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Ricevi questo anello

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INTRODUZIONE

Quando penso alle coppie di sposi cui ho benedetto le nozze mi viene il vivo desiderio che perseverino ad essere famiglia santa. E che manifestino con la loro vita i misteri di Dio.

Ho incontrato troppi sposi che pensano alla santità come a una situazione da cui «ormai» sono tagliati fuori: è roba da preti e suore! Concepiscono la fede come qualcosa che tocca sì la loro vita, ma non il loro Matrimonio. E molti fidanzati pensando al Matrimonio, non sanno come contemplarlo in Dio.

Libri più grossi e ben fatti sono già stampati e aiuterebbero la comprensione di questo Sacramento in modo più esauriente che non queste poche pagine: le ho scritte perché conosco la difficoltà di molti a prendere in mano grossi volumi, sia per mancanza di tempo, sia per mancanza di familiarità con i libri, sia - talora - per mancanza di buona volontà. Spero che queste poche pagine non spaventino nessuno e aiutino invece gli sposi cui le darò a scoprire nella loro vita comune le conseguenze della fede.

Possono leggere fidanzati e giovani sposi. Anche chi si prepara a celebrare le nozze d’argento può dare un’occhiata.

don Vigilio Covi

 

L’attrattiva uomo-donna è naturale, viene senza cercarla, senza deciderla, perciò è del tutto naturale sposarsi! E i cristiani possono vedere il fatto di essere sposati o di accedere al matrimonio come lo vedono tutti gli altri uomini.

I cristiani che vivono tutta l’esistenza nella fede in Dio Padre, considerano la propria vita come risposta a lui che li chiama: come egli li ha chiamati al mondo, così li continua a chiamare perché collaborino con lui al suo Regno. Essi sanno perciò che anche il matrimonio è risposta ad una chiamata di Dio: vivono quindi la vita della famiglia come “vocazione” (= chiamata).

I fidanzati credenti vogliono considerare perciò il cammino di preparazione al matrimonio come un periodo di verifica e si chiedono: “Il nostro amore è segno di una chiamata di Dio? Siamo noi chiamati dal Signore a formare una famiglia?”. E la vita comune nel Matrimonio si fonderà sulla gioia e sulla pace che vengono dalla convinzione: “È Dio che ci ha chiamati a stare insieme, ad amarci e a donare alla Chiesa e al mondo la rivelazione dell’amore di Dio”.

Raggiunta questa persuasione, gli sposi troveranno forza e consolazione nelle difficoltà e criterio di discernimento per le varie decisioni: dove andare ad abitare? quando avere dei figli? quanti? quale tipo di lavoro scegliere?

Vivere il matrimonio come “vocazione” o, meglio, come risposta alla chiamata di Dio, aiuterà e spingerà gli sposi a stare in contemplazione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo*, per avere continuamente sott’occhio il modello e la luce della Comunione Trinitaria, onde esserne tempio e specchio; questa contemplazione li aiuterà a vivere in comunione con la Chiesa, da cui riceveranno gli aiuti spirituali e - perché no? - anche orientamenti e consigli per le loro scelte! *

(Vedi anche nella serie dei nostri opuscoli: “Come un giglio tra i cardi”.

* Per la contemplazione della Trinità potresti trovare aiuto negli opuscoli «Trinità» e «Per il silenzio».)

 

Prima dell’inizio.

Di solito un ragazzo che cerca una ragazza intende trovarne una con sani principi. Egli sa che per avere i sani principi della vita questi devono essere ben radicati nell’eternità, cioè in una fede salda in Dio, in quel Dio che è amore, come ce lo ha rivelato Gesù Cristo. Perciò il ragazzo è contento quando trova una ragazza credente. Ma la ragazza credente e seria fa lo stesso ragionamento. Ella cerca un ragazzo di sani principi, radicati nell’eternità, e non solo in qualche ragionamento umano che poi cede quando vengono toccati gli interessi terreni o le voglie passeggere. Cosa deve fare il ragazzo che cerca la ragazza onesta di sani principi? Deve egli stesso radicare il proprio amore in Dio, deve approfondire il proprio rapporto con il Signore Gesù Cristo, perché anche la ragazza che egli cerca possa trovare quello che sta aspettando!

 

0. Matrimonio o convivenza?

So che posso parlare liberamente con voi anche di questo interrogativo, perché siete credenti: sapete cioè che la nostra vita si realizza quando seguiamo la sapienza di Dio, sapienza ricercata dalla Chiesa attraverso un ragionamento disinteressato, ma anche, e soprattutto, attraverso le Scritture. Voi siete credenti e volete perciò fondare la vostra casa sulla roccia, ascoltando Gesù e mettendo in pratica quanto egli ha detto: non volete fare nulla che non sia benedetto da Dio.

Voi vi amate, e in quest’amore state crescendo: sapete che dei sentimenti del vostro amore non potete fidarvi del tutto, se esso non è riconosciuto, accolto e benedetto dal Signore attraverso la Chiesa. È la comunità cristiana, infatti, che poi lo sostiene con la sua preghiera, con il suo consiglio e con i suoi insegnamenti. È dalla Chiesa che il vostro amore e la fatica ed eventuale sofferenza per perseverare in esso riceveranno la benedizione di Dio, ed è dalla Chiesa che riceverete il perdono di quei peccati che si intromettono a farvi dubitare e soffrire l’uno per l’altro. Il vostro credere vi porta a non avere fretta di vivere insieme, anzi, ad attendere quando sarete ben preparati: preparati psicologicamente e spiritualmente, e sicuri di avere dalla vostra la grazia di Dio. Per essere preparati dovete aver imparato ad amare con un amore fedele. Non saranno sufficienti le parole d’amore che vi scambiate, bisognerà che con i fatti vi siate dimostrati di sapervi cercare, di essere capaci di soffrire l’uno per l’altro, di pazientare, di attendervi. Vi sarete dimostrati di essere membri del Corpo di Cristo, nutriti da lui. Allora, venendo a vivere insieme, avrete quella pace e quella serenità interiore che sarà il più bel dono che vi scambierete, e la più bella atmosfera in cui accogliere i figli che verranno ad allietarvi.

Per voi non sarebbe perciò necessario prendere in considerazione la cosiddetta «convivenza», intesa come periodo più o meno lungo di vita vissuta insieme senza riconoscimento legale o sociale, senza riconoscimento e senza benedizione della Chiesa, nonché, spesso, dei propri genitori. Ma vivete in un mondo dove i vostri amici, o i vostri fratelli e cugini, hanno imboccato la strada della convivenza e perciò siete forse tentati di imitarli, accettando il pensiero che sia utile vivere un periodo di prova della vostra capacità di stare insieme, della compatibilità del vostro carattere. Siete tentati di ridurre il tempo di valutazione del vostro reciproco amore e di considerarlo in maniera più superficiale: tanto, resta la possibilità di lasciarvi senza dipendere da nessuno! Prendere delle decisioni con il pensiero che si può recedere dalla decisione stessa crea una mentalità: essa rimarrà anche dopo l’eventuale matrimonio, nel quale permarrà l’insicurezza. Sembra infatti che una notevole percentuale di separazioni riguardi anche matrimoni contratti dopo un periodo di convivenza: ciò dimostra che il conoscersi non basta per riuscire a vivere e crescere insieme.

La nostra fede ci porta a non condannare chi opta per questa decisione: noi non sappiamo, infatti, nè a che grado di fede essi sono giunti, nè a che livello di consapevolezza e quindi di responsabilità si trovino, nè quali possano essere le motivazioni profonde della loro decisione. Pur rispettandoli, non approviamo questa scelta, perché ne conosciamo la precarietà, ma soprattutto perché conosciamo la Parola di quel Dio che ci ha creati e conosce quindi tutti gli ingranaggi che ci realizzano e quelli che ci tengono uniti per formare una società sana e ci rendono suoi veri collaboratori per distribuire gioia attorno a noi. Osservate tuttavia questo fenomeno per avere qualche chiarezza ed essere consapevoli di qualcuna delle molte conseguenze che porterà a breve o lunga scadenza. È una via non sperimentata dalle generazioni passate, e perciò solo tra qualche decennio potremo accorgerci di quante sofferenze, malattie psichiche, frustrazioni, insicurezze e difficoltà essa provocherà.

Il vivere insieme e il condividere tutto, fino alla massima espressione dell’amore coniugale che è la comunione affettiva e sessuale, non è qualcosa che si aggiunge “dal di fuori” all’amore della coppia, ma è proprio il segno di pienezza di questo amore e il gesto con cui essa si realizza: esso presuppone allora quella donazione reciproca davanti alla comunità (ecclesiale o sociale) e soprattutto davanti a Dio, che esprime proprio quel “tutto” e quel “per sempre” che il vivere insieme ogni giorno testimonia.

Se non foste credenti, o se apparteneste ad una religione diversa dalla cristiana, non saprei cosa dirvi, se non che l’impegno di fronte alla società è importante, sia per voi stessi che per la società in cui vi trovate a vivere: l’impegno per cui la società stessa difende la vostra decisione. Anche per i non credenti è importante impegnarsi con il matrimonio civile per donarsi una sicurezza che rende più sereno e più protetto il vivere insieme. In mancanza di questa sicurezza avranno una continua tensione interiore che, benché inconscia e impercettibile, li condiziona, e condiziona la vita e la serenità degli eventuali figli che accoglieranno. L’impegno di fronte alla società è importante per la società stessa e per le singole persone che vivono vicino: esse sapranno come relazionarsi con loro e cercheranno di favorire e difendere il loro vivere insieme.

Io, ad esempio, non so cosa dire a due conviventi quando attraversano un periodo di difficoltà. Le difficoltà non sono riservate a chi ha preso l’impegno del matrimonio: esse possono presentarsi anche nella vita di chi sta insieme senza un preciso impegno sociale. Come li devo consigliare? Che continuino nonostante tutto? Ma chissà se è questo il loro bene! Devo dir loro che la difficoltà è segno che non sono chiamati ad essere l’uno per l’altro? Se avessero celebrato il matrimonio, in molti casi avrei criteri di fede per aiutarli ad individuare l’origine delle tentazioni e per dare qualche consiglio. Ma se essi mai si sono impegnati seriamente a cercare la volontà di Dio per la propria scelta, nè hanno ricevuto da lui benedizione per vivere insieme, non posso fingere che ciò sia avvenuto. Le difficoltà sono segno che si devono lasciare?

La convivenza non è preparazione al matrimonio cristiano. Il matrimonio è un sacramento della fede, un passo affrontato appoggiandosi sulla fiducia in Dio: è lui che vi darà capacità di essere uniti nonostante difficoltà e tentazioni. La convivenza invece si appoggia sulla fiducia in se stessi, escludendo la fede. Una vita vissuta al di fuori o al margine della fede non può preparare un passo di fede, anzi allontana sempre più da essa. La preparazione adeguata è l’obbedienza a Dio. L’essere conviventi esclude poi dalla partecipazione ai sacramenti della confessione e dell’Eucaristia: di che cosa si nutriranno in questo periodo?

Una delle caratteristiche dell’amore è di essere eterno. I ragazzi che iniziano ad amarsi lo percepiscono. Nessuno di loro dice all’altro: io ti amerò per tre mesi o per tre anni, o fin che avrò finito l’Università, o fino che avrò un lavoro stabile. Essi si dicono: ti amerò per sempre! Lo dicono, ma non possono dare alcuna garanzia di essere capaci di realizzare questa promessa. Hanno bisogno di dimostrarlo con una fedeltà vissuta, e hanno bisogno degli altri, come hanno bisogno degli altri per mangiare, per viaggiare, per lavorare, per abitare, per divertirsi. Hanno bisogno soprattutto di appoggiarsi sulla fedeltà di Dio. I motivi proposti dalla fede per impostare nel rapporto con Dio la vita comune, li fa procedere decisi verso la celebrazione del sacramento del matrimonio. Tali motivi sono luminosi e rasserenanti: li troverete sparsi nelle pagine seguenti.

Il volto di giovani conviventi è molto spesso profondamente triste, nonostante la capacità di battute allegre. Non posso attendermi altro. Vivendo su una strada che ignora la fede in Dio e l’ascolto di lui non permette di fare esperienza di comunione, di quella comunione che è fonte di gioia, di serenità, di fiducia reciproca, comunione interiore che si manifesta anche praticamente con l’avere un solo portafoglio. La comunione interiore e spirituale è frutto dello Spirito Santo: questi è presente in chi ama Gesù con tutta umiltà e obbedienza. Sulla loro strada essi non possono pensare nemmeno al traguardo finale, al Paradiso: se non si occupano della Volontà di Dio, anzi ignorano volutamente i suoi consigli sapienti, eviteranno di occuparsi anche alla destinazione finale, dove anch’essi sono attesi dal Padre.

 

1. Amore d’uomo: verità o menzogna?

Ora vi parlo della famiglia, quella fondata nella fede cristiana e iniziata col sacramento del Matrimonio. La prima impressione è che non mi sarà molto facile, perché è come parlare del mare: non sai dove cominciare e ovunque cominci sei costretto ad essere incompleto e parziale.

Pensando alla famiglia, mi viene in mente anzitutto quella in cui sono cresciuto, e anche molte che conosco, che vedo ogni giorno o che ho incontrato nella mia vita e hanno lasciato in me una traccia: e inoltre non si stacca da me una certa visione di famiglia ideale, come vorrei fossero le famiglie dei miei amici, di quelli che amo. Tutte queste immagini - reali e di desiderio - si confrontano nel mio cuore con la famiglia che chiamerò sacra, quella che duemila anni fa era presente nel villaggio di Nazareth in una delle case-grotta abitate dalla gente povera e semplice.

Saranno perciò, queste pagine, una comunicazione di esperienze e di cuore, anche se talvolta sotto forma di idee e di commento. Ogni pagina sarà incompleta, ma tutte insieme - a mo’ di mosaico - potranno dare un’idea di come potrebbe essere la carta d’identità di una famiglia cristiana.

A qualcuno parrà strano poi il fatto che sia un prete, senza moglie e senza figli, a parlare di famiglia e dubiterà che possa dire cose utili e vere. Lascia il giudizio alla fine: allora potrai dire se quanto dico ha o non ha fondamento! Non ci sono forse anche persone maritate che parlano dei preti? E mi sanno anche dire con sapienza, amore e verità come io dovrei essere!

Quando nasce una famiglia? Mi pare di vederli i due giovanotti, lui e lei, che si incontrano con gli occhi. Un lampo? Una folgorazione? Ognuno dei due attraverso gli occhi ha visto il cuore dell’altro. Non si lasciano più. Il pensiero e le ruote della macchina corrono in quella direzione. Se chiedi loro il perché, non sanno che dire. E se dicono qualcosa, il tutto sfugge. L’amore non ha perché. Il vero perché è ancora nascosto ai loro stessi occhi, e si manifesterà loro un po’ alla volta, come i più grandi misteri di Dio: l’amore infatti è di Dio!

Eppure l’amore di due innamorati è molto fragile, ed essi se ne accorgono. Nessuno può garantirne la durata, né la capacità di superare difficoltà e ostacoli. Ognuno dei due sente che l’amore che nutre per l’altro dipende in definitiva da se stesso. «Io ti amo: e io lo voglio» potrebbero dirsi; «se io volessi ti potrei piantare in asso anche subito»!

Un amore fondato sui sentimenti che si provano, sulle ragioni che si portano, sulle volontà che si incontrano: è sufficiente? Un amore che dipende in definitiva dall’uomo. Se l’uomo fosse perfetto credo che tutto ciò sarebbe sufficiente. Ma siccome l’uomo, e la donna similmente, è peccatore, debole, fragile, ingannato facilmente dalle apparenze, come potrà farsi garante di se stesso? Come potrà promettere amore duraturo se non ha nelle mani il proprio destino? Come può un uomo dire ad un'altra persona «ti amo» senza essere menzognero? Quando lui ama lei (e viceversa) c’è un miscuglio di cose e atteggiamenti diversi che si intersecano e si condizionano a vicenda. Quel «ti amo» vuol dire in definitiva tante cose: vuol dire «voglio il tuo bene» e «desidero che tu stia con me», «posso possederti», «mi lascio possedere da te», «mi fido di te», «anche il tuo corpo è mio», «ti lascio libertà», ecc. ecc...

È un amore che si mescola, senza accorgersi, con l’egoismo e l’istinto del possesso che genera gelosia e dominio: un amore non purificato, con molte scorie e imperfezioni.

Quel «ti amo» è perciò al tempo stesso verità e menzogna. Due innamorati credenti in Dio vogliono essere sempre nella luce della verità e strumento di verità: si interrogano perciò seriamente su come il loro amore possa essere purificato dalla menzogna e divenire luce per sé e per l’amato. Questa ricerca è costante, anche per chi già è sposato: è la sofferenza e la gioia dei coniugi credenti che vogliono essere soltanto «amore» l’uno per l’altro, amore «puro» libero da egoismi e da dominio, che vogliono essere la parte privilegiata del cuore di Dio-amore per l’amato!

 

2. Matrimonio: trasformazione dell’amore

Quando i due fidanzati chiedono al prete di “fare le carte”, cioè di preparare il carteggio matrimoniale perché si vogliono sposare, è mio desiderio che arrivino a capire, in tutta la profondità consentita all’uomo, il dono che si fanno. Non trovo per questo parole migliori di quelle che dirò il giorno delle nozze iniziando la celebrazione del rito del matrimonio: «Siete venuti nella casa di Dio... perché il vostro amore riceva il Suo sigillo e la Sua consacrazione…». Queste parole passano veloci da un orecchio all’altro... e poi nel dimenticatoio. Non per me. In queste parole trovo la purezza, la verità e la durata dell’amore.

I due «colombi» portano il loro amore davanti all’altare, l’altare del sacrificio di Cristo e della comunione con Dio. E Dio mette il Suo sigillo sull’amore delle due persone, su quell’amore tutto umano. Da quel momento quell’amore ha un sigillo, e il sigillo indica la proprietà. Ora l’amore dei due è proprietà di Dio. L’amore che lui ha per lei è l’amore di Dio e quello di lei per lui altrettanto.

Forse comprendete, voi coniugi, perché il vostro amore è puro, vero, durevole: è di Dio. I peccati lo possono ancora rovinare e sono tanto più gravi in quanto rovinano quel vostro amore che è di Dio, ma non lo possono né sciogliere né cancellare, perché l’amore di Dio è e rimarrà più grande del cuore dell’uomo, anche di quello del peccatore.

Gli sposi si amano, e il loro amore diventa di anno in anno più maturo, stabile e sereno. Perché? Il loro amore è amore di Dio. È maturo e stabile e sereno fin dall’inizio, essi però riescono ad accorgersene e ad accoglierlo gradatamente. Quando il marito cerca di essere puntuale ai pasti, o, se si trova lontano, telefona per avvisare del ritardo, quando dà una mano per i lavori di casa, cosa fa? Sta donando a sua moglie i segni piccoli del grande amore di Dio per lei. Il marito ama sua moglie perché in «quel giorno» - forse già lontano - la sua capacità d’amore è divenuta proprietà di Dio: è Dio che ama sua moglie, attraverso i gesti piccoli o grandi, concreti, semplici, anche se non costano denaro, ma piuttosto generosità del cuore! La missione dei coniugi è quella di donarsi l’uno all’altro concretamente l’amore del Dio invisibile. Se i mariti e le mogli lo sapessero! Se non lo dimenticassero! Quale gara di dedizioni, di generosità l’uno verso l’altro ci sarebbe!

La moglie sa di amare il suo tesoro non più perché gli è simpatico, o perché gli piace, o perché è il migliore tra gli uomini del paese, ma perché lei ne ha il compito da parte di Dio.

Questo amore resiste a tutte le prove, anche a quelle della cattiveria del marito o del suo peccato, anche a quelle di qualche crisi di affetto, a quelle della malattia o della povertà, persino a quelle di qualche tradimento. Lei sa di dover donare al suo «uomo» l’amore di Dio in un modo del tutto particolare ed esclusivo. E Dio non smette di amare chi si dimentica di lui, chi Lo offende, chi diventa indifferente. Così la moglie o il marito cristiani. Mi sono chiesto più volte come mai certe donne o certi uomini sono stati capaci di amare il proprio coniuge fino all’inverosimile, un coniuge sempre ammalato o uno che trasformava la casa in un inferno. Ho trovato la risposta considerando il sacramento del Matrimonio. Esso rende santo l’amore coniugale, lo fa superiore a tutte le prove: quelle donne e quegli uomini amavano il loro coniuge non perché buono e bravo, simpatico e attraente, ma perché sapevano di aver ricevuto questa missione da Dio, nel giorno in cui essi hanno voluto. Quell’amore si era purificato sempre più, divenendo in modo sempre più chiaro amore di Dio, così forte, che in molti casi è riuscito addirittura a rendere capace di amare il cuore violento dell’altro!

 

3. Io accolgo te: per sempre?

L’aggettivo «indissolubile» è una di quelle parole che riescono a creare un clima di serietà e decisione. È una di quelle parole che fanno sentire la vita come un viaggio senza ritorno - come difatti è -, e la decisione conseguente all’amore come una decisione stabile e finale. È una parola che assomiglia alla morte: quel che c’era prima non esiste più. Dato che il matrimonio è «indissolubile» in esso la libertà di movimento, la possibilità di decidere da soli non può più essere presa in considerazione: sorge qualcosa di nuovo che ancora non si conosce.

Forse per il fatto che l’amore coniugale esige una decisione così definitiva, fa paura. Molti, che vivono superficialmente, alla giornata, non abituati alla stabilità nella loro vita, non se la sentono di impegnarsi per sempre. In fin dei conti essi basano il loro amore su se stessi: se considerano Dio, lo vedono troppo lontano o lo allontanano di proposito, perché diverrebbe «troppo» esigente. Questi affrontano la convivenza o si sposano solo civilmente: non avranno ostacoli di ordine sociale nè religioso a dividersi e separarsi e cercare un altro coniuge, nel caso lo volessero: è una soluzione prevista e praticabile.

Perché invece il matrimonio dei cristiani è considerato indissolubile?

Perché i cristiani, quando si uniscono in matrimonio, fanno un passo senza ritorno?

L’ho accennato prima: nel momento in cui i coniugi hanno consegnato a Dio il loro amore, celebrando il sacramento, Dio lo ha fatto Suo. Tra i due si inserisce l’amore di Dio. Se essi interrompono il proprio amore reciproco, si rendono colpevoli contro l’amore di Dio! Nelle intenzioni e nella volontà di Dio questo non è previsto: egli vuole continuare ad amarli tramite i loro stessi gesti e la loro donazione l’uno all’altro. Chi spezza l’amore al proprio coniuge contrasta l’amore di Dio: qualora si affievolissero i sentimenti d’amore, il dono di sè deve comunque continuare.

Inoltre essi, da quando celebrano il matrimonio, si amano perché Dio dà loro il compito di farlo. Possono smettere di amarsi solo quando Dio ritraesse questo compito; ma Dio non disfa quel che ha fatto. Ne ha dato conferma Gesù quando fu espressamente interrogato su questo argomento: un marito e una moglie non abbandonino il coniuge per vivere con un altro: è adulterio. E se sono separati già da anni? Non tolgano a sé e al coniuge la possibilità di tornare, di convertirsi, di perdonare, di chiedere perdono. Impegnandosi con un’altra persona chiuderebbero la strada già difficile della comprensione e dell’unione.

L’intenzione iniziale di Dio, quella che dà forma alla famiglia e dona completezza all’umanità dell’uomo è l’unità indissolubile tra i due. Raramente, ma può capitare, ci sono due casi particolari in cui il matrimonio può essere sciolto. Uno è il caso cosiddetto «petrino»: solo il papa con l’autorità detta «delle chiavi» (di Pietro) può, per motivi provati, sciogliere un matrimonio che fosse solo «rato, ma non consumato»: gli sposi hanno cioè celebrato il rito, ma non hanno ancora avuto rapporti sessuali tra loro. L’altro caso è detto «paolino» perché lo prevede s. Paolo nel suo insegnamento apostolico. Si tratta del caso in cui un coniuge non battezzato non accettasse più di vivere con l’altro divenuto cristiano e battezzato (1Corinzi 7,15).

Altri casi di «scioglimento» non sono previsti nella Chiesa Cattolica. Talvolta avviene che il Tribunale ecclesiastico riconosce, dopo serie interrogazioni e indagini, che un matrimonio non sussisteva fin dall’inizio, perché mancavano fin dal momento in cui è stato celebrato qualcuna delle condizioni che fanno sì che un matrimonio sia tale! In tal caso può essere dichiarata la «nullità»: non è mai stato matrimonio.

Il fatto che Dio prenda così sul serio l’amore di due persone, tanto da identificare con esso il proprio Amore (fatto che rende l’amore degli sposi indissolubile), obbliga fidanzati e sposi cristiani ad una grande serietà pur nella serenità e nella gioia provenienti dalla loro fede. È necessario che sia seria e accurata la preparazione dei fidanzati che intendono camminare con Dio e serio il modo con cui gli sposi cercano insieme di esser fedeli l’uno all’altro e di approfondire la propria unità e comprensione.

 

4. Segno d’un amore divino

Nella Bibbia viene raccontato un fatto che ci lascia un po’ stupiti, e nello stesso tempo confortati. Un profeta, Osèa, riceve da Dio un incarico particolare. Aveva avuto un’esperienza tutt’altro che fortunata nella sua vita matrimoniale: sua moglie gli è scappata di casa per andare a fare la prostituta: cercava amore dagli amanti, che - come sempre succede - la sfruttavano, rifiutando l’amore vero del marito che l’amava. Osèa non ha più speranza che ella torni. Proprio allora Dio gli dice: tu sei mio profeta. Profetizza, non con le prediche, ma con un gesto ben visibile a tutti: va’, riprendi la prostituta. È coperta di vergogna, tu prendila ugualmente, perché con questo gesto io voglio far capire qualcosa al mio popolo.

Oséa comprende. Dio vuol far capire ai membri del popolo d’Israele che, nei confronti del Dio dei Padri Abramo, Isacco e Giacobbe, si sono comportati come la prostituta: il popolo ha cercato di servire altri dei, di scegliersi altri maestri per la vita, ha atteso sicurezza dalle cose di questo mondo, e ha abbandonato il Dio vero, l’unico che lo amava veramente e poteva soddisfare tutti i suoi desideri più profondi. Ma vuol fargli anche capire che Egli, Dio, non avrebbe smesso il Suo amore per il popolo, nonostante l’infedeltà di cui questi s’era macchiato. Lo continuava a scegliere come suo popolo, ad amarlo, a seguirlo con amore. Dio faceva al suo popolo ciò che Osèa doveva fare con la prostituta. E Osèa obbedì: annunciò così col suo gesto - che appariva sconsiderato -, in modo ben visibile a tutti, che l’amore invisibile di Dio è fedele e continuo.

Da allora il matrimonio dei credenti, degli Ebrei prima e poi dei cristiani, ha ricevuto anche questa dimensione: essere una rivelazione, epifania (in greco, cioè manifestazione), dell’amore continuo e incorruttibile e forte del nostro Dio per noi uomini, nonostante i nostri peccati.

Quando vedo due sposi che si amano per anni ed anni, che cercano l’uno il bene dell’altro e si sopportano e si perdonano e si amano nonostante i loro difetti e peccati, allora io sono consolato ed incoraggiato. Perché? Se gli uomini - che sono imperfetti - sanno agire così, quanto più il mio Dio, il nostro Padre saprà sopportarmi e sopportaci, perdonarci, continuare ad amarci nonostante i miei e nostri peccati? Dio non smette il suo amore per me, mai: lo vedo concretamente nell’amore degli sposi tra di loro.

Quest’amore sponsale diviene così per me un segno prezioso: segno visibile e concreto di una realtà invisibile, ma concreta anch’essa. E dal momento che l’amore degli sposi porta il sigillo di Dio ed è di Dio, questo segno visibile è anche efficace in se stesso, perché non solo indica, ma è l’amore di Dio stesso. Arrivo così a chiamarlo «sacramento»! Se gli sposi che io incontro sappiano quanto io stimi il loro matrimonio, non lo so. Se essi sappiano il valore sacramentale del loro vivere insieme, che è un segno piccolo e umile del grande amore di Dio, è un segreto: lo scopriranno poco per volta se pregano, se si istruiscono nella fede, se vivono uniti a Dio. Egli non li lascerà privi della conoscenza di questo suo disegno, di manifestarsi attraverso di loro. Grazie allo Spirito Santo comprenderanno nel loro spirito la grandezza del loro sacramento. L’apostolo s. Paolo dà una spiegazione ancora più vicina alla nostra esperienza di questo sacramento: dice che esso è l’immagine dell’amore che Cristo Gesù ha per la sua sposa, la Chiesa.

 

5. Libero e consapevole

Sulla domanda, che i fidanzati presentano al parroco per richiedere la celebrazione del Sacramento del Matrimonio, essi scrivono, tra l’altro, che sono liberi di fare questo passo, che nessuno ve li costringe.

Non mi limito a leggerlo sulla loro richiesta, ma li interrogo esplicitamente e pubblicamente al momento del matrimonio: «Siete venuti... liberamente, senza alcuna costrizione e pienamente consapevoli del significato della vostra decisione?».

La risposta è sempre positiva. Bene.

Ma che significa esser liberi? Per me vuol dire due cose: anzitutto che nessuno e nessuna circostanza li obbliga a sposarsi. Non ci sono minacce nè ricatti da parte del fidanzato, né spinte da parte dei genitori («se non ti sposi non ti lascio eredità», «sposati, che è ora!...»); non c’è un figlio in viaggio, o, se c’è, non è quello che condiziona la decisione di quel matrimonio.

Ma la libertà non è solo mancanza di spinte esterne. È molto di più. Sei libero quando potresti anche non sposarti. «Mi sposo, ma potrei anche rimanere da sposare». «Mi sposo con questa donna, ma potrei sceglierne un’altra».

Libertà!

Se scegli di sposarti, e se scegli di sposare questa, stai facendo una scelta da uomo libero, da donna libera! Tu sei uomo - o donna - e potresti vivere ancora anche senza di lui o di lei! È molto importante questa libertà per due motivi:

- anzitutto perché il tuo coniuge si senta libero con te e amato veramente. Se è anche solo il tuo istinto sessuale o la tua incapacità di vivere da solo che ti spinge a sposarti ora, il tuo coniuge noterà, col passar del tempo, che il tuo amore per lui/lei è invece egoismo! Ne nasceranno conflitti, più o meno aperti, perché si sentirà oppresso, dominato, sfruttato;

- l’altro motivo è che un giorno rimarrai di nuovo solo, vedovo o vedova. Cosa farai? Se sei libero anche interiormente, se il tuo amore è un dono e ricevi il suo come un dono libero, giorno per giorno, allora, pur nella sofferenza, non ti dispererai della sua mancanza, o anche solo della sua malattia.

Se dici a tuo marito/moglie: “Ti ho sposato perché ho voluto”, “Io ho scelto te pur potendo scegliere un altro”, allora tuo marito sente che il tuo amore per lui è forte, esclusivo, unico e prezioso, perché libero! La libertà vera rende prezioso il tuo amore e l’amore del coniuge per te!

Perché l’amore sia sempre così prezioso bisognerà coltivarne la libertà anche quando fossero ormai passati quindici o venti anni di vita insieme! Non parlo certamente di una libertà che giustifichi la infedeltà: non è la libertà di fare quel che si vuole, ma di scegliere ogni giorno volutamente il proprio compito, accettare volontariamente la missione data da Dio di amare il proprio coniuge!

Per questo motivo io pongo anche quest’altra domanda agli sposi, se sono pienamente consapevoli della loro decisione. Chiedendo se sono consapevoli, intendo non solo la consapevolezza dello sposarsi, ma anche del fatto che il proprio matrimonio diventa sacramento, cioè segno dell’amore di Dio.

Siete consapevoli che voi, vivendo insieme, amandovi, condividendo tutto, diventate segno dell’amore di Dio? Volete, con la vostra vita comune, manifestare un aspetto del disegno di Dio e della sua sapienza? Volete accettare di amarvi, non più perché vi volete bene, ma perché Dio dà a ciascuno di voi il compito di manifestarvi reciprocamente il Suo amore fino alla fine? Il suo amore arriva fino ad amare i suoi che lo tradiscono! Accetti questo amore per il tuo coniuge? Siete consapevoli di cosa vuol dire vivere il sacramento del matrimonio nella fede?

Vedete, come sarebbe necessario un catechismo per i fidanzati! Chi avesse già celebrato le nozze d’argento può ancora imparare e approfondire l’esperienza che sta vivendo.

 

6. Un capo: come?

C’è una riga delle lettere di s. Paolo che non piace alle donne; è quella che dice: «Il marito è capo della moglie»! Sono convinto invece che se ne conoscessero il significato, ne sarebbero entusiaste! S. Paolo è un cristiano, e le sue parole trovano il loro significato nella vita di Gesù Cristo. Gesù è capo, capo degli Apostoli, della Chiesa. In che modo ha Egli vissuto il suo esser capo? Ha lavato i piedi dei discepoli, è morto per la sua Chiesa. Ha detto: «Chi vuol essere il primo sia l’ultimo e il servo di tutti». Se S. Paolo dice che il marito è capo della moglie, lo intende così: un marito pronto a sacrificarsi per la moglie, a non badare a sé pur di cercare il bene della moglie, affinché ella possa sentirsi accolta, stimata, realizzata come sposa e come madre.

Un marito non è “capo” quando «comanda»: allora è tiranno, non capo. È “capo” quando decide insieme, quando rinuncia anche al proprio prestigio pur di valorizzare la propria moglie.

Lo sapevi questo tu, uomo, quando hai detto: «Accolgo te come mia sposa»? O credevi di diventare dominatore incontrastato, uno che può far alto e basso in famiglia? Quando hai detto «Io accolgo te come mia sposa» non hai detto «accolgo te come mia schiava», o «come mia cameriera», né «come mia segreteria». Hai detto la parola «sposa», e questo significa con altre parole «dolce metà»! Da solo non fai più nulla, tutto insieme: ogni decisione, ogni scelta sarà comune. Hai fatto, si potrebbe dire col linguaggio di noi preti, voto di obbedienza. Vuoi vivere nell’unità piena con tua moglie e agire in concordia con lei. È bene fare non ciò che sembra bene a te, ma ciò che è deciso insieme. In tal modo puoi realizzare con tua moglie la parola che Gesù ebbe a dire: «Dove due o più sono uniti nel mio nome, là sono io».

Nell’unità vera - non solo di corpo - ma anche di anima e di spirito, voi coniugi date la possibilità a Gesù di esser presente: la vostra casa si potrà chiamare «piccola chiesa».

Quando il marito vive in questo modo, diventa addirittura facile per la moglie vivere «sottomessa al marito in tutto»: come afferma l’Apostolo s. Paolo. La moglie è figura della Chiesa che obbedisce con amore a Gesù Cristo: perciò ella vive col marito non come dominata e conquistata, ma come amata e protetta da lui, e perciò cerca in ogni modo di essergli gradita, per rendere la casa luogo accogliente, riposante, pieno di pace, in modo che quando egli termina le sue occupazioni vi torni volentieri e si trovi bene!

«Accolgo te come mio sposo» significa proprio il fatto che tu, donna, non sei dominata da lui, ma scegli liberamente di accoglierlo dalle mani di Dio per donargli la tua vita, per diventare con lui un’unica realtà, per condividere con lui non solo l’eredità o gli stipendi e la pensione, ma anche le gioie e i dolori, i momenti di salute e quelli di malattia, la prosperità e la povertà.

Accogliersi come sposi è impegnativo al massimo, poiché vuol dire donarsi la vita reciprocamente: quindi donare la propria all’altro, accogliere quella dell’altro come propria. Bisogna esser capaci di amare, ma anche di lasciarsi amare.

Avere uno sposo/sposa comporta disporre della vita di un altro: compito di responsabilità unica! Se pensi che la vita è di Dio, che anche il/la tuo/a coniuge deve tornare a Dio, sentirai quale responsabilità ti sei assunto (o ti stai assumendo) davanti a Lui accettando un’autorità sulla vita di un altro, sui suoi giorni, sul suo corpo, sulle sue doti! Sei tu che gli prepari l’eternità!

Anche lasciar disporre all’altro della propria vita è grossa responsabilità, non solo perché ciò comporta sacrificio, ma perché richiede attenzione e vigilanza per lasciar disporre di sé solo per quanto a Dio è gradito.

Potrai portare questa responsabilità con onore e meritarti tanta fiducia solo se vivi in unità con Dio.

 

7. Un anello da portare

È successo ancora, forse non a te, né a tuo marito! Lui si trova in viaggio, ma prima di entrare al bar fa un’operazione semplice e delicata: si toglie di nascosto l’anello e lo lascia cadere in tasca. In tal modo potrà godersi qualche occhiata più compiaciuta da parte della cameriera... Se portasse la «vera», ella non lo degnerebbe di tante attenzioni!...

L’anello è un segno: “Ricevi questo anello, segno del mio amore e della mia fedeltà”. È un segno legato al dito: non dimenticherai che io ti amo, e che amo solo te, che sono tua nei giorni belli e nei giorni tristi, quando sei in casa e quando sei lontano. È un segno consegnato nel nome di Dio.

È il segno che già una persona occupa il tuo cuore e che tu possiedi il suo.

Un segno non vale molto: è solo un segno. C’è addirittura chi si odia portando il segno dell’amore.

Un segno lo si porta più per gli altri che per sé.

Un segno lo capiscono tutti, subito. E perché lo devono sapere tutti che sei sposato? Che la tua vita è donata? Che non sei solo? Quando Massimiliano Kolbe seppe che uno dei dieci condannati al bunker della fame era maritato e padre di famiglia, ebbe l’ispirazione e la forza di offrirsi per essere condannato al suo posto. È successo una volta sola, ma è un fatto indicativo che fa pensare. San Massimiliano ha saputo che la vita di quell’uomo non era sua, ma della moglie e dei figli: gliela volle salvare.

Se amo una persona sposata, so di entrare in amicizia con una famiglia intera. Se incontro un uomo non sposato, la mia amicizia si esaurisce con lui. Se so che uno è sposato, so che ha un compito da Dio verso altri e ne tengo conto nel mio rapporto con lui.

Ai giorni nostri si va diffondendo un’abitudine che mette in discussione non il portare il segno o meno del matrimonio avvenuto, ma la convenienza stessa del matrimonio. «Vivere insieme senza esser sposati, senza doverlo dire né al parroco, né al sindaco. Se ci piace stare insieme, lo facciamo senza impegnarci con firme e con documenti. L’amore non ha bisogno di carta.».

A rigor di logica questi hanno qualche ragione. Se non credono in Dio (e quindi non hanno interesse a rimanere nella sua volontà e diventare un segno del suo amore), non hanno molte altre scelte. Sì, potrebbero fare una firma davanti al sindaco, ma sanno bene che quella firma non è indelebile: il sindaco ha una gomma nelle sue leggi, che la può cancellare, se essi vogliono, e quando vogliono.

Perché impegnarsi per sempre? Se Dio, l’Eterno, non entra nella loro vita, non saranno capaci di impegni eterni, ma solo di impegni di convenienza sociale o economica, finché il sentimento o la sensualità consente.

Ma io, non per fare l’avvocato difensore di Dio, bensì dell’uomo, chiedo se un amore che non si impegna possa chiamarsi amore, e se un amore che non si dona del tutto e per sempre possa essere manifestazione di maturità e di pienezza di vita.

Se un coniuge sa di vivere insieme al suo «tesoro» che non ha mai voluto firmare il suo matrimonio, ma convive perché gli piace, quale sicurezza psicologica può avere di esser amato? Il suo amante gli dà un amore senza garanzie. Egli/ella rimarrà sempre nella tensione di dover fare in modo da piacere all’altro, ai suoi capricci e sentimenti, di non fare nulla per disgustarlo. Il suo spirito non entrerà mai nel riposo.

L’impegno siglato davanti alla società (comunità religiosa e civile) ha un doppio effetto: aiutarti ad esser fedele e proteggere il vostro amore: non è contro l’amore, ma in suo favore. Anche Dio ha voluto ratificare pubblicamente il suo amore per l’umanità firmandolo col Sangue di Gesù davanti a tutti i popoli. E Dio sa cos’è bene e perfetto per l’uomo, anche per la sua salvezza psicologica, oltre che per la sua salvezza morale ed eterna!

 

8. Responsabili dei figli: quanti?

La Bibbia dice che i due (uomo e donna) saranno una carne sola. Un’unica realtà, un’unica famiglia! Quest’unità gli sposi la esprimono e la vivono anche con l’unione dei corpi. Questo è uno dei momenti più desiderati dei coniugi, e che esprime in maniera concreta e tangibile il loro amore. È anche uno dei momenti più intimi e sacri della loro vita. Il perché lo si comprende facilmente e allo stesso tempo ci rimane misterioso e profondo com’è lo spirito umano. È il momento in cui può prender vita un’altra vita e perciò è un momento che tocca il cuore e l’onnipotenza di Dio Creatore.

Forse un’altra vita: gioia e responsabilità qui si incontrano. Per molti, sapere che il gesto d’amore darà origine ad un’altra vita è gioia grande e attesa. Per altri questo fatto dà preoccupazione per le responsabilità e fatiche che ne conseguono.

Fino a non molti anni fa nelle nostra società prevaleva il primo atteggiamento. Oggi sembra prevalere il secondo.

La gioia d’esser padre e madre di molti figli di Dio, si basa fondamentalmente su due colonne: la più grande e forte, una salda fiducia nella Provvidenza di Dio, che non lascia mancare il necessario agli uomini come non lo lascia mancare ai passeri; la seconda colonna, il consenso generale della società in cui tutti erano abituati alla fatica, ad accontentarsi del necessario, a vedere i piccoli come una benedizione.

Il secondo atteggiamento, la paura di avere più figli, si basa pure su un doppio piedistallo. Uno è un senso di responsabilità così pesante da sentirsi pusillanimi e incapaci di dar da mangiare e di educare più di uno o di due figli, unito ad un confine ideale della propria fiducia in Dio, ritenuto capace di provvedere solo in misura dipendente da se stessi. Talvolta invece questa paura è espressione non di senso di responsabilità, ma di egoismo: «Con qualche figlio in più non si è più liberi di far quel che si vuole». L’altro piedistallo è l’opinione diffusa, divenuta abitudine, di non avere più di due figli, tre per sbaglio. È divenuta talmente un’abitudine che i costruttori di appartamenti da affittare li fanno sulla misura di una famiglia che non abbia più di due figli. Così si crea un circolo vizioso, per cui una famiglia un po’ più numerosa trova difficilmente lo spazio per vivere e per accogliere una nuova vita.

Questo problema non è così semplice Ed io da solo non riesco a vederne tutte le conseguenze.

Anche quando i coniugi ritenessero di non poter avere più figli, desiderano potersi esprimere ancora l’amore fino ad essere una sola carne. Ma come fare?

Ecco allora moltiplicarsi metodi anticoncezionali, dalla sterilizzazione - temporanea o definitiva - alle pillole e a vari sistemi meccanici. Questi metodi eliminano, in parte, la paura di avere un altro figlio, ma - pur assicurando il piacere - non ridanno la gioia dell’incontro: anzi, a livello psicologico e spirituale marito a moglie non si sentono più persone che si amano in profondità; col passar del tempo si trovano a ritenersi l’uno soltanto strumento del piacere dell’altro. Da questa scoperta nascono o crescono nuovi conflitti che apparentemente sembrano avere altre cause.

Per questi motivi profondi e di non facile individuazione, oltre che per altri di ordine medico, i pastori della Chiesa insegnano ai cristiani che i metodi artificiali per evitare le nascite sono una diminuzione della persona, un danno, un male. Essi consigliano invece, eventualmente, di limitare gli atti coniugali ai periodi naturalmente infecondi del ciclo mestruale della donna. Sono stati scoperti negli ultimi anni metodi per conoscere questi periodi, metodi sufficientemente precisi ed esperimentati. Questo modo di agire richiede certamente un po’ di sacrificio, di dominio di sé, ma permette ai coniugi di rimanere nella serenità interiore e di esprimersi l’amore in un modo veramente umano nella sua pienezza.

A questo proposito ci sono coppie di coniugi esperti che si mettono a disposizione di altre coppie per spiegare, aiutare, confidare le proprie esperienze: è questa un’opera di misericordia molto preziosa e delicata.

Conoscendo la complessità e difficoltà del problema, i pastori della Chiesa non escludono dalla Comunione coniugi che non riescono a raggiungere l’ideale che si propongono, ma che per debolezza o per ignoranza cedono all’uso di metodi apparentemente più comodi e sbrigativi. Non si vuole certamente essere né superficiali, né chiamare bene ciò che è male: si riconosce che anche i coniugi che ricercano la propria perfezione spirituale e morale sono soggetti a situazioni di incertezza, di debolezze di delicatissima soluzione. Li si vuole incoraggiare ad esser fedeli l’uno all’altro, essendo questa fedeltà un bene sommo, superiore ad altri beni.

 

9. Educare

Le difficoltà inerenti alla responsabilità dell’educazione e sistemazione dei figli sono indubbiamente gravi. La Chiesa, attraverso i suoi pastori, incoraggia i cristiani a non soccombere alla paura, ma ad aver ancora fiducia e generosità anche nel campo della procreazione. Nessuno dirà ad una coppia di coniugi quanti figli devono avere. Essi stessi lo determineranno dopo aver valutato vari aspetti. Se lo richiedono, possono peraltro essere aiutati a esaminare il problema e a trovarne la soluzione.

Se c’è un consiglio valido sotto vari punti di vista è questo: non limitate troppo, a uno o due, il numero dei vostri figli. Siate più generosi nel procreare, fate scaturire generosità in questo campo dalla fede nel Padre provvidente e dall’amore alla vita, dal desiderio di essere sempre stimolati al dono di voi stessi.

I figli risentono nella loro crescita, a livello conscio e inconscio, dei motivi per cui li avete messi al mondo e dei motivi per cui, eventualmente, li avete lasciati senza fratelli. Se questo motivo è egoistico, di paura, di mancanza di fede, quei pochi figli che avete non riuscirete ad educarli all’amore nè alla generosità nè alla fede. Le fatiche che vi risparmiate nei primi anni diventeranno lacrime negli anni seguenti.

Certamente, una scelta simile comporta non il voler essere all’altezza (economica, possibilità di divertimenti, ecc...) dei colleghi..., comporta invece una fortezza e indipendenza interiore non indifferente, comporta il sapersi accontentare, il sapere ed essere convinti che conviene donare ai figli una educazione all’amore, piuttosto che una eredità cospicua da usare egoisticamente.

L’educazione dei figli è un altro momento della vita che occupa mente e cuore dei genitori. Purtroppo talvolta la moglie viene lasciata sola in questo compito, pensando il marito di non dovere o non essere in grado di condividere questa fatica. In tal modo succede che l’una cerca di educare come meglio può e l’altro diseduca; i figli, infatti, vengono educati dagli esempi più che dalle parole. Se uno dei due genitori cede il suo compito di educatore all’altro, di fatto educa anch’egli, ma al disimpegno, alla rinuncia, alla superficialità. Gli sposi cristiani rimangono uniti e si sostengono a vicenda anche in questo compito. Più sono interessati al bene dei loro figli, più si lasciano consigliare, non solo dalla ostetrica e dal medico, ma anche dagli educatori: insegnanti, sacerdote ecc., sia attraverso le conferenze pubbliche, sia con colloqui personali e specifici.

Educare non è una cosa da improvvisare. L’educatore è un esempio per il ragazzo più che un altoparlante da cui si possa ascoltare l’insegnamento. Se vuoi insegnare a tuo figlio ad essere paziente, per es., devi essere paziente con lui e con gli altri. Se vuoi insegnarli la dolcezza, sii dolce; se vuoi insegnargli la generosità sii generoso; se vuoi insegnargli la costanza, l’impegno, la fedeltà e la lealtà, sii tu costante fedele e leale. Se vuoi che possa rispondere ad una eventuale chiamata di Gesù al servizio della Chiesa, ad una speciale consacrazione a Dio, sii tu pronto a stimare la Parola di Dio e a metterla in pratica.

Se vuoi insegnargli a pregare, prega tu con tua moglie, e senza altri scopi che pregare. Se preghi perché tuo figlio impari a pregare, egli imparerà da te la falsità, non la preghiera. Prega perché vuoi stare con Dio, ascoltarlo, amarlo. Allora i tuoi figli impareranno la preghiera. Scriveva un educatore: se vuoi che tuo figlio diventi come il Figlio cerca di diventare tu come il Padre!».

È il segreto di ogni educatore, tanto più dei genitori; non è solo un segreto, è un dovere, perché i figli conosceranno Dio Padre secondo l’esempio e la figura dei loro genitori. Comprendi perché molti hanno l’idea che Dio sia un tiranno? Hanno avuto un padre così. Tu cercherai di assomigliare a Dio Padre che ama con pazienza, con dolcezza, con fermezza, con comprensione e confidenza: così tuo figlio conoscerà il Dio Padre di Gesù! Tuo figlio potrà vedere in te l’immagine chiara e bella e attraente di Dio! Che responsabilità, che compito elevato! Ti trovi a svolgerlo anche se non ti sei preparato. Ma se ti sei preparato lo svolgerai con serenità e maggior successo!

 

10. Un posto «concreto» per Dio

Tra le varie confidenze che ricevo, ce ne sono parecchie di questo tipo: «Quando passo davanti al capitello di s. Antonio dico sempre il Padrenostro, e talvolta mi capita di pregare anche mentre lavoro. Anche mia moglie prega, la sera, coi bambini. Talvolta lei va anche a Messa nei giorni feriali».

È bello sapere che le persone pregano.

Ma io chiedo agli sposi: ma voi due, pregate mai insieme? Vi fermate mai a dire insieme con calma il Padre nostro? Leggete mai insieme una pagina del Vangelo? La risposta più comune è «mai». Mai in cinque, sette, dodici anni di vita coniugale.

I due sposi sono cristiani, la loro famiglia non è cristiana! I due sposi si ritrovano a tu per tu con Dio, insieme mai. È una constatazione amara. I due sposi non hanno ancora unito la loro fede e la loro preghiera, non sono ancora del tutto una sola cosa. La loro unità deve ancora raggiungere il punto più profondo dell’unità. Io vorrei che le coppie di sposi, cui ho benedetto le nozze, pregassero insieme. Vorrei che i mariti, miei amici, almeno prima dei pasti ed alla sera invitino la moglie a pregare insieme, così come Tobia invitò la sua sposa Sara: «“Sorella, alzati! Preghiamo e domandiamo al Signore che ci dia grazia e salvezza”. Essa si alzò e si misero a pregare e a chiedere che venisse su di loro la salvezza» (libro di Tobia 8,4-5).

Se i cristiani devono pregare insieme, come raccomanda Gesù e come comandano gli Apostoli e come ne abbiamo avuto esempio dai cristiani dall’inizio fino al nostro secolo, tanto più quei cristiani che formano una unità così profonda com’è quella di due sposi. Questo mio desiderio per gli sposi cristiani, sono certo, è desiderio e volontà dello Spirito Santo. E sono anche certo che gli sposi che pregano seriamente insieme avranno maggior forza per vincere le tentazioni, per superare le crisi, per condividere le sofferenze e i pesi, avranno anche maggior luce e grazia per amarsi e per amare insieme il prossimo: figli, parenti, amici, vicini e conoscenti, parrocchiani e colleghi. Non mancherà loro la prova, ma hanno già in mano la vittoria.

I problemi che devono affrontare gli sposi all’interno e all’esterno della loro famiglia sono molti, e non solo quelli accennati in queste pagine. Chi vive in famiglia lo sa. C’è chi si arrende, c’è chi affronta le difficoltà in modo inadeguato, chi le nasconde o le dimentica nel vino o nella droga. C’è anche chi le vede alla luce della fede. Con la luce e la forza della fede impugnata insieme da marito e moglie, ogni difficoltà sarà un’occasione perché il loro amore cresca e la loro testimonianza per il Signore divenga fruttuosa per il Regno di Dio.

Un ragazzo mi ha chiesto se un uomo sposato può amare Gesù come un sacerdote. Cosa gli risponderesti? I modi di amare Gesù saranno diversi, ma l’amore è uno. Un uomo sposato ama Gesù quando rimane unito alla moglie, decide tutto insieme con lei; un uomo sposato dà gloria a Dio quando si fa servo della sua famiglia come Gesù è servo dei suoi discepoli fino alla morte. Un uomo sposato ama Gesù quando, vivendo la fede e la preghiera insieme a sua moglie, si rende capace di trasmettere anche la vita «spirituale» ai suoi figli. Un uomo sposato (e una donna sposata) ama Gesù quando cerca di aiutare il proprio coniuge «ad andare in Paradiso», quando aiuta la persona che ama ad accogliere la santità! L’amore più grande è questo essere un aiuto - con la parola e con l’esempio - soprattutto alla santità della persona amata.

Una famiglia diventa così una piccola comunità missionaria, trasmettitrice della parola di Dio, divenuta vita in se stessa. Marito e moglie sono, se vogliamo dire una parola ormai di moda, una piccola Chiesa, Chiesa domestica. In essa è presente il Signore Gesù, attraverso la forza del sacramento del Matrimonio, attraverso l’unità che viene vissuta ogni giorno nell’amore e che viene attribuita allo Spirito Santo, Spirito di unità.

Se Gesù è presente nella famiglia cristiana non vi rimane in ozio! Se Gesù è presente in casa vostra, voi coniugi non lo ignorerete. Sarà anzi il primo... ospite, amato e accolto più dello stesso coniuge, più dei figli stessi. A Lui la gloria e l’onore da parte vostra!

 

11. Acqua al mio mulino

Qualcuno si meraviglia se i preti tirano l’acqua al loro mulino? Voglio farlo anch’io, tanto più che in qualche caso mi sembra proprio che il mio mulino sia quello dove Dio lavora per macinare il grano e produrre la sua farina a vantaggio non mio, ma di tutti.

E il mio mulino è questo: che i coniugi cristiani siano aperti alla collaborazione e al servizio nella comunità cristiana, perché questa sia sempre più accogliente e perché i suoi membri stessi in essa ricevano accoglienza, sostegno, consolazione, forza e significato di vita. I coniugi cristiani perciò si preoccupano che la comunità cristiana di cui fanno parte sia sempre più una sposa bella e splendente per Gesù Cristo. E si preoccupano che in essa non vengano a mancare i servizi indispensabili alla sua vita e alla sua presenza nel mondo. Uno di questi servizi è quello del presbiterato (preti), un altro la presenza dei consacrati (frati e suore).

Sia i preti che i frati e le suore non possono che nascere e crescere come gli altri uomini! Perciò, cari sposi, anche voi potete desiderare che la chiamata di Dio a questi servizi ecclesiali e (perché no?) sociali, si faccia sentire ad uno di quei figli che voi avete allevato, per cui avete sofferto e faticato. Io vi chiedo di più, se veramente siete membra vive del popolo santo di Dio: fate un atto di generosità con Lui; ditegli: «abbiamo deciso di avere (per es.) tre figli. Ne accoglieremo uno in più per Te, per il Tuo Regno: uno dei quattro è per te!».

So di proporre un atto di coraggio e di fede grande, ma non mi vergogno. So anche che ci sarà qualche coppia di sposi che lo farà. Tiro l’acqua al mio mulino, ma è anche il vostro: io morirò, ma ci saranno anche dopo la mia morte coniugi che cercano l’aiuto di un prete che dica loro la Parola di Dio disinteressatamente. Ci saranno ancora sposi in difficoltà e vedovi che troveranno consolazione e forza per la loro situazione nel considerare il celibato dei preti e la vita dei frati e delle suore. Ci saranno ancora famiglie che vorranno avere davanti agli occhi la testimonianza di persone consacrate a Dio totalmente, per poter credere e sperare e amare, per continuare ad esser cristiani anche nei momenti di crisi. Ma soprattutto Dio stesso vuole continuare a dare al mondo la profezia del Regno dei cieli attraverso l’esistenza di persone che trovano solo in Lui motivo di soffrire, di gioire, di lavorare, di agire e di vivere.

E se pensi che qui da noi di preti ce ne sono fin troppi, sappi che nella maggior parte del mondo non è così: puoi pregare con me che uno dei tuoi figli diventi missionario.

Pace e benedizione alla tua famiglia!

 

* * * 

Litighiamo?

Litigare è facile. C’è sempre qualcosa da difendere e perciò litigare è facile. Certi sposi si abituano a litigare con frequenza anche di fronte ai propri figli e agli estranei. Cosucce da nulla diventano occasione per farsi valere e sovrastare il proprio coniuge...

Qualcuno mi dice che per andare d’accordo bisogna litigare.

Io dico che per andare d’accordo non bisogna litigare!

In ogni famiglia, in ogni casa, c’è qualcosa da difendere molto più importante degli interessi di ciascuno: bisogna difendere la pace l’armonia, la concordia!

Questo è un valore così grande, che non lo si valuta mai abbastanza, se non dopo che è scomparso.

Difendere la pace è difficile. Bisogna usare un’arma che costa molto cara. Non tutti poi la sanno usare. Per difendere la pace è necessario combattere contro se stessi, contro i propri gusti, contro i propri istinti di possesso, di voler esser stimati e valorizzati, di voler aver ragione, di voler esser liberi. Inoltre bisogna saper valutare tutto il resto (cose, utensili, mobili, denaro, macchina, ecc.) meno della pace.

Sei capace, pur di non litigare, o meglio, per amor della pace, di sopportare che tua moglie abbia rotto un piatto o lasciato andar a male un chilo di burro senza sgridarla? Sei capace, per amor della pace, di sopportare che tuo marito abbia tardato con gli amici senza sgridarlo?

Una famiglia cristiana si allena alla pace, fa esercitazioni di pace perché deve essere una famiglia dove è presente il Dio della pace!

 

Un problema dei fidanzati

Succede talora che i fidanzati affrettino la celebrazione del Matrimonio perché... c’è un figlio in viaggio. Non è una novità e non fa meraviglia che ciò possa succedere. Qualche caso c’è sempre stato. Ma questo fatto si diffonde come consuetudine e non è più visto come eccezione: e vari fidanzati si lasciano trascinare dall’andazzo generale e non sanno più come comportarsi. È lecito o no avere rapporti sessuali prima del matrimonio?

La risposta del mondo è scontata: non solo lecito, consigliato addirittura.

Il fidanzato cristiano è diverso anche in questo campo dagli altri?

La fede, l’amore al Signore ha qualcosa da dire anche su questo aspetto?

Mi pare di dover dire qualcosa dal punto di vista della fede, tralasciando gli altri elementi; per un cristiano è già sufficiente a determinare il proprio comportamento quel che gli dice il suo Signore. Sei fidanzato? Ami già una ragazza? Essa non è ancora tua. Dio non ti ha ancora dato un compito nei suoi confronti. Tu starai con lei allo scopo di verificare se il vostro amore rientra nel piano di Dio sulla vostra vita, se il vostro amore è una chiamata (vocazione) di Dio Padre, per vedere se avete elementi sufficienti per presentarlo al Signore e farlo assumere da Lui, per vedere se siete adatti a vivere insieme tanto a lungo quanto durerà la vostra vita, se insieme sarete capaci di testimoniare l’amore di Cristo per la sua Chiesa. Ma la tua ragazza non è ancora tua: rispettala, lasciandola libera nel corpo e nello spirito, finché Dio non abbia detto la sua parola su di voi. Nemmeno tu stesso sei già suo. Non puoi consegnare il tuo corpo ad altri: sei del Signore, consacrato a Lui nel Battesimo. Potrai affidare il tuo corpo ad un’altra persona se Dio te ne darà il compito e la benedizione. Attendi.

Poi... vuoi che tua moglie ti resti fedele nel matrimonio? Non abituarla fin d’ora a donarsi a chi non le appartiene.

Può costare un comportamento casto e puro ai fidanzati. Costerà sacrificio perché richiede dominio di sé, dei propri sensi, e costa perché richiede andar contro l’opinione corrente del mondo attuale.

Quante altre considerazioni di natura spirituale, psicologica, giuridica ci sarebbero! Ma la Parola di Dio ha per me il peso determinante.

Presèntati al matrimonio col cuore e col corpo puri, e sarai felice. E anche la tua fidanzata avrà coscienza d’esser amata da te come persona e non come strumento per il piacere sensuale che ti procura. Questa castità ti costerà, e talvolta non ne capirai il motivo, perché l’istinto o l’amore ti porteranno a cercare le soddisfazioni sensuali e l’unione dei corpi. Se saprai vincerti e stare sulla strada che Dio indica ai suoi figli, stai già ponendo basi solide all’unità del tuo matrimonio e ad una vera felicità interiore tua e di tua moglie (o marito). Coraggio! Aiutatevi l’un l’altro: chiedetevi reciprocamente di essere forti e di sostenervi ad essere puri e casti.

Fidanzato: lei ha paura di perderti rifiutando la tua proposta di “fare all’amore”. Amala di più.

Fidanzata: lui non ti stima più tanto, se tu cedi alla sua richiesta. Potrà anzi pensare: questa ragazza non mi aiuta ad esser fedele a Dio, è una ragazza come le altre.

Dopo aver “fatto all’amore” vi sentirete più traditori e traditi che amanti e amati.

Aiutatevi invece pregando insieme: quando vi incontrate, in disparte da tutti, prendete in mano il Vangelo e leggetene insieme una pagina. Troverete più aiuto alla crescita della vostra unità che non a “fare all’amore”. Coraggio, fatene l’esperienza.

 

Un consiglio ai fidanzati

Ti prepari al matrimonio? Sei cristiano e vuoi continuare ad esserlo? Affronta anche questo argomento esplicitamente col tuo fidanzato/a. Mettilo/a alla prova anche su questo aspetto della vita. Non accontentarti che lei/lui accetti di venire a Messa con te qualche volta. Lo fa volentieri pur di conquistarti. Assicurati che viva la fede indipendentemente da te.

Altrimenti?

Altrimenti ti consiglio di non sposarla/o. Almeno vorrei che tu fossi cosciente a cosa vai incontro, quali croci ti stai mettendo sulle spalle! Sarebbe meglio per te rimanere solo/a piuttosto che dopo pochi mesi o anni cominciare un calvario di sofferenze interiori, incomprensioni, lotte perché lui/lei non capisce le tue esigenze interiori né le tue sofferenze, né le tue gioie, sia per quanto riguarda il comportamento morale (non solo sessuale, ma anche) che per i rapporti con gli altri, con la comunità cristiana, con il tuo Dio, che per l’educazione dei figli ecc...!

Non aver fretta. Cerca di preparare non solo mobili e lenzuola ricamate: prepara anzitutto l’unità più profonda possibile con il tuo futuro marito/moglie: quella della fede.

 

Problemi seri

La legge civile di molte nazioni è divenuta molto permissiva sia riguardo il divorzio, sia riguardo l’aborto, sia riguardo altre scelte che contrastano con la parola del Vangelo.

Per il cristiano restano vere le parole di Gesù: “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio” (Mc 10,11-12).

La Chiesa perciò non può ritenere valida una nuova unione, se era valido il primo matrimonio. È una scelta di vita decisa al di fuori della unità e obbedienza ecclesiale, senza la benedizione di Gesù.

Per tutto il tempo che perdura tale situazione le persone che convivono - pur non essendo scomunicati - non possono accedere ai santi Sacramenti (Comunione eucaristica e Confessione). La Chiesa non può fare diversamente; equivarrebbe a dichiarare inutile il Sacramento istituito da Gesù Cristo!

Tali persone sono tuttavia esortate ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il sacrificio della Messa, a perseverare nella preghiera, a educare i figli nella fede cristiana,... per implorare così la grazia di Dio (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1650-1651) e maturare una decisione di fede conseguente alla volontà di Dio.

“In certi casi può essere possibile e legittima la separazione degli sposi. Nella separazione i coniugi non cessano di essere marito e moglie davanti a Dio; non sono liberi di contrarre una nuova unione. Se il divorzio civile rimane l’unico modo possibile di assicurare certi diritti legittimi, quali la cura dei figli o la tutela del patrimonio, può essere tollerato, senza che costituisca una colpa morale” (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica n. 2383 e 1649).

Alcuni cristiani si sono impegnati attivamente e si sono organizzati ad aiutare donne e famiglie che si vedono in seria difficoltà ad accogliere una nuova vita e sono tentati di procurarne l’aborto. È questa un’opera di carità e di giustizia alla quale esorto anche voi a prepararvi per compierla.

L’aborto è sempre un’uccisione, un eliminare una vita già presente. Dio Padre non può essere insensibile a tale affronto, e nemmeno noi suoi figli! Ciò che va contro la sapienza e l’amore divini non può essere un bene per l’uomo. Vari gravi mali sociali e molte sofferenze personali e di coppia hanno come origine proprio questo delitto, di cui - con molta superficialità - si sottovalutano le conseguenze. L’aborto non è un delitto “qualunque”: è l’uccisione di un inerme, un indifeso, e - ciò che più è grave - del proprio figlio.

La Chiesa perciò si è sentita da sempre in dovere di applicarvi la pena della scomunica, per educare i fedeli a non lasciarsi travolgere dalla mentalità permissiva del mondo.

La misericordia di Dio non viene rifiutata a coloro che se ne pentono. Molta comprensione è data alle donne, che spesso non hanno alcun sostegno a vincere la tentazione di abortire, anzi, sono spinte a farlo! Più grave è la colpa di chi ‘soltanto’ consiglia questo intervento come soluzione alle difficoltà: un consiglio... diabolico! (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica n. 2383).

 

 

Il Rito del Matrimonio

INTRODUZIONE (una delle possibili formule)

Carissimi N e N,

siete venuti nella casa del Signore,

davanti al ministro della Chiesa e davanti alla comunità,

perché la vostra decisione di unirvi in Matrimonio

riceva il sigillo dello Spirito Santo,

sorgente dell'amore fedele e inesauribile.

Ora Cristo vi rende partecipi dello stesso amore

con cui egli ha amato la sua Chiesa,

fino a dare se stesso per lei

Vi chiedo pertanto di esprimere le vostre intenzioni.

N e N, siete venuti a celebrare il Matrimonio

senza alcuna costrizione, in piena libertà e consapevoli

del significato della vostra decisione?

Gli sposi rispondono: Sì.

Siete disposti, seguendo la via del Matrimonio,

ad amarvi e a onorarvi l’un l'altro per tutta la vita?

Gli sposi: Sì.

Siete disposti ad accogliere con amore

i figli che Dio vorrà donarvi

e a educarli secondo la legge di Cristo e della sua Chiesa?

Gli sposi: Sì.

Alla presenza di Dio

e davanti alla Chiesa qui riunita,

datevi la mano destra ed esprimete il vostro consenso.

Il Signore, inizio e compimento del vostro amore,

sia con voi sempre.

Prima lo sposo, poi la sposa:

Io N, accolgo te, N, come mia/o sposa/o.

Con la grazia di Cristo

prometto di esserti fedele sempre,

nella gioia e nel dolore,

nella salute e nella malattia,

e di amarti e onorarti

tutti i giorni della mia vita.

 

Cel.: Il Signore onnipotente e misericordioso

confermi il consenso che avete manifestato davanti alla Chiesa

e vi ricolmi della sua benedizione.

L’uomo non osi separare ciò che Dio unisce.

 

Cel.: Signore, benedici X questi anelli nuziali:

gli sposi che li porteranno custodiscano integra la loro fedeltà,

rimangano nella tua volontà e nella tua pace e vivano sempre nel reciproco amore

Per Cristo nostro Signore.

Tutti: Amen.

Prima lo sposo, poi la sposa:

N, ricevi questo anello,

segno del mio amore e della mia fedeltà.

Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

 

Solenne benedizione degli sposi (dopo il Padre nostro) (una delle possibili formule)

Fratelli e sorelle,

invochiamo su questi sposi, N e N, la benedizione di Dio:

egli, che oggi li ricolma di grazia con il sacramento del Matrimonio,

li accompagni sempre con la sua protezione.

Tutti pregano per breve tempo in silenzio.

O Dio, Padre di ogni bontà,

nel tuo disegno d'amore hai creato l'uomo e la donna perché, nella reciproca dedizione,

con tenerezza e fecondità vivessero lieti nella comunione.

Ti lodiamo, Signore, e ti benediciamo

R. Eterno è il tuo amore per noi!

Quando venne la pienezza dei tempi

hai mandato il tuo Figlio, nato da donna.

A Nazareth, gustando le gioie

e condividendo le fatiche di ogni famiglia umana,

è cresciuto in sapienza e grazia.

A Cana di Galilea, cambiando l'acqua in vino,

è divenuto presenza di gioia nella vita degli sposi.

Nella croce, si è abbassato fin nell'estrema povertà

dell'umana condizione, e tu, o Padre, hai rivelato un amore sconosciuto ai nostri occhi,

un amore disposto a donarsi senza chiedere nulla in cambio.

Ti lodiamo, Signore, e ti benediciamo

R. Eterno è il tuo amore per noi!

Con l'effusione dello Spirito del Risorto hai concesso alla Chiesa

di accogliere nel tempo la tua grazia e di santificare i giorni di ogni uomo.

Ti lodiamo, Signore, e ti benediciamo

R. Eterno è il tuo amore per noi!

Ora, Padre, guarda N e N, che si affidano a te:

trasfigura quest'opera che hai iniziato in loro

e rendila segno della tua carità.

Scenda la tua benedizione su questi sposi,

perché, segnati col fuoco dello Spirito,

diventino Vangelo vivo tra gli uomini.

Siano guide sagge e forti dei figli

che allieteranno la loro famiglia e la comunità.

Ti supplichiamo, Signore

R. Ascolta la nostra preghiera!

Siano lieti nella speranza, forti nella tribolazione,

perseveranti nella preghiera,

solleciti per le necessità dei fratelli,

premurosi nell'ospitalità.

Non rendano a nessuno male per male,

benedicano e non maledicano,

vivano a lungo e in pace con tutti.

Ti supplichiamo, Signore

R. Ascolta la nostra preghiera!

Il loro amore, Padre, sia seme del tuo regno.

Custodiscano nel cuore una profonda nostalgia di te

fino al giorno in cui potranno,

con i loro cari, lodare in eterno il tuo nome.

Per Cristo nostro Signore. R. Amen

 

PREGHIERA DEGLI SPOSI

La tua Benedizione sia sulla nostra famiglia,

o Padre!

Come essa ha ricevuto da Te il suo inizio,

così sia accompagnata ogni giorno

dalla Tua Presenza.

Riempila Tu di amore di spirito di pace

e di volontà di unione!

Essa divenga uno specchio

della vita d’amore

che Tu vivi con Gesù e con lo Spirito Santo.

A Te dia gloria! Amen.

 

Un fatto... utile: leggilo

Nihil obstat: d. Iginio Rogger, Cens. Eccl., Trento, 12/03 /1981