imitare.

Se l'evangelista Matteo ci riferisce il detto «siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (5,48), san Luca specifica di che perfezione si tratta: «siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro» (6,36). Di Dio noi imitiamo la misericordia: ci mettiamo in rapporto con gli altri così come Dio si è messo davanti a noi! Noi non imitiamo "poteri" di Dio, capacità esclusive o miracolose. Noi imitiamo solo il suo modo di rapportarsi con gli uomini peccatori: fedeltà, mitezza, bontà, umiltà, pazienza, misericordia, amore sempre e comunque (cfr. Col 3,12). Dio non è un uomo, ma i rapporti che egli instaura con gli uomini sono tali che un uomo li può vivere con i suoi simili.

«Un uomo…». Gesù può parlarci di Dio come d'un uomo perché egli stesso è il Dio fattosi uomo. Egli è l'incarnazione dell'amore di Dio per gli uomini. Egli sente e vive e rende attuale il rapporto di Dio con l'umanità, il rapporto dell'uomo con i suoi due figli, che ora ci sta raccontando.

«Aveva due figli». Li aveva o li ha ancora? Tra i due figli c'è sempre quel contrasto che Gesù è costretto a mettere in evidenza, o è avvenuta già una riconciliazione tale che ci permetta oggi di parlare di un solo figlio?

Ma vediamo anzitutto perché due figli! Vuole Gesù parlare di una famiglia ideale, quella che oggi si limita a mettere al mondo solo due figli? Questo aspetto non è presente nel racconto. I due figli sono il più vecchio e il più giovane, il primo e l'ultimo nato. Il primogenito è quello che vanta dei diritti particolari, come Esaù, figlio di Isacco. Il più giovane è quello che solitamente gode le preferenze della madre, come Giacobbe.

Gesù parla di due soli figli perché sono due le categorie di persone che ora lo stanno ascoltando. Egli vuole che essi si accorgano che sta parlando di loro e di come Dio li vuole incontrare!

Davanti a Gesù ci sono due gruppi di uomini, cioè due categorie di peccatori! Ci sono i peccatori che sanno d'esserlo e s'accorgono quindi di essere da lui amati, poiché egli li accoglie e mangia con loro.

Ci sono pure ad ascoltarlo quei peccatori che ritengono di non essere tali e di avere invece dei diritti di fronte a Dio, tanto da potergli insegnare. Non gli sanno insegnare l'amore, ma soltanto la condanna e il castigo degli altri.

I due figli sono questi due gruppi di persone, così simili nel loro peccato, ma così distanti ormai: gli uni godono la vicinanza di Gesù, il Figlio del Dio vivente, tanto da sedere a mensa e far festa con lui (Lc 5,29); gli altri, a causa di questa comunione gioiosa, guardano dall'esterno e rifiutano gli inviti e le parole d'amore che vengono loro rivolte.

Due sono i figli, poi, perché nell'esperienza ormai lunga di quella Chiesa per cui l'evangelista scrive, ci sono sia ebrei che pagani seduti alla mensa del Signore. Essi sono diventati un unico popolo, un unico Figlio quindi, ma hanno sempre difficoltà ad accogliersi e amarsi come fratelli: la difficoltà parte sempre dal maggiore, che ha da rimproverare al minore il suo passato poco edificante. I cristiani provenienti dall'ebraismo si ritengono un po' più su degli altri, con diritti particolari di primogenitura, anche se battezzati nell'unica acqua e nell'unico Spirito! Anch'essi, come gli altri, sono stati salvati della salvezza che viene dalla fede nel Risorto! E di questa salvezza hanno continuo bisogno!

Due sono i figli perché a tutt'oggi la storia dei singoli credenti trova riscontro ora nell'uno ora nell'altro dei due, e nessuno, proprio nessuno di noi, nemmeno io, può presentare la via nuova, quella di un terzo figlio sempre obbediente e sempre accogliente!

 

Il più giovane disse al padre: Padre

 

Il più giovane, quello più amato: tanto più incomprensibile è il suo parlare. Il più giovane, quello più inesperto: tanto più pericoloso è il suo intervento. Questi rivolge la parola al padre. Egli sa che il padre lo ascolta: ha fiducia di essere esaudito. Sa che il padre non è geloso e nemmeno possessivo: il suo non è un padre paternalista. Il più giovane sa che nella casa del padre può godere di libertà, ed egli ora è arrivato a poterne usufruire in modi che il padre stesso non aveva previsto. Che libertà ci sarà in quei modi di viverla che il padre non aveva pensato?

Questo figlio sa d'avere a che fare con un padre: accetta di chiamarlo così. Accetta la prima fase di un rapporto col padre, la fase in cui si riceve. Da lui ha ricevuto la vita. Da lui riceve confidenza e stima. Da lui cerca ancora e sempre di ricevere.

 

dammi la parte del patrimonio che mi spetta

 

Da chi ha imparato questo figlio a pretendere? Forse il padre non gli ha mai insegnato a dare, a farsi dono, a mettersi a disposizione, a dire: «eccomi»? Il padre è colui che dona sempre: il figlio, invece che imparare a donare e donarsi sull'esempio del padre, sembra avere imparato il contrario. Chi è entrato nel cuore di questo figlio? Chi ha seminato nel suo cuore una zizzania così forte da soffocare e far sparire il buon grano? Agli occhi di questo figlio le cose, il patrimonio, sono diventate più grandi e più importanti del volto del proprio padre. Egli ha cominciato a deviare il proprio sguardo: i suoi occhi non incontrano più gli occhi di colui che lo ama, ma si riempiono con avidità delle cose che appartengono a lui. Si ripete una storia conosciuta, tristemente conosciuta. Già Adamo aveva distolto l'attenzione dal volto del suo Dio per rivolgerla alle cose belle e buone che vedeva: egli si è lasciato ingannare dalla loro bontà e bellezza.

I doni di Dio, quando smettiamo di reputarli doni e quando non li riteniamo più di Dio, ci seducono e ci ingannano. Non è colpa loro, né di Dio! La colpa è della nostra dimenticanza. Dimentichiamo in fretta e smettiamo di dire grazie. Se continuassimo a dire grazie saremmo salvi! Il grazie è rivolto alla persona che dona, è rivolto a Dio. Quando continuo a dire grazie sperimento salvezza, proprio come ripeto ogni giorno celebrando l'Eucarestia: è fonte di salvezza render grazie!

Quando Gesù ha pochi pani da dare a molta gente, non si lamenta, ma rende grazie. Quando egli davanti alla tomba di Lazzaro si sente impotente di fronte al potere devastante della morte ha pure ancora la parola: «Ti rendo grazie»! Egli passa questa parola sulle nostre labbra perché tutta la nostra vita diventi un'eucarestia, un rendimento di grazie, e noi rimaniamo così attenti al Volto e alla Parola di colui che ci ama.

Chi dimentica di dire grazie comincia a pretendere, e pretendendo divide se stesso da chiunque. I coniugi divisi non hanno forse iniziato la loro tragedia quando hanno smesso di dirsi grazie e di dire grazie al Padre l'uno per l'altro? E i fratelli che consumano l'eredità presso gli avvocati non hanno forse iniziato la propria rovina smettendo di dire grazie a Dio e agli uomini?

Il figlio più giovane non sa dire grazie. Egli sa che una parte del patrimonio è tenuta in serbo per lui. Egli ne gode già i frutti e li gode in comunione con il fratello e in armonia con il padre: li gode come figlio. Dimenticando il grazie ora ne vuole godere come padrone. Egli non vuole di più di ciò che le regole e consuetudini hanno fissato per lui. Forse questo è sufficiente per ritenersi a posto? È suo diritto!

«Dammi la parte». I beni del padre assumono una nuova dimensione che non avevano ancora conosciuto. Su di essi si posa la parola "mio". Da strumento dell'unità e della pace essi diverranno fonte di divisione. Le parole "mio" e "tuo" entrano nella storia della famiglia, che finora è stata unita: esse divideranno, creeranno tensioni, daranno il via a sofferenze impensabili. Le sostanze cominciano a portare su di sé la gloria degli uomini, la vana gloria, e vengono private della gloria di Dio, vengono «sottomesse alla caducità» (Rm 8,20); inizia per esse un cammino di distruzione.

Dove arriverà Gesù a formare nuove famiglie, che vivono unite nel suo nome, là egli darà uno Spirito di povertà che eliminerà finalmente questi aggettivi possessivi. Là dove Gesù regna si pronuncia solo la parola "nostro" per qualificare i beni della terra. E il "nostro" includerà anzitutto il Padre, quel Padre che ha figli dappertutto, in ogni angolo del nostro pianeta!

È un "nostro" di cui la Chiesa di Dio può disporre, per amare e servire i suoi poveri e i poveri del mondo.

In queste famiglie Dio Padre viene visto davvero come un papà di famiglia che pensa alle necessità dei suoi figli, così come ce lo descrive Gesù: «Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un'ora sola alla sua vita? E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede?» (Mt 6,26-32).

Solo i pagani, che non conoscono Dio, si preoccupano per le cose, per il "mio" e per il "tuo". I figli di Dio conoscono il loro Padre, sanno che egli è anzitutto Padre e che gode di poter esercitare la sua paternità in modo che i figli se ne accorgano. E com'è bello costatare che il Padre conosce non solo le mie necessità, ma anche i miei desideri! Qualche volta ho rimesso alla sua volontà il desiderio di poter disporre di alcune cose, anche se non necessarie: ebbene, egli me le ha donate! Mi sono accorto così com'è viva e delicata la sua paternità! Dal suo "patrimonio" ha tratto ciò che poteva darmi gioia!

Nelle famiglie radunate da Gesù il "mio" viene usato solo per esprimere la proprietà del peccato: "mia colpa, miei peccati". Di "mio" non esiste null'altro. Anzi, sì: abituandomi a dire "mio" peccato, potrò dire "mia salvezza" e "mia luce" a Gesù, e potrò ancora ripetere "mio" Padre a Dio, il Dio dell'amore e della misericordia!

«La parte del patrimonio». Il patrimonio è proprietà del padre e, finché esso è unito e considerato proprietà del padre, tiene uniti i fratelli e serve pure a dar lavoro e dignità e sicurezza a molti altri, ai «salariati». Se la proprietà di una parte del patrimonio passa al figlio, ad un figlio che vanta diritti, che fine farà? A cosa servirà?

Gesù continua il racconto. Ma io immagino un grande silenzio dopo l'intervento del figlio.

Un grande silenzio.

Il padre non risponde. Egli non ha parole.

Non ci sono parole per un figlio che non vuole più vivere da figlio, per un figlio che smette di considerarsi fratello dei suoi fratelli; non ci sono parole da dire ad un uomo che comincia a pensare solo per sé.

Le parole che il padre potrebbe dire sono solo parole d'amore: questo figlio sta rifiutando non solo le parole dell'amore, ma l'amore stesso.

 

il padre divise tra loro le sostanze

 

Nel grande silenzio «il padre divise tra loro le sostanze». Il padre con il suo silenzio afferma di non condividere assolutamente la decisione del figlio. Non la condivide, ne soffre, ma ubbidisce. Anche se il figlio sbaglia, il padre ubbidisce. Perché? Perché il padre non fa valere le proprie ragioni? Perché non si oppone al figlio?

Il padre continua a considerare il figlio come proprio figlio. Il figlio è libero, e deve poter esercitare la propria libertà, altrimenti sarebbe schiavo, non figlio. Il padre è fedele, non toglie la libertà al figlio che ha ricevuto da lui una vita capace di scelte libere.

Questo padre fedele è davvero immagine di quel Padre che sta nei cieli e di cui Gesù dice che «fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti» (Mt 5,45). Egli continua a dividere le sue sostanze, sole e pioggia, a tutti gli uomini, senza penalizzare, senza costringere, senza parzialità di sorta. Egli dimostra così la sua santità: egli ama non perché è amato, ma perché è amore!

La decisione del figlio riguardo al patrimonio ha grandi conseguenze. Divise le sostanze, è cancellata la fraternità. Non c'è più nulla, nessun segno attraverso cui la fraternità si possa manifestare.

Divise le sostanze, anche la figliolanza corre seri rischi. Difatti il figlio non è più capace di stare alla presenza del padre.

 

Dopo non molti giorni

 

L'egoismo non sopporta la presenza di persone che amano. L'egoismo non sopporta nemmeno la presenza di coloro che richiedono amore. Chi pensa a realizzare se stesso non riesce più a vivere accanto al coniuge o ai figli o ai genitori. Questi però realizza il proprio egoismo, non il proprio amore!

Dopo non molti giorni, in fretta, cioè subito! Comincia la frenesia, comincia quell'ansia che probabilmente porterà alla depressione, alla tristezza, all'inquietudine. Non può portare del bene questa fretta, fretta di essere solo, di partire, di rompere i legami dell'amore, di non voler aver più a che fare con coloro che amano e che si devono amare!

La fretta impedisce una valutazione serena delle scelte che si operano e impedisce l'ascolto di un buon consiglio.

In questi pochi giorni i rapporti col padre sono già tagliati: a lui il figlio non dice nulla, non chiede nulla, a lui non rivolge più la parola. Il padre assiste in silenzio.

 

il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano

 

Seguiamo ora i passi del figlio. Non vogliamo dimenticare il padre, ma è bene vedere cosa diventa l'uomo lontano da lui: sapremo apprezzare maggiormente la sua vita, il suo cuore, il rapporto vivo e stabile con lui!

Il figlio più giovane se ne va, carico di beni, quelli che erano del padre e che gli ricorderanno sempre la casa e il benessere della fraternità.

È un partire che apparentemente somiglia al partire di Abramo per un paese sconosciuto. Abramo però era partito per obbedire ad una chiamata di Dio, questo figlio parte senza obbedienza, solo per fare la propria volontà.

Il paese lontano è quello dove non si trova più nulla che ricordi la casa paterna, il fratello, il padre! Un paese lontano: la distanza dev'essere tale che impedisca un ritorno, e che scoraggi chiunque dal cercarlo e raggiungerlo.

Il paese lontano è quello dove non si pratica la religione dei padri. In esso non si adora il Dio che ama; in esso si può scegliere le divinità più congeniali, rispettose dei nostri desideri, compiacenti le nostre passioni.

Il paese lontano è il paese delle libertà: nulla e nessuno ti condiziona, né i parenti né le abitudini o le regole di vita in cui sei stato educato. Finalmente la libertà, la libertà degli istinti, la libertà dell'egoismo, la libertà di ascoltare e obbedire quelle voci interiori che a fatica avevi imparato a dominare.

Il paese lontano è il paese dei sogni! Là puoi realizzarti, là puoi esprimerti, là puoi diventare quello che la presenza del padre e del fratello ti ha impedito di diventare!

Molti raggiungono questo paese lontano rimanendo fermi in casa propria: basta cambiare l'orientamento della propria preghiera e della propria adorazione, spostarla dal Dio vivo e vero che ha parlato e si è manifestato nel suo Figlio morto in croce e risorto, e dirigerla agli dèi muti e sordi che ti lasciano sognare e ti promettono di realizzare i tuoi sogni senza fatica, senza sofferenza. Assumi una nuova "fede" e ti trovi lontano, molto lontano dalla tua casa, da tuo padre e dai tuoi fratelli.

Assumi un'altra fede e ti trovi senza casa, senza padre e senza fratelli! Ti ritrovi carico di beni, quelli di cui puoi ancora vivere. Puoi vivere di rendita, per un po' di tempo!

E il padre non corre dietro al figlio: lo lascia andare, rispetta i suoi passi che lo allontanano decisamente. Quanto è grande la dignità di questo padre! Davvero è quella di Dio, di quel Dio che ha lasciato e lascia andare molti suoi figli per strade sconosciute senza giudicarli, senza vergognarsi di loro!

 

e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto

 

Lontano dal padre non ci sono più nemmeno i suoi consigli, né la sua vigilanza. L'accontentare le passioni consuma le sostanze. Le cose raccolte nella casa del padre, più o meno lentamente diminuiscono il loro peso, fino a sparire del tutto.

Le cose però, anche quelle portate con sé dalla casa del padre, non durano sempre: esse appartengono al mondo che passa!

Più nulla fa ricordare il passato. Non ci sono più quelle «cose» che ricordano il padre e l'esistenza del fratello. Finalmente la distanza è raggiunta del tutto!

 

Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno

 

Quando finiscono i doni del padre non rimane più nulla.

I sogni si rivelano bolle di sapone.

Il mondo lontano, il mondo degli dèi, che cosa può offrire ad un figlio? Quali cose possiede il mondo per nutrire e saziare la vita di un figlio?

Il figlio che non può più vivere di rendita, di ciò che ha raccolto nella casa del padre, con che cosa potrà soddisfare la sua sete più profonda, il suo desiderio di comunione e di partecipazione? Finora il desiderio di comunione, benché in modo sregolato e su vie disordinate, era stato tenuto vivo dai beni portati con sé. Ora che essi sono spariti, non c'è più nulla, non ci sono nemmeno surrogati che possano dare un po' di gioia.

Il figlio deve cominciare a mentire a se stesso. Egli non ha possibilità di vivere autonomo: nessuno può essere solo! Il sostentamento del figlio può venire solo dal padre. Rimasto solo, per il figlio rimane soltanto il bisogno, che si fa sentire sempre più drasticamente.

Non mi meraviglio di trovare solo tristezza sul volto di un cristiano che lascia la sua Chiesa, la casa del Padre, anche se si fa di qualche altro raggruppamento religioso. Dopo i primi mesi di euforia, durante i quali egli riceve il battimani dei suoi nuovi compagni, scopre la solitudine più nera. Non c'è comunione dove non c'è perdono, e non può esserci perdono dove non c'è il Padre.

 

Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione

 

Ricomincia il cammino, il peregrinare. Il figlio non cerca più cose che soddisfino, non cerca più prostitute con cui tentare di soddisfare il bisogno di comunione. Egli cerca qualcuno cui servire. Ora egli cerca di diventare un oggetto utile a qualcuno. Egli sa di essere diventato un nulla e vuole farsi ritenere utile da qualcuno, perché questi almeno non lo butti, ma cerchi di tenerlo in vita per interesse. È la schiavitù. La schiavitù cercata, desiderata. Egli supplica qualcuno di averlo presso di sé come schiavo.

La libertà usata per allontanarsi dal padre porta al desiderio di essere almeno schiavo. Ma un figlio che non vuole essere figlio non lo vuole nessuno, nemmeno come schiavo.

Con altre parole, il sale che perde il suo sapore non serve a nulla, se non ad essere buttato sulla strada e calpestato dagli uomini (cfr. Mt 5,13).

A quale padrone potrà essere fedele un uomo che non è stato fedele al proprio padre? chi lo può avere in casa?

 

che lo mandò nei campi a pascolare i porci

 

Vuoi proprio servirmi? Nei campi è il tuo posto, in mezzo ai porci. Devi servire gli animali, e per giunta quelli immondi, quelli che la tua fede non può nemmeno toccare. Devi farti servo degli animali che vengono sacrificati agli idoli aborriti dal tuo cuore, che ti mettono in aperto contrasto con il Dio di tuo padre. Eccoti servo dei tuoi nemici, di quei nemici che non diverranno mai amici, di quei nemici che adoperano il tuo servizio per farti soffrire ancora, e sempre di più.

Vuoi vivere? Riempiti allora la bocca di menzogne, lavora per distruggere le buone abitudini dei tuoi figli, lavora per mandare in rovina la pace delle famiglie e dei popoli.

Quante volte, anche nella storia recente, abbiamo dovuto assistere a questa tragedia! Cristiani che hanno lasciato la Casa, l'unica casa del Padre, sono diventati servitori di terribili nemici dell'uomo!

 

Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava

 

Il figlio non desidera più il cibo degli uomini, gli basta quello degli animali. Anch'egli si adatta ad essere un animale. Ma nemmeno di questo è ritenuto degno: «nessuno gliene dava». Nessuno lo ritiene degno d'essere equiparato ad un animale. Il paese lontano, il paese delle libertà, rivela ora la sua vera natura. In esso i figli sono considerati meno degli animali.

È proprio così: nel paese delle libertà, dove si può tutto, si possono uccidere i figli degli uomini, non quelli degli animali. Non vengono offerte ai veterinari le possibilità che vengono offerte ai medici. Non entra nei calcoli delle stalle né delle scuderie né dei canili la possibilità dell'interruzione della gravidanza, soltanto negli ospedali. Il paese lontano! Il paese lontano riserva solo la morte: è la sua unica possibilità. Il paese delle libertà moltiplica a dismisura la fame dell'uomo.

 

Nessuno gliene dava. Nessuno sa venire incontro ai desideri di un figlio, nemmeno con soluzioni parziali. Il figlio non interessa a nessuno, nemmeno se ha smesso d'essere figlio.

Hai cercato di saziare la tua sete di comunione nell'alcool? Te lo tolgono. Hai provato con la droga? Sei punito. Hai tentato con il sesso? Nessuno ti condanna, ma sei messo tra gli infettivi. Finalmente hai trovato i poteri della mente e i poteri occulti e quelli di Satana? Tu stesso devi nasconderti sotto un cappuccio per non essere visto dai tuoi amici, armati contro di te per impedirti qualsiasi passo di libertà. Nessuno gliene dava.

 

Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame

La fame, la solitudine, il pericolo, la morte obbligano il figlio ad un nuovo viaggio, un nuovo viaggio molto breve, ma molto efficace.

Egli rientra in se stesso. Visto che dagli uomini non può attendersi nulla, visto che tutti sono traviati, visto che tutto il mondo gli è nemico, il figlio recupera l'ultima risorsa, la memoria. Egli ricorda da dove è partito, che cosa c'era all'inizio del suo viaggio, qual era la sua situazione prima di allontanarsi da casa.

Il ricordo di un passato lontano gli fa balenare una possibile meta.

Del passato emergono i ricordi belli: c'era il pane! C'era il pane in abbondanza per tutti. C'era il pane, cibo degli uomini, frutto del lavoro svolto in comunione, frutto di collaborazione e di creatività, di libertà e di amore! Il pane era nella casa del padre, e là c'è certamente ancora, anche per coloro che vi vivono come salariati anziché come figli. Il padre dà pane a tutti, senza distinzione, e senza misura.

E il pane fa nascere il ricordo del padre, della sua bontà, una bontà che avvolge come un manto anche la sua giustizia!

Si può raggiungere la casa del padre? Nessun dubbio sfiora il ricordo del figlio. Nessuna paura, nessun senso di vergogna; egli del padre non ricorda nulla che lo faccia temere, nulla che gli impedisca il ritorno.

 

Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò

 

Per giungere alla casa del padre bisogna abbandonare la presente situazione, bisogna lasciare il padrone dei porci, bisogna anzitutto lasciare gli idoli serviti finora. E poi è necessario incontrare il padre, e parlare con lui.

Il padre è colui che ascolta, sempre pronto ad accogliere la parola del figlio. Questi proprio così lo ricorda: il padre non può essere che così, perché è fedele. Se qualcuno gli chiede un pesce egli non dà una serpe, se qualcuno gli chiede un pane egli non è capace di dare una pietra (cfr. Lc 11,11s). Il padre rimane sempre colui che dà la vita: egli non dà mai la morte. Anzi, egli persino ridà la vita a chi muore per lui.

Così Gesù ha conosciuto il Padre suo, e perciò è entrato nella morte pieno di speranza, consegnandosi a lui: «Padre, nelle tua mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46).

Le ultime parole che il figlio ha detto al padre furono parole pretenziose: "dammi…". E gli aveva voluto insegnare cosa fare con le sue cose.

Ora le cose non ci sono più. Non si può più parlare delle cose. Tornando dal padre, c'è solo lui. Le parole si riferiranno al loro rapporto, spezzato dall'amore del figlio per le cose.

 

Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te

 

Non è il rimorso di aver sprecato le sostanze, non è il rimorso di aver speso il tempo inutilmente, né di essersi rovinato la salute. Non è un senso di colpa per aver sbagliato tutto nella vita e nemmeno per essersi meritato dei castighi. È la coscienza del peccato, di aver trattato il Cielo e il padre come fossero dei concorrenti, degli imbroglioni e sfruttatori. È la coscienza di aver accolto la tentazione che fa vedere il Cielo e il padre come nemici.

Il Cielo e il padre sono un tutt'uno: il Cielo si serve del padre, il padre rappresenta il Cielo. Rifiuti l'uno, li hai rifiutati ambedue. Rifiuti il padre, hai rifiutato colui che te l'ha dato. È la coscienza d'aver volutamente rovinato i rapporti, di aver rifiutato l'amore, unica sorgente della vita.

Questo figlio trova la parola giusta, che non esiste nel paese lontano: "ho peccato". È la parola che nasce non dal rimorso, ma dal pentimento. È la parola di Pietro, quella che lo ha portato a piangere dopo il canto del gallo, memoria del rinnegamento. Purtroppo non è la parola di Giuda, che è tornato sì sui propri passi, ma non per incontrare colui che aveva offeso e tradito.

Ho peccato: mi sono allontanato da te, che mi volevi vicino. Ti ho girato le spalle, ed ora cerco di nuovo il tuo sguardo, i tuoi occhi, la tua voce.

 

Non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni

 

Il figlio sta ancora rientrando in se stesso. Egli purtroppo pensa di poter ancora insegnare a suo padre. Lo ha conosciuto, ma non del tutto. Egli non sa che il padre sa già cosa fare. Egli non è ancora capace di dire al padre: «Fa' di me ciò che vuoi. Ciò che tu vuoi è il meglio per me». Egli pensa forse che il padre lo possa allontanare? Pensa che gli possa dire: «Qui non hai più diritti, hai già avuto le tue cose»? Si può insegnare al padre una via di mezzo tra l'esser figlio e l'esser del tutto assente: posso essere servo. Così almeno il pane è garantito.

Il pentimento è vero pentimento, ma le motivazioni non sono del tutto pure, non sono del tutto libere da egoismo. La fame è sempre presente: è questa che sta dettando le parole!

Il desiderio del pane muove i passi del ritorno e fa nascere le parole del pentimento.

Come presumere che sia capace d'un atto d'amore puro colui che è vissuto sempre e solo nell'egoismo?

Anch'io quando prego manifesto il mio egoismo. Mi metto a pregare quando ho bisogno di qualcosa, quando sento la mancanza di un bene che ritengo necessario, quando ho paura, quando avverto fame d'amore. E il Dio dell'amore, il Padre, sa che il grido della mia preghiera così imperfetta è anzitutto nostalgia di lui, desiderio di essere come lui, fame di capacità d'amare. Egli legge nell'egoismo della mia preghiera una grande sete di essere con lui, e mi esaudisce. Non mi dà sempre quel poco che so chiedere, ma mi trasforma sempre il cuore. Dopo la preghiera mi ritrovo più sereno, in pace, disponibile ad amare, pronto a donarmi. Io gli so chiedere un sasso ed egli mi da un pane, gli chiedo un po' di salute, e lui mi dà Spirito Santo (Lc 11,13)!

Per questo continuo a pregare anche se non ne sono capace. Continuo a cercare il Dio dell'amore con le mie parole e i miei sentimenti egoistici: lui me li cambierà, o li completerà con la sua potenza d'amore e di vita vera.

Così nella mia povertà e debolezza e incapacità egli manifesterà la sua ricchezza, la sua forza e la sua sapienza!

 

Partì e si incamminò verso suo padre

 

La partenza è realizzata, l'incontro non ancora. Ogni conversione comprende questi due momenti: lasciare il servizio ai porci, incamminarsi verso il Padre.

Raggiungerlo sarà impossibile se lui stesso non viene incontro.

Io compio quanto sta in me: lasciare il servizio ai porci, lasciare il paese lontano, abbandonare il paese delle libertà. È un atto di umiltà lasciare il luogo che mi ha umiliato. È un'umiltà che mi fa sorgere dall'umiliazione.

Sta a me incamminarmi, decidere l'incontro con parole di umiltà nel cuore.

Solo parole di umiltà nel cuore, non di recriminazione, né verso i porci né verso il loro padrone. Solo parole di umiltà, non di compassione verso me stesso e nemmeno di rabbia contro i propri sbagli o coloro che non me li hanno impediti.

Solo le parole che ammettono e confessano il mio proprio peccato e la mia propria indegnità.

E ancora non dev'esserci nessun progetto di ritornare verso il paese lontano, nemmeno nel caso di parole dure da parte del padre.

Quanto è lungo il cammino verso il padre? Non lo sappiamo; è comunque più leggero di quello dell'allontanamento. Andandosene bisognava essere carichi di «sostanze» che permettessero di vivere: era necessario portarle con sé. Nel ritorno non occorre avere nulla. Se hai qualcosa, lascialo. Nella casa del padre non serve avere nulla. Nemmeno i semi delle carrube. Là c'è il pane buono e abbondante.

Il cammino verso il pane diventa un cammino verso il padre. Le motivazioni non sono perfette, non sono di amore puro, ma la direzione dei passi è quella vera e giusta! «S'incamminò verso suo padre»!

 

Quando era ancora lontano il padre lo vide

 

La distanza dal padre è effettivamente grande! Il figlio che s'incammina verso il padre è lontano, è sempre lontano. I suoi passi sono passi d'un uomo debole, passi d'un figlio capace ormai solo d'essere schiavo. I passi verso l'amore sono egoistici: come potranno arrivare alla meta? I passi d'uno schiavo giungeranno ad un padre che non sia padrone?

Quand'era ancora lontano: il Padre vede nel segreto. Gesù ci presenta così il Padre suo e nostro, come uno che vede dove noi non vediamo, vede ciò che noi non vediamo. Questo padre non era mai andato in cerca del figlio, perché sapeva che egli s'era allontanato liberamente. Questo padre ha rispettato la distanza voluta dal figlio. Ora egli vede i primi passi del ritorno. Bastano i primi passi del figlio, ed egli si sente libero di colmare la distanza.

«Non si addormenta il tuo custode, non si addormenterà, non prenderà sonno, il custode d'Israele! Il Signore è il tuo custode, il Signore è come ombra che ti copre e sta alla tua destra» (Sal 120).

Questa è la preghiera che rassicura il fedele ogni momento.

Il Padre, benché a noi sembri lontano, tiene in realtà il suo sguardo vigile sempre su di noi. Egli non ci perde di vista! Appena può, appena trova una minima corrispondenza in noi, ci fa sentire la sua tenerezza, la sua presenza, la sua 'maternità'! Nei primi passi del ritorno del figlio il padre vede già tutto ciò che si svolge nel suo cuore!

Il padre vede già tutto di lontano.

 

e commosso gli corse incontro

 

Il padre risparmia al figlio molta strada. Come questi si muove, si trova già davanti allo sguardo d'amore del padre, tanto da accorgersi di non essere mai stato dimenticato.

Il padre va ad incontrarlo fuori di casa, in un luogo dove non ci siano distrazioni, là dove non c'è nemmeno il pane. Il figlio infatti non riceverà vita dal pane che sta cercando, ma solo dal padre. Egli, il padre, può ridonare vita al figlio, un figlio che ritorna senza diritti da vantare, con le sole parole dell'umiltà nel cuore.

È proprio questo l'atteggiamento che tocca il cuore del padre mentre incontra il figlio nel suo essere più profondo. Egli stesso, il padre, si era dimostrato tanto umile da non far valere la sua autorità né da rivendicare ascolto e attenzioni per la propria persona. Ora finalmente anche il figlio è umile. I loro cuori si possono incontrare e fondersi l'uno nell'altro, gioire l'uno dell'altro!

Il padre corre: non c'è altro di così importante. Tutto il resto può attendere! Il momento dell'incontro va affrettato.

 

gli si gettò al collo e lo baciò

 

Il padre non lascia al figlio il tempo di parlare. Gli dà subito dimostrazione di perdono e di affetto. Non pensa anzitutto a saziargli lo stomaco, ma a dargli un segno di pace, di comunione, di accoglienza. Noi davvero abbiamo bisogno più di perdono che di pane e di salute. Gesù, «che fa ciò che vede fare dal Padre» (Gv 5,19), lo sapeva, e per questo, trovandosi davanti ad un paralitico, prima di tutto lo ha perdonato (Lc 5,20).

Con i suoi gesti il padre precede il figlio, che sente così l'amore di cui è investito come un amore gratuito, un amore che non nasce come conseguenza del suo pentimento, ma che è già presente da sempre: un amore di padre appunto!

Così Giuseppe aveva baciato i suoi fratelli in Egitto, i fratelli che l'avevano venduto come schiavo. Con l'abbraccio ed il bacio egli li ha perdonati ed ha garantito loro la propria protezione e assistenza fraterna.

Noi ascoltiamo volentieri la narrazione di un incontro così: è l'incontro di cui abbiamo bisogno ogni giorno col nostro Dio, che

«Non ci tratta secondo i nostri peccati,

non ci ripaga secondo le nostre colpe.

Come il cielo è alto sulla terra,

così è grande la sua misericordia su quanti lo temono; …

Come un padre ha pietà dei suoi figli,

così il Signore ha pietà di quanti lo temono» (Sal 102, 10-13).

 

Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio

 

Ormai non occorre molto coraggio. Con la corsa ed il bacio il padre ha parlato più che con molti discorsi. Al figlio basterebbe solo rispondere all'abbraccio, ma egli si è già preparato quand'era lontano e comincia a pronunciare le parole cui aveva dato fiducia. Non s'accorge che esse ormai sono inutili. Il padre è colui che vede nel segreto e conosce le parole dell'uomo prima che salgano alla lingua (Sal 139). Il figlio pone fiducia sull'efficacia del proprio discorso, ma il padre non gli lascia il tempo di terminarlo. Che cosa potrebbe insegnare al padre un figlio che non ha saputo esser figlio? Può un padre imparare a non essere più padre e a trasformarsi in padrone?

No, sta’ zitto e lasciati amare in silenzio. Lascia che il padre si comporti come vuole, e invece impara tu, osservandolo con attenzione.

«Benedici il Signore, anima mia,

non dimenticare tanti suoi benefici.

Egli perdona tutte le tue colpe,

guarisce tutte le tue malattie;

salva dalla fossa la tua vita,

ti corona di grazia e di misericordia» (Sal 102,2-5).

 

Ma il padre disse ai servi: Presto

 

Il padre non dice nulla al figlio: gli ha già detto tutto con l'abbraccio e il bacio. Ogni aggiunta di parole sarebbe non solo superflua, ma anche dannosa, perché limiterebbe il significato così ampio e completo del gesto compiuto.

Il padre si rivolge invece ai servi, coloro che guardano stupiti l'amore mai visto, come gli angeli assistono con stupore ad ogni passo che Dio muove verso l'uomo, verso il peccatore!

E ai servi dice: Presto! Il tempo è tutto a servizio del figlio ritornato.

Il tempo di Dio è tutto occupato dal lavoro di ricostruzione della propria immagine sul volto e nella vita dell'uomo. Il tempo dei servi di Dio è tutto preso dai peccatori che cercano la via del ritorno al Padre. Per questo Gesù stesso si lascia occupare il tempo dai peccatori che ora lo stanno ascoltando e che sentono questo «presto» dalla bocca di Gesù come un ulteriore invito a non attendere a lasciarsi amare da Dio.

Il figlio comincia a godere. Il padre fa sì che i servi si mettano a sua disposizione.

L'uomo che torna a Dio riscopre tutte le cose come dono, come segni della tenerezza del Padre. Prima vedeva tutte le cose distanti, con invidia, perché non «sue», ora sente in ogni cosa e ode in ogni voce l'assicurazione dell'amore grande e sconfinato del Padre!

Ora tutto è di nuovo "suo", non come diritto né come proprietà, ma come dono. Tutto è del Padre, ma il figlio ne può godere! È ancora più bello questo godere delle cose che sono del Padre e che vengono messe a mia disposizione dal suo amore! Ora il figlio che non ha diritti scopre la bellezza della "proprietà" del padre suo!

 

portate qui il vestito più bello e rivestitelo

 

Il termine usato da Gesù per indicare il vestito che i servi devono portare viene adoperato per le vesti liturgiche e per quelle che indossano i redenti nella Gerusalemme celeste.

Il figlio che ritorna al padre deve risplendere di gloria come un sacerdote del tempio e come coloro che fanno festa nell'eternità! Non si deve più vedere il suo passato di miseria, frutto del peccato! In lui deve manifestarsi solo l'amore del padre. Egli, il peccatore riconciliato, diventa il testimone qualificato della gloria del padre suo. La sua presenza è ora solo rivelazione della pazienza e della fedeltà del padre! Il vestito più bello è quello delle solennità, delle grandi occasioni, il vestito della gioia: tutti devono vedere l'amore del padre sul figlio, tutti devono amare questo figlio con l'amore di cui lo circonda il padre!

Il vestito più bello è quello profumato, indossato da colui che è «il più bello tra i figli dell'uomo» (Sal 45,3), vestito indossato sul monte dove risplende più della neve, il vestito splendente con cui esce dalla morte dove si è fatto peccato per gli uomini, annoverato tra i malfattori.

Rivestitelo! Il figlio non fa nulla, si ritrova improvvisamente trasformato. Una luce risplende dal volto e dallo sguardo del peccatore ritornato all'amore del Padre, una luce che egli non vede, ma di cui tutti s'accorgono come di nuova veste che non può esser nascosta.

Il Padre non gode della miseria del figlio. Il Padre lo vuole partecipe della propria dignità. Così il figlio sarà testimone della grandezza del Padre suo, una grandezza fatta tutta di bontà, di gratuità, di santità generosa!

 

mettetegli l'anello al dito

 

L'anello porta il sigillo per dar valore alle decisioni scritte, quelle importanti per tutta la casa. Il padre dà autorità al figlio, la propria autorità. Gli conferma la propria fiducia, una fiducia senza limiti. Il figlio che ha conosciuto le conseguenze funeste della distanza, che conosce la miseria del paese lontano, rimarrà sempre nella casa, non se ne andrà più (cfr. Gv 8,35).

Chi ha conosciuto la miseria dell'abbandono del padre non contrasterà più la sua sapienza e le sue decisioni.

Chi ha sperperato con la propria stoltezza le sostanze non si fiderà più di sé, ma cercherà nell'ascolto del padre le direttive del proprio agire ormai disinteressato: il figlio sa che nulla ormai gli appartiene più! Egli è soltanto amministratore, egli è nonostante tutto amministratore autorevole, con l'anello al dito!, anzi alla mano. Il testo greco dice letteralmente «alla mano». La "mano" significa l'attività, l'operosità dell'uomo. Tutto ciò che fa l'uomo riconciliato ha il benestare di Dio! Le opere dell'uomo ritornato al Padre portano il sigillo divino, sono opere sante e santificanti.

Il lavoro dell'uomo è collaborazione all'opera creatrice di Dio, imprime nel creato i segni della sapienza divina, trasforma le cose in dono d'amore eterno e santo! L'anello messo dal Padre al dito del figlio è un segno grande: tutte le opere dell'uomo riconciliato col Padre sono destinate a divenire dono di Dio agli uomini!

Ogni lavoro, ogni occupazione degli uomini e delle donne, è significato e contenuto in quel pane e in quel vino che sono trasformati dal rendimento di grazie. Il pane e il vino che vengono usati per la celebrazione eucaristica sono davvero il frutto dell'anello posto sulla mano del figlio ritornato ad incontrare il Padre, sono frutto della benedizione data da Dio al lavoro dell'uomo!

 

e i calzari ai piedi

 

Il figlio, divenuto schiavo, non aveva più calzatura. Questa è il distintivo dell'uomo libero, l'uomo che può camminare «sopra i serpenti e gli scorpioni», senza pericolo. I calzari sono la risposta del padre al discorso preparato dal figlio e che questi non ha potuto pronunciare: «trattami come uno dei tuoi garzoni». Il padre non vuole farsi padrone del figlio. Per il figlio sarebbe forse più facile, avrebbe meno responsabilità, meno impegno; si corrono meno rischi ad essere servo: non occorre impegnare amore, non occorre prendere iniziative, basta eseguire ordini, anche senza sapere il perché.

Lo stipendio è comunque assicurato…

Ma il padre non vuole schiavi, egli vuole figli! Non occorre ti descriva la differenza tra l'essere figlio e l'essere schiavo! Chiunque ritorna alla casa del Padre riceve spirito da figli, che sostituisce la paura, prodotta dallo spirito da schiavi, con la gioia, la pace e la piena confidenza della libertà vera.

 

Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa

 

Finalmente il padre comincia a pensare alla fame del figlio. Ora che il figlio è pienamente reintegrato come figlio, può sedere a mensa. E la sua fame è diventata fame per tutti, per il padre e per i servi!

«Portate il vitello grasso». È da molto tempo che viene preparato e atteso questo momento. Questo è il momento atteso da tutti, anche dai servi che accudivano al vitello per ingrassarlo, pur senza conoscerne il motivo.

Il vitello grasso va ucciso: proprio come l'agnello per la pasqua. L'iconografo russo Rublev, che ha scritto l'icona della Trinità, ha messo nella coppa offerta da Abramo ai tre Angeli divini, e posata sul tavolo - altare, una testa di vitello. Egli rispondeva così alla domanda della nostra curiosità: che vuol significare l'uccisione del vitello grasso? Essa allude a quella morte che ci permette di sedere a mensa, di nutrirci, di far festa, una festa iniziata e mai terminata. È quella morte che ci offre la carne che dà e nutre la vita eterna al nostro corpo mortale e diviene in noi pegno di immortalità.

«Mangiamo e facciamo festa». Il figlio ritornato e perdonato diventa motivo di festa per tutti! Ogni volta che ci avviciniamo alla mensa di Dio e alziamo il Pane e il Calice della Benedizione noi sappiamo che stiamo continuando la festa di Dio per il ritorno dei peccatori: il sangue di Gesù è stato «versato per voi e per tutti in remissione dei peccati!».

I peccatori che tornano sono necessari, altrimenti non c'è festa. Sono io quel peccatore che ogni giorno vuol tornare. Il Padre ogni giorno si muove a compassione e ordina la festa: e la carne del «Vitello grasso» ucciso mi viene ogni giorno offerta, e la festa riprende a comunicare gioia e a trasformare il mondo in luogo dove risuonano musica e danze per l'amore del padre verso il figlio ritrovato.

 

perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa

 

Tutti devono conoscere il motivo della gioia del padre. Anche i servi devono partecipare alla festa non come servi, ma come amici: «il servo non sa quello che fa il suo padrone» (Gv 15,15)! Tutti diventano come figli e amici per questa festa! Solo i superbi e coloro che vogliono essere grandi e si ritengono sapienti saranno impediti dal conoscere i segreti che muovono il cuore del Padre. Agli umili e ai piccoli egli li rivela (cfr. Mt 11,25), e questa rivelazione è fonte di gioia e di salvezza!

Questo mio figlio era morto…: parole che evocano la situazione e la gioia di Giacobbe quando in Egitto abbraccia il figlio Giuseppe! Di lui i fratelli gli avevano comunicato che era stato sbranato dalle fiere. Ora invece lo può stringere a sé!

Queste stesse parole evocano la gioia di Dio nel giorno della risurrezione di Gesù, consegnato dagli uomini alla morte come malfattore.

Gesù, che sta raccontando la parabola, sa di non raccontare una favola, ma la vera storia presente nel cuore di Dio, storia che egli, il Figlio, sta preparando e vivendo.

Quanti peccatori, attratti dal suo volto e dal profumo del suo Pane, torneranno al Padre!

Quanti popoli dal paese lontano si muoveranno per incontrare il Dio della misericordia e della compassione che egli fa conoscere!

Quanti uomini, dal paese delle false libertà in cui trovano soltanto solitudine e schiavitù, si muovono per seguire il suo esempio di Figlio obbediente!

La festa, la vera festa comincia. Il vitello grasso è stato preparato per questa festa, che racchiude e riassume le motivazioni di tutte le altre feste che potrebbero essere celebrate! Tutti i motivi di tutte le feste religiose - tutte le feste sono in fin dei conti religiose - trovano in questo fatto il loro culmine! L'amato si lascia di nuovo amare! Il Padre può abbracciare l'uomo, lo riveste, lo innalza a dignità di figlio, gli dà autorità, lo nutre e lo rallegra!

 

Il figlio maggiore si trovava nei campi

 

Gesù non dimentica coloro che lo stanno ascoltando. Come gruppo ben distinto, che si tiene con cura distante dai pubblicani e peccatori, ci sono i farisei e gli scribi.

È per loro che Gesù ha iniziato a descrivere il peccato dell'uomo e il perdono di Dio.

Essi osservano e compiono la volontà di Dio. Conoscono e realizzano tutte le regole. Essi sono il figlio più anziano al lavoro nei campi: fanno quello che il Padre ha indicato, ma sono tristi e arrabbiati.

Essi davvero non conoscono il Dio che stanno servendo.

Essi sono convinti di non essere peccatori.

Essi stanno cercando il modo di impedire a lui, a Gesù, di dare ai peccatori il bacio di Dio!

Ecco il loro posto nella festa del Padre!

 

Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze

 

Questo figlio che sembra «obbediente» s'avvicina alla gioia. Egli s'accorge che il padre suo è contento: per questo ha organizzato la festa per tutti. La festa è nella sua casa. Tutto risuona letizia.

Il motivo della gioia del padre diventerà motivo di gioia anche per il figlio? Quanto grande può essere la sua gioia! E quanto può aumentare ancora la gioia di tutti!

 

chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò

 

Il figlio maggiore non cerca il padre. Il figlio cerca un servo! Il figlio si fa istruire da un servo sulle decisioni del proprio padre! Che cosa potrà riferire un servo? Egli riferirà ciò che piace udire a colui che lo sta interrogando!

Vuoi conoscere la verità?

Entra, fa esperienza della festa, partecipa ai canti e allora capirai anche tu l'amore del padre! Non interrogare i servi, perché un servo non conosce l'amore, e non gli interessano i motivi dell'amore. Le verità che un servo può dire sono prive dell'unica grande verità: l'amore!

 

Il servo gli rispose: E' tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo

 

Il servo sa riferire solo una parte, quella più esteriore dell'avvenimento. Egli non sa dire la corsa del padre, né il bacio, né le parole del figlio pentito e nemmeno le motivazioni della gioia del padre. Egli riferisce solo l'impiego del vitello grasso per la salute del fratello.

Il servo riferisce notizie fredde, riferisce verità staccate dall'amore. Le verità pronunciate senza amore sono già menzogna, appartengono al mondo delle tenebre, quel mondo non vero su cui non risplende la luce del Padre che ama tutte le sue creature!

 

Egli si arrabbiò, e non voleva entrare

 

Sta verificandosi una situazione paradossale. Il figlio, ormai unico erede, non vuole entrare nella propria casa! Egli vorrebbe la casa vuota, senza gioia!

La sua casa è piena di canti, è una casa in festa, ed egli non vuole partecipare!

Chi o che cosa provoca la sua indignazione?

È l'invidia? È la gelosia? È l'avarizia? È un sogno infranto? Il sogno d'essere ormai solo a godere tutto? O è qualcuno, il nemico della gioia dell'uomo?

Egli comunque non riesce a fermare la festa. Questa è cominciata e continuerà. La decisione del padre non verrà cambiata.

Gli scribi e i farisei possono arrabbiarsi con Gesù, per il suo amore ai peccatori, perché li ha invitati a condividere l'amore misericordioso del Padre: ormai questo continuerà a rallegrarli e salvarli! È davvero sconvolgente la situazione dei cristiani che non vorrebbero la conversione dei propri nemici o dei presunti nemici. Sono ancora cristiani? Sono ancora figli di Dio coloro che non pregano per i peccatori e non condividono l'amore del Padre per loro, anche se sono propri nemici?

È ancora figlio, il figlio che non vuol partecipare alla gioia del Padre?

 

Il padre allora uscì a pregarlo

 

Il padre, già uscito per incontrare il figlio che tornava lacero e umiliato, esce ancora per incontrare il figlio che non vuol entrare! Il padre è sempre e con tutti misericordioso. Nessuno potrà vantarsi di non aver avuto bisogno della sua misericordia.

Il padre uscì per «chiamarlo vicino a sé». Così si potrebbe tradurre il termine greco usato qui dall'evangelista Luca. È il verbo da cui deriva la parola "paràclito", consolatore, difensore, assistente! Il padre esce per avere vicino il figlio, per trasmettergli il proprio spirito!

Il padre lascia la festa, soffre, perché il figlio non sa amare il fratello. Il rifiuto del fratello è diventato anche rifiuto del padre, rifiuto di accogliere e di comprendere i suoi ragionamenti e la sua misericordia, rifiuto di avere il suo spirito d'amore. Il padre s'accorge che questo figlio, che s'era sempre comportato come un figlio, un cuore di figlio non l'aveva.

Le sue parole rivelano subito che egli aveva un cuore di servo. Il padre lo vorrebbe abbracciare per fargli sentire il proprio amore, e comunicarglielo: lo chiama vicino a sé!

 

Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando

 

Il figlio vive difatti come un servo, un servo che s'attende riconoscimenti, che conta gli anni di servizio, che riceve le parole del padre come comandi di un estraneo e le osserva con paura di eventuali castighi, non con la gioia della comunione e la stima della sapienza dei suoi pensieri.

Il nome di figlio gli serve solo per ritenersi un servo privilegiato.

A chi va il pensiero di Gesù mentre continua il racconto? Solo ai farisei?

Solo ai cristiani provenienti dal giudaismo e che non volevano mangiare con i loro fratelli convertiti dal paganesimo?

Arriva il suo cuore a pensare anche a quei cristiani del Duemila che sentono come un peso le sue parole e cercano di fare il minimo possibile per non perdere i diritti di un matrimonio con l'organo e di un funerale con le campane?

 

e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici

 

Ecco cosa si nascondeva nel cuore di questo «figlio», e c'è voluto la festa per il ritorno del fratello a rivelarlo. Questo figlio aveva degli amici più cari del padre, amici cui egli è più affezionato che al proprio padre! Con questi amici sarebbe pronto a far festa!

Ora comprendo perché rimprovera il padre: il suo cuore spazia fuori della casa paterna! Egli non si è prostituito con le prostitute, ma il suo cuore non è rimasto libero e puro. In esso sono entrati alcuni amici a sostituire il padre!

Ai tempi di Gesù certamente non c'erano le discoteche, né gli stadi, né altri luoghi dove oggi si consumano feste senza padre e senza fratelli. La tentazione di feste che sostituiscano la vera Festa, quella organizzata per la gioia di tutti, esiste da sempre. Il desiderio di feste con alcuni amici, invece che con tutti! Le feste dell'egoismo al posto della festa dell'amore! Le feste delle tenebre al posto della festa nella luce! Il godimento invece del rendimento di grazie, il piacere delle bevande e della sessualità al posto dell'Eucarestia!

Tu non mi hai mai dato: il figlio più giovane aveva cominciato la sua tragedia con la parola «dammi», con la pretesa, con l'avidità. Il figlio maggiore non aveva pronunciato quella parola, ma l'ha tenuta pronta nel cuore, e ora con essa accusa e condanna il padre: non mi hai dato!

Parlando di questo figlio, a Gesù dev'esser passato per la mente il nome di quel cristiano che qualche ora fa mi ha detto: «Non ho mai fatto niente di male, ed ecco quel che mi capita. Una malattia a me? Dio è ingiusto.» «Sono andato a Messa anche ieri: e oggi gli affari mi vanno male. Cosa fa Dio per me?». Un figlio che vive con cuore di servo. Un figlio che non sa affidarsi al Padre, perché in fin dei conti non ha fiducia in lui, ma solo pretende benessere in cambio di qualche gesto di obbedienza vissuta come costrizione.

Questo figlio ubbidiva al padre, ma non lo amava. Ascoltava i suoi ordini, ma non incrociava il suo sguardo. Stava con lui, ma non riceveva il suo Spirito.

Ora l'amore puro del Padre, il suo amore gratuito, mette in crisi il figlio.

Di fronte a Gesù, rivelazione dell'amore di Dio per i peccatori, «si svelano i pensieri di molti cuori» (Lc 2,35). Si rivelano i veri figli, si distinguono dai falsi figli. Gesù, rivelazione del Padre, è segno di contraddizione (Lc 2,34). È lui la festa cui tutti sono invitati, e che qualcuno rifiuta. Chi la rifiuta non ha comunione col Padre, non ha il cuore del Padre!

 

Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso

 

Continua il rimprovero del figlio indignato contro il padre che è uscito per farsi suo consolatore. Un rimprovero sempre più severo. Egli elenca i peccati del fratello, non più riconosciuto come fratello, ma nominato con disprezzo «questo tuo figlio», disprezzo del fratello e disprezzo del padre.

Il rapporto padre-figlio non può non includere il fratello, anzi, su questo rapporto si gioca tutto!

«Non abbiate alcun debito con nessuno, se non quello di un amore vicendevole; perché chi ama il suo simile ha adempiuto la legge» (Rom 13,8).

Sono vere le accuse che il figlio rivolge al padre? Perché non gli ha mai dato un capretto?

Il Padre è il vignaiolo che si cura della vigna e alza e pota i singoli tralci (cfr. Gv 15) perché portino frutto.

Forse per questo egli ha ceduto all'arroganza del più giovane dandogli la parte dei suoi beni. Forse per questo egli non ha mai dato al figlio un capretto da portare fuori casa per far feste inopportune!

Egli sa che i suoi figli sono tutti da "educare", da curare, da salvare, e che per ognuno di essi va pensato un modo particolare di agire.

Anche per me il Padre tiene in mano delle forbici per potare, per intervenire nella mia vita. Io non ho apprensione né paura, perché so che quelle forbici, anche se taglienti e dure, sono tenute nelle sue mani e guidate dal suo sguardo di padre. Mi fido di lui e accetto con riconoscenza anche i contrattempi e le privazioni e le malattie come potature dei miei desideri e delle mie volontà! Il frutto per il regno di Dio sarà assicurato.

 

Gli rispose il padre: Figlio

 

Nonostante tutto il padre è fedele. Il padre mantiene il proprio ruolo di padre anche se il figlio non si dimostra tale. Il Padre è fedele alla propria paternità. Figlio! Questa parola risuona in tutto il suo valore gratuito. Qui questa parola ha il valore del bacio dato al figlio più giovane.

Questa parola è pronunciata da Gesù con lo stesso tono di voce con cui dirà "amico" a Giuda nell'Orto degli Ulivi la notte del tradimento.

Figlio! Il Padre non priva mai nessuno del suo amore e della sua considerazione. Quel volto indignato è un volto che potrà ancora riflettere la gloria di Dio. Ora invece sta riflettendo la tenebra della menzogna del distruttore e dell'accusatore dei fratelli, ma il Padre non perde e non smette la speranza. Le sue parole pronunciate con dolcezza e fermezza produrranno effetto, anche se non subito, anche se gradualmente.

 

tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo

 

La gioia del padre è la comunione con il figlio. La gioia del figlio è la comunione con il padre. Questo il figlio maggiore l'ha dimenticato, forse non l'ha mai provato perché s'è lasciato anche lui sedurre dai beni, dalle cose, dalle ricchezze.

La gioia principale del figlio è l'amore e la comunione del padre: questa non viene diminuita, anzi è accresciuta, se viene partecipata al fratello. La fame e la miseria del figlio che ha dilapidato tutti gli averi ha sortito l'effetto di fargli desiderare con nostalgia il padre per il suo amore e la sua attenzione a tutti.

Quest'altro figlio, cui non manca nulla, è ancora più povero e misero: non ha nemmeno il desiderio d'incontrare il padre, né la volontà di piacergli. Questo figlio, che non ha provato l'umiliazione della schiavitù, non sa apprezzare la condizione di figlio. Che cosa è necessario fare perché anche questo figlio diventi umile come l'altro? È sufficiente pensare alla situazione in cui si trovava l'altro, situazione di morte e di perdizione?

Il padre fa un tentativo:

 

ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato

 

Il padre vuol correggere il figlio maggiore.

Egli è figlio, ma i suoi pensieri e le sue reazioni non sono rispettose del padre: non possono continuare a vivere in lui. Egli è figlio, ma ha perso ogni somiglianza col padre. Il suo esser figlio rischia di diventare inutile. A cosa serve esser figlio se non a godere comunione piena col padre, ad avere i suoi sentimenti, la sua attenzione e la sua gioia?

Il padre non può fare a meno di far festa e rallegrarsi: un altro figlio è diventato figlio, è stato ritrovato! Con il padre tutti devono far festa!

 

***

 

Gesù qui smette il racconto.

Il padre si trova ancora là sulla strada, davanti al figlio ostinato e ingrato?

E questi continua a coltivare la propria rabbia? Continua a rifiutare la gioia preparata anche per lui?

Il racconto di Gesù viene continuato in vari modi dalle singole reazioni dei suoi numerosi ascoltatori.

Questo racconto è ancora vivo e sempre si ferma qui, perché possa continuare nella gioia di qualcuno che accetti di chiamarsi fratello di un peccatore pentito e ritornato.

Gesù non ha raccontato una storiella, egli ha fatto una proposta. Terminando il racconto, dicendo «bisognava far festa», mi dà la possibilità e mi mette già sulla strada di godere insieme a Dio dell'arrivo di un fratello da molto lontano.

Gesù mi dà la possibilità di vedere la bontà, la misericordia, la fedeltà, l'amore del mio Dio, dell'unico Dio! Egli mi fa conoscere la bellezza della sua paternità, la luce dei suoi occhi, il suo desiderio di salvezza per tutti gli uomini, il suo desiderio che la nostra felicità - quella che troviamo solo nella piena comunione con tutti - non conosca ombre!

 

***

 

Il Padre soffre per tutti e due i figli, sia per il più vecchio che per il più giovane, poiché tutti e due sono affascinati dalle sostanze.

Tutt'e due trattano il padre con durezza pretendendo di insegnargli cosa deve fare.

Tutti e due lo vedono uscire per causa propria.

Tutti e due i figli, e tutti gli uomini che essi rappresentano.

Ci sarà un terzo figlio?

Ci può essere il figlio che non si lascia sedurre dalle ricchezze del padre, che non le pretende per sé, che le usa insieme al Padre secondo la sua sapienza, che gode di stare con lui, che fa festa con lui per la sua presenza, che rimane in casa imparando la misericordia del Padre, che gode dei motivi della sua gioia?

Il terzo figlio c'è, egli è l'unico vero figlio. Egli è colui che mi può raccontare le uscite del Padre perché le vive nella propria carne.

Il terzo figlio esiste. Egli fin da quando è stato proclamato responsabile delle proprie azioni, a dodici anni, superando l'esame che lo proclama «Bar Mitzwah», «figlio del precetto», da allora egli vuole «occuparsi delle cose del Padre» ed «essere nella sua casa»! Da allora egli vuole piacere più a Dio che agli uomini. Egli tiene il suo sguardo rivolto al Padre perché il figlio fa ciò che vede fare dal Padre (Gv 5,19) e lo ascolta con attenzione passando le notti in preghiera, perché il figlio dice le parole che ode dal Padre. Egli è un figlio che porta senza ombre la somiglianza del Padre.

Io guardo a lui per vedere il Padre: «Chi ha visto me ha visto il Padre» e ascolto lui per ascoltare il Padre: "Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo".

Il vero figlio sei tu, Gesù!

Ed io ti ringrazio d'avermi rivelato il volto ed il cuore del Padre, la sua mano ed i suoi passi. Ti ringrazio perché sei tu il bacio con cui il Padre mi ha accolto e ancora mi accoglie, sei tu la parola che il Padre mi rivolge per farmi accogliente verso coloro che egli ha baciato e rivestito e calzato!

Gesù, ti ringrazio d'aver raccontato con questa parabola tutto l'amore del Padre, quel Padre che tu hai fatto risplendere sulla terra!

Se io conosco e amo il Padre, è perché tu me lo hai rivelato. Non io sono riuscito a scoprirlo, né con il ragionamento né con l'esperienza, ma tu me l'hai rivelato con il tuo racconto, con la tua preghiera, con il tuo essere innalzato sulla croce, con la tua vita!

Soprattutto là, dove tu, sfigurato tanto da sembrare «verme e non uomo», hai gridato, hai chiesto perdono per noi, hai consegnato lo spirito, là mi hai rivelato un'immagine del Padre uscito per incontrarmi nel mio peccato, nella mia distanza. Là sulla croce tu, il Figlio, attiri il mio sguardo perché io non muoia, ma abbia la vita eterna nell'abbraccio del Padre fedele e misericordioso.

«Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16).

Il tuo amore, o Dio, è l'amore di quel Padre che esce, che continua ad uscire.

Tu esci attraverso il Figlio, Figlio «dato», cioè consegnato agli uomini, che sanno solo procurare la morte, loro comune eredità. Chi crede in lui, nel Figlio che Tu hai «dato», nel Figlio mentre muore, sta credendo in colui che è il tuo amore, Padre, sta incontrando e ricevendo il perdono e la tua comunione, sta ricevendo la vita eterna! Quando faccio conto della sua presenza di Risorto, vivo davvero! Quando credo in lui imparo ad amare alla tua maniera, imparo ad uscire da me stesso, dai limiti imposti dal mio egoismo, e vivo una vita nuova, mai conosciuta prima!

Signore Gesù, credo in te!

 

.....................................

Nihil obstat: don Iginio Rogger, cens. Eccl., Trento, 11 aprile 1999

 

Ultima pagina di copertina:

 

Per il disegno iconografico di copertina ringraziamo Fabio Nones, Trento, 1999.

Un uomo aveva due figli:

il disegno è senza colori: esso non rappresenta un avvenimento della storia della Salvezza, un fatto del Vangelo, ma il racconto di una parabola. Essa è vera per ciascuno di noi, assume i colori della vita di ogni suo ascoltatore.

Il Padre è uscito per incontrare il figlio maggiore e per invitarlo a partecipare alla festa che si celebra per il ritorno del figlio minore.

Questi, ormai reintegrato nella sua dignità di figlio, assume gli stessi atteggiamenti d'amore del Padre. Vestito a festa, coi calzari ai piedi, partecipa all'amore del Padre, di cui, per grazia, ha conseguito la statura interiore.

Il figlio maggiore ancora non accetta l'amore del Padre, né accetta di amare il fratello in unità con lui. Egli gira anzi le spalle, tenta di nascondere la propria durezza e il proprio orgoglio aggrappandosi al lavoro, ai propri diritti, alle cose della terra. Il suo volto mostra solo un occhio: chi non accetta l'amore del Padre non riesce a vedere completamente la verità delle cose e della vita. La sua statura non raggiunge quella del Padre: ha ancora una vita interiore da adolescente ripiegato su di sé. I suoi piedi poggiano sulla terra mossa del campo, anziché sulla roccia ferma e stabile: chi non partecipa all'amore del Padre non ha sicurezza spirituale.

Persino la natura sente la differenza: la palma piega i rami verso il padre ed il figlio perdonato accomunati dall'amore, mentre sembra sfuggire dal fratello incapace di misericordia, incapace di gioire della gioia del Padre!

Grazie Padre, per il tuo amore fedele agli uomini. Noi siamo tutti incapaci di amare. Tu ci doni il tuo santo Spirito che ci fa assomigliare a te, che ci fa gioire con te, ci fa partecipare alla tua attenzione a ciascuno di noi per renderci capaci di vincere quell'egoismo che ci fa soffrire e ci chiude a te e ai nostri fratelli. Benedetto sei tu, che ci benedici e ci attendi con pazienza! Benedetto sei tu nei secoli!