ME
NU

Vangelo secondo Matteo 03

Il Padre vostro sa…

3

Mt  6,1 - 7,12

(Traduzione CEI 2008) 

    

  1. La vostra giustizia                                 Mt 6,1-4
  2. Quando tu preghi                                 Mt 6,5-8
  3. Padre nostro                                              Mt 6,9
  4. Il tuo nome                                           Mt 6,9-10
  5. Dacci oggi                                          Mt 6,11-13
  6. Perdonerà                                          Mt 6,14-15
  7. Quando digiunate                               Mt 6,16-18
  8. Tesori                                                 Mt 6,19-24
  9. Il Padre vostro sa…                             Mt 6,25-34
  10. La trave                                              Mt 7,1-6
  11. Cose buone                                       Mt 7,7-12

 

 


1.  La vostra giustizia            Mt 6,1-4

 

1 State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli.

2 Dunque, quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente.

In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa.

3 Invece, mentre tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, 4 perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.

 

1.

Signore Gesù, davanti a te vedi i “poveri in spirito”, “gli afflitti” e “i puri di cuore”, e tutti quelli che hai chiamato “beati”! Hai ricordato loro il comando “Amerai il prossimo”, spiegando che ciò comporta amare i nemici e pregare per i persecutori. Amando i nemici diamo gloria a Dio, nostro Padre, che continua ad amare noi, peccatori a lui ribelli, e dominiamo le nostre reazioni negative: così il nostro amore diventa perfetto e rivela la perfezione del Padre nostro; allo stesso tempo noi stessi veniamo da lui riconosciuti come suoi veri figli.

Ora, Signore Gesù, continui mettendo in guardia i tuoi discepoli: con grande facilità nelle buone intenzioni può insinuarsi un atteggiamento menzognero. Succede anche a me che, quando faccio la volontà di Dio, il tentatore mi insinui il pensiero che sono bravo, che sono a posto, che sto diventando un esempio per gli altri, che merito l’elogio di tutti. In tal modo faccio sì un’azione voluta dal Padre, ma il mio rapporto con lui non è puro e sano: rischio addirittura di dimenticarmi di lui e di fargli fare una figura meschina davanti a chi ha a che fare con me.

Tu sai che ogni membro del popolo dell’Alleanza deve praticare la “giustizia”, cioè compiere la volontà di Dio facendo le opere buone dell’elemosina, della preghiera e del digiuno. Tu vuoi che anche i tuoi discepoli pratichino la “giustizia”, ma non vuoi che imitino gli atteggiamenti ipocriti di chi la vive con l’intento di essere ammirato da tutti. Se i tuoi discepoli compissero le loro opere buone con orgoglio o con vanagloria, per essere visti e lodati dagli altri, si allontanerebbero dal Padre! Essi invece avranno atteggiamenti “giusti”, che li faranno somigliare a lui. Renderanno così anche il mondo più giusto.

Grazie, Gesù, che ci fai notare come l’opera buona sia sì importante, ma ancora più importante l’atteggiamento interiore con cui essa viene compiuta. Tu sai ciò che già il profeta Isaia aveva detto: “Come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia” (64,5), se non danno gloria a Dio e non esprimono la nostra relazione con lui.

Con chiarezza ci dici che, qualora cedessimo alla tentazione della vanagloria, l’obbedienza a Dio si trasformerebbe in peccato, ci allontanerebbe da lui, e non potremmo ricevere né la sua grazia né il suo riconoscimento.

Anche per i tuoi discepoli fai riferimento alla “giustizia”, ‘le opere buone’, insegnate e tramandate, quelle che anche tua madre e Giuseppe, “uomo giusto”, praticavano: l’elemosina accompagnata dalla preghiera e dal digiuno.

Tu avevi udito nella sinagoga di Nazareth le Scritture: “Apri generosamente la mano al tuo fratello povero e bisognoso nella tua terra” (Dt 15,11) e “Meglio praticare l’elemosina che accumulare oro. L’elemosina salva dalla morte e purifica da ogni peccato. Coloro che fanno l’elemosina godranno lunga vita” (Tb 12,8s). E sapevi che ricompensa dell’elemosina, la ricompensa di Dio, è il perdono: “Sconta i tuoi peccati con l’elemosina e le tue iniquità con atti di misericordia verso gli afflitti” (Dn 4,24). Questo è detto nientemeno che al pagano Nabucodonosor, le cui iniquità erano davvero spaventose. Per questo tu consideri come prima opera della giustizia l’elemosina. E avevi pure udito i rabbini confessare che “Chi fa l’elemosina in segreto è più grande del nostro maestro Mosè”! Chi agisce in segreto non agisce in segreto, perché per gli occhi di Dio non c’è oscurità. “Nemmeno le tenebre per te sono tenebre e la notte è luminosa come il giorno; per te le tenebre sono come luce” (Sal 139,12). Tu me lo dici con insistenza: il Padre, che è mio Padre, vede nel segreto. Egli vede nel profondo del cuore, e gode di ciò che vede.

Grazie, Gesù: godrò anch’io che solo il Padre veda, e non avrò altro motivo nel mio agire che piacere a lui. Questa è già ricompensa: sapere che il Padre mio gode di ciò che si svolge nel nascondimento del mio cuore. Tu cominci a parlarci dell’elemosina, detta opera di giustizia, perché, quando una persona fa l’elemosina, il mondo viene reso meno ingiusto. L’elemosina veniva raccolta quando iniziavano le feste, annunciate dal suono della tromba. Bisogna aspettare il suono della tromba per attivarsi ad amare? Il suono della tromba risveglia l’attenzione di tutti, che vedono o guardano ciò che fanno gli altri. Allora l’opera buona viene vista, e chi la compie ne riceve approvazione, plauso e gloria dagli uomini.

Gesù, comprendo: se io volessi esser visto, la mia elemosina non sarebbe più opera divina. Il povero che la riceve ne riporterebbe umiliazione, e io sarei rivolto a me stesso e non incontrerei il cuore del Padre. Il mio gesto non sarebbe rivelazione dell’amore di Dio, ma rivelazione del mio egoismo e della mia vanagloria.

Ti ringrazio, Signore Gesù. Tu non vuoi che io imiti gli “ipocriti”, che fanno le opere di Dio come commedianti, come attori che dimostrano che quello che fanno non è gesto che proviene dalla obbedienza a Dio, dalla fede, bensì dall’amore di sé. La loro ricompensa l’hanno già: è la soddisfazione di sentirsi buoni e di ricevere ammirazione dagli uomini. Ma il Padre non può che disapprovare. Essi non sono entrati nel suo cuore per venire contagiati dal suo amore tenero e delicato, rispettoso della sofferenza dei poveri. La loro ricompensa non li arricchisce, non li migliora, non li avvicina al cielo. Anzi, la ricompensa di cui si vantano li rende peggiori e li rattrista. Quando nessuno li vede non avranno nè forza nè impulso per continuare la loro generosità.

Il tuo discepolo, Gesù, desidera che quanto egli compie sia gradito al Padre, ne imiti l’amore tenero e delicato, riveli la sua presenza e trasmetta la sua consolazione. Perciò egli compirà la sua elemosina, il suo atto d’amore al fratello, nel segreto, persino, se possibile, senza che il beneficiato se ne accorga. Questi non deve sentirsi umiliato, ma deve percepire di essere amato da Dio. Egli deve poter dire il suo grazie al Padre, deve essere aiutato a conoscere la bontà del suo Dio.

 

Ho già scoperto, Gesù, molte volte, che è fonte di gioia e di pace compiere gesti di amore visti solo dal Padre. La sua ricompensa è duratura, sorgente di nuova forza, di serenità, di consolazione.

Perché hai parlato prima dell’elemosina e poi della preghiera? L’elemosina risponde al comando “amerai il prossimo tuo” e la preghiera al comando “amerai il Signore Dio tuo”: prima amiamo il prossimo che vediamo, il che è più facile, così sapremo cosa significa amare il Dio che non vediamo, come ci ha detto san Giovanni (1Gv 4,20). Per amare il prossimo ci si dimentica di sé, così pure per amare Dio ci dimentichiamo dei nostri problemi, che lui conosce meglio e prima di noi, e cerchiamo di realizzare i suoi disegni e desideri, proprio come hai fatto tu, Gesù!

 


2.  Quando tu preghi      Mt 6,5-8

 

5 E quando pregate, non siate simili agli ipocriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa.

6 Invece, quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto;

e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.

7 Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. 8 Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate.

 

2.

Signore Gesù, tu non metti in dubbio che i tuoi discepoli preghino e vogliano pregare. Non c’è bisogno di raccomandarglielo, perché lo stanno facendo! È un’altra opera di giustizia, una delle ‘opere buone’ considerate i tre pilastri che reggono il mondo, lo tengono in vita e non lo lasciano scomparire nel nulla.

Pregare! Tu sai cosa significa questa parola, usata da tutti con rispetto, ma anche con sufficienza, come se sapessero già cosa significa. Persino i pagani la usano: essi invocano e chiedono aiuto a divinità sorde, mute e cieche, dedite a vivere fino in fondo i molti vizi che fanno soffrire gli uomini: questo essi chiamano preghiera.

Pregare! Tu non ti preoccupi di dare una definizione del pregare o della preghiera, perché la vivi con costanza, ne hai fatto il respiro della tua vita, l’atteggiamento continuo che permea ogni tua azione e ogni tuo desiderio. Potremmo dire che tu, Gesù, sei preghiera. Tu infatti vivi ogni istante in ascolto del Padre, lo contempli nel suo agire, ne ripeti le parole per donarle ai discepoli e a quanti ti stanno ascoltando. Chi vede te, vede la tua relazione filiale con il Padre di tutti.

Non ci meravigliamo perciò se ti vediamo soffrire quando ti accorgi che gli uomini si mettono in atteggiamento di preghiera come volessero farsi presenti a Dio, ma intenti a lasciarsi vedere e ammirare dagli uomini. Soffri quando ti accorgi che qualcuno coltiva il desiderio di essere ritenuto specialista della preghiera. Vedevi chi stava ritto in piedi nella sinagoga, anziché sedersi come tutti gli altri, manifestando compiacenza nell’essere visto. Li vedevi anche nei luoghi pubblici, nelle piazze, intenti a dare il buon esempio della preghiera, ma sotto sotto, dentro di sé, governati dalla vanagloria e non dalla compiacenza di Dio, che sempre rimane nascosto agli occhi di noi, suoi figli.

E noi, Signore Gesù, siamo capaci non solo di imitarli, ma di inventare nuovi atteggiamenti con le mani o col voluto sorriso, sì da compiacerci di noi stessi, se non addirittura di divenire centro di attenzione e di ammirazione da parte degli altri. La tua osservazione è quanto mai attuale, è un ammonimento che ci fa vergognare di noi stessi. Tu vuoi che siamo vigilanti, perché la preghiera fa presto a rivestirsi di vanagloria e occasione di disprezzo degli altri, e quindi stimolo per Dio a girarsi dall’altra parte.

Tu sai che il significato del pregare è nel cuore del Padre. Non riusciamo ad entrarci se restiamo attenti al muoversi degli sguardi e dei sentimenti di chi ci circonda. È là, nel suo cuore, che egli vuole incontrarci, per riempirci e rivestirci del suo amore. Questo amore è la sua ricompensa, perfetta ed eterna, la ricompensa che tu continui a ricevere ogni giorno per la tua preghiera, libera e segreta. Noi non la vediamo tutta. Noi vediamo solo qualche istante del tuo pregare, e da questo percepiamo che sei sempre immerso nel cuore del Padre tuo, e quindi sei tu stesso preghiera.

A noi raccomandi quanto già il profeta Isaia esortava: “Va’, popolo mio, entra nella tua stanza, chiudi la porta, nasconditi per un momento” (26,20), secondo l’esempio del profeta Eliseo, che “entrò, chiuse la porta dietro a loro due e pregò il Signore” (2Re 4,33).

Tu, Gesù, ti preoccupi che i tuoi discepoli non si ingannino recitando preghiere senza pregare. Che non succeda che “questo popolo … mi onora con le sue labbra, mentre il suo cuore è lontano da me” (Is 29,13). Molto facile è ritenere di pregare, senza tuttavia entrare nel cuore del Padre: raccomandi perciò di scegliere il luogo più nascosto della casa, il ripostiglio o la cantina: nessuno può congetturare che là io sia entrato per pregare. Così sarò attento solo al mio Dio. Egli potrà vedere il mio desiderio autentico, si accorgerà che per me solo lui è importante, che mi fido di lui e a lui mi affido.

Ma tu, Gesù, sai che il nostro cuore è incline al paganesimo, perché la cultura pagana ci ha plasmato e continua a influire sulla nostra mente.

Noi vediamo come i pagani trattano le loro divinità: sapendo che sono mute non si preoccupano di ascoltarle o di attendere la loro parola, e sapendo che sono cieche e sorde, quindi ignoranti e senza conoscenza, le subissano di parole per istruirle e convincerle, se non addirittura svegliarle dal sonno. Quando il profeta Elia ha convocato i profeti di Baal sul monte Carmelo perché pregassero il loro dio, si beffava di loro incitandoli: “Gridate a gran voce, perché è un dio! È occupato, è in affari o è in viaggio; forse dorme, ma si sveglierà” (1Re 18,27).

Tu, Gesù, conosci il Padre, e sai che egli sa tutto e non ha bisogno che noi gli diciamo qualcosa. Egli gode soltanto di vederci fiduciosi e attenti a lui. Questa fiducia e attenzione la manifestiamo con le parole, ma a Dio non ne occorrono molte, anzi, nessuna è a lui necessaria, perché egli ci conosce come un padre conosce i suoi figli. Le parole che gli rivolgiamo sono utili a noi, per metterci nell’atteggiamento di figli fiduciosi, e per diventare consapevoli di ciò che c’è realmente nei nostri desideri, e se essi sono puri o egoistici.

Le molte parole riescono a convincerci che noi siamo bravi. Riescono ad attirare la nostra attenzione su noi stessi, sulla bellezza e esattezza del nostro esprimerci. Riescono a far sì che il nostro pregare non sia preghiera, non sia comunione con il Padre. Le molte parole ci fanno perdere la fiducia in lui per riporla in noi. Con le molte parole facciamo vedere a Dio che lo riteniamo distratto, ignorante, poco sapiente. Ma egli non è uno tra le molte divinità proclamate tali dagli uomini. Egli è il Padre! È Padre di tutti, e tu, Signore Gesù, vuoi non solo che lo sappiamo, ma che lo teniamo presente sempre. Quando iniziamo a pregare, egli ha già visto la nostra intenzione segreta, e ne gode quando rimane segreta: è segno che è vera.

Come l’elemosina, anche la mia preghiera potrebbe diventare commedia. Grazie, Gesù, di avercelo detto e di aver insistito.

Ci hai insegnato ad evitare il serio pericolo di trasformare il pregare della tua Chiesa santa in azione inutile, anzi, dannosa. Quando essa prega, pregherà con verità, senza vanagloria, senza ostentazione, perché ogni singolo fedele possa tuffarsi con tutti i suoi desideri in quelli santi e misericordiosi del Padre tuo.

Ci sei, ma sei nascosto. In quante occasioni noi ti diciamo: “Ma dove sei, o nostro Padre?”. Tu sei nascosto. Quando succede un fatto che noi sappiamo chiamare soltanto disgrazia, personale, familiare o sociale, tu ci rimani nascosto, solo nascosto, ma sappiamo che ci sei. Il tuo amore è nascosto: lo vedremo quando dai nostri occhi saranno asciugate le lacrime. Allora vedremo che il tuo amore era presente e agiva, di nascosto.

Signore Gesù, grazie che ci insegni a pregare. Ci doni le parole che devono uscire dal nostro cuore per incontrare quello dolce, sicuro e forte del Padre nostro. Ci rendi capaci di metterci insieme, noi tuoi discepoli, davanti al Dio dei cieli, non solo senza paura e timore, ma con confidenza, con serenità, con fiducia. Saremo davanti a lui insieme con te.


3.  Padre nostro      Mt 6,9

 

9Voi dunque pregate così:

Padre nostro che sei nei cieli

 

3.

“Non essere precipitoso con la bocca e il tuo cuore non si affretti a proferire parole davanti a Dio, perché Dio è in cielo e tu sei sulla terra; perciò siano poche le tue parole.

Infatti dalle molte preoccupazioni vengono i sogni,

e dalle molte chiacchiere il discorso dello stolto” (Qo 5,1-2).

Così si esprime l’autore del Qoèlet, attento alla verità delle parole e del vivere umano. Tu trovi un sostegno in questa raccomandazione, e riassumi in brevi frasi le lunghe benedizioni che venivano recitate nelle Sinagoghe. Il fatto che le parole siano poche ci aiuta a renderle vere, a legare ad esse il vivere di ogni momento, in modo che siano manifestazione della vita, e non solo e non tanto pure espressioni verbali.

Il tuo invito, dopo che ci hai messi in guardia dal parlare al Padre come fossimo attori per essere visti e uditi dagli uomini, e dall’affidarci alla eleganza e alla lungaggine delle parole, ora il tuo invito a pregare ci fa ancor più attenti.

Voi dunque”: siamo i tuoi discepoli. La nostra preghiera ci distingue. Ci lasci intendere che non dobbiamo imitare i farisei specialisti del pregare, né dobbiamo imparare dai pagani che si dicono molto religiosi, perché devoti ad una moltitudine di divinità. Ci metteremo con fiducia davanti al Dio unico, sapendo che, siccome già ci ama, già conosce tutte le nostre necessità. “Dunque” nemmeno abbiamo bisogno, quando preghiamo, di conoscere i nostri bisogni per esprimere le nostre sofferenze o lacune, in poche parole di occuparci di noi stessi. Dio non si aspetta da noi che gli diciamo cosa dovrebbe fare per noi, quando e come dovrebbe intervenire, perché questo già lo conosce bene la sua sapienza ed è oggetto del suo amore. Egli si aspetta che ci accorgiamo della sua bontà e gli diamo fiducia, che lo stiamo ad ascoltare, che facciamo nostri i suoi desideri, quelli che già conosciamo tramite le Sacre Scritture, dono del suo amore e della sua benevolenza.

Pregate così”: ti ascoltiamo, Gesù. Ci avevi detto di chiuderci in stanza, ma ora ci indichi di pregare insieme. Noi, tuoi discepoli, siamo un corpo solo, siamo la tua Chiesa. Quando preghiamo, preghiamo sempre in unità con te e tra noi, sia quando le nostre voci si uniscono, sia quando alziamo gli occhi e le mani e la voce in solitudine. Il Padre ci ascolta sapendo che tu ci hai uniti in un unico corpo. La mia preghiera, quella che si innalza nel segreto del mio cuore, viene da lui udita come “fragore delle tue cascate” (Sal 41,8), come proveniente da molti cuori. Questa certezza mi rende ancor più attento e più perseverante. Mi rende anche più sereno, sapendo che il mio pregare si unisce sempre al pregare di tutti i fratelli sparsi e sofferenti nel mondo, che vivono una fede più salda, più fiduciosa e ardente della mia. La loro fede avvalora anche la mia preghiera.

Gesù, usi la parola “pregare”, come tu la vivevi per protenderti verso il Padre: vuoi che anche noi siamo desiderosi e impazienti di fare la sua volontà, anzi, di essere una sola cosa con lui (cf Gv 17,11.21.22).

Padre nostro che sei nei cieli”: per dire in verità queste parole devo sentirmi vero figlio, figlio di Dio! E devo credere che anche gli altri lo sono. Mi rassicura il fatto che sei tu, Gesù, che le dici e me le poni sulle labbra. Parlare con la confidenza di un figlio a quel Dio che ha fatto i cieli e la terra! Dirgli Padre richiede un grande amore, che non ho: lui lo sa molto meglio di me. Per rivolgermi a lui ugualmente con questa parola, “Padre!”, devo farmi piccolo, come uno di quei bambini cui appartiene il regno dei cieli. Devo lasciare spazio allo Spirito Santo perché gridi Abbà Padre”! Sarò piccolo, benché l’ambiente degli uomini che mi circondano, e che mi influenzano, sia impregnato di quell’orgoglio che mi vuole impedire di manifestarmi figlio.

E aggiungerò “nostro”, sapendo che il mio pregare è condiviso, sostenuto da un’infinità di altre voci sia in cielo che in terra. E questa parola mi fa essere attento alla gioia e alla sofferenza di tutta la Chiesa, soprattutto di quanti vivono l’amore a te, Gesù, soffrendo persecuzione in casa propria o nel loro ambiente di vita. Il mio sguardo si distoglie da quelle che ritenevo mie necessità, alle quali attirare lo sguardo e il cuore di Dio. Ci sono problematiche e necessità molto più serie, davanti alle quali devo vergognarmi di chiamare problemi i miei. No, non voglio pensare a me stesso, Signore Gesù. Ci sei tu pure in quel “nostro”, ci sei tu con la tua missione di salvare il mondo intero.

Padre nostro! Eccomi, sono piccolo, sono tuo figlio con i tuoi molti figli chiamati ad essere uno, ad essere nel mondo il luogo della presenza del tuo Figlio Gesù. Tu mi ami, Padre nostro, ami me come tuo figlio unico, e ami gli altri come tuoi figli unici. Tu mi hai voluto e li hai voluti. Sono e siamo nel mondo come testimonianza di te, del tuo amore, del tuo beneplacito, e anche della tua sapienza e della tua provvidenza. Non prenderà posto in me né l’invidia né la gelosia, ma soltanto la riconoscenza.

Non avrò paura di te, perché tu sei Padre, non avrò paura nemmeno quando gli uomini attorno a me si comporteranno in modo spavaldo con te. Il tuo amore è santo, è capace di amare i cattivi quanto i buoni, di donare la pioggia ai giusti e agli ingiusti. Sarò attento a imparare da te, Padre nostro?

Dicendo “nostro” dirò sempre che siamo uniti a te e siamo uniti tra noi. Non sono e non sarò mai solo: tutte le mie decisioni e i miei momenti di vita saranno condivisi. Se non potrò condividerli con molti, quando sono realtà o fatti o decisioni troppo delicate, le condividerò con uno, un fratello o padre spirituale, in modo che la parola “nostro” sia sempre vera!

Che sei nei cieli”: la grande confidenza da bambino verso il padre suo è sempre piena di ammirazione per la tua grandezza, o Padre. Ti vediamo sempre “nei cieli”, in quella situazione che a noi tutti è e rimarrà sconosciuta. È il tuo mondo, lontano seppur presente al nostro mondo.

Quando dico “che sei nei cieli”, mi pare di affermare che sei nascosto ai miei e ai nostri occhi, perché alzandoli al cielo non riusciamo a vederti. Sei nascosto, ma sempre presente, perché i cieli sono, giorno e notte, sopra di me e sopra di noi, ovunque siamo o andiamo, anche in capo al mondo. Sei in luogo a parte, sei in una vita che io non conosco, ma che è superiore eppure avvolge la mia da tutte le parti, come i cieli avvolgono la terra, e per questo posso rivolgermi a te con tutta la fiducia possibile e immaginabile, e ancora più.

Dicendo “come in cielo così in terra”, desidero e prometto anch’io di santificare il tuo nome, e di realizzare con la mia obbedienza il tuo regno che viene, e la volontà del Padre, come tu con la tua obbedienza ti sei offerto prima di scendere dal cielo e dopo che vi sei salito.


4.  Il tuo nome         Mt 6,9-10

 

Sia santificato il tuo nome,

10 venga il tuo regno,

sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra.

 

 

4.

Tu continui a donarci le parole della preghiera, Signore Gesù. Non sono parole che tu hai cercato o inventato, anzi, sono le stesse che avevi sempre udito nella sinagoga, e che anche i profeti indicavano. Nella Sinagoga si conclude così la liturgia: “Sia magnificato e santificato il suo grande nome nel mondo che egli ha creato secondo la sua volontà; che egli stabilisca il suo regno durante la vita nostra e di tutta la casa di Israele, al più presto e per il futuro. Sia lodato, glorificato, esaltato, dichiarato eccelso, splendido ed elevato e celebrato il nome del Santo. Egli sia benedetto; egli è al di sopra di ogni benedizione, canto, lode e parola di consolazione, che si pronuncia nel mondo. Amen” (Qaddish, forma abbreviata). Tu queste espressioni le hai riassunte, perché non accada che noi ci compiacciamo delle molte parole, e, soprattutto, perché Dio non ha bisogno che gli spieghiamo quello che abbiamo nel cuore, tantomeno gode di frasi che noi potremmo pronunciare come adulazione. Egli si compiace solo di vedere che noi impieghiamo la nostra volontà per conformare i nostri desideri con i suoi ed essere in unità con lui.

Tu ci poni nel cuore e sulle labbra tre aspirazioni, quelle più care a Dio, appunto per rimpiazzare i nostri desideri terreni e passeggeri.

La prima: “Sia santificato il tuo nome”, equivale a dire: si conosca ovunque che tu, o Dio, sei santo, cioè libero da quei sentimenti che albergano nei cuori umani e impediscono a loro l’unità, la comunione, la pace, la gioia e la fraternità. Ma anche: si conosca in tutto il mondo che tu sei Padre, amorevole come un papà per i suoi bambini, e quindi che noi siamo figli tuoi grazie al tuo Figlio!

Tu hai presente, Gesù, quanto dice Dio per mezzo del profeta: “Io agisco non per riguardo a voi, casa d’Israele, ma per amore del mio nome santo, che voi avete profanato fra le nazioni presso le quali siete giunti. Santificherò il mio nome grande, profanato fra le nazioni, profanato da voi in mezzo a loro. Allora le nazioni sapranno che io sono il Signore – oracolo del Signore Dio –, quando mostrerò la mia santità in voi davanti ai loro occhi” (Ez 36,22-23; 20,41; 39,7).

E il profeta riferisce poi in che modo Dio stesso santificherà il suo Nome: “Vi prenderò dalle nazioni, vi radunerò da ogni terra e vi condurrò sul vostro suolo. Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le vostre impurità e da tutti i vostri idoli, vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi” (36,24-27).

Dalla santificazione del suo nome il Padre non trae alcun vantaggio, invece dona grandi benefici al popolo. Noi, dicendo queste tue parole, “Sia santificato il tuo nome”, ci offriamo a lui e al suo agire, affinché continui a raccogliere i suoi figli nel suo popolo, la Chiesa, raccogliendoli da tutta la terra; e poi ci purifichi dagli egoismi e dagli ateismi pratici, dai vizi e dalle disobbedienze alla sua Parola, dalle mode e dalle opinioni del mondo e, finalmente, riversi in noi il suo Spirito Santo che ci trasformi e ci renda veri discepoli tuoi.

Manifestando al Padre come nostro questo suo desiderio, impegniamo noi stessi, con decisione, come si era deciso il popolo sotto la guida di Giosuè (Gs 24,15-27), a essere uniti nella tua Chiesa, Signore Gesù, e a conoscere e vivere i tuoi insegnamenti per ricevere da te lo Spirito che aliterai su di noi. Possiamo in verità affermare che dove c’è l’unità il Nome del Padre è santificato! Noi, Chiesa, gli faremo fare bella figura in tutto il mondo.

Si realizza in tal modo anche il secondo desiderio di Dio e tuo, Gesù: “Venga il tuo regno”. Quando in noi sarà presente e operante il tuo santo Spirito, il regno del Padre sarà visibile a tutti e tutti ne riceveranno pace e giustizia. Esso sarà manifestazione della gloria di Dio. “Venga il tuo regno”: deve compiersi quanto tu hai annunciato (Mt 4,17) e prima di te Giovanni il battezzatore (3,2); anche i tuoi apostoli annunceranno in tutti i luoghi (10,7; 24,14): “Il regno dei cieli è vicino”. Il regno di Dio è vicino e si fa presente quando viene il re del regno. Sei tu il re designato dal Padre: tu, Gesù, che sei presente e continuamente devi venire in tutti i luoghi e in tutte le convivenze umane. Venga il re mandato dal Padre, e si raduni attorno a lui chi lo segue, chi gli ubbidisce con amore, chi formi il regno. Non c’è regno senza re, ma nemmeno senza chi circonda il re per vivere la sua volontà Esprimendo questo desiderio ci offriamo ad accelerare la venuta del regno, ad annunciare te ovunque sei ancora sconosciuto, a farti conoscere e accogliere da chi ancora è privo di te.

Un terzo desiderio ci fai esprimere, desiderio immenso, quello stesso che tu hai espresso nel Getsemani nella notte in cui, come avevi predetto, sei stato consegnato da Giuda. Allora tu hai pregato: “Padre mio,… si compia la tua volontà” (Mt 26,39.42). Tu, Gesù, ci hai detto varie volte che la volontà del Padre è che tutti gli uomini siano salvi, e salvati da te (1Tm 2,4; Gv 3,17; 13,47; Tt 2,11); che noi siamo liberati e custoditi dall’influsso del principe di questo mondo (Gv 17,12.15); che il peccato non abbia più potere su di noi.

Ora anche a noi permetti di esprimere questo desiderio. Ovviamente esprimendolo come nostro, noi ci rendiamo disponibili per attuarlo. È il Padre che compie la sua volontà di salvezza: in che modo si servirà di noi? Proprio come si è servito di te! Comincio dunque a rendermi disponibile a portare la tua croce, a portare la mia come fosse tua, a portare quella dei miei fratelli come il Cireneo ha accolto la tua. È grande dono essere adoperato dal Padre per attuare la sua volontà.

E tu aggiungi: “come in cielo così in terra”. Non ci dev’essere più differenza tra cielo e terra. Sulla terra vieni tu, il Re, perciò la tua presenza toglie le differenze e colma ogni separazione.

Come viene “fatta” la volontà del Padre in cielo? Tu lo sai, Gesù, tu che in cielo, là dov’eri “prima che il mondo fosse” (Gv 17,5), hai cominciato a offrirti al Padre che voleva salvare gli uomini, dicendo: “Ecco, io vengo. Nel rotolo del libro su di me è scritto di fare la tua volontà” (Sal 40,8-9). E in cielo anche gli angeli, preso esempio da te, sono sempre pronti a ubbidire alla sua parola (Sal 102,20).

Venendo nel mondo, sulla terra, tu hai portato qui in mezzo a noi la vita del cielo: infatti Maria, tua madre, subito, senza saperlo, ti ha imitato, esclamando con gioia: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38).

Non piegare il mio cuore al male, a compiere azioni criminose con i malfattori” (Sal 141,4). Questo lo sta già operando il Padre nostro. Senza il suo santo Spirito non riusciremo a vincere il male, sempre più forte di noi. Infatti il maligno ci ha già afferrati e danneggiati, ha già piantato i suoi artigli nella nostra carne: ogni peccato, pur se ci pare piccolo, ne è la prova. Perciò chiediamo ancora quanto il Padre ha già fatto senza che ce ne accorgiamo: “Strappaci dal Maligno”.

Egli “il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro cercando chi divorare” (1Pt 5,8): noi gli resistiamo “saldi nella fede” (id.), perché riceviamo l’energia necessaria dal “pane quotidiano” che ci nutre ogni giorno.

Il nostro pregare realizza quella fede che ci fa resistere al male, e allo stesso tempo compie la santificazione del Nome e l’avvento del Regno e la realizzazione della Volontà del “Padre nostro che è nei cieli!”.


5.  Dacci oggi          Mt 6,11-13

 

11 Dacci oggi il nostro pane quotidiano,

12 e rimetti a noi i nostri debiti

come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori,

13 e non abbandonarci alla tentazione,

ma liberaci dal male.

 

5.

Abbiamo contemplato il Padre e accolto i suoi desideri, Signore Gesù, come tu ci hai proposto. Ma il Padre non ha solo desideri: egli sta ‘facendo’ il suo amore per noi, lo sta realizzando. Quali sono le sue opere a nostro favore? Ora tu ce le fai ammirare: sono quelle che ci proponi di chiedergli. Le nostre richieste in tal modo suonano agli ‘orecchi’ del Padre come fossero ringraziamenti. Ci siamo accorti che egli già opera per noi, e noi con confidenza e fiducia gli chiediamo che continui. Tu ce le fai chiedere perché così abbiamo anche la soddisfazione di vedere che il Padre ascolta la nostra voce.

Dacci oggi il nostro pane quotidiano”: queste parole ci fanno pensare istintivamente alla fame che ci rende consapevoli di dipendere dalle cose create e dagli altri uomini impegnati a preparare il cibo di cui ogni giorno ci nutriamo. Il pane arriva a noi grazie al lavoro di molti, all’impegno di quanti faticano vicino e lontano. È quindi è necessaria la pace nel mondo, la concordia degli uomini tra di loro, la generosità e la volontà buona degli uni verso gli altri.

Tu ci fai continuare la preghiera rivolta al Padre con questa attenzione alla nostra vita nel mondo. Il pane è necessario ogni giorno per svolgere il compito che il Padre ci ha affidato. Con umiltà lo chiediamo: con le nostre forze abbandonate a se stesse, fuori delle mani e dell’amore del Padre, non riusciremmo a vivere: la nostra vita non è nelle nostre mani.

Tu, Gesù, conosci le Scritture che pregano: “Non darmi né povertà né ricchezza, ma fammi avere il mio pezzo di pane, perché, una volta sazio, io non ti rinneghi e dica: «Chi è il Signore?»” (Pr 30,8s). Tu ci insegni a chiederlo per oggi: domani sarà un altro oggi, e lo chiederemo di nuovo. Non vuoi che, se non lo dovessimo più chiedere perché già lo abbiamo accumulato, ci dimentichiamo di essere umili o, peggio, di avere un Padre! E ci fai chiedere solo quello che serve oggi, affinché non trovi spazio tra i tuoi discepoli l’ingiustizia presente nel mondo. Là dove il pane viene accumulato, infatti, prende piede l’avidità e cominciano ad esserci i poveri, condannati a diventare sempre più poveri. Avevi già abituato il tuo popolo nel deserto a non raccogliere la manna per il giorno dopo (Es 16,21). Tu ci sarai, disponibile ad ascoltarci, anche domani!

Ci metti in bocca due volte la parola ‘noi’: ‘da’ a noi’, e: il pane ‘di noi’. Quando il Padre mi esaudirà, mi troverò in mano il pane che io stesso ho chiesto per ‘noi’, per molti, e non solo per me. Chiedendolo ‘per noi’, infatti, mi sono impegnato a distribuirlo. Quel pane nelle mie mani mi obbligherà a cercare quanti sono affamati, quanti hanno necessità di aiuto per vivere, quanti non lo hanno chiesto con la loro preghiera o devono essere esauditi dal Padre tramite me, perché di me egli vuole servirsi.

Ma il pane che tu, Gesù, mi fai chiedere al Padre è anche il pane “nostro”, ‘di noi’, tuoi discepoli, tua Chiesa. La tua Chiesa ha bisogno di una energia speciale per compiere la missione che le affidi. Ci hai dato il compito di essere uniti, testimoni della unità che tu vivi con il Padre. Ciò comporta vincere tensioni e conflitti, le tentazioni di divisione sempre ricorrenti che ci ostacolano nell’osservare il tuo comandamento nuovo di amarci “gli uni gli altri”, e così render presente nel mondo, con parole e azioni, il tuo Regno che viene. Dove riceveremo l’energia necessaria per questo? Come ce la dona il Padre? Qual è il “pane” di cui la tua Chiesa può nutrirsi per avere la forza di portare a compimento tale missione?

Esso è quel pane che deposita in noi lo Spirito Santo, quel pane sul quale la tua Chiesa ogni giorno invoca lo Spirito di Dio perché diventi il tuo Corpo che, assunto da noi, ci faccia essere “un solo corpo e un solo spirito” (Liturgia Eucaristica III).

Questo stesso pane è l’unico alimento che ci dona pure l’umiltà di chiedere, e la forza di ricevere, quanto dobbiamo ancora domandare: “Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”.

Gesù, tu sei venuto nel mondo perché sia annunciato il perdono dei peccati (Lc 24,47), e per il perdono dei peccati hai versato il tuo sangue (26,28). I peccati sono i nostri debiti, che non possiamo estinguere in nessun modo. Un peccatore “Non può riscattare se stesso nè pagare a Dio il proprio prezzo. Troppo caro sarebbe il riscatto di una vita” (Sal 49,8-10): siamo sempre peccatori, tanto che persino le nostre azioni buone sono come “panno immondo” agli occhi di Dio (Is 64,5): noi infatti le rivestiamo di vanagloria e le impregniamo di orgoglio. Chiediamo al Padre di cancellare il nostro debito, anzi, i nostri debiti, e così avremo motivo e gioia di imitarlo nel rimettere anche noi ai fratelli i piccoli debiti da loro accumulati verso di noi: il Padre ci esaudirà quando chiederemo di nuovo il perdono. In tal modo si renderà visibile il suo Regno, e il suo Nome sarà santificato e annunciato davanti a quanti non lo conoscono.

Gesù, ci metti in bocca un’altra domanda che esprima la nostra fiducia nel Padre: “Non abbandonarci alla tentazione”, oppure “non indurci in tentazione, ma liberaci dal male”.

Noi chiediamo così, come finora abbiamo fatto, proprio quello che il Padre sta già facendo. Egli ci ha già dato il pane e anche l’energia per essere suoi figli, egli ci ha rimesso i debiti ancor prima che glielo chiedessimo, ed egli ci ha già - chissà quante volte! - custoditi e difesi dalla tentazione, non ci ha lasciato cadere in essa.

Noi non riusciamo a chiedergli se non ciò che egli ha già fatto o vuole fare con immenso amore. La nostra domanda non gli insegna nulla, piuttosto è segno che ci siamo accorti in quali modi egli esercita il suo amore per noi. E così la nostra richiesta diventa pure un vero rendimento di grazie.

È come dicessimo: «Grazie che ci dai il pane ogni giorno, che ci rimetti i debiti, che non ci induci in tentazione, che ci liberi dal Maligno». I latini dicevano: “Gratiarum actio nova petitio” per dire che ogni ringraziamento viene accolto come una nuova richiesta; ma questa frase potrebbe essere rovesciata: la nuova richiesta è un bel ringraziamento, infatti manifesta un’affettuosa fiducia!


6.  Perdonerà  Mt 6,14-15

 

14 Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe,

il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi;

15 ma se voi non perdonerete agli altri,

neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe.

 

6.

Tu concludi l’insegnamento della nostra preghiera, Signore Gesù, con una spiegazione che intende sottolineare un aspetto importante della vita dei tuoi discepoli. Tu ricordi che è stato scritto: “Perdona l’offesa al tuo prossimo e per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati” (Sir 28,2). È stato insegnato così che il perdonare fa già parte del nostro pregare, è il requisito necessario per essere esauditi, l’atmosfera in cui deve sorgere il nostro incontro col Padre affinché diventiamo un tutt’uno con lui. Di lui infatti è scritto: “Con te è il perdono” e “Con te è la misericordia” (Sal 130,4.7).

Perdona… Tu sai, e vuoi che anche noi ricordiamo, che i nostri fratelli non sono immuni da colpa, che il loro amore non è sempre perfetto, che siamo tutti figli di Adamo, tutti raggiunti e spesso vinti dalla tentazione. Vivendo insieme agli uomini, com’è necessario, abbiamo continuamente bisogno di esercitare la pazienza, la sopportazione, un amore che si sappia adattare. E volendo realizzare una vita somigliante a quella del Padre, uno con te, il Figlio, dobbiamo anche spesso perdonare.

Tu lo sai che il peccato esiste, e non solo in me. Esso permea il luogo in cui vivo, compenetra la mia cultura, e tutte le culture umane. Nessuna cultura è priva dell’egoismo che inclina a disobbedire a Dio, e a non dargli quella fiducia che egli merita. Io stesso sono impregnato di peccato e ho bisogno continuo di essere perdonato da Dio. Ma il mio peccare arreca danno, a volte fisico, spesso psicologico, sempre spirituale, ai fratelli, ai discepoli di Gesù, a tutti gli uomini. Col mio peccare non li aiuto a vedere la bellezza dell’amore del Padre, e non li sostengo nella loro ricerca della sua volontà. Perciò come ho bisogno del perdono del Padre, così ho bisogno anche del perdono dei fratelli.

E anch’essi sono peccatori verso di me. Lo sono il più delle volte inconsapevolmente. Il loro peccato pesa, diventa fonte di sofferenza e impedimento alla mia libertà, alla mia gioia e alla mia pace. Che farò? Come reagirò?

Tu, Gesù, mi hai messo in bocca le parole per chiedere perdono al Padre, continuando: “come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”. È vero, noi continuiamo quasi istintivamente e senza accorgerci, a rimettere i debiti dei nostri debitori, altrimenti non saremmo capaci di vivere insieme o di lavorare insieme una sola ora. Però ci sono anche quei debiti che ci paiono macigni, che vengono da grandi cattiverie, che hanno prodotto odio, che ai nostri occhi pare attendano vendetta e la meritino. Quelli non riusciamo a perdonarli facilmente. Eppure tu, Gesù, calchi la tua mano proprio su questo punto. Tu non fai differenza tra debiti leggeri e debiti pesanti: vuoi che nel nostro cuore ci sia lo stesso atteggiamento per gli uni e per gli altri, e dici: “Perdonerete”.

Pare tu voglia ricordarci che noi chiediamo il perdono sia per piccole che per gravi colpe al Padre nostro, e lo otteniamo. Lo otteniamo sempre. Il suo amore vuole comportarsi allo stesso modo con i peccati degli altri anche quando si trova nel nostro cuore.

Sì, è il suo amore che dev’essere presente in noi. Altrimenti non riusciremmo nemmeno a sopportare piccole contrarietà.

Gesù, io mi chiedo: perché il Padre perdona sempre, ogni volta che gli vien chiesto perdono, perdona tutto, anche peccati gravissimi?

Mi fai comprendere che la risposta è già nella parola ‘peccato’. Il peccato infatti, fin dal suo primo apparire nella vicenda di Adamo (Gen 3,6), è distanza da Dio, allontanamento da lui, voluto e cercato, rifiuto del suo amore, della sua parola, tendenza a nascondersi al suo sguardo. Quando io chiedo perdono significa che desidero incontrare nuovamente i suoi occhi, avvicinarmi per godere il beneficio della sua parola. Per farlo mi umilio, rigettando l’orgoglio e la superbia che mi hanno portato via da lui.

Nel momento in cui decido di umiliarmi per tornare da lui, io sono di nuovo vicino a lui, già nel suo abbraccio, e perciò non esiste più il ‘peccato’. Disse infatti il tuo apostolo Pietro: “Chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo nome” (At 10,43; e Gv 3,15.16). Credere in te significa accogliere te come dono dalla mano del Padre! Ti ringrazio, Signore Gesù: sei tu il perdono di Dio: chi accoglie te e ti ama è vicino al Padre, anzi, già nel suo cuore, perché tu sei sempre, proprio sempre, immerso in lui.

Quando io perdono una colpa al fratello, ciò avviene solo perché tu, Gesù, intervieni con la tua presenza, solo perché tu sei in me. Il mio perdono sarà vero perdono quando grazie ad esso il fratello si avvicina a te e ti accoglie nel suo cuore.

E se il fratello non riesce a chiedere perdono a me, o perché non si è accorto di averti disobbedito o di avermi fatto soffrire, o perché non riesce ad umiliarsi per riconoscersi peccatore, o per qualsiasi altro motivo che non posso conoscere, allora io, non potendolo avvicinare, chiederò a te di farti conoscere da lui, di incontrarlo tu stesso, tu che sei Salvezza di Dio! Chiederò al Padre che ti mandi a lui: quando ti avrà accolto sarà di nuovo in pace anche con me. Sì, perché sei tu il perdono vero: infatti, quando tu sei in me e nel mio fratello, tra noi rinasce la fiducia e cresce la comunione, ancora più di quella che esisteva tra noi prima dell’offesa, prima del peccato.

E se sono io che devo chiedere perdono al fratello, lo chiederò “nel tuo Nome”, per amore del tuo Regno che viene, perché il nome del Padre sia santificato. Lo Spirito Santo aiuterà me a chiedere, e al fratello a donare il perdono. E me lo donerà ancora “nel tuo Nome”. Così la mia e la sua preghiera si incontreranno come un'unica lode e un unico grido davanti alla benevolenza del Padre. Ed io non avrò più timore, perché potrò sempre chiedere perdono a Dio per i miei peccati con tutta la fiducia, e lo riceverò.

 

Accoglieremo con gioia quindi le parole dell’apostolo Paolo che ci esorta e ci consola: “Scelti da Dio, santi e amati, rivestitevi dunque di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei riguardi di un altro. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. Ma sopra tutte queste cose rivestitevi della carità, che le unisce in modo perfetto” (Col 3,12-14).


7.  Quando digiunate             Mt 6,16-18

 

16 E quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipocriti, che assumono un’aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa.

17 Invece, quando tu digiuni, profumati la testa e lavati il volto, 18 perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.

 

7.

Signore Gesù Cristo, sei intervenuto per correggere la vanagloria che rovina la nostra elemosina e il nostro pregare; ora continui a farci notare che lo stesso pericolo può rovinare anche l’altra opera buona, il digiuno.

Tu sai che gli uomini, nella sofferenza del lutto o delle calamità pubbliche, accompagnano con il digiuno la preghiera, ritenendo che ciò sia più gradito a Dio. E tu stesso hai digiunato quaranta giorni, come Mosè sul monte. Lo hai fatto nella solitudine del deserto, dove solo lo sguardo del Padre ti poteva scorgere. Là con il digiuno hai affrontato il tempo della tentazione, e hai vinto.

Il digiuno è opera gradita a Dio anche quando la compiranno i tuoi discepoli nei giorni in cui tu verrai nascosto al loro sguardo (9,15). Essi digiuneranno a motivo di te: tu sarai nella sofferenza e nella morte, ed essi parteciperanno alla tua offerta con la rinuncia a ciò che piace al corpo. In tal modo saranno preparati a ricevere il tuo Spirito Santo con i suoi frutti e doni.

Ma se digiunassero con l’intenzione di farsi notare, di farsi ammirare dagli uomini per ricevere elogi, tu ribadisci che quel digiuno non incontrerebbe l’amore del Padre, e non potrebbe essergli gradito: il digiunatore avrebbe già una ricompensa, quella che cerca, tanto inutile quanto effimera.

Già i profeti hanno scritto, non per farci abbandonare la pratica del digiuno, ma perché essa deve venire purificata per essere gradita a Dio e fruttuosa per la venuta del regno.

Per questo Isaia ci interroga così: “È forse come questo il digiuno che bramo, il giorno in cui l’uomo si mortifica? Piegare come un giunco il proprio capo, usare sacco e cenere per letto, forse questo vorresti chiamare digiuno e giorno gradito al Signore? 6Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? 7Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti? 8Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà” (58,5-8).

 

Dobbiamo comprendere che digiuno vero è l’atteggiamento di chi si stacca da sé per incontrare i figli di Dio, perché questo è vero e concreto amore a lui. Deve essere un atto mosso dall’amore a Dio e agli uomini sofferenti, da lui sempre amati. Se avesse altre motivazioni, non avrebbe più il suo vero significato e non potrebbe che essere un atto persino peccaminoso, che si colora di vanagloria, di orgoglio, di compiacimento di sé. Per essere sicuri che la vanagloria non entra in noi, tu, Gesù, ci consigli di tener nascosto il nostro digiunare, assumendo l’aspetto della festa, e non aria di tristezza e di sfinimento: “Profumati la testa e lavati il volto”.

Il vero digiuno gradito a Dio è quello che sfocia in una conversione vera e stabile, come proclama il profeta Gioele: «Or dunque – oracolo del Signore –, ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti. Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore, vostro Dio, perché egli è misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore, pronto a ravvedersi riguardo al male» (2,12s).

Il digiunare perciò è necessario, perché è continuamente necessario il nostro convertirci, che si realizza con il distacco da noi stessi, e perché è necessario che la fede tocchi la concretezza della nostra vita, cioè il nostro corpo. Chi non digiuna, o chi digiuna solo per osservare una regola, deve dubitare della propria fede e del proprio amore a Dio. Non è forse vero che oggi digiuniamo poco, e per questo le nostre conversioni hanno poca concretezza e poca stabilità?

Tu, Gesù, hai gradito il digiuno di tre giorni vissuto da Saulo, mentre si preparava e attendeva il battesimo (At 9,9). E hai gradito quello dei tuoi discepoli di Antiochia, che si accingevano ad inviare i primi missionari ad annunciare il tuo nome alle genti (13,3), e quello delle Chiese riunite da Barnaba e Paolo, mentre essi sceglievano gli anziani che le avrebbero guidate (14,24).

Tu vuoi ricordarci inoltre che, come l’elemosina e la preghiera, pure il digiuno è un’azione che non ha valore in sé, ma è gradito e fruttuoso soltanto in quanto espressione di amore al Padre che diventa amore compassionevole ai suoi figli. Esso accompagna la nostra conversione, che deve continuamente rinnovarsi, perseverare e rafforzarsi. Non possiamo dimenticare infatti la domanda che Dio rivolge al popolo tramite il profeta Zaccaria: “Quando avete fatto digiuni e lamenti nel quinto e nel settimo mese per questi settant’anni, lo facevate forse per me?” (7,5).

Il Padre non ci vede soltanto tutti insieme, ma, come il pastore tiene d’occhio ogni singola pecora, così egli osserva ciascuno di noi singolarmente; infatti tu, Gesù, affermi: “Il Padre tuo che vede nel segreto”. Non mi posso perciò accontentare del digiuno comunitario, con cui mi illuderei di essere un buon figlio perché faccio quello che fanno tutti. Quelle azioni possono essere segno non di un amore che sorge dal mio cuore, bensì da un condizionamento sociale. Non potrei aspettarmi una “ricompensa”.

 

Signore Gesù, tu ispiri alla tua Chiesa e ai tuoi fedeli vari modi di digiunare: non solo limitare il cibo dominando gli impulsi del corpo, ma anche dominare gli occhi e gli orecchi, limitare la curiosità e la loquacità. E tutto questo non per soffrire, ma per dire in modo concreto e convincente a me stesso che tu sei più importante di tutto, perché senza di te non c’è vita in me. Non sei forse tu la ricompensa che il Padre vuole donare a chi fa elemosina nel segreto, a chi prega chiudendo la porta dietro a sé per essere ascoltato solo da te, e a chi digiuna profumandosi la testa? Tu, tesoro del mio cuore, tu perla preziosa, tu gioia perfetta!

Continuando il tuo discorso ci aiuterai a considerare la sicura e preziosa ricompensa del Padre nostro, il vero tesoro che nessuno può rubare e che nulla può rovinare!

 


8.  Tesori         Mt 6,19-24

 

19 Non accumulate per voi tesori sulla terra, dove tarma e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; 20 accumulate invece per voi tesori in cielo, dove né tarma né ruggine consumano e dove ladri non scassinano e non rubano. 21 Perché, dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore.

22 La lampada del corpo è l’occhio; perciò, se il tuo occhio è semplice, tutto il tuo corpo sarà luminoso; 23 ma se il tuo occhio è cattivo, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!

24 Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza.

 

8.

Signore Gesù, ci hai parlato di elemosina da praticare in segreto come atto di amore al Padre, e ora torni a porre la nostra attenzione sulle ricchezze che noi siamo sempre tentati ad accumulare, perché ci pare così di assicurarci la vita per il futuro. In tal modo non lasciamo a Dio la possibilità di intervenire concretamente e paternamente per noi, impedendogli di manifestarsi quotidianamente come vero Padre, come lo sono sulla terra i papà per i lori figlioli.

Per lasciare al Padre la possibilità di manifestarsi tale per noi, tu ci comandi di disfarci della preoccupazione di accumulare. Chi accumula infatti condanna se stesso ad essere perennemente preoccupato, persino ansioso, con la mente fissa al suo tesoro e al posto ove esso è custodito. Dai depositi dei nostri tesori non si possono allontanare le tarme e nemmeno i tarli, che rovinano, senza chiedere il permesso a nessuno, sia le vesti che le opere preziose di legno, persino se dorato! E l’intervento della ruggine è attivo anche per i metalli: noi diremmo oggi che i nostri tesori sono raggiungibili facilmente da inflazione come pure da svalutazione. I ladri poi fanno sempre il loro pericoloso, ma redditizio mestiere, senza tasse, e nemmeno tu riuscirai mai a impedirglielo del tutto.

Tu, Gesù, non parli delle ricchezze come di un male, ma, affinché non siano fonte di malattia per noi, ci raccomandi di deporle in luoghi più sicuri. Luogo assolutamente sicuro è il cielo, cioè dove regna e si sviluppa l’amore del Padre.

Ce lo dirai più avanti come fare a deporre i nostri tesori in questo luogo sicuro, quando ti rivolgerai con grande amore al giovane ricco: “Dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo” (19,21). I poveri sono la banca sicura, la cassetta di sicurezza che nessun ladro può raggiungere. Essi stessi, i poveri, diventeranno il vero tesoro della Chiesa, come disse san Lorenzo al persecutore, ricevendo forza e gioia per la sua testimonianza a te, salvatore del mondo.

Aveva detto così già Ben Sira: “Perdi pure denaro per un fratello e un amico, non si arrugginisca inutilmente sotto una pietra. Disponi dei beni secondo i comandamenti dell’Altissimo e ti saranno più utili dell’oro” (29,10-11). E anche Tobi insegnava al figlio Tobia: “Non distogliere lo sguardo da ogni povero e Dio non distoglierà da te il suo. In proporzione a quanto possiedi fa’ elemosina, secondo le tue disponibilità; se hai poco, non esitare a fare elemosina secondo quel poco. Così ti preparerai un bel tesoro per il giorno del bisogno… Infatti per tutti quelli che la compiono, l’elemosina è un dono prezioso davanti all’Altissimo” (Tb 4,7-11).

Quando i nostri tesori sono nell’unico luogo sicuro, la preoccupazione non rovina più le nostre notti, non brevetta nuove malattie, non genera ansie e paure. Infatti allora saremo in grado di dire al Padre con gioia e fiducia: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”, perché quello che avevamo lo abbiamo consegnato a te, sicuri che tu sei un papà fedele, e tu lo custodisci nel tuo cuore. Allora potremo godere udendo la tua voce che proclama con gioia: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli” (5,3)!

 

Riusciremo a vivere questo tuo prezioso consiglio quando osserveremo la realtà che ci circonda, ricchezze comprese, con lo sguardo attento all’amore di Dio. Il nostro occhio infatti è strumento prezioso, ma potrebbe diventare invece un serio impedimento. Saremo attenti e vigilanti perché, come dice il Siracide (14,9), il nostro occhio non sia cattivo a causa dell’avidità e dell’impurità, dell’invidia e dell’avarizia. L’occhio “cattivo” rende il nostro corpo, cioè la nostra esistenza terrena, oscura, tenebrosa, inavvicinabile. Cercheremo che il nostro occhio sia sempre “semplice”, che non veda doppio, ma che usi cioè sempre la luce del Padre per guardare gli uomini e le cose. Guarderemo con l’amore del Padre, e attorno a noi non vedremo più uomini, bensì fratelli. L’occhio “semplice” rende la nostra vita terrena luminosa, tanto da essere guida sicura anche per gli altri. In ogni uomo vedremo qualcosa della bellezza del tuo volto, Gesù, perché “tutto è stato fatto per mezzo” di te e “in vista” (Col 1,16) di te, quindi anche noi siamo stati fatti dal Padre per assomigliarti, perché risplenda in noi la tua bellezza e dimori in noi il tuo Spirito.

La luce che, grazie all’amore del Padre è in me, non diverrà mai tenebra che mi paralizza, che mi disorienta nel cammino, che mi impedisce di accorgermi del fratello da amare. Potrò gioire, udendo ancora risuonare la tua voce: “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio!” (5,8).

Grazie, Signore Gesù, per la tua rivelazione. L’amore al Padre nostro che è nei cieli, che ci ascolta ed è attento al nostro cuore, lo possiamo vivere quindi costantemente. E lo esprimiamo nel modo con cui gestiamo le piccole o grandi ricchezze che passano per le nostre mani, come pure nel modo con cui apriamo gli occhi al mattino per vedere gli uomini che ci incontrano e del cui lavoro siamo anche noi nutriti e in vario modo beneficati.

 

Fin dal mattino saremo servi di Dio, che si fa conoscere ogni giorno con i suoi interventi di Padre amoroso. Anzi, non saremo solo servi suoi, ma sua proprietà, come servi che appartengono al loro padrone. Ubbidendo a te, Gesù, smetteremo di adorare e servire Mammona, il dio che inganna e crea divisioni e violenze, che appesantisce il cuore e lo trascina a nascondersi nella tenebra, che chiude occhi e orecchi.

Servirò, anzi, apparterrò del tutto al Dio che si chiama Padre nostro. Soltanto a lui. Ascolterò solo la sua voce e cercherò solo la sua sapienza.

E siccome il principe di questo mondo, che promette solo ricchezze e i piaceri derivanti da esse, non sopporta che qualcuno lo abbandoni per servire con decisione solo il Padre e appartenere a lui, godrò di udire ancora la tua voce, Gesù, che con dolcezza proclama: “Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli” (5,10).

Con la tua grazia, Signore Gesù, mi preoccuperò semmai, cioè terrò come prima occupazione, di fare in modo che la fede di oggi sia viva in me anche domani. La possibilità di perdere la fede era il terrore dei tuoi santi, di san Pio da Pietrelcina ad esempio! Confido in te, che mi aiuterai ad esercitarmi a camminare con fede, a mangiare con fede, ad ascoltare ogni voce con la fede in te, a leggere ogni lettura e a guardare ogni cosa con l’attenzione a vivere la nostra santissima fede (Gd 20) e a non permettere che nessuno, nemmeno le persone più famose nel mondo, la possano disturbare o intaccare. Il tuo regno sarà al primo posto nei miei desideri. Tu provvederai a quanto servirà a me per essere a tua disposizione.

 


9.  Il Padre vostro sa…  Mt 6,25-34

 

25 Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito?

26 Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? 27 E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita?

28 E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. 29 Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro.

30 Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede?

31 Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. 32 Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno.

33 Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. 34 Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena.

 

9.

Dato che i tuoi discepoli hanno scelto di abbandonare definitivamente Mammona e di appartenere al Padre per servirlo come loro unico padrone, tu li rassicuri e li conforti. Egli, il Padre, è un buon ‘padrone’. «Vi siete consegnati a lui? State obbedendo a lui? Vi siete affezionati a lui? Non preoccupatevi più, perché egli sa provvedere ai suoi, ne ha la possibilità e soprattutto l’amorosa attenzione»: questo sembra essere il motivo del discorso che ora tu, Gesù, rivolgi ai tuoi discepoli che ti ascoltano attentamente.

Li vedi preoccupati? Non meravigliarti, Gesù: essi sono ancora influenzati dalla vita trascorsa nel mondo, dai pensieri che occupano tutti i minuti degli uomini, e soprattutto dalla presenza continua di quell’ombra nera che è il dio mammona. Io non solo li capisco, ma, purtroppo, devo lottare ogni giorno contro questo spirito di preoccupazione, che altro non è che mancanza di fede. Proprio così: mancanza di fede, di fiducia. Ho pregato il Padre chiamandolo “Padre nostro”, ho espresso il desiderio che si manifesti la sua santità e venga il suo regno, ma le cose del mondo, cibo e vestito, occupano ancora i miei desideri e i miei pensieri: non mi hanno lasciato. La mia conversione non è immediata, ha bisogno di tempo per realizzarsi, e di pazienza, della tua pazienza.

Ho riconosciuto che Dio mi ha dato la vita, infatti lo ho chiamato “Padre”. Se impegnando il suo amore mi ha dato nientemeno che la vita, non sarà capace e non avrà amore per provvedere a quanto alla mia vita serve per continuare? Sono necessari cibo e vestito, ma lui lo sa! È lui che ci ha fatti bisognosi di questi suoi doni, e ci ha fatti così bisognosi di essi proprio perché ci dobbiamo accorgere ogni giorno che lui c’è, che lui ci ama, che possiamo continuare a fidarci di lui e affidarci a lui.

Come noi, anche “gli uccelli del cielo” hanno bisogno di tutto. E che cosa manca loro? Non si preoccupano di seminare nè di mietere, eppure volano e cantano. I tuoi discepoli, Gesù, sono chiamati da te a seguirti: li abbandonerà il Padre?

I gigli del campo” sono splendidi, invidiabili nella loro bellezza: non manca nulla nè alla forma nè al colore. Salomone, che si faceva confezionare le vesti più splendide, non è stato capace di imitarli. I tuoi discepoli, che con la loro obbedienza a te mettono le basi al tuo regno, non riceveranno dal Padre il vestito necessario a presentarsi agli uomini cui tu li mandi ad annunciare il suo amore e la sua gloria?

I tuoi discepoli agli occhi di Dio valgono più degli uccelli e più dei fiori. Anche questi, certamente, con la loro esistenza proclamano la munificenza e la gloria sua, ma non c’è paragone tra il valore di questa loro testimonianza e il valore di quella data dagli uomini!

Da dove viene la preoccupazione nel cuore dei discepoli tuoi e degli altri uomini? Essa pare non voglia mai allontanarsi dal loro cuore, e ogni giorno vi ritorna.

Dovrai ripeterle molte volte queste tue parole, Gesù. Dovrai insistere ancora, perché la nostra fede è come una piccola pianta che, seminata, cresce lentamente, e cresce solo se ogni giorno riceve sole e acqua. La nostra fede continua a vivere quando si nutre di preghiera e di piccoli esercizi di fiducia, di abbandono all’amore del Padre.

I tuoi discepoli non sono più pagani, si distinguono da essi. I pagani non conoscono altro che i loro dei, incapaci di amare, incapaci di prendersi cura dei poveri e dei piccoli. Queste divinità sono impegnate semmai ad assistere solo i ricchi e ad accontentare i vizi degli uomini e le passioni dei dominatori, anche le più riprovevoli e violente. I tuoi discepoli invece manifesteranno la gloria del Padre, quindi la sua bontà, la sua benevolenza, il suo amore per i peccatori, che desidera tornino a lui. I tuoi discepoli perciò avranno fede, e la fede crescerà e si renderà visibile con l’assenza delle preoccupazioni quotidiane.

I tuoi discepoli cercano quel regno che devono e dovranno sempre annunciare presente nel mondo, come tu hai detto loro. I loro pensieri saranno occupati da questa pre-occupazione, prima occupazione che impegna tutto il loro tempo e tutte le loro energie. Il regno, che è la giustizia del Padre! Con il lavoro delle loro mani si manterranno, come Paolo che confezionava tende (At 18,3), o accetteranno beneficenze come tu accetti dalle donne che ti seguono (Lc 8,2-3) e da Marta e Maria e Lazzaro, e ancora come Paolo dai Filippesi (Fil 4,16). E non solo i tuoi discepoli, ma tutti i figli di Dio ricorderanno di essere figli di Dio, e quindi si impegneranno per il regno e per compiere la volontà del Padre.

Quanto occorre alla vita, cibo e vestito, quanto occorre per domani, non dubitiamo che sia già conosciuto e provveduto dal Padre nostro che è nei cieli. Se oggi abbiamo mangiato e ci siamo vestiti, la preoccupazione per domani è evidente mancanza di fede. Oggi gli abbiamo detto: “Dacci oggi il nostro pane”; la stessa preghiera gliela rivolgeremo domani, sicuri che sarà ascoltata come è stata ascoltata oggi. Da lassù egli “si china per vedere se c’è uno” (Sal 14,2; 53,3; 113,5) che testimonia la sua paternità. La sua ‘curiosità’ si accorge se a qualcuno manca qualcosa di utile e necessario perché la sua testimonianza sia evidente e porti frutto per la gioia degli uomini.


10.      La trave          Mt 7,1-6

 

1 Non giudicate, per non essere giudicati; 2 perché con il giudizio con il quale giudicate sarete giudicati voi e con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi.

3 Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? 4 O come dirai al tuo fratello: “Lascia che tolga la pagliuzza dal tuo occhio”, mentre nel tuo occhio c’è la trave? 5 Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello.

6 Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi.

 

10.

Signore Gesù, ci hai esortato a pregare Dio chiamandolo “Padre nostro”. Ci hai così convinti che egli ama noi come ama anche gli altri, che ci guarda tutti con amore, con desiderio di vederci tutti attorno a sè “come virgulti d’ulivo intorno alla tua mensa” (Sal 128,3). Ma tu vedi quanto facilmente dimentichiamo: basta che il fratello o la persona che ci passa accanto assuma un atteggiamento o faccia qualcosa che ci dà fastidio o ci danneggia, e siamo pronti a giudicare e il nostro giudizio diventa poi troppo facilmente condanna. Talvolta riusciamo a farlo di nascosto, altre volte carichiamo anche altri di questo peso. In ogni caso, giudicando usciamo dal nostro compito. Tu, Gesù, per il peccatore sei morto, ed io invece lo giudico, lo allontano da me, lo privo della mia compassione e della mia benevolenza. Grazie che ci dici con forza: “Non giudicate”: infatti non siamo nemmeno in grado di farlo. Non solo, ma anzitutto tu non ce ne hai dato l’incarico. Tu stesso non giudichi e non condanni nessuno, perché sei venuto a salvare chi vive nella condanna (Gv 3,17).

Quando io giudico il fratello, Dio vede il mio pensiero, e deve giudicare me di aver usurpato il suo posto, di essere uscito dal mio compito di portare “i pesi gli uni degli altri” con pazienza (Gal 6,2). E tu, Gesù, soffri, perché vedi il mio rifiuto a prendere su di me la tua croce, che devi portare da solo, senza il mio aiuto, restando senza cireneo (Mt 27,32). Sono io ad essere giudicato inadempiente e infedele, oltre che ingrato. Ho infatti ricevuto tutto dal Padre, e non dono nulla ai suoi figli, nè benevolenza nè misericordia.

Costringo il Padre mio a prendere provvedimenti, a considerarmi lontano da lui e fuori di ogni comunione paterna e fraterna.

Uso infatti il mio occhio per guardare e cercare il pelo nell’uovo nei comportamenti del fratello, e così il mio occhio dimostra di non essere semplice e puro, non aperto alla luce del Padre.

Se non vedo con la luce del Padre, con quale luce osservo? Varie luci possono accendersi: quella dell’invidia o quella del mio orgoglio, quella della vanagloria o quella dell’impurità, quella della superbia o quella della superficialità. Ma queste luci oscurano, sono travi che chiudono il mio occhio.

Come farò? Gesù, vienimi in aiuto. Tu mi doni subito il tuo Spirito, ed ecco, comprendo: se vedo un qualcosa di riprovevole nel fratello, è segno che io non sono stato per lui un esempio nè chiaro nè forte nè deciso di obbedienza e di amore a te, Gesù. Prima di tutto mi umilierò e chiederò perdono a te, al Padre, al tuo santo Spirito, per il mio peccato, per i miei comportamenti distratti e superficiali. Prima di tutto farò sparire da me ogni ombra, veramente oscura, di giudizio. Sarò poi anche attento ad esaminare i miei pensieri e desideri, atteggiamenti ed azioni, perché quanto di riprovevole ho visto nell’altro non sia presente segretamente in me.

La correzione del fratello comincia dalla correzione di me stesso. Avrò bisogno che qualcuno mi aiuti, e quindi cercherò qualche fratello che mi dica con verità e sincerità le mie lacune e fragilità. Se esse rimangono, i miei occhi sono davvero oscurati, e invece che guarire il fratello, rischierei di rovinarlo ancor più gravemente. Mi darai il tuo aiuto, Gesù… e ricorderò la tua parola: “Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia!” (5,7).

La tua ulteriore raccomandazione, mio Signore, ci esorta ad un discernimento continuo. “Non date le cose sante ai cani”: ci ripeti questo avvertimento dato dai rabbi per evitare che le carni dei sacrifici offerti nel tempio di Gerusalemme finissero in pasto agli animali. Ma ora per te e per i discepoli cosa sono le cose sante? Sono le tue parole, i tuoi insegnamenti, la fede nel Padre, che possono venire fraintesi e adoperati per giustificare l’ozio? O la preghiera che hai consegnato ai discepoli, che non venga usata come formula magica? E i cani o i porci, sono gli animali immondi?, o ti riferisci a chi vive ignorando volutamente il Padre e seguendo idolatrie antiche e nuove?

E Matteo, che mette per iscritto i tuoi insegnamenti per la tua Chiesa, a cosa sta pensando? Certamente alle tue parole di verità e ai santi misteri, il tuo Corpo e il tuo Sangue, che non dovranno essere consegnati a chi non li sa apprezzare, a chi non li accoglie con fede e con amore: verresti disprezzato ed essi non porterebbero frutto.

Noi, tuoi discepoli, dobbiamo essere sempre vigilanti e attenti a discernere. Non giudichiamo nessuno, come tu ci hai comandato, ma siamo prudenti e non buttiamo la tua parola al vento né i tuoi santi misteri alle ortiche. Quando ci accorgiamo che qualcuno non è disposto a ricevere la tua Parola, la custodiamo nel segreto. E quando qualcuno disprezza i tuoi misteri, li custodiamo con cura ed evitiamo persino di parlarne.

Non giudicare non significa non discernere, e nemmeno avere il prosciutto sugli occhi, e ritenere amico chi si dimostra con evidenza nemico della Chiesa, o chi tenta di nascondere la sua inimicizia con parole lusinghiere, adulatorie o seducenti. Dobbiamo sapere che tu, Gesù, hai avuto nemici, e che nemici tuoi sono ancora e sempre presenti nel mondo come nemici della Chiesa. Non manchiamo di attenzione: è anche questo vero amore per te, ed è anche questo riconoscenza al Padre per il suo amore.

Anche in queste situazioni non avremo timore, perché nelle nostre orecchie continua a risuonare la tua parola rassicurante e gioiosa: “Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli” (5,11-12).

Questo ti domando e questo cercherò e per questo busso al tuo cuore, per essere io un dono tuo agli uomini. Realizzeremo, illuminati e riempiti del tuo Spirito Santo, il tuo Regno, e tutto il mondo dovrà glorificare il nome del Padre nostro che è nei cieli!

 


11.      Cose buone   Mt 7,7-12

 

7 Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto.

9 Chi di voi, al figlio che gli chiede un pane, darà una pietra?

10 E se gli chiede un pesce, gli darà una serpe?

11 Se voi, dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele chiedono!

12 Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti.

11.

Signore Gesù Cristo, dopo averci istruiti sul modo di compiere le opere di giustizia, cioè elemosina, preghiera e digiuno, in maniera superiore all’esempio offerto dagli scribi e dai farisei e in modo da diventare la gioia del Padre, ci hai dato altre istruzioni che hanno lasciato i tuoi discepoli e lasciano noi esterrefatti. Come non accumulare tesori in un mondo che non pensa ad altro che a questo? Come rimanere fedeli a Dio come unico Signore? Come facciamo a non preoccuparci proprio mai per il cibo e per il vestito? E poi, come cercare il Regno di Dio in un mondo dove i regni umani dominano tutti gli aspetti della vita e tutte le relazioni sociali?

Tu hai un bel dire, ma noi siamo non solo deboli, siamo incapaci. Grazie, che ora ci rassicuri.

Ci dici che possiamo, anzi dobbiamo aver fiducia e presentare le nostre incapacità al Padre, che attende le nostre domande. Egli conosce la nostra debolezza, ma gode di vederci rivolti a lui con desiderio, con familiarità, con libertà.

“Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto”. Le nostre attese si compiranno. Il Padre è pronto ad esaudire ogni domanda, ogni ricerca, ogni insistenza. Egli ha esaudito te, Gesù, quando gli hai chiesto di poter fare la sua volontà. Ti ha dato la forza di portare la croce e di continuare ad amare fino alla fine, e così hai salvato noi e tutto il mondo: hai portato a compimento la sua volontà. Ti ha esaudito e ti ha dato la vita da risorto, vita che ora sostiene anche noi nel nostro cammino quotidiano.

Noi chiediamo e bussiamo perché la nostra ricerca del Regno non sia vana. Il Padre ci esaudisce e già ce lo fa sperimentare. Viviamo già infatti la misericordia, per donarla e per riceverla, godiamo della mitezza dei fratelli e offriamo la nostra. Offriamo pace e guardiamo tutti con cuore puro, portando le afflizioni con serenità e godendo della povertà di cuore. Sopportiamo persino le contrarietà e le inimicizie con quella gioia che tu, Gesù, ci hai proposto. E la beatitudine ci ha già raggiunti: siamo vicini al Padre che ci tratta da figli e ce ne dà quotidianamente i segni.

Come orientare la nostra ricerca? Non a cose, anche utili, ma al Padre: è lui che cercheremo ed è lui che si fa trovare! Infatti, il profeta Geremia, che tu hai ascoltato con attenzione, ci rassicura: “Voi mi invocherete e ricorrerete a me e io vi esaudirò. Mi cercherete e mi troverete, perché mi cercherete con tutto il cuore; mi lascerò trovare da voi” (29,12-14), e anche Isaia: “Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino” (55,6).

Ci hai parlato di Dio presentandocelo come Padre cui rivolgerci con amore e meraviglia. Ci hai messo nel cuore i suoi desideri: continueremo a chiedere che sia santificato il suo nome e ci offriremo perché ciò avvenga per mezzo della nostra unità nella Chiesa e della nostra conversione continua e costante purificazione. Chiederemo di accogliere il tuo santo Spirito nel nostro intimo affinché il regno sia presente e doni pace e speranza al mondo. Chiederemo di realizzare la sua volontà, portando con te la tua croce e poggiando su di te la nostra: l’una e l’altra croce, la tua e la mia, sono la croce portata dalla Chiesa, tuo corpo. Bussiamo alla porta, quella che solo il Padre potrà aprire a noi e a quanti ci trascineremo dietro, la porta stretta.

Le tue parole, Signore Gesù, ci danno tanta fiducia, perché ci parli del Padre con sicurezza, rassicurandoci che la sua bontà è tale che non possiamo immaginarla. Egli solo infatti è buono, tanto che di fronte alla sua bontà noi risultiamo sempre cattivi, perché il peccato continua a lavorare in noi. Cercano i papà di esaudire i loro figli quando chiedono pane e pesce: non lo rifiutano loro, anzi. Ma il Padre è così buono che a te, che non hai accettato di cambiare le pietre in pane per non mancare di fiducia in lui (4,3-4), ha dato il pane e anche il pesce per i cinquemila che nemmeno lo avevano chiesto (14,21), come ha predetto Isaia: “Mi feci ricercare da chi non mi consultava, mi feci trovare da chi non mi cercava” (65,1).

Non solo, ma ha fatto sì che tu diventi pane per tutti, pane di vita vera ed eterna (Gv 6), e che tu sia il vero pesce, che nutre e guarisce dalle malattie e salva dal maligno, come il pesce pescato da Tobia nel fiume Tigri (Tb 6,3-9), e come il pesce che è stato occasione di conversione per Giona: dalla disobbedienza a Dio si è convertito ad ubbidirgli.

Il Padre ci esaudisce con “cose buone”, che sono le sue “cose”, ‘divine’, cioè, come dice san Luca, nientemeno che “lo Spirito Santo” (Lc 11,13).

Continuerò a chiedere, Signore Gesù, chiederò con tanta fiducia, senza preoccuparmi nemmeno di ciò che chiedo, perché mentre sto alla sua presenza il Padre mi concederà comunque “lo Spirito Santo”. Egli è come il sole: viene abbronzato chi lo riceve a tempi sempre più prolungati. Le mie richieste potrebbero addirittura non essere sapienti, potrebbero forse non essere nemmeno utili per il Regno, e nemmeno conformi alla sua Volontà, ma, quando chiedo con fiducia e abbandono a lui, mentre sto alla sua presenza vivificante egli riverserà in me “cose buone”, mi darà “lo Spirito Santo”!

Per formarci come discepoli tu ci hai mostrato il Padre che “sa tutto ciò di cui abbiamo bisogno”, e non occorre che gli chiediamo nulla perché già provvede. Ora che abbiamo profondamente radicato i tuoi e suoi desideri, ci esorti a chiedere e bussare: non chiederemo infatti ciò che soddisfa i nostri egoismi, ma esprimeremo i nuovi desideri piantati da te in noi, e pronunciandoli li renderemo ancora più forti, e la nostra conversione continuerà con decisione e costanza!

Il mio desiderio si è riempito dei desideri di Dio, di essere utile al suo Regno, di riuscire a conoscere e compiere la sua volontà, di vivere ogni beatitudine e ogni opera buona con verità, senza preoccuparmi di nulla. Questo è ciò per cui desidero essere aiutato anche dai fratelli che tu, Gesù, mi fai incontrare. Se è questa la mia vera realizzazione, lo sarà anche per loro. Li aiuterò in questo, con la tua grazia.

 

Nulla osta: Mons. Lorenzo Zani, cens. Eccl., Trento, 10 settembre 2020

 

inizio