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Il vino di Cana Gv 2

IL VINO DI CANA

"Ti farò mia sposa per sempre" (Os 2,21)

 

 

1. SE TU FOSSI ARRIVATO IN RITARDO...

Se tu fossi arrivato in ritardo alle nozze di Cana saresti stato fortunato!

Se fossi arrivato in ritardo avresti trovato una sala piena di gioia, un convito di festa, una festa in cui tutti partecipano con un cuore d’esultanza. Perché esultano? Perché cantano? Perché la gioia riempie gli occhi e il cuore?

Avresti ricevuto queste risposte: «Abbiamo visto l’amore di Dio per noi, abbiamo gustato il sapore di una festa di cielo.

C’è tra noi Colui che il Padre ha mandato per mostrarci il suo amore e per donarcelo!

Egli ci ha liberato dalla paura di Dio, ha tolto dal nostro cuore il peso di un futuro triste, ha eliminato le conseguenze del passato vissuto in un vuoto senza significato. Abbiamo bevuto il vino dell’amicizia di Dio!

Non abbiamo mai gustato un vino così gioioso, un vino che ci unisce in amore solidale e puro, un vino inatteso.

Tra noi vive Colui che ce lo dà con la sola sua Parola. Ce lo dona gratuitamente. Ce lo dona umilmente».

Se tu fossi arrivato alle nozze di Cana in ritardo...!

Io non sono arrivato in ritardo. Ho condiviso la preoccupazione: le nozze si stavano tramutando in un lamento, in un continuo mormorio, in una lunga sessione di mormorazione e lamentela.

C’era un senso di impotenza generale: lo leggevi sul volto dei responsabili. Non sapevi il perché, nessuno lo sapeva, nessuno lo voleva sapere. Tutti cercavano gioia nel conversare di argomenti inventati ed esagerati per farsi interessanti, ma nessuno era soddisfatto. La gioia era sempre più lontana, sempre più sconosciuta.

Diveniva sempre più forte la lamentela contro il maestro di tavola e contro i servitori. Qualcuno s’azzardava a parlar male persino dello sposo e della sposa.

Insoddisfazione generale, preoccupazione, tentativi vani di far festa, di suscitare allegria.

Non sono arrivato in ritardo.

Ho vissuto questo dramma che si prolungava ore, giorni, settimane, anni...

Un dramma che certamente continua ancora là dove alle nozze di Dio con l’umanità non viene fatto intervenire Gesù.

 

2. NOZZE SENZA VINO

 

Chi sono gli sposi di quelle nozze di Cana cui è stato invitato Gesù con i suoi discepoli?

Come mai l’evangelista non si è curato di descriverceli, di «fotografarli» per noi, di registrarne i nomi e i connotati?

Probabilmente l’evangelista era sicuro che i suoi lettori avrebbero capito al volo, e perciò non fa nemmeno il nome dello sposo nè della sposa, e neppure di altri invitati.

Ad un banchetto di nozze era stato invitato tutto il popolo d’Israele.

Questo è il popolo chiamato dai profeti «sposa»; il popolo di cui Dio stesso dice: «Ti chiamerò mia sposa»! Il Dio d’Israele ama il suo popolo con la fedeltà di uno sposo geloso. Lo ama e lo cerca anche quando questo popolo, come una sposa infedele, insegue altrove sogni d’amore.

Questo popolo è continuamente tentato di donare amore ad altri dèi, che sono idoli vani, di obbedire alla seduzione della ricchezza, dell’ingiustizia, del materialismo.

Questo popolo vuol apparire sposa fedele, pur coltivando nel cuore altri amori.

Soprattutto i capi di questo popolo - non avendo amore esclusivo e genuino per il loro Dio - non aiutano il popolo stesso ad incontrare «lo Sposo» personalmente, nè per goderne lo sguardo amoroso, nè per rispondergli con gioia.

Come una sposa che non è più capace di amare s’accontenta di fare il minimo dei servizi in casa - quel tanto che serve a non far arrabbiare lo sposo, quel minimo per far credere che il legame sussiste ancora -, così ora il popolo vive il suo rapporto con Dio.

Queste nozze sono nozze in cui l’amore è esaurito.

Il rapporto con Dio è formale, non c’è la gioia dell’amore.

Manca... il vino!

Non sono arrivato in ritardo alle nozze.

Ho visto e vissuto questa povera situazione, che ancora persiste in qualche angolo del mondo.

Con Dio... ci si accontenta di avere un contegno tale... da non farlo arrabbiare. Si cercano d’evitare i peccati, o meglio, i peccati più grossi. Se Egli si azzarda a dire qualcosa gli si oppone un «ma che male c’è?»!

Tutto ciò che Dio dice, persino i suoi comandi più sapienti, vengono ascoltati con senso di costrizione, come fossero un obbligo imposto da uno che dice di amarci, ma del cui amore si farebbe volentieri a meno.

Ci sono abbastanza interessi, ci sono già molte occupazioni nella vita senza doversi scervellare con Dio, ci sono già problemi e sofferenze senza dover aggiungere fatiche per accontentare un Dio pretenzioso.

La sposa ha cominciato ad amare la sua casa e le sue vesti di sposa più dello sposo. A lui dà le briciole dell’amore. Per paura dei castighi e d’esser cacciata fa qualcosa che ha le sembianze di atti d’amore.

Per paura di qualche bastonata si ferma a chiedere perdono. Ma non appena lo riceve continua come prima. Quando chiede perdono non lo fa perché ha ricominciato ad amare o perché s’è ripresa dal suo egoismo, anzi, chiede perdono proprio per egoismo, per non sentirsi più in colpa, per deporre i rimorsi.

E questa sposa, quando parla ai suoi figli, ad uno ad uno o a tutti insieme, fa elenchi di doveri appesantendo ancor più il loro rimanere in casa. Doveri su doveri, onestà e valori, impegni e nuovi impegni che le facciano far bella figura.

I figli di questa sposa non possono mai godere l’intimità e la serenità dei figli, non sono aiutati a godere del loro padre, non vedono la madre dare un bacio al padre. Sono figli di nozze divenute infelici. Sono figli che sperano venga il giorno della propria maturità, il giorno in cui possano decidere d’uscire di casa.

Essi sono figli che si sentono schiavi. E lo schiavo spera arrivi il giorno della libertà: se questo non arriva egli sogna di andarsene, continuando a vivere in casa triste, demoralizzato, lamentoso e brontolone.

Gesù ha trovato questa situazione ai suoi tempi.

Bisognava andare al Tempio di Gerusalemme. Bisognava comprare pecore o colombe per i sacrifici. Bisognava osservare regole e leggi, sempre più numerose, sempre più minuziose.

Vivere la religione diveniva un’ossessione. Facevi un passo, potevi essere immondo. Toccavi qualcuno, la stessa cosa.

Non toccare, non vedere, non ascoltare, non andare... oh che vita!

E poi lavarsi. Prima di mangiare e dopo, prima di pregare, prima di... e dopo. Acqua, abluzioni, altrimenti chissà Dio cosa ti fa!

Dio fa solo paura. È uno capace di mettere solo paura e terrore.

Così era diventato il rapporto con Dio: un rapporto con comandi, peccati, purificazioni continue.

Le nozze di Dio col suo popolo, che avrebbero dovuto essere una festa, una festa d’amore, sono diventate vita impossibile.

A Cana ne danno testimonianza le sei idrie di pietra. Esse sono là per servire ai riti di purificazione, ma sono vuote. Due di esse dovevano servire per lavare le mani, due per il capo e due, più basse, per i piedi. Ma nessuno vi ha versato l’acqua. Tutti si sono stancati persino di purificarsi: non ci pensano più. Esse sono vuote, trascurate, sono addirittura d’impiccio; servono solo a ricordare che una volta qualcuno si purificava.

Proprio come i confessionali: stanno a ricordare che ci sarebbe anche la possibilità di chiedere perdono; ma chi ci mette mano? Ricominciare a temere un Dio che dà leggi? Meglio ignorarle, dicono in molti. Si vive lo stesso.

 

3. VENUTO A MANCARE IL VINO...

 

Nessuno s’accorge che alla festa manca il vino.

Il rischio è veramente grave.

Cosa faranno gli invitati? Si sentiranno ingannati? Faranno finta di nulla? O se ne andranno via sdegnati dell’invito di quello sposo...?

Ma lo sposo è nientemeno che Dio, il Dio dell’amore e della misericordia, della pace e della vita, e la sposa è il suo popolo, siamo noi.

Se, per colpa della noncuranza dei maestri di tavola o delle esagerazioni e dell’egoismo di qualche invitato, viene a mancare il vino... cosa fanno gli invitati di queste nozze?

Essi, insoddisfatti, cercano altrove. Così":

- Provano ad aderire ad ideologie che fanno impegnare e lottare. Ricevono gratificazione, convinti di essere consacrati al bene dell’uomo; faticano e lottano, gridano, e odiano i ricchi per amore dei poveri.

- Si fermano in gruppi che promettono fraternità e libertà: si costringono a non pensare e a non volere, per godere l’amicizia di chi s’è raggruppato.

- Trovano sètte che promettono vita futura e benessere nell’al di là, mentre ora li spogliano dell’ultimo anelito di gioia che ancora resta. Promettono le nozze... il banchetto, ma solo là, oltre la morte. Qui Dio è ancora Dio della guerra, o della distruzione.

- Trovano maestri che insegnano a sviluppare potenziali interiori ritenuti divini e maghi con nomi attraenti, capaci di sapere, capaci di predire, di guarire, di fare cose strane, cose chiamate persino miracoli. E questi li assopiscono facendo loro dimenticare che le nozze ci sono, li convincono che non ci saranno mai. Mai Qualcuno che ami l’uomo per l’eternità. L’uomo è costretto ad amare se stesso, a scoprirsi “dio” di sè, a tentare di varcare i confini della materia con esercizi e fatiche di concentrazione, con digiuni e astinenze, con fantasie e parole esoteriche.

- Trovano persone così sensibili o ‘sensitive’, così elettroniche, che hanno antenne incorporate capaci di captare messaggi dall’oltretomba. La curiosità seduce a tal punto da far ritenere che questa sia fede; ed è solo creduloneria.

Proprio nessuno s’accorge di nulla? La situazione è senza via d’uscita?

Ciò che sembra essere un’alternativa è davvero sufficiente?

Tutto perduto? Nozze fallite?

 

4. FATE QUELLO CHE VI DIRÀ

 

Qualcuno s’accorge. È presente qualcuno che vede la situazione. È «la Madre di Gesù». La Madre di Gesù percepisce che qualcosa di importante manca nel rapporto degli uomini con Dio.

Gli uomini sono invitati a godere l’amore eterno di Dio per loro. Essi vivono però con Lui seguendo anche i propri interessi, e alla fin fine lo considerano... inutile, se non fosse per la sua potenza che si può invocare - quando occorre - per supplire alla impotenza umana.

La Madre di Gesù s’accorge che agli uomini manca l’amore, non hanno un rapporto diretto di amorevole confidenza col Padre; perciò alle nozze non può esserci gioia. L’amore gioioso è l’unica cosa che rende festa le nozze, è ciò che attira gli uomini a rimanere, perché là c’è la vita in abbondanza.

È la Madre di Gesù colei che s’accorge che manca «il vino». Perché proprio Lei, e perché soltanto Lei?

Ella ama Gesù. Ella ha gustato già la vita d’amore perché ha donato la vita, l’ha resa disponibile al Padre che le ha dato Gesù. Lei sa chi è il Figlio di Dio e lo ama.

Solo chi ama si può accorgere della mancanza d’amore. Chi ama sa che la tristezza e il vuoto e la superficialità vengono dalla mancanza d’amore.

Chi ama il Figlio di Dio e lo ha accolto nella propria vita vede il vuoto di chi ancora non lo possiede.

La Madre che ama Gesù ha occhi per vedere. Ed è ancora così. Chi ama Gesù, chi gli ha dato la vita - sia che lo si chiami mistico, contemplativo o non lo si definisca affatto perché il suo amore non si fa notare con segni particolari -, questi si accorge che all’uomo manca tutto finché non vive in rapporto d’amore con Dio. Coloro che sono a contatto con la Parola di Dio per amore, perché lo vogliono ascoltare e lo vogliono conoscere, questi amano pure gli uomini profondamente, e perciò s’accorgono se manca loro lo spirito di gioia e lo spirito d’amore!

La Madre di Gesù s’accorge della gravità della situazione.

Ella interviene. Non grida, non si agita, non rimprovera nessuno; nemmeno va a lamentarsi dal capo - il maestro di tavola - e neppure va dallo sposo. Lascia fuori dalla sua preoccupazione anche la sposa.

La Madre di Gesù va direttamente dal suo Figlio. E ci va con tanta discrezione, con umiltà, senza mostrare fretta, ma anche senza tentennamenti. Ella sa che Gesù è l’unico che può procurare il vino alle nozze, è l’unico che può far vedere agli uomini il Volto del Padre per risvegliare in essi l’amore.

Il Figlio sa. Anch’Egli s’è accorto della situazione. Ma l’ora in cui Egli potrà conquistare gli uomini all’amore del Padre non è ancora giunta. Quell’Ora giungerà sul Calvario. Quella sarà l’“ora” in cui l’uomo, perdendo la paura della morte potrà vivere il rapporto con Dio solo nell’amore.

Fino a quel momento, momento delle nuove nozze definitive di Dio, non si può fare nulla. Gesù vuol tranquillizzare la Madre: «Noi non siamo responsabili di queste vecchie nozze, non le dobbiamo aggiustare; possiamo solo attendere e preparare quelle nuove e definitive. Cosa c’entriamo tu ed io con queste nozze?».

La Madre capisce. Non si scoraggia per la risposta, nè si rivolge ad altri come se qualcun altro avesse un’altra soluzione.

Ella prepara tutto perché il Figlio dia almeno un segno di speranza, un segno concreto per godere già in anticipo la gioia delle nuove nozze.

Che cosa fa?

Ella comunica ad altri, ai servi, gente pronta all’obbedienza, la stessa attenzione a Gesù che Ella vive. «Fate quello che Egli vi dirà».

Non occorre altro. Non dice: «Fate commissioni per esaminare e per decidere»; nè dice: «aprite discussioni, pianificate...», ma: «Fate quello che Egli vi dirà».

L’attenzione a Gesù è la preparazione necessaria e sufficiente, anche se Egli fa attendere un poco.

 

5. RIEMPITE D’ACQUA LE GIARE

 

Gesù, quando trova persone che vogliono accogliere la sua parola, non le lascia nell’ozio. Ora i servi stanno là, attenti a Lui più che al maestro di tavola, più che agli invitati.

«Riempite d’acqua le giare».

Il gesto richiesto da Gesù sembra ovvio, normale, anzi quasi sorpassato. Le giare stanno là, vuote, ormai dimenticate. Non servono più a nessuno.

Gesù non le butta via. Egli non è venuto ad abolire la Legge di Mosè, ma a portarla a compimento.

Perché Gesù vuole che si riempiano d’acqua le giare?

Vuole forse che tutti gli invitati a nozze si purifichino?

C’è bisogno di una purificazione generale?

E i servi intanto, ubbidienti all’amore della Madre e fiduciosi in Gesù, senza comprendere il significato del lavoro che svolgono con fatica, riempiono d’acqua le giare di pietra: fino all’orlo!

Eccole pronte! Ora tutti vi potrebbero tuffare le mani, per purificarsi dai loro peccati, dalle immondezze, dall’impurità di una vita vissuta in mezzo a oggetti e persone insudiciati.

Ma Gesù non vuole così. Quell’acqua non è destinata a lavare l’esterno di corpi che poi ancora s’imbratteranno, a lavare colpe che poi ritorneranno, perché il cuore - all’interno - rimane lo stesso.

Quell’acqua, per Gesù, è il suo Santo Spirito. Egli lo dà senza misura, in abbondanza. Il suo Spirito è uno spirito che purifica, ma non come dal di fuori.

Lo Spirito che Gesù dona, purifica dall’interno, e porta nel cuore dell’uomo una gioia d’amare e un amore gioioso che trasforma tutta la realtà, tutta la vita.

L’acqua di Gesù non è destinata a lavare il corpo che il cuore continua a insudiciare. L’acqua di Gesù raggiunge l’intimo, il cuore. Essa non è per l’uso esterno, ma per l’interno!

«Attingete»: dice ancora Gesù ai servi. Come mai? Non è normale. Questa è la novità di Gesù.

Egli chiede di fare ciò che nessuno ha mai fatto. Offrire come bevanda l’acqua della purificazione.

Proprio questo fa Gesù. Egli offre come bevanda per le nozze quell’acqua che di solito non si beve.

Gesù offre lo Spirito Santo perché entri nel cuore e trasformi dall’interno, perché disseti e doni gioia e vita all’uomo triste e lamentoso.

Gesù non dona il suo Spirito soltanto per lavare l’uomo dal male! Il rapporto che noi abbiamo con Dio non può essere limitato a ‘migliorare’ la nostra vita, a renderci meno peccatori, a darci l’illusione di essere a posto. Resteremmo ancora assetati e andremmo altrove a cercare la nostra gioia. Ciò potrebbe sembrare di metterci a posto con Dio, ma invece cercheremmo gioia nei piaceri e non nella comunione di vita col Padre!

L’acqua di Gesù può esser bevuta. Egli ce la offre come bevanda che rallegra le nozze! Il popolo di Dio, che vuol vivere il rapporto d’amore con Lui, accoglie lo Spirito di Gesù, lo beve, lo assimila. Qui nasce la gioia, la festa, la bellezza del banchetto!

Quando l’acqua di Gesù vien bevuta, è vino! Vino buono, vino che comunica la dolcezza dell’amore, è la forza della perseveranza, e la gioia della fedeltà!

Nessuno più se ne va da questa festa, perché un vino così buono chi l’ha mai bevuto?

Quando lo Spirito di Gesù entra nel cuore, nessuno più si ‘sogna’ di lasciare il banchetto, di allontanarsi dalla comunità - sposa, di uscire dalla Casa.

 

6. ACQUA O VINO?

 

Com’è diversa la vita in questa ‘nuova’ casa!

Non mi confesso più per pulirmi e perdere i rimorsi, ma per incontrare Gesù misericordioso!

La confessione, che metteva difficoltà e paura e vergogna, diventa un incontro desiderato, gioioso, atteso! Non è più solo purificazione, ma un risorgere alla vita!

Non vado più alla Messa e alla Comunione per sentirmi a posto, per essere migliore, per ottenere qualche grazia, ma solo per unirmi a Gesù che mi ha amato e mi ama e per offrirmi con Lui nel movimento dell’Amore che offre se stesso!

Non prego più per chiedere, bramoso di ottenere cose che soddisfino le mie esigenze, i miei desideri materiali, terreni.

Prego invece, e occupo tempo prezioso nella preghiera, per ascoltare quel Dio che mi ama come Padre, che mi parla come a un figlio. Prego per rispondere al suo amore e donarmi, mettermi a sua disposizione. Prego per ringraziarlo d’avermi unito a Gesù fin dal Battesimo e d’avermi fatto bere il suo Spirito: acqua che disseta, vino che rallegra!

M’istruisco e cerco la conoscenza della Parola di Dio e della vita della Chiesa non per sapere di più, per avere qualche nozione, ma per incontrare il Signore stesso nella sua Parola e nei suoi ministri e nella sua famiglia. È Lui che amo, e perciò amo quanto ha detto e ciò che Egli ha iniziato, guida e protegge: la Chiesa.

Amo la sua Parola, non perché mi piace o perché mi è utile, ma perché è sua! Amo anche quella parola sua che non capisco, perché pure quella è uscita dal suo cuore. Egli è la mia gioia: Gesù!

Tutto è diverso. La vita non è più un vivere nel bisogno continuo di purificazione, nella continua paura del peccato. La vita è diventata serena perché c’è sempre Gesù che mi porge attraverso i suoi servi il vino della gioia, lo Spirito Santo!

Persino la mia presenza nella società è diventata diversa, nuova! Non vado più tra gli uomini per farmi assorbire dagli impegni, per essere utile col mio lavoro, per adeguarmi alla normalità. Non mi preoccupo e non mi sforzo nè d’essere migliore degli altri, perché sono cristiano, nè di dar testimonianza, nè di contribuire al cambiamento della società.

Vado in mezzo agli uomini con libertà, come uno che non ha nulla da dare, eppure porta in mezzo a loro lo Spirito Santo! È lo Spirito di Gesù dimorante in me che diffonde attorno pace e serenità, fortezza e sicurezza, richiamo al Padre e salvezza di Gesù.

La mia presenza diviene utile, anzi necessaria: quel Gesù che porto nel cuore può benedire e toccare qualcuno con la frangia del suo mantello.

Com’è bella, gradita e piena di significato la vita vissuta bevendo l’Acqua che diventa vino!

L’Acqua che Gesù continua a porgermi diventa vino nella mia bocca e nel mio cuore!

Egli introduce lo Spirito d’amore nel mio e nel tuo rapporto con Dio. L’amore opera anche nel rapporto con gli uomini, che diventa fraterno.

 

7. DEVO O... POSSO?

 

Quando parlo coi fratelli cristiani non ho più un linguaggio moralistico (che equivarrebbe a usare l’acqua per la purificazione esteriore). Non dico più ai bambini e ai giovani e ai genitori: “Dovete andare a Messa, andate a catechesi, fate le vostre preghiere, andate a confessarvi, impegnatevi nel sociale... fate, non fate, bisogna, si deve...”. Sono modi di parlare che provocano tensione, pesantezza, tristezza: sono modi di esprimersi che non comunicano nè pace nè gioia; danno un senso di dovere, d’imposizione di sofferenza; diviene un pesante fardello imposto dall’esterno.

Parlando così non offro l’Acqua che diventa Vino nel cuore, ma acqua che tocca solo l’esterno. Parlando così non comunico Spirito Santo, che è Spirito d’amore, cioè relazione! Userò invece un «linguaggio spirituale» (1Cor 2,13), un modo di esprimermi che metta direttamente e immediatamente in rapporto con Gesù.

“Gesù ha qualcosa da dirti, puoi ascoltarlo! Gesù ti ama: possiamo andare a ricevere i segni e i doni del suo amore. Possiamo presentare a Gesù i nostri peccati e le nostre debolezze perché Egli ci vuole rafforzare, purificare e ridonare la gioia per essere strumenti del suo Regno! Daremo alla società i segni della presenza di Gesù con la nostra partecipazione, col nostro amore, con la nostra presenza!”.

È importante ed è bello ascoltare Gesù e con Lui rivolgersi al Padre!

E poi quando parlo così divengo testimone, mi comprometto. Devo vincere la tentazione di... piacere agli uomini: una tentazione presente spesso! Voler esser capito e approvato da tutti anche da chi si professa ateo, da chi non ama Gesù!

Questo modo di parlare, esprimendo il rapporto con Gesù e col Padre, mi rende testimone e riversa sui miei interlocutori la forza dello Spirito Santo.

Sono uno dei servitori che porge l’acqua di Gesù per essere bevuta: ed essa diventa vino sulle labbra di chi la riceve!

 

 

8. PORTATENE AL MAESTRO DI TAVOLA

 

Gesù fa portare la sua acqua che diventa vino anzitutto al maestro di tavola, a colui che ha autorità nella gestione delle nozze.

Com’è mite e umile Gesù! Egli non impone la sua nuova bevanda agli invitati. Egli non sorpassa le autorità umane, ma si sottomette.

È il capo della mensa che deve anzitutto assaggiare, valutare, discernere.

Il maestro di tavola è sorpreso. Egli nota l’enorme differenza tra questa bevanda, che non si sa donde viene, con le altre bevande di cui si conosce l’origine, il costo, il gusto e la misura.

Che cos’è avvenuto? Il capo non lo sa. Solo i servi, che hanno obbedito a Gesù, per ossequio alla Madre, sanno qualcosa. Essi sanno che l’acqua finora usata per la purificazione esteriore ora è offerta per dissetare e rallegrare: questo cambiamento l’ha operato Gesù!

Il capo è sorpreso. Egli aveva organizzato, previsto e contrattato, aveva pagato il vino, insufficiente (e scadente), offerto finora.

Ed ora, senza il suo intervento, senza il suo parere viene introdotto qualcosa di nuovo, di valido e pregiato. La sorpresa del capo s’esprime in un modo che può esser interpretato con due atteggiamenti.

Quale quello vero? Forse tutt’e due.

Primo atteggiamento:

- Il capo s’inorgoglisce. Come mai un affronto del genere? Procurare il vino migliore senza dir nulla a lui? Egli, che ha faticato a preparare tutte le nozze, ci fa certamente brutta figura.

Se la prende con lo sposo.

Se usciamo dalla parabola, se la prende con Dio. Questa situazione è quella incontrata da S.Paolo ad Antiochia di Pisidia, quando i Giudei, visto che una gran moltitudine era stata attratta ad «ascoltare la parola di Dio» «furono pieni di gelosia e contraddicevano le affermazioni di Paolo, bestemmiando», mentre «i pagani si rallegravano e glorificavano la parola di Dio». «Ma i Giudei... suscitarono una persecuzione contro Paolo e Barnaba e li scacciarono dal loro territorio» (Atti 13,44-51).

Se qualche mio parrocchiano comincia a vivere seriamente nella fede e con gioia, con un rapporto esplicito e manifesto con Gesù, subito vado a vedere dove ha imparato un tale vivere.

Io, parroco, divento geloso della comunità, del gruppo o del padre nello spirito da cui il mio parrocchiano s’è dissetato. E mi metto a cercar difetti per parlar male di quel gruppo, di quella comunità, di quel padre spirituale: così ho ragione, così la mia gelosia si camuffa bene con ragioni plausibili. Dio stesso (mi fa credere la mia gelosia) fa male a suscitare tali novità nella Chiesa! Non dovrebbe! Dovrebbe invece suscitare obbedienza alle mie organizzazioni, ai miei progetti, adesione ai miei calcoli e ai miei modi di dissetare la gente che ancora partecipa alle nozze tristi.

Il capo è triste del fatto che molti bevano e si rallegrino, ed egli stesso - pur costatando la bontà di quel vino insolito - non ne approfitta: rimane deluso e oscuro in volto.

Il secondo atteggiamento:

- Il capo è meravigliato. Com’è buono questo vino! Certamente lo sposo ci fa una figura meravigliosa, ottima! Egli accontenta tutti gli invitati, aumenta la loro gioia. Egli ha voluto fare una sorpresa pure a me! Il mio compito è facilitato, anzi, già raggiunto!

Com’è bravo questo sposo: bevo anch’io felice insieme a tutti! Finalmente posso sedere con tutti gli altri!

Voglio ringraziare questo sposo così sorprendente!

Nella mia parrocchia qualcuno s’è convertito: parla di Gesù con amore e senza vergogna, partecipa con gioia alle celebrazioni e alla preghiera, s’impegna per amore di Gesù in famiglia e in società.

E io non ho fatto niente. Egli è giunto a questo cambiamento perché ha incontrato qualcuno altrove che gli ha parlato di Gesù e lo ha messo in rapporto diretto con Lui.

Quale gioia anche per me! Il Signore mi ripaga delle mie fatiche, anche se non ha usato direttamente le mie. Egli vuol farmi vedere che è vivo e operante, che pensa anche Lui ai miei parrocchiani e che non sono solo perciò ad occuparmi della loro salvezza!

Ben venga questa gioia nella parrocchia.

Ne bevano tutti! Anch’io imparo un rapporto vivo con Gesù, un rapporto fiducioso col Padre. La gioia e la fiducia comincia ad avvolgere tutta la mia vita e tutti i rapporti con gli uomini e i loro figli e le loro cose. Posso godere vera comunione con questi cristiani!

Lo ringrazio e Lo continuo a ringraziare. Ringrazio lo Sposo e lo Spirito Santo che mi fa servire il vino nella gioia. Egli rende le nozze - l’alleanza con Dio - finalmente Nozze!

 

 

9. CREDETTERO IN LUI

 

Questo è il primo dei segni.

L’intervento di Gesù alle nozze fu un segno; un segno importante, perché è quello che apre a comprendere interamente la presenza di Gesù e il valore della sua vita.

Egli trasforma il rapporto che gli uomini hanno con Dio.

Gli uomini hanno paura di Dio. Essi lo considerano un dominatore, un padrone; e perciò hanno gelosia delle sue decisioni e dei suoi comandi. I suoi comandi vengono «interpretati» e non «accolti» come dono di sapienza per il bene integrale del nostro vivere individuale e sociale.

Gesù, donandoci la sua acqua - il suo Spirito Santo -, mettendo in noi, dentro di noi, il rapporto con il Padre, ci fa conoscere Dio appunto come papà, che ci ama e ci stima e ci dà vita.

Con Gesù quindi il rapporto con Dio, da nozze sempre in pericolo, diventa nozze gioiose, desiderate, gustate!

Dio non è da guardare con sospetto, ma con fiducia, con attenzione. Ci si può abbandonare pienamente a Lui. Si può osservarLo per imitarne l’amore. Egli non teme che diventiamo come Lui, anzi lo desidera! Diventassimo anche noi persone che amano come Lui! «Siate perfetti come il Padre vostro»!

Il vino è un segno, il primo, importante per impostare rettamente tutto il nostro vivere con Dio. Tutto il resto altrimenti non sarebbe compreso e perciò nemmeno vissuto con libertà e gioia.

«Credettero in Lui».

I discepoli hanno iniziato a fidarsi di Lui.

Credere in Gesù è fidarsi di una persona. Non è più fidarsi di cose che si riconoscono buone: ciò equivarrebbe a fidarsi del proprio discernimento, della propria intelligenza.

I discepoli hanno iniziato a fidarsi di Gesù, perché Gesù viene da Dio. Qualunque cosa Egli faccia è bene, perché è di Dio; qualunque cosa Egli dica è santa, perché Egli è di Dio.

E Gesù continuerà in tutti i suoi gesti e con le sue parole ad aiutare, i suoi e chiunque lo vede o lo ode, a passare dall’uso esterno dell’acqua all’azione dello Spirito Santo nell’intimo.

Non attenzione al peccato perché sia lavato, ma attenzione al Padre per entrare in rapporto d’amore e fiducia con Lui.

Fermarsi sul peccato scoraggia il peccatore, spegne il suo ardore, lo rende triste e preoccupato!

Lo sguardo rivolto al Padre, invece, l’apertura al suo amore, fa alzare il figlio prodigo, gli dà coraggio per il ritorno, e umiltà per accettare la festa, la gioia, la salvezza.

L’acqua di Gesù, lo Spirito Santo, va bevuta perché entri nel cuore: nasce così e si rafforza quella fede che esplode nella carità, nell’amore puro e gratuito!

Giovanni aveva battezzato nell’acqua, purificando il popolo dai peccati.

Gesù battezza in Spirito Santo e fuoco!

L’opera di Giovanni è preparazione a quella di Gesù, ma è quella di Gesù che porta nel mondo novità e dà inizio alla comunità dei salvati, dei redenti.

La sola purificazione dei peccati non genera comunione, non è fonte di vita.

Coloro che cercano di perfezionare se stessi, anche con pratiche di grande ascetismo a scuola di grandi maestri, non divengono capaci di comunione. Essi restano nella morte, non entrano in rapporto d’amore con Dio, e non divengono capaci di comunione con i fratelli.

Coloro che - accogliendo il dono di Gesù - benché peccatori, entrano in rapporto col Padre, questi sono fonte di comunione, generano vita spirituale, diffondono la gioia con la loro semplicità.

Il vino di Cana è un vino pregiato!

È l’unico vino che rende la vita dell’uomo una festa.

Lo puoi gustare bevendo l’acqua che Gesù ti dona con la Sua Parola nella semplicità e nel nascondimento.

 

* * *

 

Le nozze di Cana sono state e sono un «segno» delle nozze di Gesù con la Chiesa sposa! La sua «oria» è giunta: egli ha dato la vita per lei sacrificando se stesso! Ora noi viviamo dentro la festa delle nozze che non finisce più e già pregustiamo, in maniera sempre più viva, man mano che ci avviciniamo all’incontro definitivo col Signore nella Casa del Padre, quella gioia che viene preparata per noi, testimoni dell’Agnello: «Beati gli invitati alle nozze dell’Agnello»!

Possiamo unire le nostre voci a quelle della «folla immensa» che griderà:

 

«Rallegriamoci ed esultiamo,

rendiamo a lui gloria,

perché sono giunte le nozze dell’Agnello;

la sua sposa è pronta,

le hanno dato una veste

di lino puro splendente» (Ap 19,7-8).

 

 

* Per alcune interpretazioni sono debitore a “Vangelo secondo Giovanni”, J.Mateos - J. Barreto, Cittadella Ed.1982. 

Nulla osta: Mons. Iginio Rogger, cens. eccl. - Trento 21 maggio 1993