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OMELIE / Omelie IT

13 set 2015
13/09/2015 - 24ª Domenica del T.O. - B

13/09/2015 - 24ª Domenica del T.O. - B

1ª lettura Is 50,5-9 * dal Salmo 114 * 2ª lettura Gc 2,14-18 * Vangelo Mc 8,27-35

Chi è Gesù? È colui che cammina sempre accompagnato da una dozzina di discepoli, ma chi è? Come mai la gente accorre per ascoltarlo? Come mai tutti vanno da lui portando ammalati e trascinando indemoniati? Perché lui accoglie tutti, persino i bambini, persino le donne? Con tutta la fama di cui gode, perché non ne approfitta per farsi acclamare? Dato che alla sua parola succedono miracoli, perché non ne fa anche per i suoi discepoli e per se stesso? Chi è dunque? Egli stesso chiede la risposta. Cosa dicono gli uomini di lui? Ne dicono di tutti i colori; ognuno vuol dimostrare la propria scienza biblica e la propria meraviglia: nessuno della gente ammette la propria ignoranza. Tutti ne parlano bene: o è Giovanni, che è stato ucciso e chissà per quale potere ha ripreso a vivere, oppure è il grande Elia, atteso da tutto il popolo per preparare l’incontro col Messia, o è un altro profeta, anch’egli venuto dall’al di là. In ogni caso è persona conosciuta, già incontrata nelle storie che ci sono state raccontate, quindi nulla di nuovo. E così a nessuno è richiesto di cambiare qualcosa nella propria vita.
I discepoli fanno presto a dire quel che la gente pensa e dice del loro Maestro. Ma perché egli fa loro questa domanda? Perché essi devono sapere e gli devono dire cosa pensa la gente? Possiamo intuirlo: Gesù vuole che i suoi discepoli si rendano conto in che mondo vivono, quali pensieri occupano la testa di coloro cui saranno mandati a parlare di lui. Se Gesù fosse davvero uno degli antichi profeti risuscitato, non occorrerebbe dire nulla di nuovo, ma se non lo fosse, allora bisognerebbe urtare l’ignoranza della gente, subirne il disprezzo o il rifiuto riservato a chi annuncia qualcosa di nuovo e inaspettato. Accadeva ai discepoli ciò che accade a noi. Come annunciare il vangelo e come parlare di Gesù oggi? Dobbiamo sapere anzitutto a chi stiamo parlando e quali nozioni o informazioni già posseggono. Altro è parlare di Gesù a persone cresciute in ambiente cristiano, altro è parlare a chi è vissuto in famiglie o in ambiente ateo o dichiaratamente ostile alla fede, altro ancora è parlare a chi viene da una formazione islamica e ancora diverso se chi ascolta ha respirato la cultura del panteismo buddista o induista. I primi pensano già che Gesù è degno di fede, gli altri lo ignorano o lo ritengono un nemico del genere umano, gli islamici lo stimano come profeta, ma un profeta muto, senza parole, i buddisti lo pongono semplicemente come un grande accanto ad altri uomini grandi. “La gente chi dice che io sia?”. Rispondiamo anche noi. Per un cristiano è utile e doveroso sapere chi sono le persone con cui vive, per orientare la propria parola e la propria testimonianza in modo che possa essere compresa da loro.
Gesù continua il dialogo con i suoi. “Ma voi, chi dite che io sia?”. Dal modo con cui Gesù presenta il suo interrogativo è chiaro che s’attende che essi non dicano la stessa cosa che dice la gente. Essi lo conoscono più da vicino e hanno avuto molti indizi della sua identità. Adesso è ora che si sbilancino e dicano una loro idea, la loro convinzione. Pietro prende coraggio e risponde: “Tu sei il Cristo”. Risposta esatta, direbbe qualcuno. Ma nessuno gli batte le mani. Gesù stesso gli parla con severità ordinandogli di non riferire la sua risposta ad alcuno. Tutti dovranno scoprire da sè la sua identità, come lui. Ma lui, Pietro, ha capito cosa ha detto? Le parole che ha pronunciate sono vere sì, ma in che senso? Sa Pietro che il Cristo “deve soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni risorgere”? No, Pietro non lo sa né lo ammette: per questo deve ancora tacere. E invece lui si porta davanti a Gesù e lo rimprovera di aver detto una cosa simile, inaudita. Così Gesù riconosce che la voce di Pietro somiglia a quella del tentatore, che non vuole che egli realizzi le profezie, faccia la volontà del Padre e salvi il mondo con la sua morte. Gesù non glielo manda a dire: «Stai occupando il posto di Satana; torna al tuo posto, dietro a me: hai ancora tutto da imparare». E coglie l’occasione per insegnare a tutti che stare con lui comporta “rinnegare se stesso”. Che significa? Semplice: smettere di pensare a sè, dimenticare la propria bella figura davanti agli uomini, non preoccuparsi di come vanno le cose. Stare con Gesù significa occuparsi di lui, vivere le sue parole, compiere la volontà del Padre anche quando ne conseguisse essere derisi, emarginati, o persino perseguitati.
I discepoli pensavano di farsi una posizione sicura in questo mondo stando con Gesù. Nulla di più errato. Pensare questo è cedere alle lusinghe di Satana. La propria salvezza dev’essere lasciata a Dio, come dice il profeta: “Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato”. Avremo noi la volontà decisa di stare con Gesù? È la condizione per vivere la fede e per permettere alla fede di portare frutto, come dice san Giacomo. Frutto della fede è la concretezza dell’amore, che si sviluppa nella vita di coloro che non si preoccupano per se stessi. Chi è allora Gesù? È colui che ama fino alla fine, fino a consumarsi nell’amore. Con lui voglio stare anche se nessuno mi fa compagnia, anche se rimango solo con lui.

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