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OMELIE / Omelie IT

28 feb 2016
28/02/2016 - 3ª domenica di Quaresima - C

28/02/2016 - 3ª domenica di Quaresima - C 

1ª lettura Es 3,1-8.13-15 * dal Salmo 102 * 2ª lettura 1Cor 10,1-6.10-12 * Vangelo Lc 13,1-9


La misericordia di Gesù arricchisce la conoscenza che abbiamo di Dio. Tra le opere di misericordia spirituali c’è anche questa: “Istruire gli Ignoranti”, e noi ignoranti siamo davvero, come lo erano le persone che accorrevano ad ascoltarlo. Abbiamo udito che gli riferiscono una notizia molto preoccupante. Noi diremmo una notizia di cronaca nera, che diventa però una grave vicenda politica, perché Pilato non ha rispettato la sacralità del tempio, e, dentro il tempio, nemmeno l’altare, quando proprio là ha fatto uccidere alcuni Galilei. Gesù non si scompone, e non commenta il grave fatto. Egli cerca invece di rispondere ad una domanda non espressa, ma certamente presente nella mente e nel cuore dei suoi interlocutori. Data la cattiva stima di cui godevano i Galilei a Gerusalemme, ed essendo anche lui considerato galileo, sapeva che essi in fondo pensavano: di certo quei galilei erano colpevoli di gravi delitti, quindi ben gli sta. Gesù non pensa minimamente a giudicare coloro che erano stati uccisi, ma si preoccupa di aiutare i suoi interlocutori. La morte di quelli è stata sì una disgrazia, ma non diversa da quella di chi muore senza conversione, senza accogliere il dono di Dio, colui cioè che il Padre ha mandato. Anche diciotto cittadini di Gerusalemme sono morti in una grossa disgrazia. Nemmeno essi erano peggiori degli altri abitanti della città, nemmeno di quelli che lo stavano ad ascoltare in quel momento. “Se non vi convertite…” tutti siete da considerare perduti. E porta il discorso iniziato coi fatti di cronaca nera ad un insegnamento di discernimento su se stessi.

L’insegnamento si serve della parabola. Nel vigneto c’è un albero di fichi, che serve sì a fare ombra per momenti di ristoro di chi lavora, ma da esso ci si può pure attendere qualche frutto. Se non ne porta mai, lo si deve eliminare: tagliarlo, è la ragionevole decisione del padrone. La parabola parla di tre anni in cui quell’albero non ha portato il frutto sperato. Il numero tre non dev’essere stato scelto a caso da Gesù. Erano infatti tre anni che lui predicava e operava prodigi, ma coloro che nella vigna, cioè nel popolo, emergevano, cioè i capi e le persone colte, pareva non fossero interessate, anzi, davano segni di insofferenza e di rifiuto della sua persona. Il padrone, cioè colui cui appartiene il popolo, Dio Padre, può ancora sopportare che i capi non considerino e non ascoltino il suo inviato, il suo Figlio? Proprio il servo addetto alla vigna suggerisce al padrone una soluzione: egli stesso si offre a moltiplicare il proprio impegno, nella speranza di offrire così ulteriore opportunità di ravvedimento e di conversione. Nella mente di Gesù, chi altri se non lui stesso può essere il vignaiolo, il servo cioè che si offre spontaneamente alla fatica di dare se stesso per l’albero che ancora non porta frutto?

In questo modo conosciamo chi è Gesù, e anche chi è il Padre che lo ha mandato e gli ha dato una misericordia così grande, da dare la propria vita per i miseri e peccatori che siamo noi! La domanda che riguarda l’essere di Dio ce la facciamo sempre, una domanda che riempie e modifica la nostra vita. Chi è Dio? Che volto può avere? Con quale nome si può avvicinarlo, con quale nome farlo conoscere o parlare di lui? È una domanda antica, presente anche nel cuore di Mosè prima che lo incontrasse. Dopo che lo ha incontrato le domande si sono sciolte un po’ alla volta, lasciando posto ad una grande certezza: egli mi ama, egli ci ama, si cura di noi! Dio si occupa del popolo che soffre, è fedele alle promesse fatte ad Abramo e a Giacobbe. Non si può dubitare di lui: anche se passano gli anni e non succede nulla, Dio non dimentica il suo servo. Se permette al suo popolo di soffrire la schiavitù è certamente perché ne vuol trarre un bene e una gloria sicura e stabile. A Mosè Dio si rivela col nome dei primi patriarchi. Lui ha avuto a che fare con loro, ha determinato il loro cammino, è stato presente nella loro esistenza, è stato amato e creduto da loro. Abramo, Isacco e Giacobbe sono tre nomi determinanti per la conoscenza di Dio. È come dicesse: io sono colui che c’entra fin dall’inizio con la vostra vita e la vostra storia, anzi, ne sono responsabile. È ancora come dicesse: il mio nome adesso siete voi. Gli altri mi possono conoscere grazie a voi. Tutto il mondo può sapere chi io sono proprio perché ci siete voi che mi obbedite e mi amate e mi lasciate agire nella vostra storia.

Gesù completa la nostra conoscenza di Dio, che non è più soltanto il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, ma è pure il Padre del Signore nostro Gesù Cristo. E al mondo di oggi come si presenta Dio? Egli è, dice Gesù, “Dio mio e Dio vostro, Padre mio e Padre vostro”. Oggi cioè siamo noi, la Chiesa, parte integrante del nome di Dio. Per noi questo fatto è gioia grande e vera consolazione, ma anche impegno e fatica costante ad essere quello che dovremmo essere, uniti dall’amore, vittoriosi su ogni tentazione di divisione e di superbia. Facciamo conoscere Dio come Padre quando siamo un tutt’uno con Gesù, anche quando lui sale il Calvario, e sul Calvario la croce.

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