ME
NU

Abbiamo creduto e conosciuto - CREDO

AlahanRidotta0890

 

Abbiamo creduto e conosciuto

CREDO

 

Costruite voi stessi sopra la vostra santissima fede

    

Immagine iniziale:

battistero di un antico monastero sulle montagne della Turchia. I Turchi lo hanno chiamato «Alahan», «cortile dei pesci», perché sugli stipiti delle porte della chiesa sono scolpiti molti pesci. Il battistero è significativo sia per la forma a croce che per il numero delle pietre usate: otto. Chi viene battezzato si unisce a Gesù crocifisso per godere la vita nuova ed eterna. Otto è il numero che oltrepassa quello del tempo, il numero dei sette giorni: la fede in Dio Padre e Figlio e Spirito Santo ci trasporta già nella risurrezione del Signore, nella vita divina.

***

        

Credo in un solo Dio Padre,

onnipotente creatore del cielo e della terra,

di tutte le cose visibili e invisibili. 

Credo in un solo Signore, Gesù Cristo,

unigenito Figlio di Dio,

nato dal Padre prima di tutti i secoli:

Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero,

generato, non creato,

della stessa sostanza del Padre;

per mezzo di lui tutte le cose sono state create.

Per noi uomini e per la nostra salvezza

discese dal cielo,

e per opera dello Spirito Santo

si è incarnato nel seno della Vergine Maria

e si è fatto uomo.

Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato,

morì e fu sepolto.

Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture,

è salito al cielo, siede alla destra del Padre.

E di nuovo verrà, nella gloria,

per giudicare i vivi e i morti,

e il suo regno non avrà fine.

Credo nello Spirito Santo,

che è Signore e dà la vita,

e procede dal Padre e dal Figlio.

Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato,

e ha parlato per mezzo dei profeti. 

Credo la Chiesa, una santa cattolica e apostolica.

Professo un solo battesimo

per il perdono dei peccati.

Aspetto la risurrezione dei morti

e la vita del mondo che verrà. Amen 



Presentazione.

Noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio” (Gv 6,69): con queste parole Pietro manifesta a Gesù la fede sua e degli altri apostoli. Credere ha bisogno di conoscenza. E la conoscenza viene dall’ascolto, e anche dalla riflessione su quanto è stato ascoltato. Pure Gesù aveva detto nella sua preghiera al Padre che credere e sapere vanno di pari passo (Gv 17,7-8) e che la vita eterna procede dal credere e dal conoscere (3) il Padre e il Figlio. Spero che le pagine che ti offro ti siano d’aiuto e per credere e per conoscere, e il conoscere continui a raddoppiare il tuo credere!

Don Vigilio Covi

  

*** 

Credo in un solo Dio Padre,

onnipotente creatore del cielo e della terra,

di tutte le cose visibili e invisibili.

  

Credo in un solo Signore, Gesù Cristo,

unigenito Figlio di Dio,

nato dal Padre prima di tutti i secoli:

Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero,

generato, non creato,

della stessa sostanza del Padre;

per mezzo di lui tutte le cose sono state create.

Per noi uomini e per la nostra salvezza

discese dal cielo,

e per opera dello Spirito Santo

si è incarnato nel seno della Vergine Maria

e si è fatto uomo.

Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato,

morì e fu sepolto.

Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture,

è salito al cielo, siede alla destra del Padre.

E di nuovo verrà, nella gloria,

per giudicare i vivi e i morti,

e il suo regno non avrà fine.

  

Credo nello Spirito Santo,

che è Signore e dà la vita,

e procede dal Padre e dal Figlio.

Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato,

e ha parlato per mezzo dei profeti.

  

Credo la Chiesa, una santa cattolica e apostolica.

Professo un solo battesimo

per il perdono dei peccati.

Aspetto la risurrezione dei morti

e la vita del mondo che verrà. Amen.


  

Introduzione

00 ignoranza

Hai pregato per me? Se le prossime pagine ti aiuteranno a vivere, hai pregato bene, e ringrazieremo il Padre di averti ascoltato. Naturalmente continuerai ad accompagnarmi con il tuo pregare, altrimenti farò e faremo buchi nell’acqua.

Ho pensato di scrivere qualcosa sul ‘Simbolo’ della nostra fede, il Credo, quello che recitiamo solitamente durante la Messa domenicale. Non so se questo argomento è mia iniziativa o se mi è stato suggerito dallo Spirito Santo. Il fatto è che mi pare di riscontrare spesso, nel parlare dei cristiani, tanta ‘ignoranza’ riguardo la nostra fede. Scusami il termine, ma non ne trovo altri. L’ignoranza qualche volta è talmente crassa che spaventa. E infatti, quando qualcuno si avvicina ad una setta o al buddismo, all’islam o ad altre credenze che appaiono religiose, con facilità si innamora di alcuni aspetti che esse presentano, e non si accorge degli errori che divulgano, e nemmeno avverte che lui possiede molto di più grazie ai misteri della sua fede cristiana. Questo «molto di più» lo lascia perdere, lo ignora, lo abbandona, e rimane ingannato. Certamente lo Spirito Santo soffre, se possiamo dire così, che coloro che lui ha unto e consacrato, sia al Battesimo che alla Cresima, siano incapaci di fedeltà a Gesù e così remissivi verso le opinioni del mondo lontano dal Padre.

Quel che scriverò adesso non sarà un catechismo, ma solo una infarinatura. Potrai approfondire con altri scritti di persone preparate. Meglio ancora se vai a vedere la nostra fede nella vita dei santi: lì diventa edificante ed esemplare, cioè ricca di esempi, come scrisse San Francesco di Sales: “Tra il libro del Vangelo e i Santi c’è la differenza come tra la musica scritta e la musica cantata”!

Quello che scriverò stuzzicherà la tua voglia di sapere, spero, e soprattutto la tua voglia di vivere in comunione. Non potrò soddisfarla del tutto, data la mia ignoranza, che tenterò di nascondere, e soprattutto data la mia esigua santità, di cui rivelerò l’irrilevanza e l’insufficienza. Te ne accorgerai, e perciò il tuo pregare diventerà più perseverante. Grazie.

  

Credere

01 Credo

Meditando sul Credo della Chiesa, mi viene alla mente papa Giovanni Paolo I. È vissuto pochi giorni a Roma, ma un tempo sufficiente per aiutarci a conoscere la nostra fede come “la santissima fede”, di cui ha scritto san Giuda apostolo (20). Per papa Luciani la nostra fede è fonte di gioia, di comunione semplice. La fede lo aiutava ad essere in comunione con i bambini, ed era sostegno a tutti a tornare seriamente bambini, proprio come è desiderio del Signore Gesù.

Il suo successore, San Giovanni Paolo II, ci ha mostrato un altro aspetto della nostra fede: essa è coraggiosa, in grado di affrontare le grandi sfide del mondo, nelle quali si nasconde - e si rivela - la inimicizia del principe del mondo. La nostra fede è decisa, non si piega di fronte ai movimenti, divenuti poteri occulti, che la malvagità umana introduce nella storia. Per questo egli ha sofferto, goduto e partecipato al martirio.

La sua eredità ha impregnato l’umiltà del suo successore Benedetto XVI. Attraverso di lui Dio Padre ci ha mostrato la bellezza intellettuale della nostra fede, una bellezza rivestita dei doni dello Spirito Santo, scienza ed intelletto, ma anche semplice e retta, vera e quindi inflessibile alle minacce dello stesso principe del mondo, sempre in agguato, pronto, come un drago, a “divorare il bambino appena nato” (Ap 12,4).

La sua umiltà, rivelatrice di autenticità, ha preparato il posto a Francesco, perché manifesti e continuamente operi la concretezza del frutto della fede, cioè la carità. Egli ci stimola a far sì che il nostro credere sia fecondo, a badare che sia la fede a muovere i nostri passi, a trasformare i nostri modi di parlare, di agire, di guardarci attorno, di relazionarci. Come “il Verbo si è fatto carne” (Gv 1,14), così la nostra fede nel Verbo deve essere visibile e toccabile dagli uomini. In tal modo diveniamo ‘martiri’, tanto da far tacere e svergognare il Nemico dell’uomo, capace solo di danneggiare gli uomini.

Chissà quale altro aspetto o quale altro frutto della fede ci farà notare e maturare con il suo ministero il Papa che gli succederà! La nostra fede infatti è ricchissima e sa permeare le nuove situazioni e trasformarle santificandole. È un lievito sempre vivo.

  

02 Credere e amare

Credere? Certo, crediamo, badando che il credere sviluppi opere di amore. Se la fede non produce carità è inutile, anzi, menzognera. Non ti pare? “Dio è amore” (1Gv 4,8) scrive ripetutamente l’apostolo Giovanni, traducendo per noi le parole e le testimonianze dei profeti e ogni gesto del Signore Gesù. “Dio è amore”, e perciò la nostra fede in lui non esiste e non si rivela se non grazie all’amore.

Se professi la fede senza amare sei menzognero, sei un diavolo. Lo vedi anche tu che chi dice di voler difendere la fede, e per farlo parla male degli altri, cristiani o meno, o di qualche vescovo o persino del Papa, lo vedi anche tu che è velenoso come il serpente. E se non ti accorgi di questo, te lo dico io che sei senza discernimento spirituale, anche se ritenessi d’essere il primo aiutante di San Michele arcangelo. La fede senza amore non è fede, non è concepibile, e l’amore senza fede ha solo la parvenza dell’amore.

Riuscirò a spiegarmi? Con la parola ‘fede’ designiamo l’atto del credere, che è il nostro rapportarci con Dio. Potremo relazionarci con l’Amore senza amare? Se non ami, non incontri quel Dio che è Amore, cioè non credi. E se il tuo cuore, cioè il tuo intimo e tutto te stesso, non è aperto ad amare, Dio non lo puoi accogliere, né lui ti può raggiungere.

Per intenderci devo anche dire che amare è donarsi, offrirsi, essere disponibile a morire. Amare è camminare sulla via del dono di sé, cioè sulla via del morire. L’amore più grande e perfetto di Gesù non è stato visto sulla croce? Sto parlando difficile? Difficile a capire o difficile a vivere? Ecco allora: credere e amare sono due facce della stessa medaglia. L’uno senza l’altro non esiste. Credere è generare e muovere e smuovere amore, amare è sprizzare fede.

  

03 Il frigorifero senza porta

Il vero credere è la radice del vero amare. Gli atti di amore vero sbocciano e maturano sull’albero della vera fede. L’amore vero è quello disinteressato, fedele, perseverante: non esiste se non ha radici solide, se non ha radici nel Padre. Per questo il credere è indispensabile all’amore. Per amare veramente devi avere una relazione con Dio stabile, e una relazione con il Dio vero, non con una qualche immagine di Dio, che puoi aver racimolato qua o là da uomini, anche famosi, anche filosofi affermati, o dal tuo fantasticare.

T’immaginavi che le cose fossero così semplici? In pratica, se l’uomo crede è un uomo, altrimenti non è ancora un uomo come Dio Padre lo ha pensato creandolo. L’uomo è stato creato per ricevere amore e per donare amore: il primo amore lo darà anzitutto a colui che l’ha voluto e amato. Per questo, se un uomo non crede, tu percepisci tra te e lui un abisso, con lui non hai un aggancio, non riesci a trovare qualcosa che vi tenga uniti. Te ne sei già accorto?

Il credere è come la porta del frigorifero. Se il tuo frigorifero non ha la porta, può essere l’elettrodomestico più computerizzato che esista, ma non è frigorifero. Oppure: il credere è come il tasto di accensione dello smartphone: questo puoi averlo pagato un occhio della testa, ma cosa te ne fai se non lo puoi accendere? Se credi, accendi la relazione con il Padre, ed ecco, sei un uomo vero. Ma che cos’è credere?

Mi pare di poter dire che credere è quell’attrazione che arriva nel tuo cuore quando pensi a Dio Padre. Se per lui senti indifferenza o rifiuto, non credi. Se qualcosa ti attrae a lui, questo è inizio del credere. Ho detto: a Dio Padre. Se parliamo di Dio Padre è segno che già è intervenuto Gesù con la sua rivelazione e con il suo Spirito. Senza di lui non penseresti a Dio con l’amore che puoi avere per un padre. Senza Gesù non incontri un Padre, e allora senza Gesù non arrivi a credere. Mi sono perso in tante considerazioni? Ti paiono inutili? Il credere che chiami fede esiste solo grazie a Gesù, per mezzo di lui, e, ovviamente, grazie al Soffio che egli alita su di te.

  

04 L’imperatore santo

Tante giravolte per cominciare a dire qualcosa riguardo al Credo? E sono ancora poche. Ma piuttosto che tu t’innervosisca, cominciamo. Anzitutto, perché esiste il Credo, e perché lo diciamo tutte le domeniche durante la Liturgia Eucaristica? È tanto importante? Cose inutili non ne facciamo, e tanto meno ci verrebbero richieste dalla Liturgia della Chiesa intera.

Mille anni fa un laico, non un vescovo e nemmeno prete, ha chiesto con insistenza al papa di allora di far recitare a tutti il Credo alla Messa tutte le domeniche. Quel laico era un santo, anche se imperatore. Gli premeva la fede dei suoi sudditi. Capiva benissimo che se gli uomini non sono uniti nella stessa fede non saranno uniti nemmeno nella carità. Lui voleva bene, e voleva il bene dei suoi sudditi: prima che sudditi suoi li vedeva e li sapeva figli di Dio. Essi devono sapere in chi credono, chi è quel Dio di cui dicono di essere figli, e devono qualificare la Chiesa che essi stessi formano.

Ringraziamo quell’imperatore, Enrico II°, per la sua insistenza, che il papa poteva, sulle prime, aver percepito come ingerenza o come intrusione. Non aveva avuto visioni l’imperatore, né ricevuto messaggi dall’alto, aveva solo amore per il popolo. Se il popolo non conosce i contenuti della fede, si abbandona facilmente alle credulonerie, oppure segue con superficialità predicatori di opinioni seducenti, e nascono sette e gruppi settari. Questi si fanno paladini di un vangelo, a loro dire, più puro e più vero, senza croce e senza rinnegamento di sé, fonte solo di salute e di ricchezza. Non s’accorgono, oppure addirittura vogliono, diventare seguaci del divisore. Il popolo infatti si divide, non è più popolo, non ha più solidarietà, s’indebolisce di fronte a tutti i nemici interiori ed esteriori.

Profeta quell’imperatore! Ce ne rendiamo conto anche oggi. Quante sette sorgono, e quanta disunione nel popolo a causa di esse! Quante credulonerie fanno ammattire persone intelligenti, e riescono a sedurre e rendere instabili le famiglie e inesistente la coesione sociale!

  

05 Un prete superficiale

Non è sufficiente dirlo il Credo, per vincere le tentazioni contrarie alla fede, ma conoscerlo e conoscerne approfonditamente i contenuti può essere certamente di aiuto. Così avevano pensato i vescovi di mille settecento anni fa, quando hanno cominciato a formularlo.

Si erano incontrati, almeno in gran parte, da varie città dell’Asia Minore, della Grecia, dell’Egitto, della Siria, dall’Occidente, per esaminare i contenuti della nostra fede. L’occasione era data dal diffondersi di una lettura strana dei Vangeli, sostenuta da un prete di Alessandria d’Egitto, Ario. Quei Vescovi non hanno fatto fatica a riconoscerla erronea e molto pericolosa. Ario sosteneva che Gesù era uomo, soltanto un uomo. Per lui era sbagliato dire che era Dio. Le conseguenze si preannunciavano già disastrose per la nostra fede, e quindi per la Chiesa: se Gesù fosse solo uomo non porterebbe in sé la pienezza dell’amore del Padre, non ci darebbe lo Spirito Santo, la sua morte sarebbe la morte di un falegname qualsiasi, e quindi non sarebbe salvatore di nessuno e nemmeno Re dell’universo. E la sua risurrezione sarebbe fantasia. In pratica, tutte le verità della nostra fede franerebbero e non sapremmo più dire altro che finora siamo stati imbrogliati, e che noi stessi stiamo imbrogliando il mondo intero con la nostra speranza nella risurrezione.

Quei vescovi perciò hanno steso un ‘simbolo’ della fede, ampliando quello già esistente, e evidenziando la divinità del Figlio di Dio con riferimenti ai Vangeli e alle Lettere apostoliche.

  

06 Usanze antiche

Simbolo, che significa? Te lo dico con un esempio biblico. Il giovane Tobia era stato richiesto, dal suo anziano e cieco padre Tobi, di mettersi in viaggio per andare lontano da un parente a ritirare una grossa somma di denaro. Molti anni prima l’aveva depositato presso di lui. Egli, giovane, non conosceva quel parente, perciò rispose al padre: “Ma come potrò riprendere la somma, dal momento che lui non conosce me, né io conosco lui? Che segno posso dargli, perché mi riconosca, mi creda e mi consegni il denaro?”. E Tobi al figlio: “Mi ha dato un documento autografo e anch'io gli ho consegnato un documento scritto; lo divisi in due parti e ne prendemmo ciascuno una parte” (Tb 5,2-3). Le due parti del documento diviso, accostate l’una all’altra, faranno sì che Tobia e il depositario della somma possano riconoscersi.

Quest'usanza era normale nell'antichità, non essendoci né carte d'identità né altri documenti di riconoscimento. Spesso coloro che stipulavano un contratto o un accordo, in modo più semplice ancora, spezzavano una moneta e ne conservavano un pezzo ciascuno. I due pezzi, gli unici che potessero combaciare perfettamente, davano garanzia per il riconoscimento del contraente o dei suoi eredi. Questi due pezzi di documento o di moneta venivano chiamati simbolo, termine greco che significa “metti insieme”. Ecco: ciò che ho io combacia con ciò che hai tu, gli appartiene. In modo analogo, chiamiamo simbolo il Credo.

  

07 Simbolo

Il Simbolo o Credo è un brevissimo riassunto delle verità di fede della Chiesa. Chi le professa può ritenersi fratello di chi le condivide, perché riconosce: Ciò che credo io lo credi anche tu. Essi si riconoscono fratelli e possono perciò nutrirsi della stessa Eucaristia. Ecco allora che quei vescovi, riuniti da tutte le Chiese cristiane, hanno steso un brevissimo documento con le principali ed essenziali verità della fede della Chiesa: così è nato il Simbolo niceno. Ha preso questo nome dalla città in cui è stato celebrato quel primo Concilio, Nicea (325 d.C.).

Quasi sessant’anni dopo, ancora riuniti in Concilio, altri vescovi si sono dovuti occupare di un’altra eresia che seminava confusione, questa volta riguardo allo Spirito Santo. Si è svolto a Costantinopoli (381). Il Simbolo ha ricevuto delle aggiunte, per cui oggi si chiama niceno-costantinopolitano: è quello che recitiamo noi. Tu lo reciti con attenzione o ti lasci distrarre?

Ogni parola è stata pensata e discussa, quindi è importante non saltarne nemmeno una e capirle tutte. Credere le stesse verità che credono gli altri cristiani è importante per me e per te: possiamo partecipare insieme alla Eucaristia.

  

08 Credere è vivere

È importante credere? Credere è vivere, ha detto Gesù. “Chi crede ha la vita eterna” (Gv 6,47). Ciò significa che chi non crede non vive. Come mai? Nemmeno io avevo badato seriamente a questa Parola, ma ora mi accorgo che le cose stanno proprio così.

Chi crede è in relazione con Dio, il Vivente, e quindi è vivente anche lui. La sua relazione è fondata e si svolge nell’eternità. Chi non crede ha relazioni istantanee, limitate, mutevoli, precarie, anche contraddittorie. E non si sente vivo, ma è sempre alla ricerca di qualcosa da cui spera di ricevere attimi di vita.

Per capire questo mi immagino un morto. Un morto non ha relazioni con nessuno: non ascolta, non parla, e se tu gli parli non reagisce, se lo pungi non ti rimprovera né ti sorride. Un morto non ti vede e non si nasconde a nessuno. Noi diciamo che non ha vita. Chi ha vita interagisce. Affinché uno sia e si senta vivo deve interagire con altri, e questo è possibile in quei momenti in cui si incontra con qualcuno. Altrimenti lo vedi triste, chiuso, infelice, senza vita. Egli dice che soffre di solitudine.

Vuoi vivere? Vuoi conoscere la gioia? Devi avere una vita interiore, chiamiamola pure eterna.

  

09 Vita interiore

La vita interiore esiste e sussiste quando credi, cioè quando ti relazioni con il Vivente, cioè con il Padre e con il Figlio, che il Padre ti manda perché dimori in te. “Chi crede in me, anche se muore, vivrà” (Gv 11,25) dice Gesù: davvero? Se tu muori, come fai a vivere? Se smetti le tue relazioni con le cose e con gli altri uomini sei morto. La tua relazione con Dio però continua, anzi, lui non la smette con te, dal momento che l’hai iniziata. E continua anche con gli altri, addirittura più vera e costruttiva, più ricca e forte.

Con il credere ti immergi in una vita speciale, quella eterna di Dio. Chi crede davvero, perciò, non si sente solo, non soffre di solitudine. Gesù lo diceva ai suoi discepoli, proprio quando tutta la gente lo aveva già abbandonato e lui preannunciava che anch’essi lo avrebbero lasciato solo: “Io non sono solo, perché il Padre è con me” (Gv 16,32). Anche tu di certo hai sperimentato questa vita speciale, e lo dici quando confidi a qualcuno che passi il tempo con l’angelo custode, o che godi la presenza di Maria ss.ma, o persino che ti appoggi sul petto di Gesù.

  

10 La fede dei demoni

Quando dico il Credo non dico solo che mi relaziono con Dio, ma manifesto anche con quale Dio, altrimenti tu potresti pensare che il mio credere non si distingua da quello dei demoni.

San Giacomo, nella sua lettera, dice che i demoni credono sì, ma che per questo loro credere tremano di paura (Gc 2 ,19). Come mai? Sanno che Dio esiste, e sanno che è amore. Per questo lo ritengono il loro terribile nemico. Essi non si sognano di conoscerlo e nemmeno vogliono incontrarlo, perché non sono capaci, non sono capaci di intessere relazione con lui, perché non sanno e non vogliono amare. Essi non amano.

Se tu vuoi essere sicuro di non avere demoni dentro di te, vedi di amare Dio, di ascoltarlo e di ubbidirgli, ma assicurati che sia il Padre del Signore Gesù. È lui l’unico Dio che puoi conoscere e amare. Se non ami Dio, e quindi nemmeno lo ascolti, anche se dici di essere certo che esiste, hai la fede dei demoni; non ti distingui da loro. Tienilo a mente. Ricordalo quando qualcuno ti farà discorsi su Dio. Allora, che Dio è quello con cui io voglio tenermi unito? Che Dio è quello che mi dà vita grazie al mio credere in lui?

Questo lo diciamo con il simbolo della fede, cioè con quella lunga preghiera che chiamiamo Credo. Noi diciamo che esso annuncia i contenuti della nostra fede. Per dirla con altre parole, esso cerca di dire chi è e come è, come si manifesta agli uomini e cosa fa in mezzo a loro, quel Dio con cui vogliamo avere a che fare per essere vivi.

  

11 Per niente

A proposito di quanto ho scritto, che cioè per credere non dovremmo imitare i demoni che non sanno amare, ti dico ancora qualcosa. Tu sai che c’è un secondo comandamento nel Decalogo che dice: Non nominare il nome di Dio invano. Sai cosa significa?

La parola invano puoi capirla così: per niente. Ma che cos’è il niente o il nulla nel linguaggio biblico? Gli idoli sono il nulla, essendo pezzi di legno o figure di metallo con cui non ti puoi relazionare: se parli loro, non ti rispondono. Quindi il comandamento puoi dirlo così: non nominare Dio come fosse un idolo. Non parlare di Dio come fosse una cosa, come fosse un oggetto muto e cieco e sordo, non parlare di Dio come parli di un oggetto o anche di una persona lontana. Parla di Dio solo con amore. Quando parli di Dio si deve percepire che tu lo ami, si deve capire che egli fa parte della tua vita, come fanno parte della tua vita tuo padre e tua madre e i tuoi fratelli. Quando dici Dio, qualcosa dentro di te si muove con tenerezza, con riconoscenza, con rispetto, con gioia, con umiltà, con sicurezza e pace.

Tu non sei un demonio che parla di Dio come di un assente o di un nemico. In quelle parole non ci sarebbe verità, somiglierebbero a bestemmia. Tu sai di essere sua creatura, amata e benvoluta da lui, perciò impegni tutto il tuo amore con il suo Nome santo. Credere in Dio ti fa diverso, diverso da quel che eri prima.

  

12 In comunione

Durante la celebrazione Eucaristica professiamo il Credo, cioè lo proclamiamo in modo da farci sentire dagli altri, dopo aver ascoltato la Parola di Dio e prima di compiere i segni e ripetere le parole del Mistero che ci vede mangiare e bere il Corpo ed il Sangue di Cristo. Il momento è importante, un passaggio fondamentale. È come dessimo una risposta alle domande: chi è colui che mi ha parlato con le letture che ho ascoltato? E adesso a chi mi rivolgo per ricevere il nutrimento della mia vita, anzi della nostra vita?

È questo il momento più adatto e significativo per proclamare finalmente in quale casa abbiamo posto la nostra residenza. Credo! Da sola, questa parola, non dice nulla di significativo. È come dire soltanto: mi affido, oppure mi fido. Ma a chi ti affidi e di chi ti fidi? Ecco che diciamo subito: “in un solo Dio Padre”. Non dico “credo in Dio”, ma “in un solo Dio Padre”. Anzitutto proclamo che io mi affido ad un unico Dio, e non ad alcuni, e quest’unico è tale che ha un’esistenza già legata a me e a te. Non avrebbe quel nome se non ci fosse, proveniente da lui, generato da lui, il Figlio. Dire che è Padre è dire che sta trasmettendo la vita, sta vivendo non per sé, ma per un altro, e che senza quest’altro non sarebbe se stesso, non potrebbe essere chiamato Padre. Se non desse la vita al Figlio non sarebbe Padre. Quindi già con questa prima parola entro nel mistero della comunione divina.

Mi segui, o ti annoio? Se lui dà la vita, ogni forma di vita dovrà pure dir grazie a lui.

  

13 Un soffio importante

Hai notato che dico e tu dici “credo” e non “crediamo”? Devi sapere il perché.

In questo momento io uso la mia libertà e la mia fede, e tu la tua, indipendentemente da quel che possono decidere gli altri che ci circondano. In questo momento diamo testimonianza di una vita interiore tutta personale. Non ci facciamo influenzare da nessuno.

Per adoperare il termine Padre, poi, non adopero la mia zucca, per quanto sana e piena sia, ma devo far riferimento allo Spirito Santo che mi ritrovo già dentro da quando sono stato battezzato. È lo Spirito Santo che mi spinge a usare e mi permette di pronunciare il nome Padre. Così, quando dico “credo in Dio Padre”, mi ritrovo unito al Figlio e avvolto da uno spirito che non è da paragonarsi a quello che si respira all’ingresso di una fabbrica o a scuola o al bar, né a quello che mi fa arrabbiare quando voglio sostenere le mie ragioni. Mi ritrovo già dentro una comunione di persone che si amano facendo a gara a chi ama di più l’altro. E allora mi sento amato anch’io e desideroso di partecipare con il mio amore, anche se so che è piccolo e che dovrò dimostrare d’averlo con dei gesti concreti. Dio Padre!

Ho detto che solo lo Spirito Santo ci permette e ci sollecita a dire a Dio “Padre”, lo Spirito che abbiamo ricevuto dal soffio di Gesù. Quindi è per noi “Padre” come per Gesù. Lui lo ha detto anche a Maria Maddalena il giorno della risurrezione, quando le chiese: “Va’ dai miei fratelli e di’ loro: Salgo al Padre mio e Padre vostro” (Gv 20,17).

  

14 Un po’ di paura

Per farti capire com’è importante il nome “Padre”, cedo la parola a don Cristoforo, mio amico: «Un pomeriggio è venuto da me uno che si dichiarava pranoterapeuta. Al mattino si era recato da un suo collega, il più frequentato della sua regione. Ebbene, quella volta, guardandosi, hanno visto l’uno negli occhi dell’altro lo sguardo del diavolo. Così ha detto lui, tanto che ha subito messo le mani in tasca per afferrare il rosario, ma questo è andato in frantumi da solo. Spaventatissimo ha cercato un esorcista: per questo è arrivato da me.

L’ho fatto parlare per rendermi conto se nella sua vita poteva aver aperto le porte al nemico, e così ho ravvisato l’opportunità di procedere con l’esorcismo.

Abbiamo cominciato a pregare. Alle promesse battesimali: “Rinunci a Satana?”, “Rinuncio”, rispose deciso. “Credi in Dio Pa…”. “Nooo”, ha gridato, balzando dalla sedia come per aggredirmi. Quello non voleva udire la parola “Padre”.

Ti confesso che presi paura e interruppi la preghiera. Ho chiamato due uomini che lo tenessero fermo. Non riuscendo a star seduto, s’è messo in piedi appoggiato alla finestra. Io ripresi, mentre i due uomini sudavano per trattenerlo. Ma mi distraeva questo pensiero: vedrai che il diavolo gli farà sbattere la testa contro la finestra per farmi un dispetto.

Mi guardai bene dal dirlo. Ero preoccupato per il vetro, finchè, cedendo alla semplicità infantile, dissi a San Michele: “Se ci sei, tu che hai le ali, mettile dietro alla sua testa”.

Poi continuai in pace e terminai le preghiere. Quando si fu tranquillizzato, ci siamo seduti ancora a parlare del più e del meno. Dopo un po’ mi disse: “Sai che volevo frantumarti la finestra? Ma non riuscivo, perché sentivo come un cuscino dietro la testa!”.

Non gli ho detto nulla, ma t’immagini come ho ringraziato San Michele? E sì che avevo sempre stentato a credere agli angeli». Fin qui don Cristoforo. E io ho capito come è importante chiamare Dio “Padre”. È un nome insopportabile per il diavolo, che non vuole che noi siamo figli per Dio!

  

Credo in un solo Dio Padre

15 Il movimento del credere

Il mio credere è un movimento. Infatti dico: credo “in”; con questa particella esprimo il fatto che mi muovo verso qualcuno. Mi muovo verso il Padre da cui so di aver ricevuto l’esistenza, e non solo l’esistenza. Da lui ho ricevuto anche amore, e non solo quello che mi ha fatto crescere, ma anche quell’amore che a me sembra di donare ad altri. Mi voglio incontrare con lui, perché so che da lui ricevo ancora tutto.

Dicendo in mi pare di desiderare di essere dentro di lui, d’immergermi nel suo cuore. Ce l’avrà un cuore? Di sicuro non come il mio. Infatti lo chiamo Dio, mentre il mio cuore non posso chiamarlo così. Questa parola Dio pare semplice, ma invece è talmente vasta che è facile confondersi e non capirci. Cosa pensi tu con la parola Dio? E il tuo amico come la intende? E per tua mamma cosa significa? Sai cosa dice a me?

Questa parola sta ad indicare la prima cosa che ti viene in mente quando ti svegli al mattino. Pensi a cosa mangiare? Pensi come guadagnare denaro? O come far bella figura? O a come far carriera? O a conquistare l’affetto di una ragazza o di un ragazzo?

Ecco, quel qualcosa che sta in cima ai tuoi desideri e che muove i tuoi voleri, quello è, in pratica, il tuo dio. Con questa parola ognuno intende qualcosa di diverso dagli altri. Non è una parola vuota, ma ognuno la riempie a suo modo. Dopo ti dirò come la riempie il cristiano. Il tuo amico buddista ha anche lui qualcosa in cima ai desideri, ma non lo chiama Dio. Sai perché? Ti dirà che Dio non esiste. Il tuo amico musulmano non dirà mai “Credo in un solo Dio”, perché non può sognarsi di entrare nel suo cuore. Egli dirà “Credo che esiste un Dio solo”, ma non è la stessa cosa. Per lui esiste sì, ma chissà dov’è! Esiste sì, ma lontanissimo. Esiste, ma non ama, non è amore. Esiste, ma nessuno può conoscerlo. Quanto vuoto c’è nel cuore di colui che si ispira alle pagine del Corano!

  

16 Cuore di sasso

Noi diciamo: “Credo in un solo Dio”; è uno solo, quindi uguale per me e per te e per il tuo amico. Nel cuore di Dio ci dovremmo ritrovare insieme, io, tu e tutti gli altri. Ma se dicessimo solo così, la nostra confusione e divisione rimarrebbe, perché ciascuno continua a riempire la parola dio a modo suo. Diciamo invece: “Credo in un solo Dio Padre”.

In cima ai desideri del cristiano, per muovere i suoi voleri c’è l’amore di un Padre. Non siamo mai capaci di compierla questa frase, cioè di viverla. Ma ci proviamo, e di sicuro lui stesso la realizzerà nei modi e nei tempi che il suo amore ha stabilito. Dire che è Padre è dire che noi riceviamo da lui il muoversi della nostra vita. Dicendo così non è solo la nostra testa che lavora, ma comincia a trafficare anche il nostro cuore. Te ne sei accorto? Oppure il tuo cuore è di sasso? Dici Padre e non ti viene da ringraziare? E non ti viene da sperare? E non cominci a confidare? E non esprimi desideri e sogni? E non ti pare di essere tenuto per mano, o addirittura sul braccio, anzi a cavalcioni sulle sue spalle?

Mi verrebbe da leggerti tutto il salmo 139, ma lo farai tu in un momento di pausa. Almeno queste alcune righe te le trascrivo, così cominci a capire come si può dire Padre: “Sei tu che hai formato i miei reni e mi hai tessuto nel grembo di mia madre. Io ti rendo grazie: hai fatto di me una meraviglia stupenda; meravigliose sono le tue opere, le riconosce pienamente l'anima mia. Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto”.

  

17 Manca la parola

Non puoi dire Padre senza qualche sentimento, forse anche con le lacrime agli occhi. Andiamo avanti?

Aggiungiamo un aggettivo: onnipotente. Questo aggettivo può riferirsi al sostantivo Padre oppure a quello che segue, creatore. In ogni caso onnipotente qui non significa onnipotente. Mi spiego: il significato di onnipotente più facilmente inteso da noi poveri peccatori è che può fare tutto, tutto quello che vuole. Per noi sarebbe il massimo dell’egoismo, perché quando un uomo fa quel che vuole, intende fare quel che gli piace. È ovvio che Dio non è egoista: egli ha promesso solo di amare, e ha manifestato soltanto intenzioni e volontà di amore. Allora, cosa significa “onnipotente”? “A Dio tutto è possibile” (Mt 19,26), leggiamo qualche volta nella Scrittura. Ma quel tutto cosa significa? È da intendersi così: tutto quello che Dio ha promesso, tutto quello che egli ha detto. Da dove viene allora la parola onnipotente?

Nella lingua italiana, così ricca di vocaboli e di parole, ne manca una. Strano, ma è così. Manca la parola per tradurre un termine greco, pantocrator, presene nella lingua originale del Credo e usato in una lettera da San Paolo e molte volte nell’Apocalisse (2Cor 6,18; Ap 1,8; …). Per tradurlo, prima in latino e poi in italiano, i traduttori hanno usato quel termine che parve somigliargli di più, onnipotente. Ma non è la stessa cosa. Non si intende dire che Dio può tutto, ma che tiene in mano tutto, che tutto è tenuto stretto dalle sue mani. Dire che Dio può tutto o che tiene in mano tutto è diverso.

  

18 Disgrazie?

Dio Padre non è onnipotente, non può fare tutto, infatti non può disfare quel che ha fatto, non può fare ciò che sarebbe contrario al suo amore. Nelle mani amorevoli di Dio invece c’è posto per tutto, e le sue mani amorevoli possono adoperare tutto in modo da farlo servire all’amore.

Quei fatti che tu chiami disgrazie, il Padre li sa adoperare in modo che diventino e siano poi riconosciute grazie. Non hai mai sentito dire da tua nonna che Dio sa scrivere dritto sulle nostre righe storte? Lo aveva visto nella sua esperienza decennale. Io mi accorgo, per esempio, che il Padre adopera la mia ignoranza perché io mi umili, e questo è un dono grande. Anche il peccato dell’uomo è nelle mani del Padre: lo ha adoperato per mostrarci e donarci il suo amore, portato sulla croce da Gesù proprio a causa dei nostri peccati. Quasi quasi stavo per dire per merito dei nostri peccati. A dire il vero non sarebbe un’eresia, perché una antica e meravigliosa preghiera della nostra liturgia pasquale, l’Exultet, si arrischia a farci cantare: “Felix culpa”, il che vorrebbe dire che il nostro peccato ci aiuta a capire con stupore dove arriva l’amore di Dio: ha donato il Figlio per noi, che gli eravamo estranei e ostili, persino nemici (Rm 5,6-10). Era “necessario” perché noi arrivassimo a godere con maggior consapevolezza la presenza di Gesù risorto in mezzo a noi.

La parola onnipotente poi, nonostante la sua incompletezza, l'adoperiamo pure per ricordarci di non mettere nessuno e nulla, nemmeno la forza dei nostri ragionamenti, al di sopra del Padre: “Sì, Signore Dio onnipotente; veri e giusti sono i tuoi giudizi!” (Ap 16,7). Quanto Egli dice e dispone è il meglio. Una persona, davvero credente, provata da molte difficoltà, mi diceva: “Se io sapessi tutto ciò che Dio sa, vorrei di certo anch'io ciò che Dio vuole”.

  

19 Gli idoli sono maledizione

Tutto è nelle mani di Dio: egli tiene in mano tutto. Nessuna creatura può mettersi alla pari con lui, e perciò nessun uomo, nessun re o imperatore può pretendere superiorità su un altro uomo. Nessuna creatura per quanto misteriosa o attraente può occupare il cuore dell'uomo mettendosi al posto del Padre. La frase del Credo che stiamo vagliando è così un deciso rifiuto di ogni idolatria e di ogni assolutismo.

Dicendo “onnipotente” dichiariamo di non volerci sottomettere a quell'idolo che è il denaro: quest'idolo m'impone la legge del profitto, del risparmio egoistico, mi obbliga a pensare già fin d'ora e a preoccuparmi ansiosamente della pensione, pur non sapendo se domani sarò ancora vivo. È un idolo che mi fa dimenticare che c'è un Padre per me e per noi, e che il Padre mi può dare responsabilità per i fratelli.

Dichiariamo di non volerci sottomettere all'idolo del piacere: è un idolo che impedisce di cercare il Regno di Dio, se solo costa un po' di fatica o di rinuncia, e mi fa esser attento ai miei gusti, dimenticando le chiamate e le proposte del Padre!

Dichiariamo di non volerci sottomettere ad altri idoli che ci rendono schiavi delle cose, della moda, del pensiero degli altri, c'impediscono quindi la libertà interiore, la gioia e la pace che provengono dal Padre, e ci impediscono pure l'amore per i suoi figli.

Dichiariamo di non volerci sottomettere agli idoli delle fantasie che fanno nascere superstizioni d'ogni genere, perché ogni cosa, e anche ogni animale, come pure ogni fatto che succede è sottomesso a Dio. Ogni ferro di cavallo o cornetto o oggetto simile appeso in casa o sulla macchina o al collo è perciò bestemmia e maledizione, rifiuto di questa parola del Credo.

  

20 Le creature gemono

Creatore del cielo e della terra”: così si è espresso l’amore del Padre. Quando ti guardi attorno, cosa vedi? Vedi l’amore del Padre, vedi tutto quel che è uscito dal suo cuore e dalle sue mani. Dobbiamo usare questi termini per intenderci: è chiaro che Dio Padre non ha mani come le nostre. Parlando di Dio parliamo sempre noleggiando le parole dai nostri discorsi umani e terreni; a causa di questo paghiamo un prezzo alto: infatti esprimiamo solo una parte di ciò che dovremmo far comprendere. Creatore cosa significa?

Mi hanno spiegato che creare è fare qualcosa senza aver nulla a disposizione. Quando Dio ha creato il cielo e la terra non aveva nulla a disposizione. E invece no! Aveva a disposizione il suo amore, tutto quell’amore che continuava a donare. L’amore che donava era il Figlio. Quando ha creato il cielo e la terra il Padre adoperava il Figlio, e così tutte le cose che vedi ti possono aiutare a conoscere anche il Figlio. Ogni cosa è plasmata in modo da contenere un aspetto dell’amore che è il Figlio.

Hai mai sentito dire da San Paolo che tutte le creature gemono aspettando di vivere la libertà dei figli di Dio? Sono fatte per manifestare il Figlio. Se gemono è perché non possono farlo, essendo diventate schiave del peccato dell’uomo. Saranno liberate quando il peccato sarà vinto. Non capisci? Ti farò un esempio facile.

  

21 Tutto buono?

Le creature gemono. Ad esempio: l’oro è una creatura di Dio. Gli uomini l’adoperano per coniare monete, per arricchire, oppure per farsi ammirare con medaglie e braccialetti. Pur di averlo, estorcono, dominano e ammazzano. L’oro per questo geme e soffre, perché non può servire Dio Padre, che è amore, essendo schiavo del peccato degli uomini. Quando l’oro sarà liberato dal peccato, potrà diventare cibo per gli affamati, vestito per gli ignudi, case per i senzatetto, borse di studio per studenti poveri, e anche calice per il Sangue di Cristo, o sfondo luminoso delle icone per far risaltare la bellezza della Madre di Dio. Molti altri esempi li puoi fare tu con altre creature, anche quelle più semplici, come la lana e il cotone: possono servire per i vestiti decenti, ma anche gemere quando usati per quelli indecorosi.

Quando affermo che il Padre è creatore di tutto, e che tutto ciò che esiste ha uno scopo, che forse io non conosco, affermo che nulla è inutile, che tutto è stato fatto per un motivo sapiente. Di ogni creatura infatti la S. Scrittura dice: “E Dio vide che era cosa buona!” (Gen 1,12).

Dire che Dio Padre è creatore mi impegna a rispettare ogni cosa, a non distruggere nulla e nessuno, anzi, ad essere riconoscente, a godere di ogni cosa e ad usarla per amare. “lo so, e ne sono persuaso nel Signore Gesù, che nulla è immondo in se stesso” scrive s. Paolo (Rm 14,14), “Infatti tutto ciò che è stato creato da Dio è buono e nulla è da scartarsi, quando lo si prende con rendimento di grazie” (1Tm 4,4).

La frase del Credo “Creatore del cielo e della terra” perciò, mi mette in pace e in un atteggiamento positivo verso ogni realtà: tutto viene da Dio, dal mio Padre. Gliene sono riconoscente. Di certo anche tu dici spesso: grazie! Con la riconoscenza viene nella mia mente una luce che mi fa intravedere come ogni realtà faccia parte di un disegno d'amore. Per questo dire grazie è importante.

  

22 Creatore? Sei sicuro?

Io credo in Dio Padre creatore! Attenzione: non dico che è stato creatore, come se egli ora fosse disoccupato! Egli è creatore sempre. Per Lui il passar del tempo ha un significato diverso che per noi. Egli è creatore oggi: continua a dare la vita e il respiro a ogni cosa (At 18 ,25).

Oggi io sono un dono del Padre, oggi egli mi dona il sole e le stelle e ogni cosa, oggi il Padre mi fa vivere. L'oggi di Dio non diventa mai ieri, e per Lui non c'è il domani. Nuovo motivo per me di fiducia e di riconoscenza.

Creatore? Ma chi l’ha detto? Le antichissime religioni indiane e cinesi non conoscono questo concetto. Nemmeno persone sapienti come Buddha ne tengono conto. E oggi che le loro credenze diventano il fondamento dei ragionamenti di chi vuol saperne una pagina più del Libro, questa parola stride nelle orecchie dei saggi del mondo. Ti sei accorto che i termini creatore e creatura sono stati sostituiti nel linguaggio corrente? Sono sostituiti dalla parola natura. Purtroppo non te ne sei accorto nemmeno tu che sei cristiano. Nemmeno tu che reciti il Credo?

  

23 Credulonerie

Se la parola creatore è stata messa nel Credo, un motivo c’è. Chi fa girare le opinioni nel mondo ti vuol far credere che ciò che esiste, tu compreso, viene dallo scoppio di un Uno che non esiste, e con questo ti vogliono far credere che diventerai parte di un Nulla che ci sarà. Ci sarà? E tu hai creduto? Non ti sei accorto che è pazzia chiamare queste congetture sapienza ancestrale o millenaria? Non ti accorgi che sono credulonerie? Hai pagato anche tu per istruirti in queste cosiddette scienze partecipando al Tai-chi o alle pratiche Zen o a quelle Yogi, a quelle che insegnano a cercare i chakra o ad altre ancora?

Ti fanno credere che, quando guardi una cosa bella, devi abituarti assolutamente a non soffrire per essa, quindi farai esercizi per ignorala, altrimenti quando sparirà o, se è una persona o animale, morirà, soffriresti.

Ti dicono: ignora gli altri, ignora le loro sofferenze, e anche le tue, ignora la tua storia con i tuoi antenati e il tuo passato, esercitati col pensiero e con esercizi del corpo a sparire nel Nulla. Questo Nulla viene chiamato in modo più nobile e scientifico, perché così potresti darti delle arie: “Nirvana”!

Invece tu, proprio tu, continuerai ad usare la parola Creatore perché hai fede in Dio Padre.

  

24 Cielo e terra

Creatore è una parola che abbiamo trovato nella Bibbia. Quella stessa Bibbia, che ci rivela Dio Padre, ci dice che è creatore. Come mai? Il Padre ha parlato, ha detto, e la sua Parola è avvenuta. La sua Parola? Sì, il suo Verbo, cioè il suo amore sapiente, si è concretizzato.

Tutto ciò che vedi attorno a te e dentro di te, tutto ciò che accade tra gli uomini e nella loro storia è dono, e ti conduce al donatore. Ti pare di capire? Se sei illuminato dallo Spirito Santo non solo capisci, ma anche godi e brami di vincere il tuo peccato per entrare nel movimento di quell’amore che crea. Egli “disse”, e tutto fu fatto, egli parla e tutto esiste (Sal 33,9). Tutto dall’amore, con amore, per l’amore.

Se credi che Dio Padre è creatore, e non puoi far a meno di crederlo, altrimenti non sarebbe nemmeno Padre, allora vedi ogni cosa avvolta dall’amore e tu stesso farai di tutto per amare e accogliere l’amore degli altri. Ciò non è possibile per chi parla solo di Natura e aspetta il Nirvana.

25 Ancora cielo e terra  

Continuiamo? “Creatore del cielo e della terra”: due realtà contrapposte, ma non nemiche tra di loro.

Il cielo sarà a servizio della terra, e la terra a sevizio del cielo. Con cielo indichiamo il mondo di Dio e con terra la dimora dell’uomo. La terra ci pare di possederla, di adoperarla, di tenerla tra le mani con familiarità, benché la conosciamo ben poco. Il cielo ci fa pensare a realtà sconosciute, che esistono sì, ma chissà dove e chissà come. Il cielo ci rende curiosi, talvolta anche impauriti, quando il nostro cuore ci rimprovera qualcosa. Le realtà celesti non le teniamo in mano, non dipendono da noi e non si lasciano afferrare. Esse rimangono mistero, nel senso che restano nascoste. Possiamo però affermare che anch’esse sono creature del nostro Padre, e quindi non ci devono far paura, ma solo stupire, perché sono espressione dell’amore, dello stesso amore di cui noi stessi siamo partecipi.

Possiamo dire perciò che cielo e terra sono un unico dono.

  

26 La scala più alta

Quando penso al cielo mi viene di ritenerlo il nascondiglio di Dio.

Infatti, guardo il cielo e Dio non lo scorgo.

La terra la ritengo invece il mio nascondiglio, il luogo dove io mi eclisso per non lasciarmi vedere quando mi sento o sono davvero peccatore.

Quando io esco dal mio nascondiglio per incontrare il perdono del Padre, anche lui esce dal suo per abbracciarmi. Di certo è uscito lui prima di me, e allora cielo e terra non sono più né distanti né separati, ma diventano come il nido riscaldato dalle ali della chioccia che cova in silenzio.

Cielo e terra vengono dallo stesso cuore, e si uniranno per consegnarci a quel cuore, materno e paterno ad un tempo, che ci desidera. Il cielo e la terra li ha scoperti, distanti l’uno dall’altra, Giacobbe nel suo sogno famoso (Gen 27,10ss). Erano distanti, ma uniti da una scala, una scala capiente, perché ospitava il movimento di salita e discesa di chissà quanti angeli. E Gesù ci ha promesso che li vedremo anche noi quegli angeli salire e scendere (Gv 1,51): nella promessa di Gesù la scala è lui stesso.

Cielo e terra sono uniti da Gesù: è lui l’abitazione di Dio Padre, ed è ancora lui la nostra dimora. Gesù porta noi terrestri nelle dimore celesti, e qui sulla terra Gesù porta giù il cielo. E lo vedremo tra poco.

  

27 Invisibili

Ci sono realtà che al primo incontro con noi cercano di mettersi in concorrenza con la nostra fede in Dio. Sono strane e indefinibili, perché sconosciute alla nostra osservazione normale e superficiale. Non sono le stelle, né gli atomi, non sono la luna, né il sole, e nemmeno le cellule del nostro organismo o quelle dei tumori, benché anche queste realtà ricoprano di misteri il giardino delle nostre conoscenze.

Ci sono realtà invisibili che attirano o mettono in fuga il cuore dell'uomo: realtà che, perché invisibili, l'uomo mette talvolta sullo stesso piano di Dio, che non vediamo. Sono gli angeli e sono i demoni: realtà invisibili. Comunque esse siano - c'è chi pretende curiosare nella loro identità - noi sappiamo che sono creature di Dio, non sono alla pari con Lui, tanto meno al di sopra di Lui.

Creatore “di tutte le cose... visibili e invisibili”: questa frase ha come autore San Paolo. Lo dice nella lettera ai Colossesi (1,16). Il Padre tiene in mano proprio tutto. Ma ci chiederemo: possono esistere cose invisibili?

  

28 Vedi l’invisibile?

Ci sono tante cose invisibili ai nostri occhi, che si possono vedere col telescopio o col microscopio. Quello elettronico ti fa vedere persino i virus, che dire che sono piccoli è poco, ma sono molto influenti negli ospedali e nelle stanze dei bottoni della società.

A cosa pensava invece San Paolo? Non occorre che glielo chiediamo, perché l’ha già scritto. Pensava a “Troni, Dominazioni, Principati e Potenze” (Col 1,16; Rm 8,38; Ef 6,12; Col 2,15; 2Pt 3,22). Peggio che peggio! Che parole misteriose! Non sono solo cose invisibili, sono per di più incomprensibili. Queste quattro parole potrebbero portarci a pensare istintivamente a ciò che sta sopra di noi per schiacciarci, opprimerci e annientarci. Al giorno d’oggi non le pronunciamo più. Al loro posto usiamo altri termini: ideologie, opinioni umane, correnti di pensiero, paure indotte, pressioni delle società multinazionali, filosofie di personaggi influenti, ecc.

Ovviamente non penserai che queste realtà opprimenti le abbia volute e create il Padre: no, non ha creato queste realtà, ma da lui vengono le leggi psicologiche e sociologiche che, se usate dagli uomini peccatori, diventano “Troni, Dominazioni, Principati e Potenze”. Intese così queste parole ci spaventano, tuttavia sono tenute in mano dal Padre. Esse spaventano perché producono grandi mali, lunghe sofferenze e infinite tragedie, ma sono come il cane legato alla catena: questa può essere accorciata. Ci penserà il Padre, al momento giusto, aiutato dalla nostra preghiera.

Non hai visto che fine hanno fatto le ideologie del secolo ventesimo? Farà questa fine anche quella ideologia che si diffonde nel secolo ventunesimo: opprime, opprimerà, farà soffrire, ma poi scomparirà. E ringrazieremo, perché sarà stata occasione di grandi testimonianze per il Signore Gesù.

  

29 Discernimento degli spiriti

L’apostolo sa che ci sono gli angeli; essi ci portano di peso alla presenza del Padre. Restano invisibili, e ci fanno leggeri e gioiosi. Sono dono dell’amore di Dio, sempre Padre.

Egli ha tanti modi per donarci e farci conoscere il suo infinito amore. “Cose invisibili”: angeli e demoni sono un mondo di cui non possediamo la chiave, un mondo che sfugge alle nostre certezze, comunque un mondo che non ci sovrasta e non potrà obbligarci né a fare il bene né a fare il male. Essi sono creature. Si mettono a nostro servizio (gli angeli) o cercano di intralciare la nostra strada (i demoni). Dio però è sopra di loro. Abbiamo spesso la tendenza a ignorare l'esistenza di questi esseri.

Vogliamo ignorare o dimenticare che siamo circondati dai messaggeri di Dio, gli angeli, e così cadiamo nella vanagloria e ci vantiamo di ciò che non è nostro.

Vogliamo ignorare l'esistenza e l'opera dei demoni, e così ce ne troviamo succubi senza volerlo, perché non abbiamo o non adoperiamo il discernimento degli spiriti.

Una delle prime cose che un credente dovrebbe imparare, e di cui invece troppo poco si occupa, è proprio il discernimento degli spiriti. Sai cos’è? Pensi a scoprire da dove viene lo spirito che muove adesso i tuoi sentimenti e i tuoi pensieri? Ti chiedi se viene dal Padre? Se viene dal suo amore? O è tale che non si può proprio dire che venga da lui? Conduce al Regno di Dio o conduce ai regni del mondo? Ti porta all’umiltà o alla superbia? Alla discordia o alla comunione?

  

30 E i satanisti?

All'antipatia diffusa contro l'ammissione dell’esistenza dei demoni contribuisce in parte anche la falsa immagine che di essi è stata diffusa: corna e unghioni, coda, forche e vampiri! Hai mai visto tu queste cose? Io no!

In realtà il demonio per lo più si presenta all'uomo “come angelo di luce” (2Cor 11,14): così ottiene la nostra fiducia e noi lo accogliamo.

Mentre oggi molti ambienti, anche cristiani, rifiutano di pensare seriamente all'esistenza del Maligno, si diffonde tra professionisti e divi della chitarra e d'altri arnesi, tra fondatori di sette, e addirittura tra società finanziarie, commerciali e industriali, l'abitudine a consacrarsi a Satana per averne vantaggi economici e di potere, di vanagloria e di sensualità. Non l’avevi mai sentito? Non hai mai visto su alcuni barattoli o confezioni qualche simbolo satanico? Lo mettono, pur cercando di mimetizzarlo per timore che tu non compri più quel prodotto.

Il mondo cerca il diavolo per sfruttarlo, e perciò si mette a sua disposizione, dato che il denaro e i piaceri sono il suo cavallo di battaglia. Egli poi però si farà pagare, e profumatamente, chiedendo la vita.

Tu, da che parte stai? “Non potete servire Dio e mammona” (Mt 6,24): è necessario scegliere. Gli angeli esistono e i demoni si danno da fare. Tu, chi chiami vicino a te? Chiami un angelo di Dio o il re delle tenebre?

  

31 Demoni e Angeli

lo credo in Dio Padre, creatore onnipotente “delle cose invisibili”. Proprio per questo, benché terribile, il Maligno non mi fa paura, perché io so di chi sono figlio. Vigilo tuttavia per non fargli posto nella mia vita nemmeno involontariamente: non gli lascio occupare il mio tempo e le mie energie, e nemmeno le mie cose e la mia casa. Sto attento a non aprirgli le porte, quindi rifiuto anche, nel modo più assoluto, sia le sedute spiritiche che gli occhi delle cartomanti e chiromanti, le mani e le polverine dei maghi, degli sciamani e degli astrologi, ricuso i movimenti dei pendolini e le menzogne degli oroscopi; non mi lascio spaventare dalle maledizioni e dai malocchi e malefici di ogni tipo, e nemmeno dalle voci dei medium negromanti (dicono di ascoltare i tuoi morti): tutte cose che - anche se fossero fatte per scherzo o per curiosità - hanno a che fare con il nemico di Dio.

Il nemico di mio Padre è nemico di tutta la mia famiglia. lo credo in Dio Padre: a Lui solo affido il mio passato e il mio futuro, alla Sua Parola, al Suo intervento. Egli manda i suoi angeli che mi custodiscono e mi aiutano a vivere da figlio suo anche nei momenti difficili della vita, anche nell’ora della morte.

Amo e godo di questi "amici": sono doni viventi di Dio! Di alcuni conosco persino il nome: Michele, Gabriele, Raffaele! Sono luci sul mio e nostro cammino, luci che ci fanno tener presente la meta della nostra vita (Michele), perché non abbiamo a smarrirci. Essi sono anche forza che ci fa rimanere nella pace e nella gioia (Gabriele). Giorno e notte ci ricordano che siamo fatti per amare con quell’amore tenero e fine che viene dal Padre misericordioso e ci accompagnano con sicurezza verso di lui (Raffaele).

Non temiamo i demoni, e amiamo gli angeli!

  

32 E le stelle?

Il mondo in cui ci troviamo è qualcosa di grande. Non è grande perché i chilometri sono piccoli per misurarlo, ma perché è grande quel Dio che l’ha creato. Ci pensavo quando un giovane laureato, capace e intelligente, spiegava a me e a un gruppo di altre persone il movimento delle grandissime piccole stelle nell’immenso spazio dell’universo. Tutti a bocca aperta. Davvero non c’erano i chilometri, ma gli anni luce per misurare la distanza tra una stella e l’altra, e i milioni erano minuscoli per contare le stelle di una galassia, e poi, chi era capace di immaginarsi una nebulosa?

Mentre eravamo a bocca aperta e qualcuno si ricordava di cominciare a ringraziare il Creatore di tutto, ecco, a sorpresa, quello scienziato spara a zero: “Per me è ovvio che Dio non esiste”.

Anch’io, come tutti quelli del gruppo, ammutolii. Cosa gli puoi dire? Io ho capito subito che non si poteva dirgli nulla. Dentro di me però ho continuato a rimuginare. E arrivai alla conclusione: è vero, quel dio che s’immagina lui, non esiste proprio, per fortuna!

  

33 Dove cerco Dio?

Quell’astronomo, mio e nostro interlocutore, non immagina che Dio è Padre, che se io sono qui vuol dire che lui non solo esiste, ma che mi ama e accoglie il mio amore.

Il mio Dio non lo cerco tra le stelle o nascosto nelle nebulose, ma lo trovo nel cuore degli uomini. Anche lui lo potrebbe trovare nel cuore di sua mamma, e nella fedeltà reciproca dei suoi genitori.

Quando i farisei e gli scribi chiedevano a Gesù un segno dal cielo, avrebbero voluto veder saltellare il sole oppure ridere e piangere la luna. Gesù ha dovuto scappare: non avevano capito nulla e non volevano riflettere.

Il mondo di Gesù è un altro, come quello in cui ci troveremo. Gesù ha fatto vedere che Dio è un Padre, che Dio è quell’amore con cui lui aveva guarito e rialzato malati, aperto gli occhi ai ciechi e la bocca ai muti, liberato indemoniati, riconciliato peccatori, e quell’amore con cui s’era fatto udire dai morti. Il Dio in cui io credo non vado a cercarlo negli spazi infiniti degli anni luce, ma nello spazio in cui i cuori si incontrano. Il mio Dio è Padre!

  

Credo in un solo Signore, Gesù Cristo

34 Padre di chi?

Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio”. Facciamo un salto? Così sembrerebbe. Invece ora vado a specificare ulteriormente il mio credere.

Credo in Dio Padre, ma appunto perché lo chiamo Padre, non t’incuriosisce? Padre di chi? Se è Padre, c’è il Figlio, o i figli, altrimenti non lo si potrebbe chiamare Padre. Il mio credere in lui s’allarga nella visione e nell’intimità col Figlio suo. Ecco allora che continuo così: “Credo in un solo Signore, Gesù Cristo”.

Il mio affidarmi al Padre viene completato quando mi appoggio pienamente al Figlio suo. È stato lui a generarlo, a mandarlo, a offrirlo agli uomini. È un uomo con nome e cognome, diremmo noi. Qui diciamo subito che è “Signore”, e che come Signore è unico.

Il termine “Signore” è il titolo con cui veniva chiamato Gesù dal lebbroso, dal centurione, da altri ancora, e poi anche dai discepoli quando lo hanno visto risorto.

  

35 Signore

Signore” è la parola con cui quelli che hanno tradotto in greco la Bibbia un paio di secoli prima che arrivasse Gesù a infastidire Erode, avevano tradotto il nome di Dio. È però lo stesso titolo con cui volevano essere chiamati gli imperatori di Roma. Poteva essere pericoloso quindi rivolgerlo a Gesù. Il lebbroso non ci perdeva nulla. Il centurione invece poteva perdere il posto di lavoro, e forse anche la testa.

Noi vogliamo chiamare così, proprio nel Credo, Gesù di Nazaret. E ci prendiamo la rivincita dicendo che è “un solo Signore”, uno solo: non lo mettiamo a fianco di nessuno, a costo di perderci. Per noi l’imperatore non ha la stessa importanza, e nemmeno i suoi funzionari, e nemmeno quelli che nell’epoca moderna si sono dati altri titoli con lo stesso significato.

Mi vieni dietro? “Signore” significa: voglio obbedire proprio a te, solo a te, e voglio obbedirti del tutto, perché devi essere tu ad avere autorità sulla mia vita, sulla mia famiglia, sulla mia nazione. Sei tu il riferimento per i miei pensieri e le mie valutazioni, anche quelle importanti.

  

36 Il Nome

Gesù Cristo” sono due parole con un ben preciso valore. Conosci già di sicuro il loro significato, ma faccio finta di parlare con uno che le sente per la prima volta. Ti offendi? Gesù è un nome di persona. Viene pronunciato in modo simile, ma anche diverso, nelle varie lingue. Nell’originale ebraico e aramaico suonava simile a Giosuè. Il significato del nome è preciso: “Dio salva”, oppure “Salvezza di Dio”. È equiparato a Emmanuele, che significa “Dio con noi”. Il suono delle parole è diverso, ma il significato è lo stesso: infatti se Dio è con noi siamo salvi, non dobbiamo temere nulla e nessuno. Come pure quando Dio ci salva, noi lo percepiamo presente in mezzo a noi o addirittura nelle nostre membra, nella nostra vita. È lui il Signore in cui credo.

Il suo nome risuona sulla terra, perché è stato dato ad un Bambino nato e vissuto come tutti i bambini, come tutti gli uomini. Si lavava, si vestiva, dormiva, si svegliava, mangiava e beveva e lavorava come tutti. Ma di lui affermiamo che era “unigenito Figlio di Dio” (Gv 3,18). È per questo che il suo nome, quando viene pronunciato, produce in noi qualcosa di particolare: qualcuno gioisce e qualcuno si innervosisce. È un nome che fa da spartiacque tra gli uomini.

  

37 Bestemmia

Una domenica dopo Messa sono entrato nel bar per salutare alcune persone. Mentre gustavo il mio caffè d’orzo e parlavo con la signora che me l’aveva offerto, si udì una lacerante bestemmia gridata ad alta voce: “Gesù…”. Non ti dico quale parola blasfema è stata aggiunta. Proprio così. Una bestemmia formulata con il Nome santo di Gesù.

Per alcuni lunghi secondi è risuonato un silenzio assordante su tutti i tavolini nella grande sala. Il nome di Gesù, anche se pronunciato in malo modo, ha prodotto un esorcismo impressionante. Tutti i discorsi sono diventati inutili e sono spariti, tutti gli spiriti presenti nel locale, quelli di vanità e di superficialità, quelli di critica e di lamentela sono fuggiti. Anche quelli di cameratismo e di scherzo, e quelli di amicizia innocua e gentile hanno ceduto il posto allo Spirito Santo.

È rimasto nell’aria il nome di Gesù, grande, unico, forte come un sole. E molti, tutti i presenti, sono rientrati in sé per notare la presenza di questa Persona, Gesù, il Figlio di Dio, nel proprio cuore.

Mi chiedo talvolta: come mai, quando parlo con i bambini riesce facile pronunciare il nome Gesù? E invece, quando si parla tra adulti, riesce molto molto difficile, tanto che sostituisco istintivamente con “Cristo”, oppure gli aggiungo un’altra specificazione, dicendo “Gesù di Nazaret” ad esempio.

  

38 Facile per i bambini

Il nome “Gesù” è speciale. San Paolo scriveva che per poterlo pronunciare devo essere mosso da Spirito Santo. Te ne sei accorto anche tu? Chissà, forse per questo lui stesso, Gesù, diceva che è necessario che diventiamo come bambini? I bambini ascoltano e pronunciano questo Nome senza difficoltà.

Perché? In essi il peccato del mondo è poco presente e non ha ancora costruito e gonfiato quell’orgoglio che, presente in noi, fa sì che riteniamo di essere autosufficienti, di non aver bisogno di Dio, anzi, di star meglio senza di lui, e reputiamo di essere adulti maturi e progrediti.

Gesù” è una parola, un nome, che diventa preghiera, cioè ci fa stare alla presenza del Padre e ci introduce nel suo cuore. Il nome Gesù è la preghiera più bella e maggiormente gradita al Padre suo e nostro. Anche per questo motivo chi normalmente non prega non lo pronuncia volentieri o non è capace di farlo. Quando tu lo ripeti, anche più volte, anche ad alta voce, ti cambia tutto, ti dona pace, ti dona sicurezza, ti rende più bello, ti incoraggia a continuare il tuo servizio, ti fa diventare malleabile e rasserena il tuo volto.

Il nome “Gesù” nel Credo è presente, ed è subito unito al titolo “Cristo”.

  

39 Consacrato

Il termine “Cristo” è rimasto tale quale come si presenta nella lingua greca del Nuovo Testamento. Esso significa unto, come nel corrispondente ebraico, Messia. Come mai unto?

Nel popolo ebraico, a cominciare da Mosè, quando qualcuno veniva consacrato, gli si versava dell’olio sul capo. Mosè stesso ha consacrato suo fratello Aronne perché fosse sacerdote di Dio. Per consacrarlo gli ha versato sul capo dell’olio.

E quando Saul e poi Davide sono stati consacrati re per il popolo, il profeta Samuele ha versato sul loro capo l’olio.

Dire ‘unto’ equivale a dire ‘consacrato’, e viceversa. Gesù è stato consacrato da Dio stesso con lo Spirito Santo. Per lui non è servito l’olio: lo raccontano gli evangelisti e lo ripete san Pietro (At 10,38). Lo Spirito Santo è sceso ed è rimasto su di lui come colomba. Egli è il nido dello Spirito Santo! Gesù stesso lo ha rivelato ai suoi paesani leggendo il profeta Isaia: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione” (Lc 4,18).

  

40 Olio sul capo

Cristo” è il termine che fa riferimento all’unzione, cioè alla consacrazione. L’olio scende sul capo, e, dice il salmo 133, cola giù sulla barba e poi sull’orlo della veste di Aronne.

Che sia per questo che bastava toccare il mantello di Gesù per guarire? La parola Cristo quindi ci fa pensare al corpo concreto, quel corpo sul quale è colato l’olio. Il nome Cristo riassume quindi l’azione del Padre verso il Figlio tramite lo Spirito Santo. È un termine che evidenzia la comunione divina delle Tre Persone, comunione concretizzata nell’Uomo di Nazaret.

Gli apostoli usano questo termine solitamente unito al nome Gesù, ma spesso lo usano anche da solo. Ti porto l’esempio di Pietro che scrive: “Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori” (1Pt 3,15), e termina la sua prima lettera così: “Pace a voi tutti che siete in Cristo!”. Siamo cioè anche noi dentro l’umanità unta, cioè consacrata di Gesù.

Lo sai poi cos’è successo? Ad Antiochia di Siria volevano prendere in giro i fedeli, detti anche santi o fratelli, come era stato preso in giro Gesù dai soldati di Pilato. Quelli a lui avevano appioppato il titolo di re per burlarsi di lui. Ed era il più bel titolo che noi usiamo invece per lodarlo e onorarlo. Noi invece…

  

41 Capo e Corpo

Noi siamo stati canzonati coll’appellativo “cristiani”, ed è la qualifica della quale poi ci siamo sempre gloriati. Questo titolo potrebbe derivare proprio da “Cristo”, per significare che appartengono a Cristo oppure che sono consacrati, come pure da un’altra parola che si scriveva un tantino diversamente, ma si pronunciava quasi allo stesso modo, e significa “mite e umile”.

Ci hanno fatto un bell’onore appioppandoci questo nome, che mette in evidenza il Signore Gesù e l’aspetto più bello della sua vita, quello per cui ci ha comandato di imitarlo. Il termine “Cristo” è quello che usa San Paolo, e di conseguenza anche noi, nell’espressione “Corpo di Cristo”, per indicare l’unione di tutti i credenti, i fratelli, i santi, cioè la Chiesa.

Non diciamo “Corpo di Gesù”: il nome “Gesù” individua la persona del Signore, nato a Betlemme, morto sulla croce, risorto e asceso al cielo. Il mistero della nostra unità di credenti, mistero realizzato dallo Spirito Santo per la gloria del Padre, fa riferimento sì a Gesù, ma al suo ministero regale, profetico e sacerdotale.

Sono cose che sembrano difficili, anche a me, non solo a te, ma le stiamo vivendo, e allora te ne parlo anche correndo il rischio di farti riflettere, e di farti rileggere le stesse cose due o tre volte. La Chiesa è “Corpo di Cristo”. Noi le membra di questo Corpo.

  

42 Corpo di Cristo

Ovviamente dire che la Chiesa è “Corpo di Cristo” è una parabola, un’immagine che ci aiuta a capire che non siamo soli come isolette, ma viviamo uniti gli uni con gli altri e la nostra unità è Gesù, il capo del Corpo, e il sangue della Nuova Alleanza che ci unisce tutti è lo Spirito Santo.

Il corpo non vive, e le sue membra non comunicano tra loro, senza il capo, ma nemmeno il capo vive senza il corpo. Come Gesù non poteva essere trovato mai da solo, ma sempre insieme ai suoi discepoli, così oggi, se lo cerchi, lo trovi con il suo Corpo.

Ti dico anche questo, che la Chiesa, “Corpo di Cristo”, si nutre, per vivere, del Pane eucaristico. Quando Gesù lo aveva distribuito aveva detto: “Questo è il mio corpo”. Anche questo perciò lo chiamiamo “Corpo di Cristo”. Esso nutre non solo la nostra santità individuale, ma anche la nostra unità spirituale. Anzi, proprio grazie a questo Pane possiamo comprendere che la santità individuale non esiste, è solo illusione. Esso è “Corpo di Cristo” per nutrire il “Corpo di Cristo”. Noi siamo sempre in comunione, e se non lo fossimo, non saremmo più “Corpo di Cristo”. La vita di Dio è comunione!

Succede anche a te quel che è successo a Matteo: quando ha cominciato a seguire Gesù si è trovato vicino a Pietro e ad Andrea. Anche se faceva fatica a starci, non poteva far diversamente: avrebbe dovuto allontanarsi da Gesù!

  

43 Figlio dell’uomo

Unigenito Figlio di Dio”. Stiamo descrivendo il nostro credere in Gesù. Chi è? Egli è l’Unigenito Figlio di Dio: così ha scritto alcune volte san Giovanni all’inizio del suo Vangelo (1,14.18; 3,16.18) e nella sua prima lettera (4,9).

San Giovanni, per parlare di Gesù Cristo, usa anche la parola Verbo, ma questa non è usata nel Simbolo. I vescovi del quarto secolo hanno ritenuto sufficiente usare la parola Figlio. Questa è maggiormente comprensibile alle persone semplici come noi e come la maggior parte dei cristiani.

Per comprendere la parola Verbo è necessaria qualche cognizione filosofica, benché non difficile, mentre per capire la parola Figlio basta essere nati. Anche se tu fossi un ragazzino, capiresti che un figlio è uno che è nato dai genitori, e che ha bisogno di loro per vivere, per crescere, per diventare adulto.

Un figlio dipende, e, per dipendere in modo sano, ubbidisce. Ubbidire è la strada maestra per imparare a vivere, infatti anch’io non ho imparato a vivere da lezioni e maestri, ma anzitutto dalla vita vissuta con i genitori. Gesù si autodefiniva per lo più “Figlio dell’uomo”: in tal modo precisava che egli era un uomo come si deve.

Egli era cioè uomo vero, come Dio Padre lo ha pensato, senza assumere nella sua umanità il peccato o l’egoismo che conduce al peccato. Vuoi vedere un uomo come dovrebbe essere? Osserva Gesù. Gesù è Figlio. Possiamo dire che per lui dire Figlio dell’uomo o dire Figlio di Dio è la stessa cosa.

  

44 Figlio ubbidiente

Figlio di Dio: ci fermiamo ancora su questa espressione. Gesù riceve il suo essere da Dio, cioè dal Padre. Dato che Dio è amore, Gesù ha ricevuto di essere amore. Proprio perché è Figlio di Dio possiamo chiamare anche lui Dio. Ma è Dio come Figlio: è tutto amore, è perfetto amore, ma amore ricevuto. Figlio infatti è dono uscito dal Padre.

Ti sembra che parlo difficile? Senti: Gesù è figlio che viene dal Padre, amore che dipende dall’amore. Egli vive in modo da essere sempre così, quindi usa anche la sua memoria e la sua volontà per essere figlio. Per questo diciamo che è ubbidiente, che impara l’ubbidienza, che non vuole fare altro che ubbidire. Molti passi del Vangelo, in particolare quello scritto da Giovanni, ci presentano l’obbedienza di Gesù: egli fa ciò che vede fare dal Padre, parla come parla il Padre, agisce come agisce il Padre.

Ricordi certamente che è detto che egli si ritirava per lunghe ore di silenzio in solitudine, e questo per ascoltare il Padre ed essergli obbediente. Quando tornava non accontentava gli uomini, perché aveva capito che la volontà del Padre era diversa. Il culmine di questa obbedienza ti stupisce: avviene nel Getsemani, quando dice: “Non la mia, ma la tua volontà sia fatta”.

Anche adesso, che lo vediamo seduto alla destra del Padre nella gloria, anche ora egli si vanta di essere Figlio, ancora obbediente. Per lui essere obbediente non è una diminuzione, anzi!

Essere obbediente è il massimo: vuol dire che è quasi identificato con la volontà d’amore del Padre. È Dio perché è obbediente. Non so se cominci a cercare anche tu di essere obbediente: sarebbe la benedizione più bella che potresti ricevere e vivere. Ti ricordi che cos’ha detto Gesù a Pietro, quando non voleva lasciarsi lavare i piedi? Gli disse: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo» (Gv 13,7).

Ubbidire anche senza capire è benedizione, che si ottiene facilmente.

  

45 Figlio e figli

Unigenito Figlio di Dio”: Unigenito? Ma non siamo forse abituati a dire, e sentir dire, che siamo tutti figli di Dio, o almeno che i battezzati sono tutti figli di Dio? Come mai il Credo ci fa smentire questa certezza?

È proprio il vangelo scritto che usa questa parola “Unigenito”. È Gesù solo che vive la pienezza e completezza dell’amore del Padre. Non dobbiamo fare confusione e adoperare il termine figlio allo stesso modo che nelle nostre famiglie. Per un certo aspetto è così, ma non del tutto.

Gli uomini hanno due, cinque, otto figli, Dio ne può generare uno solo. La Pienezza di Dio non può sminuzzarsi in tanti rivoli, spezzettarsi in modo che ci sia qualcosa di lui qui e qualcosa di lui là. Ci sarebbero figli di Dio diversi uno dall’altro e nessuno di loro sarebbe Dio in senso completo. Tu capisci che chi è generato da Dio non può essere una parte, ma dev’essere il tutto, deve vivere tutto l’amore del Padre.

E noi allora, siamo o non siamo figli di Dio? Lo siamo, ma in modo diverso. Noi restiamo figli dell’uomo peccatore e perciò possiamo portare in noi solo qualcosa di limitato, solo una parte della bellezza e grandezza dell’amore di Dio Padre.

Grazie al battesimo, che ci ha immerso anche nella vita del Figlio oltre che in quella del Padre e dello Spirito Santo, noi partecipiamo alla figliolanza unica di Gesù, e quindi alla sua obbedienza. Se lo vuoi capire proprio in profondità devi esercitarti nell’ubbidienza. Quando ubbidisci a Dio, anche se non capisci, o quando ubbidisci a chi ha l’autorità di Dio, allora partecipi alla vita del Figlio Unigenito del Padre, e lo comprendi.

  

46 Nato dal Padre

Il Credo continua: “Nato dal Padre prima di tutti i secoli”. Lo affermiamo del Figlio Unigenito. È nato, cioè uscito dall’amore del Padre. “Prima di tutti i secoli”, è quasi difficile. Che vorrà dire tutti i secoli?

Per secolo intendiamo un centinaio di anni, quindi è una nozione di tempo. Nessuno di noi vive un secolo, tranne forse io. Vorresti anche tu? Io sarei contento. Parlare di tutti i secoli ci introduce in dimensioni diverse dal solito, che superano le nostre capacità cognitive. Prima di tutti i secoli ci porta fuori della storia e anche della preistoria, prima della creazione delle stelle e dopo che esse spariranno. Per dire una cosa del genere qualcuno usa il termine eternità. Il Figlio è nato dal Padre in modi e possibilità a noi ignote, diverse da ogni nostra immaginazione.

Per capirci tra di noi, diremmo che il Figlio è Figlio da sempre, che Dio, da che è Dio, è sempre stato Padre e Figlio, e non può essere diverso. E infatti, se Dio è amore, egli è fatto in modo che continua a donarsi, e il dono che viene da lui riceve se stesso come amato e amante, e sono un tutt’uno, ovviamente amando. Dio è relazione, dice chi sa parlare da erudito. Io dico: Dio Padre continua a cercarmi come un papà, e così il Figlio Gesù, che è uguale al Padre. Non è mai esistito un Dio senza amore, un Dio che non fosse Padre e Figlio. Anche quando non c’erano ancora gli uomini sulla terra, Dio era così, per aspettarli. E quando non lo conoscevano, non poteva essere che così. Anche quando io non lo conoscevo era già così.

  

47 Sono distratto

Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero”. Questi sono i titoli che rivolgiamo al Figlio, titoli che appartengono già al Padre.

Il Padre è Dio, è Luce, è Dio vero. Il Figlio nasce da lui, è nato e continua a nascere. Noi lo amiamo con tutto il cuore e con tutte le forze come Dio.

Lo contempliamo con gioia e riconoscenza come Luce che illumina tutto ciò che i nostri occhi osservano e tutto ciò che la nostra mente riesce a considerare.

Lo riconosciamo fonte della verità, della verità della vita e di ogni evento: senza di lui ogni cosa risulta menzognera.

Molte volte, quando recito il Credo, non faccio caso a queste parole, o perché sono distratto, o perché sono superficiale. Avrai pietà di me! E forse mi fai compagnia. Adesso che cerco di capire per spiegare a te, adesso queste parole mi paiono molto belle e luminose. Mi piacerebbe ripeterle lentamente, anzi, soffermandomi su di esse.

Chissà come gode il Padre e come si rallegra il Figlio quando queste parole escono, non dalla mia bocca, ma dal mio cuore! Sono affermazioni che traducono la mia sorpresa. Vedo il Padre accompagnato sempre dal Figlio, sia nella creazione, sia nel suo amore rivolto alle creature e quindi anche a me e a tutta la Chiesa. Vedo il Padre che raddoppia la sua Luce, per cui vediamo ogni cosa illuminata sia da lui che dal Figlio: e così in ogni realtà e in ogni fatto vediamo aspetti diversi: possiamo vedere tutto tridimensionale! E infine non vado in cerca di altre divinità, perché la verità la trovo tutta, fronte e retro, nel Padre e nel Figlio.

  

48 Insistenze

“Generato, non creato, della stessa sostanza del Padre”. Frase complicata! È necessario comprendere la differenza tra una parola e l’altra.

Con generare noi intendiamo il venire alla luce di un uomo dalla vita, dalla carne, dall’essere di altri uomini. Un uomo è generato da uomini, un animale dalla sua specie animale. Dire che il Figlio di Dio è generato da Dio significa che riceve vita da lui, e riceve la sua stessa vita, non diversa. Ciò viene sottolineato dalla negazione: non creato, cioè non è qualcosa di diverso da Dio. È un’insistenza inutile? Potrebbe essere, a meno che non circolino eresie, come circolavano ai tempi in cui è stato scritto il Simbolo. Ma sono presenti ancora, purtroppo senza che ce ne accorgiamo, anche in certi nostri modi di dire o di fare.

Chi diceva che il Figlio di Dio era soltanto uomo, diceva che era stato creato. In tal modo Dio stesso risultava non essere amore che si dona!

Noi vogliamo almeno tentare di comprendere come Dio comprende, e, naturalmente, essere riconoscenti per quel poco che ci è dato capire.

L’altra espressione “della stessa sostanza del Padre” ripete la stessa cosa per chi non avesse badato o non avesse voluto recepire: il Figlio è amore come il Padre, Dio come il Padre, luce come il Padre, Dio vero come il Padre!

Queste insistenze e ripetizioni non sono inutili, anzi. Impariamo ad amare Gesù, a stimarlo, ad ascoltarlo seriamente, ad ubbidirgli senza dubitare.

  

49 Creature eloquenti

“Per mezzo di lui tutte le cose sono state create”. Ho già avuto occasione di dirlo: quando Dio ha creato il cielo e la terra non aveva a disposizione nulla, tranne il proprio amore donato, chiamato Figlio! “Per mezzo di lui” hanno avuto origine le creature che vediamo e anche quelle che non vediamo. Tutto perciò porta la sua impronta, come scrive la lettera agli Ebrei: “Questo Figlio è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza e sostiene tutto con la sua parola potente” (Eb 1,3). Egli stesso ci ha aiutato e ci aiuta a scoprirlo.

Quando dice per esempio: Io sono il pane vivo, Io sono la via, Io sono il buon pastore, Io sono la luce, Io sono la vite, ecc., ci aiuta a guardarci attorno per notare la sua presenza che può servirsi di tutto per farsi conoscere e per amare.

Ci fa scoprire che tutte le creature sono dono dell’amore e della sapienza del Padre, come lo è lui stesso.

Quando tu riesci a vedere l’impronta del Figlio di Dio in una realtà creata, il tuo cuore si dilata e tu vieni colto dalla gioia vera. Non solo, se tu questo riesci a dirlo anche a me, aumenti anche la mia gioia o me la fai venire, se solo mi trovi assediato dalla tristezza.

San Paolo dice addirittura non solo che “Tutte le cose sono state create per mezzo di lui” ma aggiunge anche “e in vista di lui” (Col 1,16). Le creature sono complete quando possono parlare del Figlio di Dio, quando lo manifestano, quando ne sono tramite.

Lo faccio io talvolta, ma lo propongo anche a te: quando fai una passeggiata da solo, osserva le piccole e le grandi bellezze e interrogale: “Tu foglia, tu fiore, tu albero, tu pietra, tu farfalla, tu uccellino, tu formica, dimmi qualcosa del Figlio di Dio e mio Signore”! Vedrai che dopo un po’ ti parlano e ti fanno scoprire bellezze profonde non solo del creato ma anche del Creatore.

  

50 Discendere

Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo”, così continua il nostro Simbolo. Di solito queste parole le comprendiamo facilmente, o almeno facilmente crediamo di capirle. Ma… sarà vero?

Cosa intendi dicendo “discese dal cielo”? E dicendo “nostra salvezza” che cosa immagini? Dovrei dirtelo io adesso. Ci provo?

È disceso dal cielo il Figlio. La parola disceso farebbe pensare ad una scala, oppure ad una strada in discesa. È chiaro che dobbiamo cercare di interpretare, perché ci tocca usare termini presi da questo mondo per dire cose dell’altro Mondo. Se il cielo lo immaginiamo in alto, per venire qui dove siamo noi si scende.

Ciò che dobbiamo capire è questo: adesso il Figlio di Dio è con noi, in mezzo a noi, dove siamo noi, nel nostro mondo. E perché mai è venuto a stare con noi, che siamo peccatori, cioè ribelli, infidi e quindi pericolosi? Potremmo pensare che lui ci rimette a stare con noi, ma Egli non ritenne un privilegio essere come Dio, anzi, pur di stare con noi “svuotò se stesso” umiliandosi e accettando rifiuti indicibili “fino alla morte e a una morte di croce” (Fil 2,6-8).

La risposta è nelle parole “Per noi uomini e per la nostra salvezza”. Egli decide di stare con noi perché conviene a noi. Lui è mosso solo dall’amore, soltanto amore. Lui sa, come sappiamo noi, che amare costa sempre. Ci ama, e siccome noi abbiamo bisogno di salvezza, per salvarci viene.

Che salvezza è quella di cui abbiamo bisogno? Lo immagini? Come sono e come stanno gli uomini? Descriverlo con poche parole è impossibile. Gli uomini infatti sono in guerra, sempre in guerra, con se stessi, gli uni con gli altri, e si armano anche per far guerra a Dio. Ovviamente questa guerra li fa soffrire. Perché conoscano la gioia devono essere salvati.

  

51 Salvezza?

La parola salvezza è una delle tante parole cui noi diamo molteplici significati. Tutto dipende da che cosa stiamo pensando o vivendo.

Chi pensa che su questa terra tutto finisce, attribuisce a questa parola contenuti materiali: essere salvati dalla fame, dalla malattia, dalla mancanza di lavoro, dall’inimicizia di qualcuno particolarmente violento, da un incidente, dal pericolo di una guerra o dalle conseguenze di un terremoto, e così via. Non è cosa da poco essere salvati dalle calamità naturali o dagli incidenti o dall’ira di parenti o di estranei.

Nel Credo, dicendo “per la nostra salvezza”, dato che lo diciamo per tutti - nostra infatti deve riferirsi a tutti noi uomini - intendiamo una salvezza di altro genere. Noi tutti, uomini discendenti di Adamo, siamo nel peccato, viviamo immersi nel peccato del mondo, in quella ribellione e quindi inimicizia verso Dio, che ci accomuna. È questo peccato e questa nostra immersione in esso che genera anche tutte le altre situazioni cui ho accennato, dalle quali pure desideriamo ciascuno di noi essere tolti. La situazione di peccatori ha annebbiato i nostri occhi tanto che non riusciamo a vedere Dio, e quindi amarlo, così come merita. Ma anche non fossimo peccatori e fossimo come Adamo prima del peccato, non conosceremmo il Padre come lo ha conosciuto Gesù, né prima né dopo la sua Risurrezione. Abbiamo bisogno di una Luce nuova. “Per la nostra salvezza” è il motivo che ha invogliato il Figlio di Dio a “discendere” dalla gloria, dalla posizione di eternità per entrare nel tempo e farsi vicino a noi per darci conoscenza, luce, liberazione dal male e capacità di amare. Per “discendere” non si è però allontanato dall’amore, che è la “sostanza” del suo essere come il Padre, anzi, proprio perché è amore è arrivato a questo punto.

  

52 Sono io che mi salvo?

La parola “salvezza” viene usata anche dai seguaci delle religioni concepite dagli uomini.

Mi pare che i musulmani non lo usino, perché secondo loro Dio pensa a tutto, e tutto ciò che avviene, in bene e in male, è opera sua: “come Dio vuole”, è l’espressione usuale sulle loro labbra. In questo modo di vedere per essi non avrebbe senso parlare di salvezza, perché nessuno ostacolerebbe i progetti di Dio, qualora ne avesse.

Induisti e buddisti invece usano sì il termine “salvezza”, ma intendono “il distacco dal mondo materiale e dal dolore per raggiungere il Nirvana”. È una salvezza che ognuno si procura da sé con i propri sforzi e con i propri esercizi fisici o mentali. Non esiste per loro né necessità né possibilità di un salvatore.

Per il taoismo la salvezza è la conoscenza di sé e la capacità di governarsi. Nemmeno essi pensano ad un salvatore.

Queste religioni orientali non si rivolgono a Dio: infatti nemmeno ne conoscono l’esistenza, tanto meno l’amore. La salvezza per loro non è quindi la rimozione degli ostacoli che ci impedirebbero di unirci al Padre.

Per noi è inconcepibile salvarsi da sé. Io capisco la cosa così come ho udito da molti: quando uno cade nel pozzo, deve esser salvato da un altro che sia fuori e lo tiri su. O se viene trascinato dalla corrente del fiume dev’essere salvato da uno che gli getta una corda o un altro… salvagente. Se siamo nelle tenebre qualcuno ci deve raggiungere con una fonte di luce.

Noi sappiamo di essere nel buio e nel peccato, in una situazione nella quale ogni nostro tentativo ci farebbe sprofondare di più. Abbiamo bisogno quindi di un salvatore che sia fuori della nostra ignoranza o fuori del peccato che ci rovina.

La parola salvezza e salvatore si equivalgono: non posso pensare alla salvezza senza tendere la mano a un salvatore che sta fuori della misera situazione in cui io mi trovo.

  

53 Ginocchia sbucciate

Probabilmente sei entrato anche tu nella casa di Zaccheo a Gerico dietro a Gesù. Quell’uomo si era un po’ sbucciato le ginocchia e forse i gomiti ad arrampicarsi sul sicomoro, ma adesso è contento come una pasqua. Sai perché? Lo ha detto Gesù il perché: la salvezza è entrata nella sua casa (Lc 19,9).

Era entrato lui, Gesù, nella casa, tanto che nel cuore di Zaccheo è arrivata la gioia e la luce, e grazie a questa luce egli ha visto la sporcizia presente. Grazie all’incontro con Gesù ha avuto anche la forza di far pulizia: sono spariti gli egoismi che producevano avarizia, avidità, e persino frodi e furti. Grazie a Gesù ha conosciuto la volontà d’amore di Dio, ha visto come le sue proprietà potevano divenire strumento di compassione per i poveri, ha compreso come lui stesso poteva vivere in un modo del tutto nuovo. Il Salvatore è stato salvezza, interiore sì, ma manifestata ampiamente all’esterno. La sua salvezza consiste nel fatto che l’ignoranza e gli egoismi con i loro frutti hanno ceduto il posto a Gesù, il salvatore.

Altre volte Gesù diceva: “La tua fede ti ha salvato”. Lo ha detto al samaritano, uno dei dieci lebbrosi guariti. Erano stati guariti tutti e dieci, ma lui solo è stato salvato, perché ha avuto una fede vera, diversa dagli altri. Gli altri avevano avuto solo una fede interessata, in vista della guarigione. Il samaritano ha avuto una fede in vista della gloria di Dio, una fede che lo ha unito a Gesù. È salvato (Lc 17,19), è entrato nelle dimensioni nuove della vita santa ed eterna del Figlio.

Di salvezza aveva parlato anche Zaccaria, padre di Giovanni Battista, quando gli è nato il figlio. Si riferiva a Gesù, la cui venuta era preparata dal suo bambino “per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza nella remissione dei suoi peccati” (Lc 1,77). Anche a Giuseppe nel sogno è stato rivelato: “Egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt 1,21).

La salvezza tocca le radici della nostra vita: siamo stati rovinati dal peccato, adesso abbiamo bisogno che qualcuno ce ne liberi, e questi è Gesù, il Figlio, che dal momento che è con noi è pure il Salvatore. Salvandoci dal peccato egli ci mette in grado di conoscere la nostra grandezza di figli di Dio, lo splendore del suo Volto, la bellezza della sua volontà di farci partecipi della risurrezione di Gesù dai morti.

  

54 Aprire la bocca

Mi fermo ancora a considerare la parola salvezza, perché la usiamo molte volte sia nelle preghiere che nelle catechesi e nei discorsi sulla nostra fede oltre che nei nostri desideri.

C’è un passo nella lettera di San Paolo ai Romani che mi ha spesso incuriosito e anche appagato. Sono queste parole: “Se con la tua bocca proclamerai: «Gesù è il Signore!», e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo. Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia, e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza” (Rm 10,10).

Mi chiedo: come mai l’apostolo dice che avrà salvezza chi fa “la professione di fede con la bocca”? Per capire, sono stato attento a ciò che succede a me e anche ad altri. Ho notato che quando mi manifesto come cristiano, anzi, dichiaro agli altri che credo e mi affido a Gesù, subito dopo, in quello stesso ambiente, ho più coraggio ad essergli fedele. Se la mia identità interiore invece rimane nascosta, faccio più fatica a compiere gesti di fede e di amore disinteressato.

Fa’ attenzione anche tu: quando vai in pizzeria, se prima di prendere in mano la forchetta fai il segno di croce, dopo hai più coraggio a dissentire se senti discorsi osceni o parole che sanno di bestemmia. E avrai gioia soprattutto a parlare del tuo Signore, che dà senso alla tua vita.

Essere salvo significa in questo caso non essere condizionato dagli altri, essere libero di seguire le ispirazioni interiori per testimoniare l’amore di Gesù. In questo senso salvezza non ti porta a pensare al paradiso dopo la morte, ma a trasformare questa terra in paradiso dove abita Gesù!

  

55 Salvezza o Salvatore?

Avrai udito anche tu un detto dei santi padri della Chiesa, detto oggi contestato da chi vuol sempre saperne di più: Extra Ecclesiam nulla salus, che pressappoco si traduce: Al di fuori della Chiesa non sussiste alcun tipo di salvezza.

Abbiamo visto che la parola salvezza può esprimere vari significati, perché l’uomo non conosce se stesso come figlio di Dio, non ha luce né conoscenza della potenza di Dio che fa risorgere Cristo dai morti, ed ha molte tentazioni che inducono al peccato, alla ribellione, e si trova in costante pericolo dell’anima, dello spirito e anche del corpo, ed è sempre influenzato dagli inganni del pensiero mondano.

Non dimentico, e non dimenticarlo nemmeno tu, che non può esserci salvezza senza Salvatore, dato che nessuno si salva da sé: se ci fosse questa possibilità non si parlerebbe di salvezza. Ora il Salvatore mandato da Dio Padre è Gesù, come dice il suo nome e come hanno detto persino i Samaritani (Gv 4,42). E Gesù è il Capo della Chiesa: lui si serve di essa per annunciare il Vangelo a tutti i popoli, per esercitare il potere sui demoni (Mc 3,15; 16,16) e per perdonare i peccati (Gv 20,23; Lc 24,47).

La Chiesa è il Corpo di Cristo: dire perciò che senza la Chiesa non c’è salvezza equivale a dire che, quando vorrai incontrare Gesù, il Salvatore, dovrai avvicinarti alla Chiesa che ti dona i sacramenti della sua presenza salvifica. Con il battesimo, chiamato anche illuminazione, essa ti immerge nella santità di Dio e ti fa conoscere la triplice sua presenza di amore. Con la Confermazione ti consacra unendoti alla missione di Cristo. Con l’Eucaristia ti fa membro del Corpo di Cristo eliminando da te ogni peccato.

Se vorrai godere del Figlio di Dio dovrai essere nella Chiesa, dovrai cioè essere unito a lui come il tralcio alla vite: ogni tralcio nella vite si trova infatti unito agli altri tralci. Quando c’è pericolo d’essere azzannato dai lupi, per esserne protetto, dovrai far parte del Gregge custodito dal Pastore, dovrai cioè essere nella Chiesa. Se ti isolerai o ti allontanerai dal Gregge, da solo o in gruppo, costringerai il Pastore a venirti a cercare, ed egli non potrà far altro che riportarti insieme alle altre sue pecore.

Se vorrai diventare pane per l’umanità, dovrai essere macinato con gli altri grani, la tua farina dovrà mescolarsi con la loro farina per essere impastata con lo stesso lievito e cotto insieme. Vedi come la Chiesa è necessaria alla tua missione di cristiano nel mondo?

Al di fuori della Chiesa ti troverai solo, in balia di te stesso o di qualcuno che se ne approfitta di te, sarai fuori delle mani e del cuore del Signore: non godrai di salvezza e non collaborerai a salvare il mondo.

Extra Ecclesiam nulla salus equivale a dire che senza la concretezza del Corpo di Cristo saresti perduto.

  

56 Saranno dannati?

So che ti è sorto un dubbio ancora a proposito di Extra Ecclesiam nulla salus. La perplessità è questa: che dire allora dei confuciani, degli induisti, degli atei, di chi non fa parte della Chiesa? Saranno tutti dannati?

Anzitutto non ti agitare: queste persone ci sono sempre state prima che Gesù fondasse la Chiesa, e ci sono ancora oggi là dov’essa non è arrivata. Essi ricevono l’amore del Padre da sempre, da quando le ha create. È per loro che egli ha mandato Gesù, ed è a loro che Gesù pensava quando chiamava i discepoli e mandava gli apostoli in tutto il mondo a tutti i popoli. La Chiesa è perciò strumento di salvezza per tutti e tutti sono chiamati e destinati ad essere raccolti nella sua unità per ricevere e donare benedizione.

Gesù poi non ha mai detto che dovremo essere noi a sederci per separare i pesci buoni da quelli cattivi, e nemmeno a scegliere la zizzania dal buon grano: per questo lavoro saranno incaricati gli angeli (Mt 13,41), che sapranno usare la sapienza e la bontà e la misericordia del Padre. Ma questi popoli, fin che vivono in questo mondo, non godono la salvezza dalla tenebra in cui è immersa l’umanità intera: sono come Zaccheo prima del suo incontro con Gesù.

La frase Extra Ecclesiam nulla salus impegna la Chiesa a vivere il mandato del Signore: Andate e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli… (Mt 28,19). Chi vuol cancellare il valore salvifico della Chiesa, la separa dal suo Capo, e poi riesce ad esimersi dall’impegno missionario e dalla fatica della testimonianza, che comporta distinguersi dal mondo e soffrire il martirio.

E devi ricordare che alla fine dei tempi anche i buddisti e i musulmani e gli agnostici e tutti gli altri si presenteranno davanti al Re che giudicherà gli uomini di tutti i popoli, e quindi di tutte le religioni, in base alla compassione che avranno o non avranno esercitato verso di lui anche senza saperlo: Avevo fame e mi avete dato da mangiare… Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me (Mt 25,35.40)! Chissà che proprio essi non passino avanti a me e a te nel regno dei cieli! Così fosse, sarei contento per loro, ma non finirei mai di battermi il petto a testa bassa, sperando però sempre in Gesù, disceso dal cielo per la nostra salvezza!

Questa rivelazione di Gesù mi dice pure che la compassione per le sofferenze degli altri è vera conoscenza di Dio, è superamento del peccato, è vera e profonda unione col Figlio di Dio, che si è continuamente lasciato muovere a compassione dall’ignoranza, dal peccato, dalla malattia e dalla sofferenza degli uomini. Questa compassione è pure esperienza di salvezza.

  

57 Fonte di salvezza

Nella Messa, dopo l’offertorio, si recita un ringraziamento solenne detto Prefazio. Come dice la parola, è una introduzione alla Eucaristia vera e propria. Il più delle volte inizia così: È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza rendere grazie sempre

Hai capito? È fonte di salvezza rendere grazie! Anche qui si parla di salvezza, e se ne parla come di qualcosa che conosciamo e desideriamo.

Un pochino adesso sai anche tu e sperimenti di essere salvato. Qui diciamo pure che otteniamo facilmente la salvezza, semplicemente rendendo grazie al Padre! Da qualche tempo faccio caso a questa preghiera antichissima. Chi l’avrà scritta? Si vede che molti si sono accorti che vivere ringraziando fa bene, e fa bene spiritualmente. Infatti, chi ringrazia vive un rapporto particolarmente bello con colui che riceve il grazie. Chi ringrazia il Padre, lo conosce davvero come papà, come uno che sa amare, come uno con cui è bello vivere insieme, come uno che si desidera incontrare.

Chi ringrazia quindi è vicino al cuore di Dio, e perciò è salvo, non gli manca nulla alla santità piena. Dal ringraziare scaturisce la salvezza vissuta. È il dono che domandiamo al Padre in ogni preghiera eucaristica, come ad esempio nella terza, quando diciamo: “Ti preghiamo, Padre: questo sacrificio della nostra riconciliazione doni pace e salvezza al mondo intero”. Desideriamo la salvezza, per essere sale e luce nel mondo, per essere santificati o divinizzati: facciamo quindi quel che ci è possibile per ottenerla, ringraziando continuamente, come del resto ci esorta San Paolo: “In ogni cosa rendete grazie” (1Ts 5,16).

  

57 bis

Mi accorgo adesso d’essermi dilungato sulla parola salvezza. Lo meritava però, perché questa parola esprime tutto ciò che ha fatto e sta facendo il Salvatore! Essa ci fa ricordare i vari aspetti dell’amore del Padre che gustiamo tramite il Figlio e a cui partecipiamo per opera dello Spirito Santo. Sono aspetti che non si possono separare, ma solo distinguere: essi si appoggiano l’uno sull’altro e si completano a vicenda. Salvezza è la santificazione o divinizzazione che ci viene elargita senza nostro merito, solo perché crediamo in Gesù. Grazie a questo dono ci troviamo giustificati, messi cioè al posto di figli di Dio. I peccati poi spariscono, come al ladrone in croce, anzi, riceviamo anche il dono di pentircene e di chiederne il perdono, come il figlio prodigo. Salvezza è il perdono e la liberazione che ne consegue, e anche la gioia per l’abbraccio del Padre e pure la luce nuova che illumina il nostro volto e che permette di vedere la strada sotto i nostri piedi. Con questa illuminazione possiamo conoscere Dio come è veramente, cioè Padre di Gesù e nostro. Salvezza è poterlo adorare in spirito e verità. E salvezza è pure la gioia del cuore che ci apre gli occhi a vedere le sofferenze dei fratelli per averne compassione manifestando loro il volto del Dio dell’amore e della pace. Tutto questo e altro ancora, quello che scoprirai tu, lo diciamo con una parola sola, salvezza!

Cantando il cantico di Maria ripetiamo sempre la sua espressione di gioia: “Il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore” (Lc 1,47). Anche Maria è stata salvata? Certamente, è lei che ci dice che Dio è per lei Salvatore! In che consiste per lei la salvezza? Ella è piena di grazia (Lc 1,28) e quindi senza peccato. Ha conosciuto la grandezza di Dio, ha ricevuto il suo amore e col suo amore ha collaborato con una partecipazione unica alla vita del Figlio di Dio. In lei, nel posto che negli altri uomini è occupato dall’orgoglio che li attanaglia e ne oscura la vista, ha preso posto l’umiltà più bella e attraente, quella del sapersi nelle mani di Dio che ama tutti gli uomini, del Dio che ha compassione degli oppressi, dei poveri e degli affamati. Noi, che da secoli fermiamo l’attenzione sul peccato, la chiamiamo “Immacolata”, come del resto lei stessa si è definita apparendo a Bernardetta. Ciò significa che in vista dei meriti di Cristo è stata salvata¸ preservata da ogni macchia della colpa di origine e dalla possibilità di peccare e non possiamo perciò vedere macchie nella sua vita. I nostri fratelli d’Oriente, cresciuti con altre sensibilità spirituali, la chiamano “Tuttasanta”, vedendo la sua salvezza come la luce della sua partecipazione alla gloria del Figlio, al trionfo del suo amore. Questi due titoli sono poggiati l’uno sull’altro, si completano a vicenda e descrivono la salvezza di cui lei gode per pura grazia. Con lei, e da lei istruiti e sostenuti, canteremo anche noi con maggior consapevolezza: “Il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore”. Lo canteremo come fossero parole nostre, non solo perché siamo salvati dal peccato che ci ha macchiati, ma anche perché siamo salvati essendo santificati e trasformati. E man mano che cresce la nostra partecipazione alla vita di Gesù risorto, avverrà e si manifesterà il perfezionamento della nostra santificazione, o divinizzazione.

  

58 Risposta di Gabriele

“E per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo”. Il Figlio si è incarnato: s’è fatto uomo assumendo carne umana. Il che significa che la pienezza dell’amore del Padre è presente dentro un uomo in carne ed ossa. Non andremo più perciò nell’arcano di un cielo misterioso a vedere o incontrare Dio: lo troveremo qui sulla nostra terra, e lo troveremo con un volto d’uomo.

Chi l’aveva scoperto non andava più nemmeno nel tempio di Gerusalemme, checché ne dicessero i sommi sacerdoti che lì si divertivano a comandare. Com’è potuto avvenire? Può essere possibile? Rispondiamo a queste legittime domande con le parole che l’angelo Gabriele rivolse a Maria. È stata lei infatti la prima a esporre questo dubbio tutto umano: “Come avverrà questo …?”. Al che Gabriele replicò: “Lo Spirito Santo scenderà su di te” (Lc 1,34-35).È per opera dello Spirito Santo”, cioè di Dio stesso, del suo stesso amore infinito, che ha potuto avvenire un prodigio simile, mai immaginato dagli uomini. E questo prodigio avviene nel segreto di un grembo materno, quello di una donna concreta, una donna giovane che non ha mai incontrato un uomo. Tu l’avresti immaginato?

Di solito gli uomini questo mistero lo ritengono tanto impossibile, che non l’accettano. È necessaria la fede. Quando adoperi la fede vedi che non solo è possibile, ma addirittura auspicabile e necessario. Quell’uomo che nasce bambino da una vergine lo potrai chiamare Dio, anzi “Dio con noi”. Un uomo tra gli uomini è il vero Dio, la verità di Dio, la presenza visibile di tutto l’amore del Padre.

  

59 Capire?

Si è fatto uomo”: è un mistero da ammirare, da amare, da cantare, prima ancora che da capire. Invece di capirlo lo godi, lo vivi, lo accogli. La mente dell’uomo, impregnata con il frutto del peccato di Adamo, vorrebbe capire, spiegare, interpretare. Questa mente rimane sempre sospesa, incerta, dubbiosa o confusa. Dato che il tutto è avvenuto “per opera dello Spirito Santo, non sarà possibile spiegare e comprendere se non “per opera dello Spirito Santo”!

Prima di tutto accogliamo quindi l’amore del Padre per gli uomini e ci affidiamo all’imperscrutabilità di questo amore.

Poi, quando lui stesso vorrà, capiremo. Sarà necessaria l’umiltà, quell’umiltà che ti rende piccolo e semplice. Dio infatti i suoi misteri li rivela a questo tipo di persone. Ti pare di essere una di loro? Allora hai speranza, anzi, forse hai già cominciato a comprendere.

Dal momento che il Figlio di Dio “si è fatto uomo”, egli è ora debole, fragile, sensibile. Egli è già avviato sulla strada della morte, come ogni uomo; egli sperimenta quindi la fatica, come pure le gioie di chi ama e di chi è amato.

I sentimenti che hanno fatto godere me o che mi hanno fatto sospirare, che mi hanno impaurito o rallegrato, questi sono anche i suoi. Anche i disappunti e le irritazioni lo hanno toccato e sono apparsi sul suo volto. E persino le lacrime.

Quando proferiamo queste parole del Credo durante la Messa, se non siamo sbadati, chiniamo il capo. Atto di umiltà, di adorazione, che sottolinea la verità e l’importanza del mistero dell’Incarnazione. Ne sei consapevole?

  

60 Concretezza di Dio

Nel seno della Vergine Maria”: nel Credo questo è l’unico nome umano presente, a parte quello di Ponzio Pilato.

A che cosa servono i nomi degli uomini? Stiamo esprimendo la nostra fede in Dio, cosa c’entrano gli uomini con la loro piccolezza e poca durata? Ci rassodano nella certezza che il nostro Dio non è un’idea, che lui è Potenza d’amore che agisce nella nostra storia, e agisce addirittura in modo da adoperare qualcuno di noi, o tutti noi, per compiere o completare i suoi progetti. Dio non è astratto, è molto concreto.

La nostra storia gli interessa, infatti è attraverso di essa che lui può manifestarsi e agire. Maria è vergine, quando Dio la interpella. E Dio attende e adopera la sua disponibilità, anzi, gode di poterle dare spiegazioni, purché risponda e partecipi con libertà e consapevolezza.

Nel Credo non ci effondiamo in sdolcinature devozionali verso la Vergine Madre: lei è qui per testimoniare la concretezza dell’amore del Padre e della presenza del Figlio, è qui per dirci che l’azione dello Spirito può cambiare la vita dell’uomo, come l’ha cambiata a lei.

Dal momento che lo Spirito Santo è sceso e “la potenza dell’Altissimo” l’ha coperta “con la sua ombra” (Lc 1,35), lei non è più vissuta per i propri scopi o ideali, ma ha cominciato a spendersi per il Figlio, a perdere la vita per lui, a cercare la sua gloria. E questo non con tanta poesia, ma con tutta la prosaicità dei pannolini da lavare. Per questo Maria è grande, anzi grandissima, partecipe della grandezza di Dio stesso. È per questo che la amiamo, fieri di poterla chiamare nostra Madre, come il Figlio stesso ha indicato dalla sua croce.

  

61 Il morto mangia

“Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto”. Mi pare interessante il fatto che dopo la nascita del Figlio di Dio si passi subito a ricordare la sua morte.

Mi chiedo, talvolta, perché nel Credo non ricordiamo i miracoli compiuti da Gesù? Nemmeno quello della moltiplicazione dei pani e dei pesci, né quello del suo camminare sull’acqua, e neanche la liberazione dei due indemoniati furibondi, né la guarigione dell’uomo nato cieco e costretto a fare il mendicante per tutta la vita. Quel che più mi stupisce è che nemmeno ricordiamo il fatto che ha ribaltato le idee a Marta e Maria, che si sono riviste in casa, seduto a tavola, il fratello Lazzaro, da esse stesse sepolto quattro giorni prima. Lo sai tu perché? Io no.

Posso solo immaginare che i vescovi che hanno steso il Simbolo della fede abbiano voluto mantenerlo il più breve possibile per facilitare la memoria degli smemorati come me. O forse perché per i miracoli non si è convertito quasi nessuno. Del resto, il miracolo più grande, è quello che ricordiamo adesso.

Non è un miracolo come intendiamo di solito, ma un atto di amore così grande, che più grande non c’è mai stato né ci sarà. “Fu crocifisso”, lo diciamo così, senza aggiunte e senza nostre valutazioni.

Non sappiamo cosa significa essere crocifisso, perché non abbiamo mai provato. È la condanna riservata agli schiavi. È essere considerato escluso da tutti, anche dal proprio popolo. E poi è essere torturato in tutti i muscoli, in tutte le ossa e in tutti i nervi. Ebbene, lui, il Figlio di Dio, fu crocifisso.

  

62 Ponzio Pilato

“Per noi”: per noi può significare ‘a nostro favore’, oppure ‘a causa nostra’ o anche ‘al nostro posto’.

È importante questo per noi, perché dà un valore diverso al fu crocifisso, gli dà il valore di una vita donata per amore. Gesù in croce infatti noi lo vediamo nell’atto di compiere l’amore più grande. È per questo che non ci vergogniamo di lui, né della sua nudità, né della sua sofferenza, né del suo morire come fosse grande malfattore.

“Per noi” significa che noi, cioè io e tu, gli siamo debitori. Gli siamo debitori non di qualcosa, ma di tutta la sua vita, che è stata spesa per noi. Fu crocifisso a causa nostra: il peccato, che è presente nell’umanità, ha realizzato la crocifissione di Gesù, come pure quella di tutti gli oppressi. Il peccato non lo ha risparmiato.

Dire ‘il peccato’ significa dire l’invidia, l’odio, l’avidità, l’ira, l’accidia, la superbia, la ricerca del piacere, e poi ancora chissà quante strade trova questo peccato per manifestarsi e per agire.

Diciamo poi senza peli sulla lingua “sotto Ponzio Pilato”. È un riferimento oggettivo alla storia. Non esprimiamo un giudizio contro quest’uomo, perché non è peccatore più degli altri, e nemmeno più di me. Lo diciamo per dire quando l’atto d’amore di Gesù è avvenuto. Il suo è stato un amore concreto: c’è chi l’ha visto, e si sa in quali anni è avvenuto: tra il 26 e il 36 della nostra era. Questo è il tempo in cui Ponzio Pilato è stato governatore della Giudea.

La nostra fede non si appoggia su idee di uomini illustri o saggi, ma su fatti. Qui sta la diversità da tutte le altre religioni diffuse nel mondo.

  

63 Fandonie

Morì e fu sepolto”. La sua morte è stata verificata.

Il centurione ha dovuto riferirlo a Pilato, e i sommi sacerdoti hanno voluto assicurarsi che la loro decisione fosse eseguita fino alla fine.

Il soldato che ha usato la lancia era sicuro d’avergli trafitto il cuore, altrimenti non sarebbero usciti sangue e acqua. Altrimenti gli avrebbe spezzato le gambe, come agli altri due.

La sepoltura è avvenuta ad opera di amici suoi, ma erano presenti i nemici per sigillare la pietra che chiuse il sepolcro.

Lungo i secoli sono state diffuse fandonie strampalate per dire che Gesù è stato sostituito da un sosia oppure che non è morto sulla croce. T’immagini che i soldati romani si siano lasciati sorpassare da altri in crudeltà? O che si siano lasciati abbindolare? Che abbiano messo in croce uno che non era stato da loro prima flagellato? O che l’invidia e la gelosia dei capi fosse stata tanto distratta? O che i suoi discepoli e amici non si sarebbero accorti e avrebbero pianto per niente?

Fu sepolto”: sappiamo persino quali profumi sono stati usati per lui, cioè per il suo corpo. Il proprietario del sepolcro ha un nome ben preciso: Giuseppe d’Arimatea. Il suo amico Nicodemo, che l’ha aiutato nella sepoltura, non era l’ultimo arrivato tra i membri del Sinedrio.

Affermare che Gesù è morto e sepolto è affermare un evento storico, documentato dai vangeli, dalla tradizione più antica e dall’archeologia, ma noi diciamo che lo crediamo. Questo evento infatti è un mistero centrale della nostra fede. Senza di esso la nostra fede franerebbe tutta come una valanga di neve dalla cima d’un monte.

  

64 Agnello immolato

Noi “crediamo” che Gesù “morì e fu sepolto”. È il mistero centrale della fede, senza del quale non sussisterebbe quello che segue, cioè il mistero della risurrezione.

Da bambino rimanevo commosso, come tutti i bambini, al vedere Gesù in croce con la corona di spine. Questo mistero supera la comprensione che abbiamo avuto da bambini.

La morte di Gesù viene spiegata, anzi interpretata, dalla Lettera agli Ebrei (5,7s) come passaggio necessario per la sua obbedienza che lo rende Sommo Sacerdote perfetto (7,27). La sua morte viene vista come l’offerta di se stesso, al posto dell’offerta del sangue di capri e di tori, come avveniva nell’Antica Alleanza (9,26ss). Questa sua offerta, o sacrificio, stabilisce una nuova Alleanza eterna, come egli stesso ha detto quando ha consegnato la coppa del vino ai discepoli stupiti e increduli (Lc 22,20).

Non dobbiamo leggere con superficialità la morte di Gesù: il suo significato lo comprendiamo dalle Scritture, sia da quelle dell’Antico che del Nuovo Testamento, fino all’Apocalisse. Il profeta Zaccaria scrive: “Guarderanno a me, colui che hanno trafitto” (12,10). Nell’Apocalisse la morte del Signore è presentata come l’immolazione dell’agnello: “Poi vidi, in mezzo al trono, circondato dai quattro esseri viventi e dagli anziani, un Agnello, in piedi, come immolato” (5,6).

Questa immagine ci fa passare in rassegna un’infinità di pagine e di fatti, dall’uscita del popolo ebreo dall’Egitto, ai sacrifici quotidiani per ottenere il perdono dei peccati, agli altri sacrifici con cui veniva celebrata la comunione con Dio.

Tutto questo è stato profeticamente riassunto da Giovanni Battista quando ha detto: “Ecco l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo” (Gv 1,29.36).

La morte di Gesù! È relativamente facile immaginarlo sul Calvario, ma aver presente il suo valore di salvezza, di redenzione, di amore, è davvero impegnativo, almeno per me. Devo farmi aiutare. Anche tu senza Spirito Santo e senza l’aiuto di qualche fratello non ce la faresti: che ne dici? È un momento decisivo della nostra professione di fede.

  

65 Novità assoluta

“Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture”. Quando Gesù parlava di risurrezione, l’evangelista annotava che i discepoli non capivano e non volevano nemmeno chiedere spiegazione. Che avessero avuto paura della morte, che inevitabilmente precedeva il risorgere?

Questa è inoltre una parola nuova, che nessuno usava, perché nessuno aveva mai visto un morto rivivere, e per di più non con la vita di prima, ma in modo del tutto diverso. Li capisco bene questi discepoli. Nemmeno io parlo volentieri di cose che non conosco, almeno per non far brutta figura.

Per dire risorgere si usavano i verbi che si usano per lo svegliarsi o l’alzarsi uscendo dal sonno. Noi oggi sappiamo qualcosa di più perché abbiamo i racconti dei vangeli che ci parlano di Gesù apparso alle donne e ai discepoli in varie occasioni. Sappiamo perciò che il risorto non ha più paura di morire: ha un corpo sì, che si può vedere e toccare, col quale egli può parlare e ascoltare, addirittura mangiare, ma è tuttavia un corpo diverso da quello che io mi sto portando in giro.

Gesù risorto non ha bisogno di aprire le porte per entrare, né di camminare per mostrarsi in altro luogo lontano, come in Galilea.

Di risurrezione per il Servo di Dio parlano le Scritture, Salmi e Profeti, e perciò noi prendiamo sul serio questa parola. Sappiamo che ai suoi nemici Gesù risorto non si è manifestato. Chissà se lo hanno visto le guardie che vegliavano il sepolcro sigillato: con tutta probabilità no. Sarebbe stato inutile, o peggio. Egli stesso aveva detto nel cenacolo, rispondendo a Giuda Taddeo: “Chi ama me… mi manifesterò a lui” (Gv 14,21).

È nell’ambiente dell’amore che avviene e si conosce e si comprende e si vive il Risorto e la risurrezione. Lasciati trasportare dall’amore, altrimenti non capirai nulla nemmeno tu, e non godrai né il Risorto né la risurrezione!

  

66 Terzo giorno

Secondo le Scritture”: un salmo dice “Non abbandonerai la mia vita negli inferi, né lascerai che il tuo fedele veda la fossa. Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena alla tua presenza (16,10s). E il profeta Isaia: “Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza... Perciò io gli darò in premio le moltitudini, dei potenti egli farà bottino” (53,10-12). E Giobbe, nella certezza di essere ascoltato da quel Dio con cui discute e si lamenta, disse: Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno e non un altro(19,26s). Questi e altri passi alludono alla risurrezione.

Vari altri passi parlano del terzo giorno, come del giorno in cui si risolvono situazioni molto difficili, anzi, impossibili (Gen 22,4; Es 19,11.16; 1Re 12,12). Ma io non so leggere le Scritture con quell’attenzione e comprensione che Gesù aveva mentre le spiegava ai due di Emmaus, e che lo Spirito Santo però può concedere anche a noi. Gesù è risorto il terzo giorno dal suo sacrificio d’amore, dall’offerta della vita, dalla manifestazione della sua vera gloria. Sulla croce ha rivelato la perfezione dell’amore, quello del Padre verso di noi peccatori: il terzo giorno il Padre lo glorifica. Il terzo giorno significa che la risurrezione è un evento importantissimo, l’opera in cui si manifesta l’onnipotenza e la pienezza dell’amore del Padre.

Le Scritture stesse sono una prima manifestazione dell’amore del Padre: lo descrivono e lo trasmettono, benché solo a chi sa leggere o sa ascoltare la lettura. Esse sono state, misteriosamente, riassunte da Pilato su quella tavola di legno su cui ha fatto scrivere quattro parole: Iesus Nazarenus Rex Iudeorum. Erano scritte anche in greco e in ebraico. Le iniziali latine formano il famoso INRI, che vediamo sulle nostre croci. Pilato non poteva immaginare che quelle parole erano percepite come un’offesa per il popolo ebraico, come gli hanno fatto osservare i capi dei Giudei.

Uno studioso* ha compreso così il motivo del rifiuto dei capi: deriverebbe dal fatto che le quattro iniziali della scritta in ebraico formerebbero la parola che gli ebrei non osano pronunciare, detta Tetragramma sacro: IHWH, cioè “Io sono”, il Nome di Dio rivelato a Mosè dal roveto. Anche per questo i capi dei Giudei non avrebbero assolutamente accettato che quelle parole fossero scritte sopra il capo di Gesù! Egli stesso aveva profeticamente detto: “Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora conoscerete che «Io Sono»”. È solo un’ipotesi, anche se affascinante, e te la dico anche se altri studiosi non la condividono. Sappiamo che Pilato ai capi rispose: “Quel che ho scritto ho scritto” (Gv 19,22). Infatti l’ultima definitiva Scrittura che ci rivela l’amore del Padre è Gesù in croce: il sigillo dell’amore di Dio per gli uomini peccatori.

*(Henri Tisot, Eva, la donna, Ed. Domenicana Italiana, ppgg 216 - 220)

  

67 Croci

Secondo le Scritture”: questo particolare è importante. Giovanni Battista, quando ha dovuto rispondere agli inviati dei farisei che chiedevano “Chi sei tu?”, si è definito con parole del profeta Isaia (Gv 1,23).

Anche Gesù, quando si è presentato ai suoi paesani a Nazaret ha usato alcune frasi dello stesso profeta per farsi conoscere come il Servo di Dio, il Messia (Lc 4,16).

Chissà? Potrei farlo anch’io: se mi chiedi chi sono io, ti dirò: “Sono un peccatore” (Lc 5,8), secondo le Scritture! Hai invidia? Puoi farlo anche tu. Tutti infatti possiamo dire: “Il Figlio di Dio mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,20).

È risuscitato, secondo le Scritture”: Gesù morto e risorto è la base della nostra fede, quella che tutte le Scritture ripropongono e alimentano.

Noi proclamiamo in tanti modi questo mistero, anche disegnando croci e crocette con tutti i materiali e in tutte le forme. La croce è diventata persino ornamento! Ne porti anche tu una al collo? I copti, i cristiani dell’Egitto, se la fanno tatuare sul polso, così da vederla e da ricordarsene ogni volta che si lavano le mani o guardano l’orologio! Essa ci fa memoria ad un tempo sia della morte che della risurrezione del nostro Signore, il Figlio di Dio. San Paolo se ne vantava, invece di vergognarsene: “Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo” (Gal 6,14).

E scrivendo ai Corinzi si trattiene lungamente a parlare della risurrezione, tentando pure di spiegare che possiamo capirla pensando al grano seminato nel campo (1Cor 15,35-44). Quel grano muore, e solo morendo fa spuntare una nuova realtà, lo stelo che diventa spiga e poi grano maturo. E questo è molto di più del piccolo seme che è stato nascosto.

All’apostolo preme che capiamo, perché dalla verità della risurrezione di Gesù dipende anche la verità della nostra risurrezione. Quella del Signore è solo primizia: la risurrezione è anche per noi il traguardo; anche la nostra morte sarà un primo passo in vista di un frutto che solo Dio ora conosce e attende.

  

68 Alla destra

“È salito al cielo, siede alla destra del Padre”. I vangeli parlano di quest’altro mistero, che noi chiamiamo Ascensione al Cielo. Dopo quaranta giorni dalla Risurrezione vien detto che Gesù, “Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo” (Lc 24,51).

Gesù, che è disceso dal cielo, poi è salito al cielo. Le parole tengono conto del nostro modo di concepire cielo in alto e terra in basso. Il mondo di Dio è in alto, quindi è salito, oppure è entrato nel Santuario, direbbe la lettera agli Ebrei. Che cos’è successo? Gli apostoli hanno visto davvero qualcosa?

Noi somigliamo a Tommaso, prima della sua splendida conversione. Ma non ha importanza che cosa hanno visto gli apostoli, è importante quello che è avvenuto nel cuore del Padre. Egli ha accolto Gesù risorto alla “sua destra”. Che significa? Non occorreva spiegarlo quando c’erano i re e gli imperatori seduti su di un trono. Avevano sempre a destra e a sinistra un altro posto a sedere. Quello di destra era destinato alla persona di cui maggiormente si fidavano. A lui erano concessi tutti i poteri nel regno.

Allora qui diciamo che Gesù gode della stessa autorità del Padre, di Dio. Là, alla destra, che succede? Dio rimane sempre colui che nessuno ha mai visto né può vedere, e invece Gesù lo abbiamo visto e udito. Anche tu hai ancora nel cuore molte parole di Gesù. Egli ha autorità divina, quindi le parole, che egli ha pronunciato e noi abbiamo udito, sono esse che ci giudicano e ci giudicheranno.

Questa certezza ha due conseguenze: anzitutto prendiamo sul serio ogni Parola del nostro Signore Gesù. Sono importanti, decisive. Con esse egli ci giudica e giudica tutto il mondo. Secondo: dato che è venuto a salvare e non a condannare, abbiamo tanta fiducia, e vera gioia. Io so che il nostro Giudice è colui che mi ama, che è morto per me, che ha versato il suo sangue per i miei peccati, quindi non ho motivo di temere.

  

69 Scomparso

Gesù risorto realizza quello che aveva detto a Maria Maddalena: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro” (Gv 20,17).

Salire al cielo significa anche sparire dalla vista. Dal momento dell’ascensione non lo vede più nessuno. È proprio lui come quel padrone di cui aveva raccontato nelle parabole: se ne va lontano dopo aver dato tutto il potere sulla sua casa e consegnato tutti i beni ai suoi servi. I servi non lo vedono, ma restano suoi servi. Se essi, invece di fare i servi, si facessero padroni, ci sarebbe disordine e violenza nella casa, ed egli si accorgerebbe al suo ritorno (Mt 24,45).

Il fatto che egli sia “salito al cielo” mi tiene perciò desto, vigilante. Non mi fa paura, ma un po’ di trepidazione me la dà. E mi rende consapevole di essere responsabile di ciò che appartiene a lui, mi rende attento ad amministrare tutto per lui, in modo da rendergli buona testimonianza, cioè da fargli fare bella figura, visto che mi ha dato fiducia piena.

La responsabilità riguardo ai beni del mio Signore non mi può tenere cupo o triste: so che egli è seduto alla destra del Padre! Perciò non penso a me, ma penso a lui, come un innamorato non pensa a se stesso, ovunque si trovi e qualunque cosa faccia, ma sempre alla sua amata.

Nella mia mente egli è sempre presente: me la tiene occupata, me la fa adoperare per inventare sempre nuovi stratagemmi, affinché quello che mi ha affidato porti frutto. Per esempio, queste paginette nascono proprio dal desiderio di vedere il mio Signore Gesù onorato, conosciuto, seguito, servito, ubbidito, amato, manifestato. Io non lo vedo, ma è come fosse presente ovunque. Immagino che anche tu sei diligente e vivi in modo da rendergli onore con il tuo servizio nella sua Chiesa.

  

70 La gloria

“E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti”. Ho già accennato alla venuta di Gesù, come al ritorno di quel padrone partito per un paese lontano. Ed ecco che lo diciamo espressamente nel Credo.

La sua prossima venuta avverrà “nella gloria”, cioè in modo diverso da quando è venuto nel nascondimento, nella povertà e precarietà, nella situazione di chi deve soffrire miserie come i peccatori.

La prima volta infatti è venuto per offrirsi e morire per amore, ma quando verrà di nuovo manifesterà pienamente la gloria, cioè la pienezza dell’amore del Padre. Noi lo vedremo permettendogli di riempire del tutto anche il nostro cuore con il suo amore di Figlio, amore obbediente e umile. Nulla ai miei occhi rimarrà fuori della luce che irradia da lui. Egli assorbirà del tutto la mia e la tua attenzione.

Già adesso capita che, quando sono attento a lui anche se sto in tua compagnia, anche se parlo con te o con qualche altra persona, già sta cominciando la sua venuta nella gloria. Per riconoscerla ci esercitiamo ogni anno nel tempo di Avvento, e in quel tempo desideriamo affrettarla.

Ci riusciremo? Un pochino sì, se non ci lasceremo occupare l’attenzione dalle esteriorità delle feste natalizie.

Che strano preparare le feste per Gesù, senza occuparci di lui! Non ti pare? Sarebbe segno che la sua venuta nella gloria è ancor molto lontana. Per questo ci ricordiamo del suo venire anche durante ogni Eucaristia. Dopo la consacrazione diciamo: “Proclamiamo la tua morte Signore, annunciamo la tua risurrezione nell’attesa della tua venuta”. E dopo aver detto il Padre nostro il sacerdote conclude una preghiera dicendo “nell’attesa che venga il nostro Salvatore Gesù Cristo”. Quando il suo nome e il suo amore ci assorbiranno del tutto; allora comprenderemo cosa diciamo affermando “nella gloria”.

  

71 Giudicare

“Per giudicare i vivi e i morti”: Gesù non verrà per divertirsi o per una pausa del suo Paradiso. Anzi, fa parte del suo Paradiso giudicare i vivi e i morti.

Cosa capisci tu con la parola giudicare? E cosa comprendi con i vivi e i morti? Provo a dirti come intendo io.

Noi facciamo facilmente confusione, assimilando il termine giudicare a condannare. Meno male che Gesù non confonde. Egli ha detto “Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui” (Gv 3,17). Lui sa che il mondo, dato il suo rifiuto al Figlio di Dio, è già condannato perché si tiene fuori dall’amore del Padre. È proprio per questo che egli è venuto: perché ci vuole salvare dalla condanna.

Per poterci salvare si fa riconoscere e ci facilita la sua accoglienza, così ci può riportare al Padre. Per salvarci deve anche discernere, e comunicare pure a noi le sue conclusioni, perché non ci lasciamo ingannare o corrompere dalle menzogne del mondo. Dio a lui “ha dato il potere di giudicare” (5,27), proprio a lui, che ha offerto la vita per amore nostro, e perciò non si lascerà trarre in inganno né dalle menzogne né dalle ricchezze, come può capitare ai giudici di questa terra. Egli stesso dice: “Io sono venuto in questo mondo per giudicare, perché coloro che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi” (9,39): lo disse a quelli che lo condannavano perché aveva aperto gli occhi a un cieco nato.

Con il suo giudizio Gesù ribalta la situazione: i poveri e gli umili avranno luce, mentre sarà evidente a tutti che coloro che credono di essere importanti, i superbi, non hanno la sapienza di Dio.

Col suo giudizio Gesù ci salva e ci libera dal giudizio di coloro che condannano i peccatori.

  

72 Vivi e morti

I vivi e i morti”: questi sono quelli che saranno giudicati. Chi sono? E io sono tra i primi o tra gli altri?

Quest’espressione la usano sia Pietro che Paolo nelle loro lettere. A Timoteo San Paolo scrive: “Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù che verrà a giudicare i vivi e i morti” (2Tm 4,1).

Chi sono i vivi e chi sono i morti per loro? Per vivi possiamo intendere semplicemente noi e quelli che stiamo vedendo accanto a noi, e morti quelli che abbiamo già sepolto. Ma possiamo anche pensare a coloro che hanno ricevuto la Vita, la Vita di Dio, che è Gesù.

Lui stesso ci ha detto “Io sono la vita”. Vivo sono io quando sono in comunione con Lui. Vivo sei tu quando Gesù è il Signore da te amato e ubbidito.

Di conseguenza hai già capito anche chi sono i morti: le persone che si tengono a distanza da lui, che gli hanno chiuso il cuore e gli orecchi.

Se non sono stato chiaro senti cosa dice san Giovanni: “Chi ha il Figlio, ha la vita; chi non ha il Figlio di Dio, non ha la vita” (1Gv 5,12).

Ecco chi sono i vivi e i morti, e tutti saranno giudicati da Gesù.

Come sarà il giudizio per questi vivi? Sarà una festa. Si sentiranno dire: “Venite benedetti del Padre mio” per partecipare alla festa eterna.

Come sarà il giudizio per quei morti? Te lo immagini? Io nemmeno voglio pensarlo.

Uso l’immaginazione solo per contemplare la gioia del Signore, e di quelli che sono e saranno con lui. Non perdo tempo. Pensare all’inferno è perdita di tempo: mi basta sapere che c’è la possibilità di cadervi dentro, ma siccome lo voglio evitare, mi occupo solo di Gesù. Tengo la Parola di Gesù davanti agli occhi, nelle orecchie, nel cuore, così da realizzarla ed essere trovato da lui servo fedele e perseverante.

  

73 Il regno

“E il suo regno non avrà fine”. Nel Credo è entrata questa Profezia che l’angelo Gabriele ha rivolto a Maria per parlargli del figlio che avrebbe messo al mondo (Lc 1,33). Ed è l’unica allusione che si fa nel Simbolo al titolo di re con cui noi adoriamo Gesù, titolo usato dai Magi venuti dall’oriente, temuto fino alla demenza da Erode, e appellativo che è stato la causa della sua condanna a morte da parte del Sinedrio e quindi di Pilato. Questi si è sentito ricattato da questa parola, e per paura ha ceduto. È la parola che sta in alto su ogni croce, sopra il capo di Gesù. Egli è re: “Ecco il vostro re” (Gv 19,14) aveva sentenziato il governatore romano. Per questo i suoi soldati ne hanno approfittato per divertirsi mettendogli sul capo la corona di spine e nelle mani una canna a mo’ di scettro. Gesù stesso non aveva avuto paura di dire proprio a Pilato: “Io sono re”.

Il significato di questa parola sulle loro bocche era molto diverso: il governatore pensava che Gesù volesse ribellarsi all’imperatore, mentre Gesù pensava al regno dei cieli. Per questo “il suo regno non avrà fine”: nessuno arresterà o sostituirà la sua regalità. Potrò sempre ubbidire a lui, farmi guidare dalla sua parola e dai suoi giudizi. Ci sarà sempre chi lo segue, anche fino a portare la croce come lui e con lui.

Quando penso ai martiri, anche a quelli recenti, questa frase brilla di grande luce. Pensi mai tu ai martiri? A coloro che per amore di Gesù ci rimettono la testa? Pensando a loro ripeti: “Il suo regno non avrà fine”: t’accorgerai che questa frase acquisterà un significato e un valore forte e potente. E avrai coraggio e sicurezza, come il ladrone che aveva avuto l’umile ardire di chiedergli: “Gesù, ricordati di me, quando entrerai nel tuo regno” (Lc 23,42).

  

74 Differenza

Il suo regno” è una parola rilevante. Che regno sarà “il suo”?

Nei vangeli si parla spesso del Regno dei cieli o del Regno di Dio, come pure del Regno del Padre e del Regno del Figlio. Essendo il Padre e il Figlio una cosa sola, come dice Gesù stesso nel Vangelo secondo Giovanni, non ci sono due regni, ma il Regno è unico.

Perché Gesù ha usato questa parola? Noi abbiamo esperienza di regni che sono la disperazione, la fonte di sofferenze e di ingiustizie, perché in essi c’è chi comanda con violenza, usando costrizione, facendo leva sulla paura: te la procurano appositamente.

Noi speriamo sempre in un regno migliore, quindi nell’arrivo di un re diverso, che abbia un po’ di cuore, ma il più delle volte questa speranza finisce in gravi delusioni.

I regni nella storia recente sono stati sostituiti dai governi cosiddetti repubblicani e democratici, sperando che le cose vadano meglio. Ma gli uomini, chiamali re o chiamali presidente, sono sempre uomini influenzati dal peccato, cioè dall’egoismo o dagli egoismi.

Che differenza c’è tra i regni umani e il regno dei cieli? “Il regno dei cieli” prevede come capo non un uomo, ma Dio stesso, o colui che Dio manda per formare una convivenza dove noi possiamo stare insieme in modo che risplenda il suo amore, la sua misericordia, la sua fedeltà e la sua giustizia sana e santa. In questo regno ovviamente non sono previste né violenza né inganno, nemmeno discordie o avidità, né soprusi di qualsiasi genere; in esso non ci sono fabbriche di armi e nemmeno di veleni.

Nel regno dei cieli tutti intendono vivere come fratelli, dove uno gode del bene dell’altro e desidera il bene dell’altro più del proprio. Dato che di questo regno fanno parte quelli che ubbidiscono a Gesù, il re che testimonia l’amore del Padre di tutti, questo regno non ha confini, non ha soldati, non ha funzionari che comandano. In esso ci sarò anch’io, e ci sarai tu, come servi che fanno a gara a servire, come nella casa di cui parla la parabola del padrone partito senza dire quando tornerà.

  

75 Roccia sicura

Il suo regno non avrà fine, ha detto l’angelo a Maria. Gesù non morirà più dopo la sua risurrezione, e quindi potrà sempre essere scelto come proprio re. Avverrà ciò che egli ha detto della Chiesa fondata sulla roccia della fede di Pietro: “Le potenze degli inferi non prevarranno su di essa” (Mt 16,18).

Queste parole sono promessa sicura, perché uscita dalla bocca di Gesù.

Un piccolo problema si pone, per me no, ma forse per te. Che differenza c’è tra regno di Dio e Chiesa? Questi due nomi indicano la stessa realtà? Che diversità c’è tra questi due concetti? Ti dico come ho capito io? Ci provo.

Il regno di Dio è senza confini, mentre la Chiesa li ha, essendo formata solo dai battezzati. Questi dovrebbero essere partecipi del regno di Dio, ma non è detto. Tra i battezzati infatti ci sono di quelli che sono diventati zizzania invece di buon grano, ci sono cioè persone che a Dio proprio non ubbidiscono e dovranno essere separati alla fine, come i pesci della rete che tira su tutti, buoni e cattivi.

Il regno quindi non si identifica con la Chiesa, e la Chiesa non esaurisce il regno. Tanto per dire: ci sono persone che ubbidiscono al re, e verranno posti alla sua destra, benché non appartengano alla Chiesa. Lo si vedrà quando egli sederà sul trono per fare come il pastore che separa pecore e capri (Mt 25,32).

Ci sarà chi non ha mai sentito parlare di lui, o ha persino ricevuto scandalo invece di testimonianza da qualche cristiano, eppure ha dato da mangiare a Gesù affamato, senza saperlo. Comunque, né il regno finirà, ma nemmeno la Chiesa: di essa il capo è Gesù. Essa, Chiesa, potremmo paragonarla al nocciolo del Regno! Il nocciolo contiene il seme, la vita, pur avendo una parte dura che nessuno mangerà.

  

Credo nello Spirito Santo

76 Cera e stoppino

Credo nello Spirito Santo”: per la terza volta pronuncio l’affermazione “Credo”. L’ho detto per esprimere la mia fiducia totale in Dio Padre e nel Figlio. Anche lo Spirito Santo è uno col Padre e il Figlio, anzi, potrei dire che è il loro respiro, fatto di quell’amore che li unisce.

Il Padre ama il Figlio e il Figlio ama il Padre: l’amore che li accomuna lo chiamo Spirito Santo. Sono tre, ma un solo Dio.

Che ne dici, posso farti degli esempi per capire qualcosa di questi numeri, uno e tre? Ci provo, e tu non scandalizzarti.

Penso ad una macchina: il motore, la carrozzeria, il movimento: tre realtà diverse, ma la macchina è una sola, e quando si muove si muove tutto insieme!

Hai mai osservato il sole? Una palla di fuoco, la sua luce e il suo calore: una sola di queste cose non può esistere senza le altre due. Ognuna è diversa dalle altre, e realizza la loro unità. Tre per fare un sole. Gli esempi non calzano mai del tutto, per questo spero non ti scandalizzi.

Ancora uno: una candela. La immagini? La cera, da sola, non fa nulla. E lo stoppino, se sta da solo, occupa spazio inutilmente. La candela è fatta di due cose diverse e distinte, ma è una sola. Ma anche così non serve a nulla, perché? La cera, sicura di sé, pare dica: “Io sono padrona di me stessa”. E lo stoppino impara: “Io penso per me”. Questa candela la puoi mettere nella paglia o sotto il tuo letto: non succederà nulla. Tra un anno o tra dieci anni sarà ancora così, inutilizzata e inutile. Ma quando la cera dice: “Io mi lascio sciogliere per donarmi allo stoppino”, e lo stoppino da parte sua: “Io mi lascio consumare per accogliere la cera”, allora comincia un ‘movimento’ di dono di sé e accoglienza dell’altro: questo movimento origina una terza realtà, la fiamma! E la fiamma tiene vivo il dono e l’accoglienza reciproca di cera e stoppino, e inoltre influisce tutt’attorno con la luce e il calore. Adesso sono ancora tre ‘cose’, ma una sola candela luminosa. Le tre realtà distinte sono uno, e non possono essere separate l’una dall’altra. La fiamma da sola non può esistere, e, se cera e stoppino si separassero sparirebbe anche la fiamma.

Sono stato lungo, perciò ora lascio a te fare l’accostamento alle tre Persone divine, e, se vuoi, anche alla tua famiglia o alla tua comunità.

Baderai bene che dono di sé e accoglienza dell’altro sono proprio le facce di quella medaglia che possiamo chiamare amore.

  

77 Soffio e vento

Lo Spirito Santo lo chiamiamo così, senza dargli un nome particolare; è un titolo che rivela il suo posto nella comunione Trinitaria, allo stesso modo del Padre e del Figlio. Per fare un paragone diremo che è come il lievito nella pasta o come il sale nella minestra: occupa un posto che permea tutto, tanto che non li puoi più separare né dalla pasta né dalla minestra. Ci sono anche se tu non li vedi o non ci badi. E guai se non ci fossero!

È proprio così anche nella relazione del Padre e del Figlio: lo Spirito Santo li amalgama nell’amore, e distribuisce all’esterno, a chi si avvicina a loro, la loro pace, la loro comunione, la loro forza, la loro sapienza, il loro splendore.

È come il calore del sole o della fiammella del cero: avvolge e cambia tutto ciò che gli sta vicino. Noi riceviamo il calore del Padre e del Figlio grazie allo Spirito Santo!

Vorrei dirti ancora qualcosa sul significato di queste due parole.

Cominciamo da Spirito: significa soffio, quasi fosse il respiro di Dio, oppure vento leggero. Un soffio o il vento muove le cose che raggiunge, e le muove in una determinata direzione. Il soffio di Dio muove la tua memoria e la tua intelligenza, la tua volontà e i tuoi affetti trasformandoli in espressioni di amore vero e santo. Altri spiriti invece, quelli soffiati dall’egoismo dell’uomo peccatore, muoverebbero le nostre facoltà in modo da farle diventare invidia, orgoglio, impudicizia, rabbia, ira, avidità, pigrizia.

Dove non c’è Spirito Santo non staresti nemmeno cinque minuti. Se tra te e le persone che pensi di amare non ci fosse Spirito Santo, sareste estranei l’uno per gli altri. Se non soffiasse lo Spirito Santo nella tua casa, non ci sarebbe comunione, né fedeltà, né pazienza e nemmeno mitezza e comprensione.

Che sia per questo che qualche famiglia si sfascia?

Se t’accorgi che queste realtà mancano a te, corri da Gesù, e permettigli di soffiare su di te lo Spirito Santo!

E la parola santo che significa?

  

78 Santo

Ti dico anche cosa significa santo, o, almeno uno dei significati di questa parola. È la caratteristica del nostro Dio: di lui solo si dice che è santo.

Questa parola la usiamo anche per gli uomini o le cose, ma solo se sono imbevute della santità di Dio. Siccome Dio è amore, la santità sua è il suo amore. E questo, com’è fatto per meritare la qualifica di santo?

Gesù lo ha descritto quando ha detto che il Padre riversa il suo amore come fa cadere la pioggia: essa cade sul campo dei cattivi e su quello dei buoni allo stesso tempo e allo stesso modo. E anche il sole lo manda in modo che risplenda nello stesso tempo sui giusti e sugli ingiusti, su chi cioè gli ubbidisce e su chi fa il ribelle. L’amore del Padre è disinteressato. Tutto quello che il Padre fa per i suoi figli e anche per i figli dei suoi nemici è amore vero. Non è certo un amore irresponsabile o incauto o senza lungimiranza: quello per il figlio prodigo e quello per il figlio che mantiene il cuore da servo si diversificano.

Gesù stesso per amore ha cercato di far ragionare la guardia che gli ha dato pubblicamente uno schiaffo, mentre per amore a Erode che lo canzonava non ha detto nulla.

Egli poi ha pure tentato con degli esempi ad aiutarci a comprendere come il nostro amore dovrebbe contenere quello del Padre. Ci ha detto: se uno ti percuote sulla guancia destra, tu porgi, cioè sorridi con l’altra. Se uno ti porta via il mantello, tu gli farai vedere che sei più generoso di quanto lui riesca ad immaginare, e gli darai anche la camicia. Così anche tu partecipi alla santità di Dio tuo Padre. E questo grazie allo Spirito Santo.

Gesù si è premurato di donarlo ai discepoli: lo ha soffiato sul loro volto il giorno della risurrezione, e lo ha fatto scendere rumorosamente, in modo che se ne accorgano anche gli estranei, la festa di Pentecoste.

  

79 Signore

Credo nello Spirito Santo che è Signore e dà la vita”: affido la mia vita allo Spirito Santo, perché è Dio! Diciamo infatti “che è Signore”: ciò equivale a dire che è Dio. Ti spiego.

Anticamente la parola Signore veniva usata dagli ebrei per sostituire il nome attribuito a Dio. I pagani invece chiamavano Signore un uomo, re o imperatore, per affermarne la divinità e così impegnarsi ad ubbidirgli ciecamente. Per noi però è chiaro che la divinità è sempre e soltanto la pienezza dell’amore del Padre. Il Padre è Dio e il Figlio è Dio perché l’uno e l’altro sono la Pienezza dell’amore, benché in modo diverso: uno dona e l’altro riceve la Pienezza dell’amore. Il loro Spirito è ancora Pienezza di amore, ma in modo differente: è amore che realizza comunione, unità, armonia. Se lo Spirito è Dio, comunica la vita di Dio. Infatti parlando dello Spirito Santo diciamo che santifica o che divinizza.

Arrivando nel nostro intimo produce dei cambiamenti. San Paolo li chiama frutto, e dice (Gal 5,22) che lo Spirito Santo appunto provoca in noi gioia e pace, amore e bontà, benevolenza e pazienza, fedeltà e mitezza, e anche il dominio di sé, cioè temperanza, purezza, modestia, capacità di tacere e di non reagire impulsivamente. Che frutto meraviglioso! Io lo vedo talvolta nella tua vita: per questo sto volentieri con te.

Qui nel Credo affermiamo che lo Spirito è vivificante, cioè dà la vita. Che tipo di vita può dare? Ovviamente quella che lui possiede, cioè la vita divina, la vita che ama pienamente.

  

80 Litigi

“E procede dal Padre e dal Figlio”. Nella stesura originale del Simbolo si diceva soltanto: “Procede dal Padre”.

In occidente, qualche secolo dopo, i nostri Pastori hanno pensato bene di non far torto a Gesù, dato anche che proprio lui ha detto: “Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre…” (15,26). È vero che procede dal Padre, ma è anche vero che è Gesù che lo manda, e quest’affermazione Gesù la ribadisce altre volte. È stato perciò aggiunto “e dal Figlio”.

Occidentali e orientali, incalzati pure da motivi politici, hanno inutilmente litigato a lungo per questa aggiunta e si sono reciprocamente accusati e condannati.

Io preferisco tacere: ragioni ci sono da tutt’e due le parti, ma lo Spirito Santo non c’è proprio per niente là dove si litiga. Preferisco ascoltare gli uni e gli altri, pregare che rimanga l’unità viva e forte, e attendere la venuta dello Spirito che doni luce e carità reciproca.

Vieni, Spirito Santo nella tua Chiesa, tra i cristiani di ogni lingua e nazione!

Piuttosto osserviamo che dal momento che procede dal Padre, infonde in noi quell’amore che sa donarsi prendendo iniziative di carità, di benevolenza, di solidarietà.

In quanto procede dal Figlio, mette dentro di noi l’amore che cerca l’obbedienza, l’amore sottomesso, che sa accogliere e realizzare le proposte d’amore degli altri.

  

81 Portare la croce

Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato”: che senso dare a questa affermazione?

Quando adoro il Padre, cioè quando mi metto davanti a lui per dirgli che voglio essere suo per fare la sua volontà, allora lo Spirito stesso è già dentro di me. È lui che mi fa sorgere questo desiderio e mi fa decidere di realizzarlo.

E quando adoro il Figlio, cioè quando porto con lui la croce mia e quella proveniente dai peccati o difetti dei fratelli, anche allora è lo Spirito Santo che agisce in me.

Anche lui, Spirito del Padre e del Figlio, viene adorato, ed è lui che viene manifestato da questi modi di essere.

Ho visto una donna sopportare con pazienza le pretese del marito e soffrire per le sue impulsività, senza lamentarsi. Essa diceva che in tal modo viveva in piccola parte la passione del Signore. Con stupore ho riconosciuto in quella pazienza la gloria del Padre e del Figlio, cioè la manifestazione del loro amore.

Un uomo mi confidava la sua sofferenza per le prevaricazioni di qualche compagno di lavoro: lo sopporta con amore, come per fargli capire che a Dio non piace la vendetta, anzi, che lui usa mitezza e umiltà. Sia il Padre che il Figlio sono glorificati dall’attenzione di quest’uomo.

Da tutt’e due riceve gloria anche lo Spirito, benché non ci pensino. Tutto quello che faccio per obbedire a Gesù è obbedienza all’amore del Padre ed è perciò presenza luminosa dello Spirito.

  

82 Parole profetiche

E ha parlato per mezzo dei profeti”: che le Scritture siano divinamente ispirate, è certezza della Chiesa, dei santi e dei fedeli.

Ascolti la lettura dei Vangeli o delle lettere degli Apostoli oppure preghi i Salmi o leggi qualche pagina dell’Antico Testamento? Allora sei in ascolto della voce dello Spirito Santo. Quando ascolti quelle pagine, o quando tu stesso le leggi, in quel mentre agisce in te lo Spirito Santo, altrimenti non capiresti nulla. Anzi, ti parrebbe di far cosa inutile.

Quando ascolti la Parola in comunione con altri credenti, allora lo Spirito Santo può esercitare con maggior efficacia la sua azione santificatrice su di te e illuminarti.

Se non fosse lo Spirito Santo che ti apre gli occhi e le orecchie, e naturalmente il cuore, non apriresti mai la Bibbia, non ti avvicineresti mai ad un gruppo che legge e ascolta e medita la Parola di Dio.

Durante la Messa della domenica di sicuro ti accorgi se le parole delle letture entrano in te donandoti gioia, oppure ti facilitano il sonno o generano fastidio. Da questo capisci se lo Spirito Santo è vivo in te oppure se lo tieni assopito. In tal caso correrai ai ripari: cercherai aiuti per la tua conversione, intensificherai la preghiera e l’adesione a Gesù, Verbo di Dio, Parola del Padre. Da lui riceviamo lo Spirito, dal suo respiro, dal suo soffio.

Il libro dell’Apocalisse comincia dicendo: “Beato chi legge e beati coloro che ascoltano le parole di questa profezia” (1,7). Leggere, e ascoltare la lettura della Parola è possibile solo grazie allo Spirito Santo, è immersione nella sua luce e nella sua grazia.

E al termine dello stesso libro è scritto: “Beato chi custodisce le parole profetiche di questo libro” (Ap 22,6). È beato, cioè vicino a Dio, pieno di Spirito Santo chi tiene nel cuore come tesoro prezioso le parole ispirate e scritte nei libri santi.

Dalla Parola ricevi lo Spirito, e ubbidendo ad essa realizzi quello che stai affermando: Credo nello Spirito Santo.

  

Credo la Chiesa

83 Chiesa

Credo la Chiesa”: è la quarta volta che diciamo Credo, ma adesso questa parola prende un significato diverso.

Non dico infatti credo nella Chiesa, ma credo la Chiesa. Errore di grammatica? No, fa’ attenzione: dicendo credo in Dio Padre io ho affidato la mia vita a Dio; non intendo affidarla agli uomini, nemmeno quelli che formano la Chiesa, nemmeno se santi. Infatti la Chiesa raggruppa uomini che vogliono sì ubbidire a Dio, ma sono sempre uomini. Dicendo credo la Chiesa affermo di ritenere che la Chiesa sia opera di Dio e strumento che Dio continua ad usare per salvare e santificare. È infatti la Chiesa che mi aiuta e mi sostiene nel credere in Dio Padre, nell’unirmi al Figlio e nel ricevere lo Spirito Santo grazie a tutti i Sacramenti che essa celebra anche per me.

Il termine Chiesa deriva dal greco ‘ekklesia’, che significa assemblea di persone uscite dalla massa, persone che hanno risposto ad una chiamata e ora si trovano in disparte. Dio infatti ci vuole uniti, perché solo così può essere visto e goduto il suo infinito amore di Padre, nel quale credo. Egli raduna quelli che lo prendono sul serio e gli obbediscono: non lo fa per disprezzare gli altri, ma per avere un popolo che sia a servizio di tutti, che diventi sale e luce e lievito nel mondo, che sia città posta sul monte, dove tutti possano trovare rifugio, con sicurezza e con la gioia della comunione.

Un Dio solo forma un’unica famiglia attorno a sé, come un padre. Il Padre ha mandato Gesù, un unico Signore, per formare e guidare quest’unica famiglia, e lo Spirito Santo, da loro effuso, dona a ciascuno carismi e doni che servano a creare e mantenere l’unità, vera fonte di gioia per tutti. Ecco la Chiesa: in essa riceviamo e viviamo la pienezza della vita divina. Essa è davvero opera di Dio e suo strumento! I doni di Dio li riceviamo sempre e soltanto nella Chiesa e a pro della Chiesa, in vista del suo servizio nel mondo.

Hai scoperto qual è il tuo posto nella Chiesa? Sai qual è il servizio con cui tu contribuisci a renderla bella, attendibile, utile al mondo e attraente per tutti?

  

84 Dentro o fuori?

Credo la Chiesa”: è come dicessi: ritengo che la Chiesa è opera dello Spirito Santo, che la Chiesa è voluta dal Padre e dal Figlio. San Paolo dichiara di essere stato mandato ad annunciare il Vangelo affinché “per mezzo della Chiesa, sia ora manifestata ai Principati e alle Potenze dei cieli la multiforme sapienza di Dio” (Ef 3,10). La Chiesa è indispensabile per la conoscenza di Dio.

La Chiesa è il luogo dove si concretizza e si manifesta tutta la mia fede nel Padre, nel Figlio, e nello Spirito Santo! Non posso dimenticare la Chiesa, di cui San Paolo dice che è il Corpo di Cristo. Non posso evitare la Chiesa, nella quale trovo le persone che mi fanno conoscere il Padre e la sua santità, che mi offrono la comunione con il Figlio tramite il suo pane e il suo perdono, che mi immergono nello Spirito Santo tramite tutti i sacramenti della fede.

La Chiesa è tempio di Dio, edificio da lui costruito pietra su pietra: egli adopera anche me a edificare la Chiesa. Ti lasci adoperare anche tu?

Non posso pensare ad essa come a qualcosa che non mi interessa, come una realtà estranea, al di fuori di me. Se mi sentissi fuori di essa o contro di essa, per ciò stesso non sarei illuminato dallo Spirito Santo e non farei parte del Corpo di Cristo.

Conosco una gentile signora che purtroppo ha cominciato e continua a dar retta ad un prete che come mestiere si è impegnato a parlar male del papa e condannarlo, e di conseguenza a evitare anche tutti quelli che pregano per lui. Lei non ascolta più né il papa né me. Mi sono subito accorto che è sparito lo Spirito Santo, tanto che non posso più godere di comunione con lei. È come vivesse in un altro mondo, nemica di tutti, come appartenesse ad una delle peggiori sette. E lei nemmeno s’accorge dell’assenza dello Spirito di Gesù dal suo cuore: ritiene che la sua fede sia l’unica giusta, la più esatta, tanto da sentirsi incaricata di condannare gli altri cristiani e la Chiesa intera: non è più fede cristiana la sua, che non porta frutto di amore e di comunione.

  

85 Chiesa e Chiesa

Ancora “Credo la Chiesa”: so che nel parlare del mondo la parola Chiesa fa pensare a scandali e peccati. Io dico che non c’è da meravigliarsi: già tra gli apostoli c’è stato un Giuda, e anche un Pietro che ha rinnegato il Signore. E chissà quanti altri peccati c’erano che non sappiamo! La Chiesa è formata solo da peccatori, che chiedono perdono, e da peccatori tentati, che talvolta cadono ancora in peccato.

Siamo stati abituati a sentir parlare di scandali finanziari nella Chiesa e di preti omosessuali e pedofili, ma anche di nonni e papà pedofili e zii e cugini, e molti di essi fanno parte della Chiesa. E che dire di chi si definisce cristiano e calunnia sacerdoti o vescovi di pedofilia per farsi consegnare somme ingenti di denaro a danno delle Diocesi? E che dire di tutti gli altri peccati dei cristiani? Questi sono uomini che stanno nella Chiesa; tra essi nemmeno io sono esemplare. Forse nemmeno tu. Ma non voglio imparare dal mondo a parlare.

Quando parlo di Chiesa voglio pensare ad essa come pensava Gesù, che per lei è morto in croce. Penso alla Chiesa come all’opera meravigliosa dello Spirito Santo che, servendosi di essa, ha cominciato a formare un mondo nuovo, una terra nuova e cieli nuovi, proprio facendola crescere adagio adagio nelle varie culture e nei vari luoghi della terra.

Per poter crescere e operare liberando gli uomini dalle terribili pratiche del paganesimo, la Chiesa ha sofferto e soffre il martirio di moltissimi suoi membri.

In questi anni, in cui sta calando a vista d’occhio la fede cristiana nelle nostre nazioni, notiamo le conseguenze: crescono nella società le abitudini pagane, i modi di vivere idolatrici sfacciatamente egoistici e spudoratamente privi di compassione per i poveri e i malati. Aumenta il numero di bambini disorientati, con più padri o più madri, privati di un amore stabile, tanto che non sanno cos’è la famiglia. Anche tu vedi aumentare le ingiustizie a vista d’occhio, e ne rimani impressionato e spaventato. Perché?

Ha impiegato secoli e secoli la Chiesa a intessere nel mondo un clima di giustizia e di solidarietà sociale e a formare famiglie unite come le abbiamo sperimentate noi. Ora, venendo a mancare alle nuove generazioni la tipica formazione donata dalla Chiesa, il nostro mondo torna ad essere dimora di egoismo sfrenato, quello delle compagnie multinazionali. Non ti faccio esempi concreti, perché li vedi da solo.

  

86 Un solo ovile

Credo la Chiesa, una”: io credo davvero che la Chiesa è opera di Dio, edificata dallo Spirito Santo.

La Chiesa è divina, amata da Dio, riempita da lui del suo amore disinteressato. Io ho anche imparato a chiamarla Madre, perché da essa ho ricevuto e ricevo Vita e tutto quello che serve a nutrire la vita interiore e la vita di relazione che mi fa fratello di molti, di tutti, anche di te.

Se dimentichi il linguaggio del mondo e ti avvicini al pensiero di Gesù, allora riuscirai anche tu ad amare la Chiesa, a benedirla, a cercare di rimanere suo figlio obbediente.

La prima caratteristica che le diamo nel Credo è questa, che essa è una: nel vangelo è scritto un solo Pastore, un solo gregge (Gv 10,16).

Gesù è l’Unigenito Figlio, e coloro che stanno con lui sono uniti dallo Spirito Santo. L’apostolo Paolo parla della Chiesa come di Corpo di Cristo (Ef 4,12): un corpo solo, che ha molte membra, tutte diverse, ma tutte finalizzate a servirsi reciprocamente rimanendo unite, proprio come le membra di un corpo umano. L’unità delle membra è necessaria, altrimenti il corpo muore.

L’unità è indispensabile, altrimenti non c’è né vita né armonia né bellezza.

La Chiesa è una perché ha un solo Capo, Cristo. Essa soffre divisioni e lacerazioni, perché il peccato del mondo trova modo di influenzare i membri della Chiesa a tutti i livelli. Per queste divisioni soffri anche tu, benché talora non te ne accorga. Se però alziamo lo sguardo da queste lacerazioni, vediamo la bellezza di questa verità: la Chiesa una.

Della Chiesa infatti fanno parte gli angeli, che ci danno esempio di preghiera vera, disinteressata. Essi non pregano per se stessi, essi lodano Dio, cantano la gloria del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Sono un esempio costante e brillante per noi. E della Chiesa fanno parte i Santi. La Madre Maria prima di tutti e in mezzo a tutti: era insieme agli apostoli perseveranti e concordi nella preghiera (At 1,14): te la immagini? La sua presenza li aiutava a perseverare e a stare uniti.

  

87 Il collante

Oltre alla Madre Maria, vestita di sole con la luna sotto i piedi e coronata di stelle, fanno parte della Chiesa gli apostoli e i martiri, da santo Stefano a quelli che sono stati uccisi ieri perché scoperti col Vangelo in mano.

E poi quei santi e sante, vergini, monaci, anacoreti ed eremiti, che hanno consacrato la vita alla preghiera silenziosa e penitente, o quelli impegnati nella carità eroica per i piccoli, per gli ammalati, per i carcerati, per gli schiavi, per le donne condannate alla prostituzione, per gli anziani abbandonati e per non so chi ancora. Anzi, tra questi santi ci sono tanti nonni, mamme e papà, sposi e spose, fratelli e sorelle che vivono vicino a noi l’amore di Dio anche senza pubblicarlo.

La Chiesa è una: essi e noi siamo l’unica Chiesa. È Gesù che vuole l’unità dei suoi discepoli: per questo ha pregato il Padre con insistenza, come riferisce l’evangelista Giovanni (17). Egli sapeva che è volontà certa di Dio l’unità dei discepoli, altrimenti avverrebbe della Chiesa quanto aveva detto dei regni del mondo: “Ogni regno diviso in se stesso va in rovina e una casa cade sull'altra” (Lc 11,17).

L’unità dei cristiani non ha come collante i ragionamenti, nemmeno i più belli, ma soltanto lo Spirito Santo. Di Spirito Santo sono ripieni coloro che vivono uniti a Gesù, che sono disposti a seguirlo sulla croce. Te ne sei accorto anche tu che chi ama Gesù diventa tuo amico, tuo consanguineo, più dei tuoi parenti.

Purtroppo i ragionamenti, nemici del credente, come dice San Paolo, possono diventare causa di divisione. “Le armi della nostra battaglia non sono carnali, ma hanno da Dio la potenza di abbattere le fortezze, distruggendo i ragionamenti e ogni arroganza che si leva contro la conoscenza di Dio, e sottomettendo ogni intelligenza all'obbedienza di Cristo” (2Cor 10,3-5): qui l’apostolo afferma che le armi spirituali riescono a distruggere i ragionamenti, perché questi ci possono impedire di conoscere la volontà e il volto di Dio e di ubbidire a Gesù.

I ragionamenti, anche quelli teologici, si appoggiano alle idee, ma queste, per quanto vere, sono parziali e spesso intrise di egoismo. La pienezza è solo dell’amore.

I ragionamenti possono portare a rifiutare, a condannare, anche a odiare. È ciò che si nota in chi inizia un’eresia o uno scisma.

Starò e starai vicino a Gesù per essere avvolto e riempito dal suo Spirito Santo, che dona comunione.

  

88 Protestare

Credo la Chiesa, una”: mi soffermo ancora su questa meraviglia.

L’unità è il miracolo che converte i cuori, la prima attività missionaria della Chiesa. Gesù infatti pregando dice: Siano una cosa sola… perché il mondo creda che tu mi hai mandato (Gv 17,21.23).

Chi non è disposto a morire, a rinnegare se stesso, pur di non rompere l’unità della Chiesa, non ama il Signore, non è degno di lui.

Quanti Santi ci sono d’esempio! Se San Francesco e San Domenico avessero giudicato solo con ragionamenti umani, avrebbero avuto motivo di separarsi dai papi e dai vescovi del loro tempo, e far compagnia a Pietro Valdo, che con buone ragioni lasciò la Chiesa a se stessa. Un secolo dopo anche Santa Caterina da Siena e Santa Brigida di Svezia avrebbero volentieri formato una chiesa parallela, tanto erano indisponenti i papi amanti del lusso ad Avignone. Altri due secoli dopo, Paolo Giustiniani, Teresa d’Avila, Giovanni della Croce, Ignazio di Loyola, e molti altri avrebbero potuto unirsi a Martin Lutero, a Calvino o ad altri cosiddetti Riformatori, scandalizzati da papi e vescovi. E invece no, pur soffrendo per il mal esempio dei ministri, sono rimasti nella Chiesa, e l’hanno sostenuta nella fedeltà a Gesù. Più vicino a noi, Antonio Rosmini rimase fedelissimo alla Chiesa, anche quand’essa proibì la lettura dei suoi preziosi scritti.

Conosco alcuni protestanti e qualche anglicano che desiderano camminare sulla via della santità: ebbene, non li ho visti cercare aiuto dagli scritti di Lutero o di Valdo o di Calvino o di Enrico VIII. Piuttosto anch’essi cercano le Fonti Francescane, o gli scritti di Santa Teresa e di San Giovanni della Croce, o quelli di Santa Teresina oppure di Ignazio o di qualche padre orientale.

Sono sicurissimo che, tra cinquant’anni, gli eredi delle chiesuole settarie iniziate in questi ultimi tempi da preti o monsignori dissidenti, cercheranno aiuto per seguire Gesù e per la propria santificazione. Ebbene, anch’essi ricorreranno non ai loro leader, ma a quei santi che pur soffrendo sono rimasti fedeli alla Chiesa. “Credo la Chiesa, una”: questo credere ha un prezzo. Sei disposto a soffrire per la Chiesa?

  

89 Discordie?

Credo la Chiesa, una”: San Paolo ebbe a soffrire e a lottare per l’unità della Chiesa. A Corinto aveva notato che i cristiani formavano gruppi contrapposti: chi si dichiarava proprio per lui, Paolo, chi ammirava Pietro, chi si dichiarava seguace di altri predicatori del Vangelo, e si ritenevano gli uni migliori degli altri. Era un modo per far spazio agli spiriti di vanagloria, di orgoglio, di invidia e forse anche di gelosia.

Dov’era lo Spirito Santo? Che posto aveva Gesù Cristo in quei gruppi?

Lo capisci anche tu che quei cristiani diventavano scandalo, ostacolo alla fede, impedimento ai pagani per arrivare alla Chiesa come al luogo della loro salvezza.

E San Paolo vedeva anche altre divisioni scandalose tra i credenti, tanto da dover scrivere: “Un fratello viene chiamato in giudizio dal fratello, e per di più davanti a non credenti! È già per voi una sconfitta avere liti tra voi! Perché non subire piuttosto ingiustizie? Perché non lasciarvi piuttosto privare di ciò che vi appartiene? Siete voi invece che commettete ingiustizie e rubate, e questo con i fratelli!” (1Cor 6,6-8).

Nel cuore di certi cristiani è il denaro che comanda o la brama di ereditare qualcosa in più dai genitori, oppure i sentimenti di permalosità, i desideri di essere considerati prima degli altri, di essere ascoltati e preferiti. Persino gli affetti disordinati e impuri arrivano a creare divisioni nelle famiglie o tra le famiglie dei credenti: segno che il Signore viene manifestamente ignorato, disprezzati i suoi insegnamenti, trascurati i consigli dei suoi ministri.

Non è certamente il tuo caso, ma è il caso che anche tu sia vigilante per te stesso, e che continui a pregare per gli altri.

  

90 Chiesa santa

Lo spirito di discordia e di divisione è il primo nemico della Chiesa. Ed esso può essere vinto e disfatto soltanto dalla santità.

Aggiungiamo perciò subito “Credo la Chiesa, … santa”.

Ti sarai chiesto anche tu come mai diciamo che la Chiesa è santa, se è assemblea di uomini peccatori, e se sono peccatori non solo i semplici cristiani, ma anche i preti e persino i vescovi? Un bell’enigma.

No, no: è facile da risolvere: capo della Chiesa è Cristo! Ecco risolto: la santità della Chiesa è la santità del suo Capo. Egli infatti la ama e la santifica con il suo perdono e con la sua Parola. Dio si è legato a lei con la grazia di una nuova Alleanza sempre valida, nonostante le nostre infedeltà e i nostri peccati.

Ci sono poi cristiani, e tra questi tu per primo, che rubano un po’ di santità al Capo e la fanno propria.

Abbiamo già detto che Maria ss.ma e gli apostoli sono tra i primi a far parte della Chiesa santa, con san Giuseppe e con i martiri insieme a molti altri che hanno sofferto un martirio quotidiano. Hanno fatto cioè fatica a testimoniare l’amore del Signore ai fratelli, ma lo hanno fatto, e anch’io ne ho goduto e ne godo ancora.

Quando leggo la vita o gli scritti di un santo trovo pane abbondante da mangiare, nutrimento sicuro e saporito!

La Chiesa perciò è santa, nonostante i miei e i tuoi peccati, per cui devo dire al Signore Gesù di chiudere gli occhi: “Non guardare ai nostri peccati, ma alla fede della tua Chiesa”. Lo diciamo ogni volta prima di nutrirci del pane santo dell’Eucaristia.

La Chiesa è Madre di coloro di cui Dio è Padre. È chiamata pure, e non da una persona qualsiasi, ma dallo Spirito Santo: “Sposa dell’Agnello” (Ap 21,9). Potrei vergognarmi di farne parte, perché non sono puro e libero dal male, ma invece, visto che essa è “pronta come una sposa adorna per il suo sposo” (Ap 21,2) e ammirata per la sua bellezza da Dio stesso, ne vado orgoglioso e fiero.

Pensa poi come la Chiesa è vivaio di iniziative splendide, di cui il mondo intero gode e ne approfitta.

Hai fatto caso a quante comunità o congregazioni ha dato vita la Chiesa? O, meglio, il Signore nella Chiesa? Hanno tutte come centro il Signore Gesù, come scopo diffondere l’amore del Padre a ogni tipo di sofferenti, e così fanno sperimentare, prima ancora di conoscerla, la bellezza di Dio Trinità!

La Chiesa è davvero santa, e la sua santità è molto più importante e influente dei peccati dei suoi membri.

  

91 Cattolica

La chiamiamo subito anche “cattolica”, che significa che è fatta per tutto il mondo.

Nel Credo questo aggettivo non equivale a romana, cioè a quella porzione di credenti che fa capo al papa di Roma.

Cattolica qui non pone in luce la divisione causata dal peccato degli uomini, per cui ci diciamo cattolici o ortodossi o protestanti, ma mette in luce la potenza e l’amore di Dio che vuole un’unica famiglia su tutta la terra.

Oggi va di moda l’aggettivo ‘globale’ e il termine ‘globalizzazione’: noi usiamo invece la parola cattolica, per dire che, ovunque Gesù è amato e ubbidito, là vive la Chiesa.

Dio vuole riunire tutti i popoli e tutte le religioni attorno a Gesù. Ogni uomo, anche se buddista o confuciano, musulmano o animista, troverà la sua pienezza solo in Gesù, e allora sarà riunito nell’unica Chiesa. Essa è universale, non rifiuta nessun popolo. Lo ha detto profeticamente Gesù stesso, quando ha inviato i settantadue discepoli: il numero è quello dei popoli elencati nella Bibbia al tempo di Noè (Lc 10 ,1). Pietro con i suoi compagni, obbedendo a Gesù risorto, ha pescato centocinquantatré grossi pesci nell’unica rete che non s’è spezzata: era il numero dei popoli conosciuti allora (Gv 21,11).

Tutti gli uomini hanno il loro posto nella Chiesa: per questo io e tu già li chiamiamo fratelli, perché ce li potremo trovare al fianco o davanti non appena crederanno in Gesù.

  

92 Apostolica

Credo la Chiesa, … apostolica”: è il quarto e ultimo aggettivo con cui qualifichiamo la Chiesa che crediamo.

Questo termine indica che la Chiesa è fondata sulla testimonianza degli apostoli. La loro testimonianza si basa sul fatto che essi sono stati testimoni oculari di Gesù. Così disse San Pietro quando Mattia è stato sorteggiato al posto di Giuda: “Bisogna dunque che, tra coloro che sono stati con noi per tutto il tempo nel quale il Signore Gesù ha vissuto fra noi, cominciando dal battesimo di Giovanni fino al giorno in cui è stato di mezzo a noi assunto in cielo, uno divenga testimone, insieme a noi, della sua risurrezione” (At 1,21s).

Chi sono gli apostoli? Sono quelli cui Gesù aveva anche detto: “Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me” (Lc 10,16).

E, se non basta, il giorno della risurrezione, come ben ricordi, disse loro: “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi” (Gv 20,21).

Alcuni di loro ci hanno lasciato degli scritti, chi un Vangelo, chi delle lettere. Ma la nostra Chiesa è basata su tutti e Dodici: “la città santa”, che scende dal cielo, è poggiata su “dodici basamenti sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell'Agnello”, come dice l’Apocalisse (21,14); quindi non soltanto su quelli che hanno scritto qualcosa. Anche per questo noi diciamo che la nostra fede non ha come radice solo la Scrittura, ma anche la Tradizione, cioè la vita concreta della Chiesa, le espressioni con cui essa manifesta la fede.

Difficilmente possono venire scritti i modi concreti di pregare, di celebrare, di predicare e di organizzarsi, vissuti in tutti i luoghi dove sono passati gli Apostoli.

Anche il tuo modo di rispondere a Gesù, di amarlo, di ubbidirgli, fa perciò parte della grande Tradizione: sei anche tu protagonista.

  

93 Dodici croci

Credere che la Chiesa è apostolica comporta anche credere che l’autorità della Chiesa è ancora quella di Gesù, vissuta ed esercitata dagli Apostoli. Infatti, tramite il Sacramento dell’Ordine Sacro, gli Apostoli hanno trasmesso l’autorità divina del Signore con il segno dell’imposizione delle mani a quelli che divenivano i loro successori.

Hai letto le lettere di San Paolo a Timoteo? Gli scrive: “Ti ricordo di ravvivare il dono di Dio, che è in te mediante l'imposizione delle mie mani” (2Tm 1,6; Ebr 6,2).

Ci sentiamo perciò al sicuro nella Chiesa, proprio perché è apostolica: essa gode dell’autorità che gli apostoli hanno ricevuto da Gesù.

Quando entri in una chiesa fa’ attenzione, e vedrai, o sulle colonne o sui muri, dodici croci, dipinte o scolpite o incollate. Sono il segno concreto che ti ricorda sempre che la fede della Chiesa è quella degli Apostoli, che hanno dato la vita per il Signore. La loro autorità, cui ubbidisci, è quella che hanno ricevuto da Gesù, e la luce che illumina il tuo cammino è quella della Parola del Signore che ti vien donata da loro. Davanti a quelle croci infatti, almeno nelle solennità, arde una lampada. E quelle croci sono nel posto unto dalle dita del Vescovo con il sacro Crisma, quando la chiesa è stata consacrata.

La Chiesa è apostolica: non solo la Chiesa che si raduna oggi, ma anche quella che si è radunata nei decenni e nei secoli passati. Noi viviamo anche di rendita della fede dei nostri antenati.

Benché essi non fossero del tutto santi, la loro fede in Gesù era santa. Hanno bisogno di purificazione? Noi la otteniamo per loro con la nostra obbedienza. Viviamo così la comunione dei santi nella Chiesa, e usufruiamo dell’edificio costruito dalla loro fede e dalla loro preghiera.

L’espressione “comunione dei santi” esprime il fatto che noi restiamo uniti agli altri fedeli, del passato e del presente e del futuro, perché consacrati dallo Spirito Santo e quindi uniti come membra dello stesso Corpo o pietre dello stesso edificio spirituale, la Chiesa apostolica.

  

94 Amore e odio

Gesù è amato e odiato, e così la sua Chiesa. Essa è segno di contraddizione, proprio come il Signore (Lc 2,34). A questo proposito san Giovanni, l’apostolo, ci dice che ci sono molti anticristi, e che questi sono usciti da noi, ma non erano dei nostri (1Gv 2,18s; 2Gv 1,7), cioè facevano parte della Chiesa, ma solo apparentemente. Come mai?

Si vede che non erano innamorati di Gesù, ma cercavano qualcosa per sé. Tu sei innamorato di Gesù?

Se non lo sei posso aspettarmi che cominci ad odiarmi e ad odiare la Chiesa di Dio.

Se non sei innamorato di Gesù, non ami la sua Chiesa e sei pronto a distruggerla.

Se non sei innamorato di Gesù, non sopporti i cristiani deboli, che sbagliano, e i loro peccati diventano scandalo, cioè ostacolo per te: ma l’ostacolo, cioè lo scandalo, lo hai già in te stesso, nelle tue aspettative terrene e nella ipocrisia che vivi con Gesù.

Solo se sei innamorato di Gesù, puoi dire: Credo la Chiesa.

Se sei innamorato di Gesù, i peccati, anche gravi dei tuoi fratelli, come pure dei responsabili - preti e vescovi -, ti fanno soffrire sì, ma non riescono a farti scappare né da Gesù né dalla sua Chiesa.

Tutto qui: essere innamorato di Gesù.

Altrimenti, se non sei innamorato di Gesù, anche i tuoi bei servizi nella Chiesa diventano per te occasione di vanagloria, pretesto per mostrare superiorità, per essere orgoglioso e pretenzioso, cioè occasione di peccato.

Se sei innamorato di Gesù farai tutto con umiltà e mitezza, e così sarai vero testimone di Gesù, anche in una Chiesa debole e fragile e bisognosa di correzione e di crescita. In essa poi riconoscerai di essere anche tu peccatore, bisognoso di aiuto, e di perdono, come lo riconosco pure io tutti i giorni. Dimmi subito che sei davvero innamorato di Gesù!

  

95 Quali occhi usare?

Sai che puoi permetterti di vedere o guardare le cose in due modi?

Puoi vederle con i tuoi occhi umani, quelli che usano anche gli uomini vuoti e senza prospettive eterne.

Puoi però anche cercare di vederle con gli occhi di Dio, tuo Padre.

Ad esempio, nel primo modo vedi gli uomini come tuoi concorrenti, o tuoi pazienti, o tuoi clienti, o tuoi amici o tuoi nemici, nel secondo modo li vedrai solo come figli di Dio, tuoi fratelli, fratelli che ti amano o almeno tentano di farlo, ma soprattutto fratelli che tu ami, e tenti o riesci a farlo spesso.

Così puoi impegnarti a guardare anche la Chiesa.

Quando dici che è una, santa cattolica e apostolica, la stai guardando con gli occhi di Dio, che l’ha voluta e la vuole così.

Io ti consiglio di guardarla sempre con gli occhi di Dio, così non resterai ingannato.

Vedrai prima di tutto i santi che hanno trasformato il mondo con le loro opere di amore.

Poi vedrai cristiani peccatori, grandi peccatori, perdonati e trasformati, resi capaci di opere meravigliose.

Vedrai anche cristiani che attendono o adoperano conversione: e ti sentirai impegnato ad aiutarli per raggiungerla.

Quindi vedrai anche te stesso, piccolo e forse insignificante per chi ti sta intorno, ma prezioso e unico per il Padre. Sei prezioso perché appunto fai parte della Chiesa: grazie a te, unito a Gesù, si può vedere l’unità della Chiesa, grazie a te anche la sua santità, grazie al tuo amore la sua cattolicità, e grazie alla tua fede la sua apostolicità.

Anche se tu non sei chissà chi per l’opinione pubblica, sei grande, perché Dio ti vede suo figlio e Gesù ti vede come salvato da lui.

Lo Spirito Santo poi ti vede suo tempio, anche se talora bisognoso di riparazione o di essere nuovamente tinteggiato.

Io me la godo ad usare gli occhi di Dio per osservare la Chiesa: la vedo fatta tutta di pietre preziose.

  

96 Accozzaglia?

Allora, tornando ai discorsi che si sentono non solo al bar, la Chiesa è proprio un covo di preti pedofili? È un’accozzaglia di persone che amano il denaro e il potere?

Permettimi di intervenire a dare una mano a quelli che straparlano contro la Chiesa. I peccati ci sono, anche gravi, anzi gravissimi, è vero, però forse meno di quanto vien detto. So di un cardinale accusato di pedofilia in America. Dopo qualche anno di condanne e accuse e gravi sofferenze, i due giovani che l’avevano accusato hanno confessato di aver mentito: motivo? Avrebbero voluto soldi. Quella era una strada facile.

So che tu vuoi bene a Gesù. Non amerai la sua Chiesa? E non ti impegnerai a soffrire per essa, come ha sofferto il Signore? Oppure pensi di piantarla lì e andartene? Da chi andrai dopo a confessare i tuoi peccati? O sei perfetto, senza peccato, tu che giudichi i fratelli e li condanni e ti rifiuti di aiutare i più deboli? Da chi andrai dopo se avrai bisogno di un esorcismo o di una speciale benedizione per la tua famiglia?

Di certo il diavolo con molta più facilità ti troverà e ti prenderà a braccetto.

E il Corpo di Cristo, dove andrai a mangiarlo per nutrire la tua vita interiore, la tua fede e sostenere la tua carità?

Se rinunci alla carità, alla fede, alla vita interiore vattene pure.

Prima di andartene però ti consiglio una cosa: guarda le opere di carità fatte dalla Chiesa, proprio da essa. Leggi la vita di qualche santo: scommetto che non l’hai mai fatto. Se non sai leggere, ne trovi a bizzeffe da ascoltare sui canali dei telefonini intelligenti. Fallo, e vedrai la vera Chiesa.

Da parte mia io continuo a credere la Chiesa una santa cattolica e apostolica.

E godo di servirla e di ricevere da essa servizi santi, di cui non mi posso privare. È bella la Chiesa, gonfia di bontà e anche di sapienza!

  

97 Comunione dei santi

Nel simbolo apostolico, più antico di quello niceno-costantinopolitano che sto tentando di spiegarti, si dice “credo… la comunione dei santi”.

I santi sono i battezzati, quelli che formano il Corpo di Cristo, che è santo grazie al suo Capo! Ebbene i santi sono uniti come le membra di un corpo, come i tralci della vite, e così formano un tutt’uno.

L’unità dei fedeli è la comunione dei santi. La stessa linfa circola nei vari tralci della vite, ricevendola dal tronco, e lo stesso sangue circola nelle varie membra del corpo perché vivano della stessa vita del capo.

Vogliamo dire che siamo tutti un tutt’uno: il bene di un membro fa bene a tutti, il male di un membro fa male a tutti. Basta un dente cariato per impedire ad uno di essere del tutto presente e attivo!

Allo stesso modo tutti soffriamo per il peccato di un singolo cristiano. E il peccatore ha bisogno di ricevere il perdono di tutti per avere il perdono del Signore.

Quando pecchi gravemente capisci tu stesso che non basta chiedere perdono a Dio sotto le coperte, ma lo farai al ministro della Chiesa.

Se la Chiesa oggi soffre di carenza di sacerdoti, non è forse perché per molti anni un’infinità di cristiani ha vissuto una fede all’acqua di rose?

È vero pure che la tua santità fa bene a tutti: perciò io ti ringrazio perché perseveri nella fede e nell’amore. Anzi, ringrazio il Padre per la tua fedeltà, per quella degli sposi, per quella dei genitori, per quella dei sacerdoti.

Quanti veri santi ricchi della santità di Dio ci sono nella Chiesa! Grazie ad essi la Chiesa sta in piedi e continua a seminare sapienza e amore. Ti consiglio di tenerla d’occhio, perché ti farà bene.

La comunione dei santi è un altro modo di dire Chiesa, altre parole per considerare questo mistero, cioè quest’opera di Dio che vuole che i suoi siano uniti. E l’unità serve alla nostra gioia, a vivere la nostra vita in pienezza.

Se non siamo agganciati gli uni agli altri non si sviluppa del tutto il nostro potenziale umano e divino, cioè il nostro amore.

  

98 Ingranaggio

La paginetta precedente l’ho interrotta sul più bello. Dicevo: “Se non siamo agganciati gli uni agli altri non si sviluppa del tutto il nostro potenziale umano e divino, cioè il nostro amore”. Vorrei completare dicendo che anche il potenziale della Chiesa non trova completezza, se non ci teniamo uniti.

Ricorro a un esempio per capire meglio e non dimenticare. L’hai visto ancora un apparecchio con molti ingranaggi, come gli orologi di una volta o come le fotocopiatrici di oggi? Ebbene, metti che chi l’aggiusta dimentichi sul tavolo una rotellina bisognosa di essere ripulita e limata o aggiustata perché ha perso un dentino. È lì, tutta sola, che non serve a nulla. Si sente inutile. Ma nella macchina manca qualcosa. Anche funzionasse, non funziona bene: o perde colpi, o è più lenta, o più veloce del dovuto, o fa rumore, o…, o…!

Così la Chiesa: è un grande ingranaggio. Se manchi tu, manca un elemento importante. E tu avresti il coraggio di lamentarti che la Chiesa non fa il suo dovere o che non è santa come dovrebbe essere? La colpa è proprio anche tua. Lasciati adoperare al tuo posto, quello che t’aspetta, che il Signore ti ha preparato. Offriti, fatti avanti, perché chi può sistemare le rotelline si accorga che s’è dimenticato di te.

Cioè, offriti a Gesù! Vedrai che ti ripulirà o ti aggiusterà per poterti usare, ti metterà insieme agli altri nell’ingranaggio spirituale, non ti sentirai più inutile e la Chiesa funzionerà meglio.

  

99 Uccelli del cielo

Non riesco a smettere di osservare la Chiesa. Ci sto dentro, vi faccio parte, è il mio nido, la mia culla, è la mia casa, castello o villa, ma anche il pullman o il treno per spostarmi ovunque. So che essa è avversata da tutto il mondo, da tutte le ideologie passate presenti e future, da tutte le religioni, da tutte le sette e anche dagli atei, ma io continuo a dire: Credo la Chiesa, che ama tutti questi che si comportano da suoi nemici, e offre a Dio la vita per loro.

Questa è già una risposta alla domanda che mi faccio: cosa fa la Chiesa?

So che dev’essere come l’alberello di senape che cresce per far posto agli uccelli del cielo che sistemino il loro nido tra i suoi rami. Lo ha detto Gesù. Gli uccelli del cielo è un modo di dire, usato dai profeti per indicare i popoli del mondo, pagani o atei che siano.

A questo proposito non posso dimenticare che a suo tempo il famoso Gheddafi, venuto dalla Libia in Italia, era stato accompagnato a visitare un ospedale dove operavano le suore. Ha ammirato l’ordine e il loro amore per gli operatori e per gli ammalati, cosa mai vista. Ebbene, tornato nel suo paese, lui in persona ha scritto al papa Paolo VI chiedendogli per favore di mandare suore per i suoi ospedali. Cosa che fu fatta.

Ecco, davvero gli uccelli del cielo trovano posto tra i rami dell’alberello.

E cose del genere succedono tutti i giorni su tutto il pianeta in molti ospedali, scuole, ospizi e tanto altro. La Chiesa quindi ama. Non può fare altro, dal momento che viene dal Dio dell’amore.

  

100 Eccomi

Ti dispiace se guardiamo ancora la Chiesa per vedere cosa fa?

La Chiesa ama e prega.

Prega per riuscire ad amare.

Quando prega si immerge nell’amore del Padre e nell’obbedienza di Gesù per imparare a donare amore a tutti, per donarsi sempre e dovunque.

Quando prega riceve forza per donarsi. Quando la Chiesa prega non si preoccupa delle parole che dice a Dio, perché lui capisce sempre secondo il suo modo di capire, il che per noi è davvero una grazia. Per esempio: che tu dica “non indurci in tentazione” oppure “non abbandonarci alla tentazione”, a lui interessa poco, perché capisce secondo il suo amore, meglio di quel che diciamo noi.

Noi queste cose le diciamo perché sono quelle che il Padre già sta facendo: non siamo capaci di dirgli nulla di nuovo.

Piuttosto, quando preghiamo, facciamo attenzione ad ascoltare, per potergli dire: “Eccomi”.

Pregando dovremmo essere capaci di stare in silenzio: è la preghiera più bella, forse non per noi, ma per il Padre che parla sì.

Quando preghiamo in silenzio il Padre capisce che finalmente vogliamo ascoltare, perché abbiamo fiducia in lui, che sa già tutto di noi.

Ecco, la Chiesa continua a dire e cantare “Eccomi”. Quest’Eccomi lo diciamo tutti, prendendo esempio dai nostri vescovi, e dal papa di Roma, che nella Chiesa è garante dell’unità e della carità.

L’eccomi di ciascuno fa bene a tutti: proprio il papa se ne accorge, e per questo ci chiede di ripetere quell’eccomi salutare che dà forza anche a lui.

È bella la Chiesa quando dice “Eccomi”! È così bella che ci fa venire voglia di ripetere con gioia e con forza: Credo la Chiesa.

  

Professo un solo battesimo

101 Immersione

Continuiamo il Credo: “Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati”.

Giovanni Battista battezzava coloro che si riconoscevano peccatori: li preparava all’incontro con “l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo”. La sua era un’abluzione particolarmente significativa rispetto a tutte le abluzioni con l’acqua praticate dagli Ebrei.

Anche i discepoli di Gesù battezzavano (Gv 4,2) per impegnare gli uomini ad accogliere Gesù, loro maestro, e ad attendere il regno dei cieli.

Gesù poi, dopo la risurrezione, ha comandato agli apostoli: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt 28,19).

È questo il solo Battesimo che oggi la Chiesa conosce.

Che significa battezzare? Tu lo sai di certo. La parola, greca, la si dice per immergere e lasciare immerso. Ti faccio ridere: questo termine era usato nella ricetta per preparare i sottaceti. Le verdure già cotte vengono immerse nel vaso d’aceto e lasciate dentro in modo che si impregnino e ne assumano il sapore.

Chi viene battezzato nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, viene immerso nell’amore trinitario e lasciato macerare in esso in modo che se ne impregni.

Il battesimo non è solo il rito in chiesa: non basta. Lo completa l’ambiente formato in casa dai genitori e dai fratelli che circondano i figli dell’amore trinitario. Tu sei battezzato? Quando sei macerato in quell’amore, chi ti avvicina o ti tocca, e anche chi ti pesta i piedi, potrà gustare la bontà e la bellezza, la fedeltà e la mitezza, la pazienza e la pace dell’amore di Dio!

Il battesimo ti unisce a Dio Trinità, e non ti unisce soltanto, ma ti impregna del suo amore.

Quando sei impregnato dell’amore di Dio, i tuoi peccati sono spariti. Chi ha Dio nel cuore non ha più posto per il peccato, che è la negazione dell’amore del Padre.

Questo battesimo è l’unico che mi preme, l’unico che vale, perché mi immerge in Dio, tanto da diventare un tutt’uno con lui. Meraviglia delle meraviglie! Per questo i genitori cristiani lo desiderano ardentemente per i loro figlioli.

  

102 Perdono si o no?

Per il perdono dei peccati”. Da quando sei immerso in Dio non sei più nel peccato.

Solo noi cristiani usiamo queste parole, peccato e perdono.

I musulmani usano sì le parole, ma non sanno identificarle e spiegarle: essi infatti non concepiscono che l’uomo possa tenere un rapporto con Dio: questi per loro è così lontano, che non può interessarsi di noi, quindi nemmeno può perdonare.

Gli induisti i buddisti e le altre religioni orientali non concepiscono proprio i concetti di peccato e perdono: essi ritengono che l’uomo sia un pezzetto di dio, quindi per loro non ha senso parlare di peccato né di perdono né di salvezza. Per loro non esiste un Dio che ti parla e ti ascolta, un Dio che tu possa offendere o disprezzare.

Siamo solo noi cristiani che parliamo di offesa a Dio, disobbedienza a lui, errore di prospettiva nel vivere la vita senza riferirsi a colui che ce l’ha donata, cioè di peccato.

Ci è necessario perciò il perdono, sia di Dio che degli uomini, rimasti danneggiati o scandalizzati dai nostri pensieri, dalle nostre parole o dai nostri atti.

Qualcuno parla di senso di colpa, ma il senso di colpa non riceve perdono. Uno mi ha detto: non riesco a perdonarmi la tal cosa. Sfido io, come fai a perdonare te stesso? Non ha senso. Devi maturare il senso del peccato: hai rotto la relazione tra te e Dio o tra te e un altro figlio di Dio.

Chiedi e riceverai il perdono o da Dio o dai suoi figli. E allora avrai pace.

Il nostro battesimo fa sparire il peccato come la neve al sole. Ti immerge in Dio, e tu assorbi il suo amore, amore paterno e filiale e comunionale. Il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo ti abbracciano e ti nutrono del loro amore. Sarai attento a non rompere questo abbraccio con atti di egoismo. Caso mai succedesse, ricupererai l’abbraccio con quel supplemento di battesimo che si chiama Sacramento della penitenza, che la Chiesa prevede anche per te, non solo per me.

  

103 Sacramenti

Mi chiedo come mai il Credo non parla dei sette santi Sacramenti della nostra fede. Sarebbe diventato troppo lungo.

Possiamo però intuire come nel Battesimo siano abbracciati tutti gli altri Sacramenti.

Il Battesimo è messo direttamente in relazione con il perdono dei peccati: questo è pure il frutto dell’Eucaristia. Gesù porse il pane ai discepoli dicendo che è “offerto per voi”, in vista dell’unione con lui, quindi i peccati vengono spazzati via. E poi diede il calice dicendo esplicitamente che è “il calice del mio sangue…, versato… in remissione dei peccati”. L’Eucaristia è il mistero della fede: ci vorrebbe un’altra serie di meditazioni per dirlo.

La Confermazione è integrazione del Battesimo, come lasciano intuire Pietro e Giovanni scendendo in Samaria ad imporre le mani sui samaritani battezzati da Filippo perché ricevessero lo Spirito Santo.

L’Ordine Sacro è in vista del conferimento di tutti i Sacramenti, Battesimo in primis, e in vista della comunione tra i fedeli che ne deriva.

L’Unzione degli Infermi è pure presentata da San Giacomo in relazione al perdono dei peccati, come, ovviamente, la Riconciliazione: la malattia non è forse il risultato della presenza del peccato del mondo nella vita degli uomini?

E il Matrimonio? È il sacramento che santifica l’unione sponsale, che prepara l’ambiente trinitario ai figli di Dio, che regola e rende benedizione l’uso della sessualità, spesso fonte di disordine e di quell’impudicizia che chiude le strade al regno dei cieli.

Il perdono dei peccati è un mistero presente dall’inizio alla fine: i profeti lo hanno annunciato, e anche l’angelo nel sogno a Giuseppe, e Zaccaria, parlando del suo Giovanni, che poi presentò Gesù “Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo”.

Leggi tutte le Scritture del Nuovo Testamento, e troverai che la consapevolezza del peccato è costante, perché continuo il riferimento a Gesù, venuto per salvare dal peccato.

Quindi il Battesimo e tutti i sacramenti, che ne sono lo sviluppo, sono dati in vista della remissione dei peccati, cioè del nostro ritorno nell’abbraccio del Padre.

  

Aspetto

104 Attesa

Il peccato, tanto presente con le sofferenze che produce, tiene sveglie le nostre attese fondamentali. Con l’ultima frase del Credo le elenchiamo.

Di esse la prima è: “Aspetto la risurrezione dei morti”. Che cosa significa? Cosa aspetto? E perché?

Mi pare che con questa frase dico anzitutto la certezza che la mia e la nostra vita non si esaurisce in questo mondo. Se aspetto che i morti risorgano vuol dire che so che la morte non fa crollare tutto.

È proprio per questo che celebriamo i funerali per ogni fedele che muore. Lo portiamo in chiesa con noi. Il morto è morto, ma non è morto. Lo chiamiamo defunto: ha terminato la missione che gli è stata affidata, e adesso? Adesso torna nell’abbraccio del Padre, dal cui cuore era venuto. E iniziamo l’attesa della sua risurrezione con la sepoltura del suo corpo nel cimitero.

I cristiani nell’antichità non hanno accettato di bruciare i loro morti, proprio per la loro fede nel risveglio. Cimitero infatti significa dormitorio, e la sepoltura è il modo concreto con cui affermiamo la nostra attesa: ci sarà il risveglio. Non chiedermi né quando né come. Ti dico piuttosto che con le parole e con i gesti diciamo che il morto non è, e quindi anch’io quando sarò morto, non sarò scomparso nel nulla e nemmeno dissolto nell’immensità di un Dio, tanto meno nella vastità della natura. Ognuno di noi conserverà il proprio nome, la propria identità, e questa vivrà lo stesso amore del Padre e del Figlio.

La risurrezione dei morti in qualche modo la viviamo già, direbbe san Giovanni: infatti “siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli” (1Gv 3,14).

La mia attesa quindi riempie il mio tempo e i miei desideri: aspiro ad amare i fratelli per vivere da risorto, e vivo con Gesù per avere vita eterna (5,12-13).

Morti sono quelli che non hanno Gesù e non amano, non offrono se stessi perché troppo intenti a salvare la propria vita provvisoria: l’hanno già perduta. Pregheremo perché il loro purgatorio si accorci!

 

105 Mondo nuovo

“E la vita del mondo che verrà”. È l’altro oggetto della mia attesa. La vita del mondo che verrà è una vita diversa da quella che vivo adesso. C’è un mondo in arrivo, e io vi farò parte. Com’è quel mondo? Non lo conosco, lo conosce Dio, mio Padre, e lo conosce Gesù, il Figlio, che vi è entrato, come ha detto il ladrone in croce: “Ricordati di me quando entrerai nel tuo regno” (Lc 23,42). E ancora è scritto che sono in arrivo “cieli nuovi e terra nuova” (Is 65,17; 2Pt 3,13).

È un mondo in cui Gesù è importante, al primo posto. L’attesa del mondo che verrà, e della vita in esso, mi tiene vigilante, mi dà responsabilità, mi rende serio e sereno. Questo che sto dicendo vale anche per te? Le cose di adesso acquistano o perdono valore in vista del mondo che verrà. Molte realtà ritenute grandi divengono piccole, e piccoli gesti di amore acquistano un valore inimmaginabile. Sì, perché nel mondo che verrà Gesù sarà il Signore e il Giudice, e sarà il Re che mi farà regnare insieme a lui.

Attendere il mondo che verrà perciò combacia con l’attendere Gesù risorto. Nulla di nuovo? O tutto nuovo? Tutto nuovo: lo attendo non perché mi dia qualcosa, ma per dargli tutto me stesso. Gli darò ciò che io sono e ciò che mi pare di avere, metterò a sua disposizione le capacità di pensare e di desiderare, di parlare e di tacere, di amare e di essere amato. Non ti viene in mente la parabola delle dieci vergini (Mt 25,1-13), di cui cinque stolte e cinque sagge? Le stolte si accontentavano di avere le lampade in mano, ma a loro non interessava molto lo sposo che doveva venire. Le sagge attendevano davvero lo sposo con desiderio: per questo hanno pensato che le loro lampade dovevano restare accese a lungo, fino al suo arrivo. Da loro impariamo ad attendere Gesù, ad attenderlo con un amore risoluto, e quindi pensando a lui: è il mondo che verrà, quel mondo in cui lui ci ama e in cui noi lo ameremo in modo esclusivo.

Il mondo che verrà è quello che tutta la creazione attende (Rm 8,19) per godere la libertà dalla corruzione a cui l’ha costretta il peccato dell’uomo. La mia e la tua attesa è perciò condivisa da tutte le creature, animate e inanimate, che ci circondano: tutte aspettano di diventare strumento dell’amore del Padre, rivelazione di Gesù e della sua risurrezione dai morti. Lo afferma anche sant’Ambrogio: “In lui il mondo è risorto, in lui il cielo è risorto, in lui la terra è risorta”. Se penso all’attesa di Gesù che viene e fa partecipare tutte le creature alla sua risurrezione, quanto rispetto e amore avrò per ogni dono di Dio, non solo fiori e stelle, ma anche nuvole e ragni, erbe e persino serpenti. Tutte le creature godranno quando, liberate dal peccato, saranno strumento dell’amore e non dell’egoismo o della prepotenza. Tutte le creature sono destinate all’uomo come dono, e l’uomo è maturo se le apprezzerà come opera e segno dell’amore del Padre.

Anche a nome di tutto il creato dirò perciò “Vieni, Signore Gesù”, come lo dicono lo Spirito e la Sposa (Ap 22,17.20). Il mondo che verrà lo aspetto perciò non per me, ma per lui, per Gesù. Lui è degno di onore e gloria e benedizione: perciò penso solo ad offrirmi a lui. Ogni altro desiderio sarebbe vano e ingannevole, e renderebbe la mia vita inutile per i miei fratelli, anzi, inutile per te.

Quando attendo la vita del mondo che verrà, io stesso diventerò luce e diffonderò gioia e pace.

  

Onore a voi che credete

106 Fede come casa

La casa dove abito è antica, potrebbe raccontare eventi di centinaia di anni. Chissà quante aggiunte le sono state fatte, chissà quanti rimaneggiamenti!

Chi l’ha progettata e chi l’ha costruita e anche quelli che l’hanno ristrutturata sono già morti da un pezzo.

Alcuni vani hanno ricevuto una diversa destinazione: uno era adibito a cantina e ora è cappella, uno era stalla per gli animali e ora è sala da pranzo per gli uomini. Persino le porte sono state alzate, quando le persone si sono accorte di essersi allungate di almeno un decimetro più dei loro nonni. Una porta con i suoi stipiti di pietra è stata persino sagomata in modo da far passare le botti che un parroco fabbricava per mantenersi. Le finestre non sono più quelle di quarant’anni fa.

Nonostante tutto questo, la casa è ancora lei. Mi sono venute in mente queste cose man mano che mi addentravo nel Simbolo della fede.

La fede dei cristiani è sempre quella, ha Dio all’inizio, con i suoi nomi: Padre e Figlio e Spirito Santo; ha la Chiesa come luogo di manifestazione, ma la sua trasmissione ha subito rimaneggiamenti, come una casa; questa in tal modo è rimasta rifugio sicuro, valido sostegno e difesa per essere luogo di incontro adatto per le generazioni che si sono man mano succedute.

Gli uomini lungo i secoli hanno modificato i loro modi di pensare, le loro sensibilità, i modi di comunicare, di parlare, di abitare, di viaggiare, di lavorare, in fin dei conti di vivere. Man mano che passava il tempo veniva data importanza ad altre realtà, per cui anche la comprensione della fede, per essere in tutte le situazioni dono e garanzia di salvezza e di speranza, ha rinnovato i propri connotati, ribadendone alcuni a scapito di altri non più così necessari. E chissà da qui in avanti!

Gloria e lode a colui che ci ama e ci salva, nei secoli dei secoli. Amen.

 

107 La Madre

Credo. Il Simbolo della fede non esaurisce la descrizione di tutti i risvolti del mistero del nostro Dio e della nostra fiducia in lui. Ci sarebbero altre stanze da visitare, altre persone da incontrare per essere aiutati a comprendere e amare. Per esempio, ci sarebbe, come già accennato, la miniera inesauribile dei sette Sacramenti, ricca di tesori commoventi: in essi Dio agisce con sapienza e carità impressionanti.

E la saggezza incalcolabile delle Dieci Parole, i Comandamenti, invidiati dai popoli senza Dio.

C’è poi il mistero della Madre di Dio, divenuta nostra Madre dal momento che anche noi siamo divinizzati. Amiamo il suo nome, Maria, e la veneriamo dalla sua Concezione fino alla sua Assunzione al cielo. Sono misteri emozionanti, reali, che incorniciano tutta la sua vita e il suo servizio al Figlio di Dio: è stata concepita senza l’eredità del peccato di Adamo, ed è assunta in cielo in anima e corpo. In lei possiamo vedere l’umanità come sarebbe stata nell’intenzione originale del Padre.

Sono misteri che crediamo, senza rinunciare a comprenderli. Li comprenderemo però solo nella luce della fede. Io mi accontento di amarla, e anche di chiamarla, come un bambino chiama la mamma quando qualche difficoltà lo turba. So che anche tu fai così, e ci ritroviamo in comunione. Le preghiere rivolte a Maria ci accomunano, tanto che vicino a lei ci sentiamo davvero fratelli.

Ella è apparsa nel bosco ad una contadinella, che, spaventata per il fuggi fuggi dei suoi animali, si rivolse a lei con un grido implorante aiuto. Ebbene, le si è fatta vedere dicendo: “Mi hai chiamato, eccomi”. Semplicità materna, di cui posso e puoi approfittare con semplicità filiale.

Noi siamo sempre, in ogni luogo e in ogni tempo, figli del Padre che ci ama, fratelli di Gesù che ci salva, ricchi dello Spirito che ci unisce e ci rende la vita una festa. Manifesteremo perciò le nostre espressioni di fede sia dentro le abitazioni e gli edifici ricchi di opere di uomini santi, che nelle radure dei boschi, rallegrate dal cinguettio degli uccelli.

 

108 Esercitare la fede

La mia fede deve aumentare? Direi proprio di no. Sai perché?

Perché quando i discepoli hanno chiesto a Gesù: Signore, accresci in noi la fede, egli non ha detto: Si, cari, ve l’aumento a dismisura, ma invece ha sentenziato: “Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: "Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe”.

Un granello di senape è grande, o meglio piccolo, come il punto di una i. Se la fede così piccola riesce a fare miracoli, ne abbiamo abbastanza!

Il problema è un altro. La fede che abbiamo dovremmo adoperarla, non tenerla in tasca o nasconderla in cantina. Quindi non basterà recitare il Credo, o cantarlo. Sarà necessario aver davvero fiducia nel Padre, trattarlo da Padre.

Io comincio col non chiedergli nulla di ciò che mi pare d’aver bisogno: il Padre lo sa, perché è Dio, e provvede, perché è Padre. Allora quando prego non faccio altro che affidarmi a lui, lodarlo, benedirlo, ascoltare Gesù, tutto proprio come fanno gli angeli, che non hanno bisogno di chiedere niente.

Uso spesso la parola: “Mi abbandono a te, Padre”, come hanno fatto tanti santi, che non sono stati delusi.

Adopero la fede per chiedere a Dio di aver misericordia di me, di perdonare i miei peccati. Infatti, anche se non lo sai, io sono uno dei grandi peccatori.

Poi la fede l’adopero per ubbidire alla Parola. Cerco, anche se sempre non riesco, di prendere ogni decisione dopo aver ascoltato qualche riga del Vangelo o degli apostoli.

 

109 Di rendita

Hai mai sentito dire che qualcuno vive di rendita? Sai cosa vuol dire?

Uno che ha ricevuto una grossa eredità può permettersi di vivere di rendita, cioè senza impegnarsi e senza faticare. Ma i suoi figli rischiano di non imparare a lavorare: faranno presto a spendere tutto. E poi? Faranno i barboni?

Perché ti dico questo? Si può vivere di rendita anche della fede dei propri nonni e genitori, e tutto va bene. Ma poi? Tutti ricordiamo nonni o bisnonni - i più anziani come me anche genitori - molto impegnati nella vita di fede. Pregavano, non mancavano mai a Messa, si facevano in quattro per partecipare agli incontri, persino a ritiri spirituali.

E noi siamo vissuti per lo più godendo la pace, con capacità di condivisione e solidarietà, amore e perdono, godendo dell’unità delle famiglie. Queste sapevano sopportarsi e persino perdonarsi anche grosse trasgressioni, omissioni e prevaricazioni. Erano rari i bambini che dovevano fare i conti con un papà in prestito o con una mamma non mamma.

Poi, pian piano, le famiglie hanno cominciato a dimenticare la preghiera del mattino, ad accorciare al massimo quella della sera, a trovare alternative agli incontri parrocchiali, ad andare al mare o in montagna per trovare il sole amico della luna invece che “il sole che sorge dall’alto” (Lc 1,78). Per un po’ sono vissute con la pace di rendita, ma adesso i figli non hanno più in sé né luce né forza né coraggio per stare insieme, e non sanno come fare a trasmettere ai nipoti nemmeno una fettina di vita interiore. E s’accorgono che solo l’esteriorità non basta.

San Giuda ha scritto: “Costruite voi stessi sopra la vostra santissima fede” (Gd 1,20). Noi siamo da costruire, e dobbiamo farlo su un fondamento che non frani e non sprofondi subito dopo.

 

110 Onore a voi 

Hai capito? “Costruite voi stessi sopra la vostra santissima fede”! Come si fa?

Lo stesso san Giuda consiglia la preghiera, la misericordia e la compassione, ma anche il tenersi lontani dai pericoli che potrebbero insidiare e compromettere la fede.

Allora concludo dicendoti che il Credo lo proclamiamo con la consapevolezza di cosa significhi aver fiducia nel Padre e nel Figlio e nello Spirito Santo.

Lo professiamo in unità con tutti i fedeli della Chiesa santa.

Non ci accontentiamo però delle parole che diciamo: lo professiamo soprattutto con una vita coerente in tutti i campi. Allora meriteremo anche noi di sentirci dire da san Pietro: “ONORE A VOI CHE CREDETE” (1Pt 2,7). Lo scrivo tutto maiuscolo, così lo leggi meglio.

Sei onorevole, degno di essere onorato, da chi? Da Dio anzitutto, e poi dai suoi figli. Se hai fede, hai una ricchezza incalcolabile, se la vivi, hai pace e serenità da vendere, se non smetti di viverla, hai amore e misericordia per tutti in maniera invidiabile.

Sai cosa dice ancora San Pietro, levandosi il cappello davanti a quelli che credono sia con le parole che con la vita? Senti: “Voi siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato… Un tempo voi eravate non-popolo, ora invece siete popolo di Dio; un tempo eravate esclusi dalla misericordia, ora invece avete ottenuto misericordia” (1Pt 2,9-10).

Era stupito Pietro per il fatto che i cristiani erano capaci di credere in Gesù e di amarlo senza averlo visto, mentre lui per credere lo aveva dovuto vedere risorto. Gesù risorto è il fondamento e il traguardo della fede. Sei, anzi, siamo davvero degni di onore.

Allora coraggio. Uniti tra noi nella Chiesa, facciamo onore al nostro Dio e Padre, facciamo far bella figura a Gesù, Signore e Maestro, lasciando uscire da tutti i pori della nostra pelle lo Spirito Santo! Amen.

 

111 Amen

Il Credo termina con la parola “Amen”. Facilmente usiamo questa espressione con superficialità, quasi per dire che è finito. A questo ci ha portato l’abitudine e l’ignoranza. È vero che tutte le preghiere terminano con Amen, ma non per dire che la preghiera è finita, ma per sottolinearne l’importanza e la nostra adesione. Adesso ti spiego perché. Questa parola appartiene alla lingua ebraica e la sua etimologia è simile all’etimologia della parola che traduciamo con roccia o pietra. Il suo significato allude perciò a stabilità, fermezza, sicurezza, e quindi fedeltà. Anche la parola fedele, che spesso nelle Scritture descrive l’amore di Dio, allude alla stabilità della roccia, come quella del monte su cui è costruita la città santa, Gerusalemme, o dei monti che la circondano (Sal 125,2). Gesù ha usato molte volte la parola amen, per dare solennità e certezza alle sue affermazioni: “amen amen”, che noi traduciamo: “In verità in verità vi dico”. Certamente Gesù pensava a questa parola anche quando ha descritto la casa costruita sulla roccia, che resiste a tutte le intemperie (Mt 7,24). Una casa così è la Chiesa, edificio spirituale, cioè persone che si relazionano tra loro basandosi sullo Spirito di Gesù, l’Amen di Dio, come dice l’Apocalisse: “Così parla l'Amen, il Testimone fedele e verace” (3,14). La Chiesa infatti è basata sulla pietra o roccia che è la Parola insegnata da Gesù e la fede di Pietro (Mt 16,16) e la Parola insegnata da Gesù, ubbidiente a quel comando “Ascoltatelo” detto ai tre discepoli sul monte. Lui, ubbidiente al Padre, dovrà parlare perché essi lo possano ascoltare! Quando l’Amen lo diciamo noi alla fine di una preghiera o del Credo ricordiamo quindi a Dio la sua fedeltà, che ha stretto con noi un’alleanza nuova tramite il sangue di Gesù: il suo amore è assicurato, e noi possiamo riposare sereni. Ma con l’Amen esprimiamo anche la nostra volontà di essere fedeli alle verità che abbiamo professato e fedeli a ciò che abbiamo detto: Credo, cioè mi affido, costi quel che costi rimango poggiato sull’amore del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo insieme a tutta la Chiesa. Amen! Ripetilo: Amen! Ancora: Amen!

***

  

Conclusione

Per concludere questa improvvisata spiegazione del Credo, un’osservazione.

La fede, si dice, è dono di Dio. Giustissimo.

Se io non ce l’ho, è segno che Dio non me l’ha data. Sbagliatissimo.

Dio te l’ha data, ma tu l’hai lasciata morire.

La fede è un dono vivo.

Se io ti regalo un canarino in gabbia, quello è e sarà un mio dono.

Un mese dopo lo senti cinguettare ancora, e tu lo ritieni ancora mio dono, e mi ringrazi.

Se nel frattempo però tu avrai smesso di dargli da mangiare e da bere e di pulire la gabbia, non canterà più.

La colpa di chi è? È mia forse? O non è piuttosto tua?

Pensaci un po’, e, quando parli, se riconosci di essere senza fede, non dar la colpa agli altri, cioè a Dio.

La tua fede è il tuo rapporto con lui.

Lui continua ad amarti, ma se tu dormi o ti giri dall’altra… il rapporto non ci sarà, cioè la fede non ci sarà.

Buon cinguettio!

  

***

Grazie.

Grazie Padre, Figlio e Spirito Santo.

Grazie Dio immenso, dolce, glorioso, e forte.

Credo in Te, e non ho paura.

Credo in Te, e mi so amato.

Credo in Te, e divento amore.

Credo in Te, per diventare padre e figlio per molti, per tutti.

Credo in Te, e trovo fratelli.

Credo in Te, e il mondo s'illumina della Tua santità.

Credo, mio Dio, Padre nostro, Padre di Gesù e Padre mio.

Credo, e la Chiesa si rafforza col mio credere.

Credo, e l’attesa del mondo che verrà si riempie di gioia.

Io credo.

Nihil obstat: Mons. Lorenzo Zani, cens. Eccl., Trento, 14/03/2021

  

ritorna

precedenti