OMELIE / Omelie IT
18 mag 2025 18/05/2025 - 5ª Domenica di Pasqua - anno C
18/05/2025 - 5ª Domenica di Pasqua - anno C
Iª lettura At 14,21-27 dal Salmo 144 IIª lettura Ap 21,1-5 Vangelo Gv 13,31-33.34-35
“È necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio”. Con queste parole Paolo e Barnaba istruivano le comunità da loro formate e radunate. Essi non promettevano ai nuovi cristiani una vita bella e comoda, come del resto non l’aveva mai promessa Gesù. Proprio Gesù aveva detto chiaramente: “Se hanno odiato me, odieranno anche voi” e “vi scacceranno…, vi perseguiteranno, vi consegneranno ai giudici e ai magistrati”, ma anche “rallegratevi ed esultate, quando diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia”!
La necessità delle tribolazioni fa parte della vita del cristiano. E noi lo scopriamo, ogni volta che decidiamo di vivere con un po’ di serietà la nostra fede. Ogni giorno, proprio quella televisione che paghiamo perché ci offra informazioni serie e passatempi dignitosi e formativi, ci sbatte in faccia invece quanto ci può essere di nocivo per la nostra fede, ci offre parole offensive e discorsi ingiuriosi contro di noi e contro i nostri pastori; lo stesso si può dire di quei giornali e rotocalchi con cui riempiamo le nostre case e la nostra fantasia o che mettiamo in mano ai bambini e ragazzi.
“È necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio”. Quando dice questo, San Paolo è già stato scacciato da alcune città, è dovuto scappare da Damasco calato dalle mura nella cesta, è stato lapidato e creduto morto a Listri. Soffrirà ancora percosse e prigioni, ma sempre con la gioia di essere fedele al suo Signore Gesù Cristo.
La lettura evangelica odierna ci presenta un momento particolare della sofferenza di Gesù: Giuda esce dalla sala della cena pasquale. Uscendo di là egli esce dalla comunione con gli altri discepoli e soprattutto dalla comunione con Gesù.
Che cosa farà? Che fine farà? Gesù soffre per lui, e per sè. Egli intuisce che sta arrivando il momento della passione e della morte. Per lui questo momento è l’ora in cui può mettere in evidenza l’amore più grande, può quindi “glorificare” il Padre. E con quello stesso amore verrà manifestata la sua grandezza divina.
Egli entrerà nella morte: non è questo il momento per i suoi di accompagnarlo, però ogni momento è sempre adatto per fare quello che fa lui, cioè per manifestare l’amore del Padre. E lo faranno amandosi «l’un l’altro» con la stessa intensità di Gesù.
Che significa amarsi «l’un l’altro»? Non significa soltanto amare gli altri: quest’amore potrebbe essere anche una spinta all’orgoglio che ci fa ritenere di essere bravi, buoni, meritevoli, persino migliori degli altri.
Amarsi «l’un l’altro» è accogliere l’amore del fratello, apprezzarlo, interpretare come amore i suoi gesti nei miei riguardi. Quanto i miei fratelli fanno a me, è amore di Dio per me, anche se può non piacermi, anche se può farmi soffrire. Ma il Signore sa che cosa mi fa bene.
Amarsi «l’un l’altro» comporta anzitutto l’umiltà di accettare d’aver bisogno delle attenzioni dei fratelli, e ritenerli migliori di me. Li ritengo dono di Dio per me.
E poiché Gesù ha amato sempre tutti, anche noi ameremo, fissando il nostro sguardo su di lui. Alla domanda “Perché ami?”, risponderemo quindi dicendo sempre, anzitutto a noi stessi, “Perché Gesù ci ha amati”, “perché Gesù ha amato te e anche me”. Meritevole è lui.
Vivendo questo amore «gli uni gli altri» faremo risplendere la gloria di Gesù, e noi saremo riconosciuti discepoli suoi. Non sono le nostre parole o le nostre preghiere a contraddistinguerci come discepoli del Signore, ma la comunione reciproca che ci unisce anche nel linguaggio, anche nella preghiera, ma soprattutto nella serena e fedele attenzione ad ascoltarci e aiutarci.
Amarci «gli uni gli altri» è certamente bello, ma costa. Se hai provato lo sai che costa. Questa è la prima tribolazione che offriamo a Dio perché egli ci possa accogliere nel suo Regno. La tribolazione dell’amore reciproco ci riempirà di gioia, di quella gioia che riuscirà ad asciugare le lacrime di tutte le altre tribolazioni, quelle di chi parla male di noi e quelle di chi opera ingiustizie contro la nostra fede.
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