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Detti dei Padri del nuovo deserto 2 - (154 - 306)

EremoKzib

  

Grotta di un anacoreta della Lavra “San Giorgio di Koziba”, Uadi-al-Kelt  (da Gerusalemme a Gerico), foto 2017

Detti dei Padri del nuovo deserto

2

(154 - 306)
 

Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, là io sono.

2021

Detti 01 - 02 - 03

Introduzione

Nei nostri tempi le città paiono deserto: in esse talora non risuona la sapienza celeste. Si possono vedere sì gli uomini, ma il loro muoversi non è indizio di vita, e il loro vociare non li aiuta, dal momento che non sono stimolati né dalla Sapienza né dalla Scienza provenienti dall’alto, ma solo da qualche istinto di sopravvivenza.
Questi Detti hanno qualche somiglianza con quelli dell’antico deserto. Ti potranno aiutare a riflettere e ad amare. Alcuni raccontano dialoghi avvenuti nelle celle dei monaci, rispecchiando la loro vita, quasi di un altro mondo, tendente alla santità con le difficoltà tipiche di ogni convivenza. Altri invece riferiscono dialoghi di monaci con uomini o donne del mondo, cristiani, sedicenti cristiani e non cristiani, tutti alla ricerca di qualcosa di più che il mondo non ha.
Leggendoli, potrai di volta in volta rimpiazzare le parole ‘deserto’ con appartamento, ‘cella’ con stanza o soggiorno, ‘abba’ con fratello o prete, ‘amma’ con sorella credente, ‘discepolo’ con cristiano o giovane, ‘monastero’ con famiglia o parrocchia, a seconda dei casi. Per te la sostituzione non sarà faticosa. Se non comprendi un Detto, lo rileggerai il giorno dopo. Se sai pregare, condirai la lettura con bricioli di preghiera semplice.
Avrei voluto raccogliere questi Detti in gruppi titolati con i nomi dei Frutti o dei Doni dello Spirito Santo o delle Beatitudini: potresti farlo tu durante la lettura. Le Beatitudini sono rivolte ai poveri in spirito, agli afflitti, ai miti, agli affamati di giustizia divina, ai misericordiosi, ai puri di cuore, agli operatori di pace, ai perseguitati per causa di Gesù. I sette Doni sono Consiglio, Sapienza, Fortezza, Intelletto, Pietà, Timor di Dio, Scienza, mentre i Frutti, eccoli: amore, gioia, pace, pazienza, bontà, benevolenza, fedeltà, mitezza, dominio di sé. Perlomeno terrai presenti queste parole: saranno d’aiuto comunque. Buona lettura!

Gregorio II di Gesù    

154 Benedizione 1/5

Una giovane ragazza raggiunse amma Filomena, sua lontana parente. Venne a dirle: “Cara Filomena, con te mi sento in confidenza per aprirti il mio cuore. Sono molto contenta, perché il mese prossimo andrò a convivere con il mio ragazzo. Ci frequentiamo già da tre mesi, e ora abbiamo trovato una casa adatta”. Amma Filomena stette in silenzio, senza manifestare particolare gioia. “Sai che il mio ragazzo”, continua la giovane, “pensa pure di regalarmi un cagnolino di razza?”! Filomena si aggiustò il velo in testa, poi con la calma e la benevolenza che le donava la contemplazione del volto di Gesù, disse: “Grazie per avermi fatta partecipe della tua, anzi, vostra decisione. Avete ricevuto benedizione per questo passo? Da chi l’avete ricevuta?”. Sorpresa, la ragazza: “Benedizione? Ci vuole la benedizione? Non abbiamo mai pensato a una cosa del genere!”. Al che l’amma: “Cara figliola, senza benedizione di Dio tutto è fumo, e quel che non è fumo è inutile tizzone. Per lavarti la testa non occorre benedizione e nemmeno per altri lavori quotidiani, ma per scelte che cambiano la vita il cristiano cerca di ricevere benedizione”. Fu necessario un attimo di silenzio. (continua)

155 Paradiso? 2/5

(segue) Rafforzate tutt’e due dal silenzio carico di domande, l’amma continuò: “La benedizione di Dio, che solo la Chiesa santa può darvi, è dono grande, garanzia di fedeltà e di serietà. La Chiesa infatti non benedice a nome di Dio né le improvvisazioni, né i passi superficiali, e nemmeno le scelte egoistiche. Voi, tu e il tuo ragazzo, di certo desidererete che il bene che vi volete duri fino al Paradiso. Non è così?”. La giovane si strinse i capelli con un aggeggio insolito e disse: “A dire il vero non ho mai pensato al Paradiso, che non so cosa sia, ma che il nostro stare insieme duri sempre, questo sì”. “E di certo desideri anche che la vostra unione sia un dono per la società, altrimenti la vostra gioia non crescerà e avrà la durata limitata dei vostri sentimenti, intermittenti come le lucette dell’albero di Natale”, proseguì l’amma, senza tentennamenti nella sua voce, ferma perché fondata sulla roccia che è Gesù. (continua)

156 Il fidanzato 3/5

(segue) Superando il disagio della ragazza, l’amma riprese: “Sarai capace di dire queste cose al tuo ragazzo? Anche lui avrà bisogno di confidarsi e chiedere consiglio, perché tu non sei ancora perfetta, e lui dovrà sopportarti e saperti aiutare a crescere e a superare i momenti difficili che la vita inevitabilmente riserva a tutti. Da solo non riuscirebbe. Io ti consiglierei di attendere sia per la casa che per il cagnolino. Questo poi adesso potrebbe essere una distrazione: in qualche momento potrebbe subentrare al tuo ragazzo nel tuo cuore. Io pregherò per voi, e voi cercherete un uomo santo, un sacerdote, che vi consigli e vi accompagni. Egli vi dirà molto di più, cose fondate sulla rivelazione di Gesù, più complete e più belle di quanto riuscirei a dirvi io nella mia ignoranza”.

La ragazza non sapeva se essere triste o contenta: tutt’e due i sentimenti si alternavano mentre salutava. (continua)

157 (segue) Accontentare? 4/5

“Cara amma, ho parlato con il mio ragazzo, come mi hai detto tu. Lui non riesce a digerire i preti. Per lui sono inutili ricordi del passato”. Cominciò subito così la ragazza tornata da amma Filomena. E questa, dopo aver salutato con amore e serenità: “Con la mentalità che gira nel nostro mondo, non c’è altro da aspettarsi. Avrà difficoltà anche ad incontrare un’amma come me? Caso mai accompagnalo qui. Assicuralo che gli voglio bene, e soprattutto desidero il vostro bene. Tu intanto comincerai ad essere più decisa con lui. La donna, Dio l’ha presentata all’uomo con l’intenzione che sia, non una che lo accontenta in tutto e per tutto, ma una che «gli sta di fronte», e quindi che gli può dire ‘sì’, ma anche ‘no’. Tu infatti potrai percepire come volontà di Dio qualcosa che lui non vede o non sente. Lui poi dovrà accorgersi che tu hai una tua vita interiore che non può essere ignorata o disprezzata”. Ascoltava con gli occhi, quella ragazza, mentre l’amma continuava: “Sperimenterà che anche tu hai delle convinzioni, una fede, dei desideri rispettabili. Forse una tua maggiore consapevolezza e istruzione spirituale lo aiuterebbe a rispettarti, ad amarti in modo serio, ad ascoltarti”. La giovane la fissava con interesse, e si illuminava in volto. E amma Filomena concluse: “Va’ in pace. Io pregherò per voi, che arrivi lo Spirito Santo ad illuminarvi”. Si lasciarono con una stretta di mano forte. (continua)

158 Promessa 5/5

(segue) È tornata, anzi sono venuti tutt’e due stavolta. Un po’ timidamente, un po’ spavaldamente. Sarebbe lungo raccontare tutto. Parole di fede da parte dell’amma, domande che dimostravano molta ignoranza dall’altra parte. Interrogativi comunque preziosi, che aiutavano l’amma a dire quanto pareva utile man mano che procedeva il discorso. La notizia più bella è che si sono lasciati con una novità: i due ragazzi promisero, ogni volta che si sarebbero incontrati, di recitare il Padre nostro insieme, e di domenica anche l’Ave Maria. E amma Filomena promise di accoglierli ancora a continuare la chiacchierata: “Sarete benvenuti, perché nel cuore del Padre siete sempre i benvenuti. Egli vi ama già, e mi pare di vedere il suo sogno: voi sarete suoi validi collaboratori per seminare nel mondo il suo amore luminoso. Come un vero Padre vi vede già santi, e voi non lo deluderete. Sia lodato Gesù Cristo”. Con un cenno della mano espressero ben più di un saluto.

159 Capire

Pietro rispose a Gesù: «Noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Gv 6,69). Ma perché ha detto prima «creduto» e poi «conosciuto»? Tommaso invece volle prima conoscere toccando, per arrivare a credere”, osservò il discepolo ad abba Cristoforo. L’abba apprezzò la domanda, e rispose, dopo un sospiro: “La fede viene da Dio e non dall’uomo. Tommaso voleva prima convincersi (20,25), ma così si sarebbe ingannato: non sarebbe arrivata la fede, ma una costruzione razionale. E invece la conoscenza vera, profonda, divina scaturisce dalla fede”. Il discepolo ascoltava con impegno. “Ricordi? Gesù, con la brocca d’acqua in mano, aveva detto a Pietro: «Lo capirai dopo» (13,7), cioè dopo che avrai obbedito, dopo che avrai creduto al mio amore, dopo che ti sarai lasciato lavare i piedi da me. Chi capisce dopo aver obbedito, la sua comprensione è interiore, non è superficiale”. Siccome il discepolo era attento, l’abba continuò: “Gesù ha corretto l’ordine dei titoli che i discepoli gli davano. Ha detto loro: «Voi mi chiamate il Maestro e il Signore»: dicevano prima «maestro» e dopo «Signore» (13,13). Ciò significa che lo apprezzavano come un insegnante, uno che sa, e per questo gli ubbidivano. La loro ubbidienza aveva le radici nel proprio giudizio, cioè, in fin dei conti, ubbidivano al proprio discernimento. Troppo poco. Egli corregge così: «Se dunque io, il Signore e il Maestro…» (13,14), cioè, prima mi considererete Signore, cioè mi ubbidirete, dopo comprenderete il mio insegnamento”. Il discepolo dimenticò di ringraziare l’abba, perché aveva di che riflettere.

160 Paura?

Una signora semplice, ma attenta, andò a visitare amma Filomena. Si confidò: “Amma, uscita di casa nel mio villaggio, rimasi sbalordita: vidi le strade deserte, senza bambini, né si udiva musica dalle finestre. Le poche persone che incontravo o che vedevo a distanza, mi parevano in preda alla paura. «Ma che succede?», mi sono chiesta. Cosa significa, amma, tutta questa paura?”. L’amma chiuse gli occhi, poi li aprì allargando le braccia, e sussurrò: “Ricordi, sorella mia, la domanda di Gesù ai discepoli quando ebbero paura? Chiese loro: «Dov’è la vostra fede?». Infatti chi si affida a Dio non ha paura di nulla e di nessuno, né del passato né del futuro. Quando viene a mancare la fede invece, crescono paure di ogni genere in tutti gli angoli del cuore, della mente, delle case e dei villaggi. Io vivo ogni momento affidando a Gesù me stessa, i miei conoscenti e tutto il mondo. Egli riversa in me amore, e «l’amore perfetto scaccia il timore». L’amore di Gesù è perfetto, perciò dove il suo amore regna, non si conosce la paura”. La signora cominciò a sorridere: la paura, da cui era stata contagiata, si allontanava dal suo cuore, ed ella iniziò a respirare.

161 Pregare 1/2

Abba Felice camminava assorto, tanto da non accorgersi della presenza di due ragazzi che , con tono canzonatorio , interruppero il suo raccoglimento: “Abba, perché dite che Gesù è Dio, se anche lui ha dovuto pregare? Un Dio che prega, chi può pregare?”. Erano stati influenzati evidentemente da qualche setta. Ma a questo abba Felice non pensava. Sorridendo alzò lo sguardo al cielo dicendo: “Cari ragazzi, voi non sapete cosa significa pregare”. I due si guardarono, poi quello più intraprendente: “Come no? Pregare vuol dire chiedere a Dio tutto ciò di cui abbiamo bisogno. Se Gesù fosse Dio, non avrebbe bisogno di nulla”. L’abba prima tacque, poi aprì la bocca: “Voi non solo non sapete cosa significa pregare, ma nemmeno conoscete Dio. Gesù prega proprio perché è Dio. Egli di Dio è il Figlio, e come tale vuole essere immerso totalmente nell’amore del Padre suo. Per lui pregare significa protendersi verso il Padre fino a diventare un tutt’uno con lui, fino a compiere pienamene la volontà del suo amare”. Pareva cominciassero ad aver interesse ad ascoltare. (continua)

162 Pregare 2/2

(segue) I due rimasero senza parole, e l’abba continuò: “Gesù vive pregando. Tutta la sua vita è preghiera. Se voi cominciaste a pregare davvero, lo capireste. Smettete di chiedere a Dio che vi ascolti. Questo è il pregare dei pagani. Cominciate invece a chiedere a Dio che vi parli, e promettetegli di ubbidirgli. Capirete che non c’è un Dio più vero di Gesù. È proprio lui che con la sua preghiera ci fa conoscere il vero Dio, il Padre che ci ama e ha dato la vita anche a voi, e vuol darvi ancora molto di più”. Cercarono di giustificarsi: “Queste cose non ce le ha insegnate nessuno”. E Felice: “Probabilmente non le avete mai volute ascoltare. Ma adesso è importante che cominciate subito a donarvi a Dio, offrendovi a Gesù”. Un invito così non l’avevano ancora mai ricevuto. L’abba insegnò loro a dire, centellinando le parole, il Padre nostro. Poi li invitò a tornare.

163 Propositi del male

Abba Felice stava leggendo a voce alta le parole di Gesù: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza» (Mc 7,21-22). Si fermò, alzando il capo. Abba Paolo, che ascoltava, intervenne: “Abba, mentre leggevi ho contato il numero dei propositi di male elencati da Gesù. Sono dodici. Può avere un significato?”. Rispose Felice: “Tutto può avere un significato, anche il fatto che ciò che ha a che fare con la sessualità precede altre azioni o comportamenti, come se questi ne fossero la conseguenza”. Sorpreso, abba Paolo controllò: “È vero: impurità, adultèri, dissolutezza. Lo hai notato anche nei colloqui con le persone che confessano a te i loro peccati?”. Felice stette un attimo in silenzio, per cercare nella memoria. “Le frane e le valanghe cominciano per un sassolino che si muove. Le frane umane per i giovani e per gli adulti cominciano sovente con un atto sessuale fuori posto, senza benedizione. Inganni, menzogne, furti, superbie, ribellioni e omicidi seguono quel sassolino, mai da sottovalutare. Com’è importante la purezza di cuore e di mente!”. Allora Paolo: “Sì, abba: «Dio non ci ha chiamati all’impurità, ma alla santificazione» (1Ts 4,7). Pregheremo Gesù che ci mantenga un cuore puro e ci dia lo Spirito Santo per avere il dominio del nostro corpo e per aiutare i nostri fratelli”. I due abba si inginocchiarono facendo il segno di croce solenne.

164 Amore informato 1/2

Abba Floriano ricordava che Gesù aveva posto una domanda a Filippo per rendersi conto se avesse imparato da lui e che tipo di discernimento usasse. Anche lui volle mettere alla prova il suo discepolo. Gli disse: “Carissimo, oggi tu, dopo pranzo, mi hai offerto un dolce buonissimo, di quelli che mi piacciono tanto. Ti ringrazio molto. La settimana scorsa tuo fratello, quando ha distribuito il dolce a tutti, mi ha ignorato. Chi di voi due mi ha amato di più?”. Il discepolo rimase senza parole. Egli era convinto di amare il suo abba, che aggiunse: “Non hai parlato con tuo fratello? Egli sa che per la mia salute il dolce è veleno”. Il discepolo comprese che l’amore di suo fratello era più informato e lungimirante. “Perdonami, abba. Io avevo addirittura giudicato male mio fratello, quando non ti ha dato il dolce. Lui certamente ti ha amato davvero”. Abba Floriano, sorridendo, rivelò: “Figlio mio, non ti rattristare. Tu mi hai amato col tuo discernimento. Ma il Signore Gesù vuole che non ci giudichiamo gli uni gli altri, perché ogni giudizio appartiene al Padre. Chi giudica il fratello arreca doppia offesa a Dio: presume di sapere tutto e si mette al posto del Signore. L’umiltà ci animerà sempre e l’amore lo avremo per tutti, anche per chi agisce diversamente da noi. E ci ascolteremo gli uni gli altri”. Dissero insieme una preghiera alla Madre di Dio, maestra di umiltà e di amore vero, e fecero il segno di croce.

165 Amore informato 2/2

(segue) Quando abba Floriano incontrò il suo discepolo gli fece un bel sorriso: “Ti doni pace, la sua pace, il Signore Gesù!”. Fu contento il discepolo per quest’incontro, e ne approfittò per dire: “Abba, vorrei farti una domanda. Perché, quando ti ho offerto il dolce non mi hai detto che per te era veleno che non avresti dovuto mangiare?”. L’abba con molta pace e condiscendenza disse: “Ti ho visto così contento, che mi pareva di farti un dispiacere. Temevo che tu l’avresti inteso come il rifiuto di un tuo atto di amore. La carità è più preziosa della salute, un atto di amore al fratello è gradito al Signore più della cura per il proprio benessere. Io stesso sono più contento di aver incoraggiato te che di aver custodito me. Comunque, se desideri, quando succederà ancora una cosa simile, te lo dirò. Ma ricorderai che la carità precede qualunque regola”. Il discepolo ringraziò, e da quel momento ebbe venerazione per il suo abba, da considerarlo come un angelo del Signore. Cominciò inoltre a ritenere anche la propria salute meno importante dei piccoli atti di amore fraterno, visibili o nascosti, per i fratelli e per tutte le persone che frequentavano il deserto.

166 L’amico del prete

Abba Cristoforo stava cavando erbacce dal suo orticello. Un uomo, dell’età in cui si comincia a perdere la giovinezza, lo vide e approfittò per confidargli un dubbio: “Senti, abba. Un mio conoscente udì una specie di proverbio che lo sconcertò. Egli desiderò da me una parola al riguardo, ma io non seppi cosa rispondere. Ecco la frase: «L’amico del prete perde la fede». Può essere?”. Abba Cristoforo guardò la croce appesa sopra la porta della cella. “Difficilmente, ma può essere”, disse sottovoce, e aggiunse: “Se il prete si dimentica di essere mandato a donare Gesù Cristo agli uomini, a tutti, se non si accorge che anche i suoi amici hanno bisogno di Gesù ogni giorno, se lui stesso non è radicato nel Signore, sarà tentato di mostrarsi intelligente, dotato, istruito, capace, in sintonia con i tempi. Allora la fede resterà solo nel titolo che porta, ma non entrerà nella relazione umana. Ogni suo amico, che desiderasse crescere nella fede, resterebbe a bocca asciutta”. Quell’uomo annuì, e disse: “Io ho un amico prete. Con me si sente in confidenza, ma mi parla male di altri preti, scherza su tutto, mi dà consigli che potrei ricevere da uno psicologo o da un avvocato. Vicino a lui la mia fede non cresce, anzi, svanisce”. Allora Cristoforo: “Non lo abbandonerai. Gli chiederai che ti parli di Gesù, e ogni volta pretenderai da lui una benedizione. Sarai tu il palo che tiene in piedi la pianta della sua fede”. L’uomo, pensieroso, ringraziò.

167 Ricchi e poveri 1/2

Abba Felice aveva fama di saper spiegare la Bibbia, e perciò venivano da lui molte persone con qualche dubbio. Un uomo serio e robusto gli manifestò la sua inquietudine: “Mi pare assurdo quel che Gesù ha detto, che difficilmente i ricchi entreranno nel regno dei cieli”. L’abba cercò di intuire il motivo di tale affermazione, e il Signore lo ispirò a descrivere la vita vissuta proprio da quell’uomo che gli stava davanti. Cominciò: “Vedi, amico: i ricchi di solito cercano di essere sempre più ricchi e nemmeno s’accorgono delle sofferenze altrui. Un uomo ricco teneva in casa un cuoco, un cameriere, uno che si occupava delle riparazioni e manutenzione di casa e macchine, e anche un giardiniere. Facevano tutto loro, lui non era capace nemmeno di farsi un caffè. Anzi, nemmeno era capace di dire grazie. Siccome li pagava si riteneva in diritto di essere servito e basta. Se uno si ammalava non si interessava: lo licenziava, tanto trovava qualcun altro. Non gli importava se moriva di fame. Il regno dei cieli era così lontano dal suo cuore, che non ci sarebbe arrivato nemmeno camminando cent’anni”. L’abba si trattenne dal parlare prendendo fiato, mentre desiderava rimanere unito a Gesù. (continua)

168 Ricchi e poveri 2/2

(segue) Si sentì scoperto quel signore, tanto la sua vita era somigliante a quella descritta, e cercò di giustificarsi: “Io faccio grosse elemosine a varie iniziative di bene. Ho sostenuto anche il convento di San Giuseppe quando lo hanno ristrutturato. Ho iniziato anche varie adozioni a distanza”. Ma abba Felice non si lasciò corrompere: “Tu disponi di molto denaro grazie al lavoro dei tuoi operai. E dopo che hai firmato i tuoi assegni di beneficenza, ti accorgi che ti manca qualcosa? O sono piccola parte del tuo superfluo? Anche questo ha detto Gesù a proposito di quelli che versavano sacchetti d’oro nel tesoro del tempio. Baderai che i tuoi assegni poi non grondino sangue, come la moneta d’oro del re spezzata da san Francesco da Paola!”. Abbassò gli occhi quel tale. Un lungo silenzio. Si inginocchiò, e abba Felice ascoltò una confessione somigliante a quella di Zaccheo, di evangelica memoria. Gesù è arrivato con la sua salvezza ancora una volta.

169 Amare?

Abba Isidoro si recava in città. Un operaio, che stava aggiustando la carreggiata, non avrebbe osato disturbarlo, ma l’abba lo salutò così cordialmente, che quello si sentì spinto ad aprir bocca. “Abba”, disse, “domenica ero alla Liturgia. Ho ascoltato il vangelo. Mi sono chiesto: perché Gesù, a quel tale che chiedeva qual è il comandamento più grande, ha risposto con due comandamenti?”. L’abba fu sorpreso da questa domanda di quell’uomo attento. E disse: “Grazie. Gesù in effetti ha detto un solo comandamento: Amerai. Sapendo però che noi facilmente ci imbrogliamo da noi stessi, volle aiutarci. Vedi, tu puoi amare Dio e contemporaneamente avere risentimenti o pretese verso tua moglie, oppure rabbie verso i tuoi figli. In tal caso il tuo cuore sarebbe come una bottiglia in cui c’è del vino buono mescolato con acqua sporca. Lo berresti?”. Sorrise l’operaio: “Eh no, abba. Ho capito quel che mi hai rivelato. Io voglio essere puro di cuore. In esso non deve esserci doppiezza, amore e odio insieme. Ha fatto bene Gesù a dire che l’amore di Dio è completato dall’amore al prossimo, e che l’amore al prossimo deve fondarsi su quello a Dio, altrimenti né Dio né il prossimo risultano essere amati”. L’abba gioì perché si accorse che non occorre essere al monastero per avere i pensieri in Paradiso. Ringraziò quell’uomo e lodò il Padre che dona sapienza a tutti.

170 Non dirlo a nessuno

Abba Fedele fu interrogato da una signora desiderosa di comprendere bene le parole del Vangelo. Ella gli disse: “Come mai, quando Gesù ha aperto gli orecchi e sciolto la lingua del sordomuto «comandò loro di non dirlo a nessuno»? Non è forse bello e utile raccontare i prodigi che opera il Signore per noi? Qualcuno potrebbe essere invogliato a cercarlo per cominciare ad amarlo”. Abba Fedele le rispose: “Anch’io ragionavo così fino a qualche tempo fa. Poi compresi che il silenzio è necessario per maturare. Il fatto più significativo per il sordomuto non fu poter udire e poter parlare, ma l’incontro ravvicinato con Gesù, il Figlio di Dio. Se l’esperienza di questo incontro non avesse trovato il tempo di approfondirsi e mettere radici nel cuore, sarebbe stato tutto inutile. Un uomo in più che parla non arricchisce l’umanità, ma un uomo che nel cuore vive un’intimità col Signore, porta la sua santità nel mondo e lo cambia, anche se rimane in silenzio”. La donna chinò il capo, e l’abba disse ancora: “Tutti saremmo più ricchi se facessimo come la Madre di Dio, che «meditava tutte queste cose nel suo cuore». Raccontare subito le esperienze con Dio ci impoverisce: esse infatti sono come il seme che, per crescere e portar frutto, deve star lungo tempo nascosto in silenzio sotto terra, e morire in essa. Poi verrà anche il tempo di parlare”. La signora divenne più mite e silenziosa.

171 Verità

Uno studente vivace e capace, impregnato di filosofia ultramoderna, trovò abba Timoteo, che pur non essendo tra gli abba più ferrati in Sacra Scrittura, tuttavia non era da meno di loro, dato che era attento allo Spirito Santo. “Abba, dimmi: sai perché Gesù non ha risposto alla domanda di Pilato? Il governatore infatti è riuscito a metterlo in difficoltà. Gli chiese infatti: «Che cos’è la verità?», e Gesù non è stato capace di rispondergli. Pare che Pilato fosse vicino al modo di pensare del mondo d’oggi. Noi abbiamo capito infatti che la verità non esiste”. Sorrise l’abba, in silenzio. Non ebbe fretta, e non volle convincere chi non è disposto ad ascoltare. Tuttavia aprì la sua bocca di miele: “A dire il vero è stato Pilato a non dare a Gesù il tempo di rispondere, talmente era convinto che la sua domanda fosse inutile. Ma Gesù la risposta l’aveva già data, non in piazza, bensì nell’intimità del cenacolo, non a tutti, ma a quelli che lo amavano. La risposta di Gesù infatti, potrà essere compresa dove non c’è amore? Verità è conoscenza dell’amore. Dio è amore, e chi ama lo può conoscere. Pienezza dell’amore di Dio è Gesù, perciò lui ha potuto dire: «Io sono la verità» e «Chi vede me vede il Padre»”. Tu dovrai imparare l’umiltà ed esercitare l’amore, per comprendere la risposta di Gesù. Pregherò che il tuo cuore si apra”. Non ebbe parole lo studente e salutò sconvolto. Aveva di che riflettere.

172 Conoscere? 1/3

Non si riusciva a distinguere se erano fidanzati o sposi. Arrivati nel deserto, scelsero di parlare con abba Cristoforo: “Da sette anni conviviamo, abba, e non sappiamo ancora se ci amiamo e se possiamo impegnarci per il futuro”. Li osservò con tenerezza l’abba, e si dispose a parlare loro con serietà. “Vi devo dire due cose, figlioli miei: l’una riguarda il passato, l’altra il futuro. Pensavate che, convivendo, vi sareste conosciuti, e poi scelti. Questo, dite che non è avvenuto. E la conoscenza raggiunta non ha aumentato l’amore. Era da aspettarselo, perché noi uomini non conosciamo mai nessuno fino in fondo. Ognuno di noi è, e sarà sempre una sorpresa per l’altro, perché continuiamo a cambiare, maturando o regredendo. Pensavate che basta conoscersi per amarsi, e invece è quando ci amiamo con l’amore di Dio che ci conosciamo. Voi pensavate di riuscire a conoscervi vivendo insieme, e adesso non sapete più cosa significhi amare. È così?”. “Sì, abba” risposero insieme. “Avete dimenticato che la fontana dell’amore è il Padre, e non vi siete preoccupati di bere a questa fonte. Non vi siete impegnati ad ascoltare Gesù. È lui destinato da Dio ad essere il centro, l’inizio e il fine del vostro stare insieme, e invece l’avete lasciato fuori casa dal primo giorno”. Ascoltavano con attenzione e non potevano contraddire le parole che non avevano mai udito né cercato. (continua)

173 Vita e via 2/3

Aspettavano la parola che riguarda il futuro. Disse l’abba: “Il futuro non è molto sicuro. Potrebbe succedere che uno di voi, lui o lei, veda qualcun altro, e d’un tratto s’innamori. I pianti, le lacrime e le imprecazioni del convivente non serviranno a nulla”. I due abbassarono lo sguardo. “Abba, ci auguri questo?”, esclamarono impauriti. “No, non ve lo auguro proprio. Dico che non siete al sicuro”, continuò Cristoforo. “Anche per voi la vita è Gesù, la via è lui, la verità del vostro amore è ancora lui. Senza di lui che frutto pensate possa arrivare? Volete che il vostro futuro sia stabile? Allora iniziate subito a desiderare che in casa vostra ci sia sempre lui, Gesù. Lo ascolterete e gli ubbidirete”. I due si guardarono, e, per la prima volta, sorrisero, e lui disse: “Abba, e adesso? Che facciamo? Abbiamo sprecato sette anni!”. Abba Cristoforo rimase in silenzio. (continua)

174 Verificare? 3/3

I due giovani si accorsero che abba Cristoforo stava pregando. Poi aprì la bocca: “Un consiglio? Ve ne do uno difficile, ma prezioso. Se potrete, uno di voi due per un paio di mesi torni dai propri genitori o comunque si allontani. Così avrete modo di vedere se vi desiderate, se vi aspettate. Il desiderio e l’attesa sono la prova di un amore vivo. E sono aiuto a verificare e assodare la fedeltà. Riempirete il desiderio e l’attesa con la preghiera, benedicendo Gesù che sarà la vostra garanzia, la roccia su cui porre le fondamenta della casa. Perciò cercherete anche di imparare a pregare”. E poi disse ancora: “Quando voi avete deciso di convivere l’avete fatto per comodità, o per calcoli economici, o per fretta e per il piacere, non vi siete attenuti alla tradizione di chi fa la volontà del Padre. Nei due o tre mesi di separazione crescerà la vostra capacità di attesa e di fedeltà e la forza del vostro desiderio. Superata questa prova, deciderete un passo sicuro, secondo la tradizione degli antichi: il santo matrimonio. Vi aspetto ancora, e poi… con i confetti”. Chiesero all’abba la benedizione di Dio per riuscire a trovare il modo e la forza di vivere il consiglio ricevuto.

175 Persecuzione 1/2

Alcuni abba vollero confrontarsi sui problemi del mondo. Qualcuno notava con chiarezza la presenza di segnali di persecuzione per la Chiesa. Nessuno si meravigliava, perché tale persecuzione è prevista. Abba Felice infatti ricordava a tutti: “La persecuzione è già annunciata da Gesù, fin da quando ha parlato sul monte. Ricordiamo che ha detto: «Beati i perseguitati per la giustizia» e anche «Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia»”. Intervenne anche abba Andrea, che ha sperimentato cosa significhi essere calunniato: “In quei momenti è difficile rallegrarsi. Io infatti avevo il cuore in pace, ma temevo che i fedeli rimanessero scandalizzati dalle calunnie contro di me. Dicevo a Gesù: «Tu hai detto che adesso io sono beato: lo credo, perché partecipo alla sofferenza che provavi quando anche tu venivi calunniato. E anche tu sei stato di scandalo per i tuoi discepoli. Non mi riesce però di gioire di questa beatitudine»”. Abba Cristoforo desiderava parlare. Gli dissero: “Parlaci tu, abba”. Allora iniziò: “Oggi nel mondo la persecuzione è subdola e strisciante. Vedete quante opinioni contrastano la nostra fede? Quelle riguardanti la famiglia, quelle che propagandano l’impudicizia nel vestire e nei comportamenti, l’adulterio, il disprezzo della vita degli uomini, esaltando quella degli animali. Per resistere, i fedeli dovrebbero conoscere la Parola di Gesù, e la sua Signoria. E noi, siamo in grado di testimoniarlo?”. Gli altri abba ascoltavano in silenzio.

176 Testimonianza 2/2

Abba Cristoforo continuò: “Ci sono persone che sono fedeli esemplari: io ho imparato da alcuni di loro in varie occasioni. Molti però, e soprattutto i giovani, non riescono a riconoscere la tentazione. E chi la riconosce non riesce a vincerla: il loro amore per Gesù non è ancora tanto forte e deciso. Gesù ha detto che suo testimone è lo Spirito Santo, Spirito di verità, ma ha anche aggiunto «e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio» (Gv 15,27). Noi non daremo testimonianza facendo qualcosa, ma stando con lui. Che ne dite? Ci impegneremo a far sì che il nostro deserto sia dimora di Gesù?”. Tutti gli abba furono concordi. Le persone che venivano dal mondo in cerca di consolazione o di ispirazione respiravano un’aria di pace e di concordia, e perciò venivano volentieri. Si accorgevano che quel deserto era un’oasi dove la persecuzione, che li opprimeva quotidianamente, cedeva il posto al paradiso. Abba Ignazio rifletteva nel suo pregare, e finalmente osservò: “Lo Spirito Santo sta soffiando su di noi e su tutti quelli che arrivano qui. Questi ricevono testimonianza da lui, e anche da noi, ma noi abbiamo sempre bisogno di ricominciare daccapo a rimanere in Gesù”. Fatto il segno di croce ognuno tornò alla sua cella.

177 La gente

Mentre abba Giovanni tornava alla cella dopo la Liturgia, un uomo si accostò e gli chiese: “Cosa stai pensando abba? I tuoi pensieri sono ancora profumati dell’incenso della chiesa?”. L’abba sorrise: “Proprio così. Sto ripensando alla prima domanda di Gesù ai discepoli quand’erano a Cesarea di Filippo, nelle vicinanze del grande tempio dove si adorava una delle divinità più pericolose, il dio Pan”. “Quale domanda?” disse quell’uomo. E Giovanni: “Questa: «La gente, chi dice che io sia?». Gesù voleva vedere se i suoi discepoli sapevano in che mondo vivevano, se si rendevano conto che i cuori degli uomini si conoscono soltanto quando vengono posti di fronte a lui”. Era sempre più curioso quell’uomo. Perciò l’abba continuò: “Cosa dice la gente? Cosa dicono tutti… i peccatori? Dicono che Gesù è uno dei morti che vive e parla, che dice le parole dei morti, morti famosi: Elia, Geremia, uno dei profeti. Sanno tutti cosa essi hanno detto. Perciò la gente da Gesù non s’aspetta nulla di nuovo, anzi, può tranquillamente ignorarlo. La gente lascia che Gesù parli, e intanto adora il dio Pan, quello che ti fa credere che anche tu sei dio o una sua emanazione”. “E che male c’è?” disse quell’uomo. “Se tu sei dio potresti ritenere che tutto quel che pensi è ben pensato, e non ti chiedi se è tentazione del maligno o ispirazione divina. E potresti dire che tutto quel che fai è ben fatto, perché essendo tu un pezzetto di dio non puoi peccare. In questi casi ti inganni da solo”.Abba, tu pensi cose serie”, osservò quell’uomo. E abba Giovanni concluse: “Decisiva è la seconda domanda di Gesù: «Ma voi, chi dite che io sia? A questa domanda risponderai tu”. Quello divenne serio, ringraziò e s’allontanò lentamente.

178 Uccellino 1/6

Passando per caso nel deserto, un giovane scorse abba Isidoro che contemplava il cinguettare di un usignolo sul ramo di un cespuglio. Con un po’ di sussiego prese coraggio per dirgli: “Abba, vedo che ti piace ammirare il canto di un uccello. Io ammiro invece ciò che riescono a fare gli uomini. Ieri, per esempio, con un solo razzo hanno mandato in orbita una gran quantità di satelliti. E questo si ripete ogni settimana. Pensa che meraviglia, quale grande intelligenza ha l’uomo”. L’abba ascoltò, senza entusiasmarsi. “Vieni qui”, disse con apparente tristezza, “siediti un momento”. Il giovane accettò. E quello: “Che ci fanno lassù quei satelliti? Ti sei chiesto per qual motivo vengono messi là? Ti pare che siano lucette come quelle dell’albero di Natale? E dove prende il denaro quel tale per questo lavoro? Come pensa poi di ricuperare il suo conquibus? Tu ammiri l’intelligenza impiegata dall’uomo nello spazio. Benissimo. Vedi se in quell’impiego della tecnica c’è anche sapienza, se c’è partecipazione all’amore di Dio per gli uomini, altrimenti risulterà un danno per tutta l’umanità”. L’abba avrebbe voluto continuare, e raccontargli la bellezza di Gesù, ma vedendo la meraviglia del giovane gli disse soltanto: “Ti attendo un’altra volta. Farai le tue ricerche per rispondere alle mie domande”. Il giovane rimase pensieroso, e, a questo punto avrebbe voluto anche lui contemplare e ascoltare l’usignolo, ma era volato via. (continua)

179 Scoperte 2/6

(segue) Abba Isidoro stava per recarsi in città, quando udì dei passi. Era il giovane ammiratore della tecnica umana. “Abba, te ne vai? Ho da dirti qualcosa”. Tornò nella cella l’abba, e sedettero insieme. Era un po’ affannato il giovane e non sapeva come cominciare, ma il silenzio tranquillo lo aiutò: “Abba, le tue domande non mi hanno lasciato dormire tranquillo. Ho cercato risposta, facendomi aiutare da un amico. Ebbene, sì, ho scoperto che quella tecnica prevede di arrivare a coprire di satelliti tutto lo spazio attorno alla terra. Sono previsti guadagni grandissimi, e inoltre ho intuito indizi per pensare che ci siano anche altre intenzioni, di coloro che hanno promosso l’operazione. Cercherò ancora”. Emise un sospiro più tranquillo. L’abba intanto, senza meravigliarsi di nulla, pregava fiducioso e in pace il Signore del cielo e della terra, che guida le sorti dei popoli e dell’universo intero, tanto da esser chiamato “Pantocrator”, colui cioè “che tiene in mano ogni cosa”. (continua)

180 Prosciutto sugli occhi 3/6

(segue) Il giovane, lieto di essere riuscito a rispondere alle domande dell’abba, continuò: “Queste scoperte mi hanno provocato non poca inquietudine. Non sono riuscito a scoprire tutto. Ti voglio però ringraziare per le tue domande: mi hanno aiutato a non essere superficiale, ma adesso…”. L’abba sorridendo continuò il discorso: “Adesso devi ricuperare la pace. Se ci fosse ancora l’uccellino…, ma tornerà di certo. Vedi, Gesù ci ha esortato a essere semplici come le colombe, ma anche prudenti come i serpenti. Quindi niente prosciutto sugli occhi. La tecnica aiuta, ma può essere usata dal nemico dell’uomo, dell’umanità, cioè di Dio nostro Padre. Ti ospiterei volentieri, perché tu abbia modo di approfondire la sua conoscenza. È l’unico modo per intuire e scoprire le macchinazioni del nemico, e non permettere ad esse di lacerare il tuo cuore. Conoscendolo e amandolo sarai in grado di aiutare altri a crescere interiormente trovando la gioia in Gesù. Tornerai?”. Il giovane: “Certo, abba”. Fecero insieme un tratto di strada e si dettero appuntamento per continuare non tanto il dialogo, quanto il cammino spirituale iniziato, il cammino che arriva a edificare tutto su Gesù. (continua)

181 La ragnatela 4/6

(segue) È arrivato puntuale il giovane, che ha cominciato a comprendere il valore del silenzio. E l’abba Isidoro lo accolse senza fargli pesare di aver dovuto interrompere la preghiera. Dopo i doverosi, ma sobri convenevoli, gli confidò: “Quanto mi hai raccontato ieri mi ha distratto nella preghiera: mi parve di vedere come una ragnatela stesa attorno a tutta la terra”. Il giovane lo interruppe: “Anch’io ho avuto questa percezione, e ho avuto paura”.

Al che l’abba: “No, amico mio, niente paura. Gesù non aveva paura. La ragnatela c’era, in altro modo, anche allora. Farai un’altra ricerca, storica stavolta, e vedrai come si viveva nell’Impero romano sotto Tiberio Cesare e i suoi successori. Le Legioni militari erano presenti ovunque, tanto che nessuno poteva sentirsi al sicuro. E le divinità pagane ammaliavano, punivano e si vendicavano senza pietà. Gesù, e poi i suoi discepoli, vivevano con la consapevolezza che il ragno, il nemico, è il diavolo, Satana. Infatti è lui che porta nel mondo l’odio contro Dio Padre, e contro coloro che vivono come suoi figli e si comportano da fratelli. Satana porta la morte, invidiando colui che dà la vita. Gesù amava tutti, anche gli uomini di cui il nemico poteva servirsi. Ha guarito con tanto amore persino il figlio di un centurione. Così vivremo anche noi. È l’amore che cambia il mondo e vince le sue trame, l’amore che nasce e cresce sul terreno della nostra santissima fede. Ed è dall’amore che scaturisce la gioia”. Fu interrotto l’abba e dovette lasciare così il suo interlocutore. (continua)

182 Religione globale 5/6

(segue) Terminata l’incombenza, raccoltosi un attimo, abba Isidoro, riprese: “Ho detto che il nemico è il dragone che odia Dio, e non sopporta che gli uomini lo amino e lo chiamino Padre”. Il giovane non riusciva a stare attento, si vedeva che avrebbe desiderato dire qualcosa, qualcosa che doveva essere molto importante per lui. L’abba tacque e attese, finchè quegli riuscì a confidare: “Di quel che dico, alcune cose le ho sapute, altre intuite. Pare che si stiano diffondendo delle filosofie che vorrebbero imporsi come ideologie per impedire persino l’uso dei termini padre e madre. Riusciranno anche a impedire l’amore dei padri e delle madri per i loro figli? Perché quest’accanimento contronatura? Pensi tu, abba, che questo sia mosso dal nemico di Dio per arrivare a far cancellare dalle Scritture sante e dal cuore degli uomini il nome di Dio Padre? Ho letto anche che circola il progetto di proporre a tutta l’umanità un’unica religione, dalla quale però dovrà scomparire il nome e la persona di Gesù. E si toglierà pure il suo nome dal riferimento alla storia passata e futura: non si dirà più avanti Cristo e dopo Cristo, ma si dirà qualcos’altro”. Si interruppe, rimanendo senza parole. L’abba intanto non smetteva di pregare proprio il Signore Gesù. (continua)

183 Babele? 6/6

(segue) Allora l’abba rispose: “Le ho udite anch’io queste cose, ma non mi spaventano. Certamente il nemico ci mette la coda e anche lo zampino. Noi sappiamo che questa strada è stata già percorsa ai tempi della torre di Babele” (Gen 11,1-9). Chiese il giovane: “Cos’è successo allora?”. Rispose l’abba: “Volevano sostituire Dio con l’uomo. Volevano dare agli uomini la gloria e l’autorità che spetta a Dio soltanto. Volevano un’unica nazione, un’unica religione, un’unica storia, un’unica lingua, un’unica autorità. Volevano… ma è arrivata una grande confusione. Nessuno più capiva nessuno, nemmeno se stesso. Era opera del nemico di Dio: il quale, se gli vien dato spazio, farà iniziare lotte e rivoluzioni, omicidi e genocidi. Questo è quello che lui sa fare, nulla di bene. Potrà arrivare a preparare una lunga ondata di persecuzione per la Chiesa. Noi però, senza paura, intensifichiamo la nostra preghiera di lode e adorazione a Dio e portiamo il nome santo di Gesù ovunque e sempre. Egli ha saputo comandare alle onde e ai venti, e ha ordinato ai discepoli di non avere paura. Vuoi ubbidirgli tu?”. E lui: “Si, abba. Imparerò da te a pregare e a star nella gioia”. “Comincerai a ripetere il salmo che dice: «Il Signore annulla i disegni delle nazioni, rende vani i progetti dei popoli» (Sal 33,10)”, suggerì l’abba. Il silenzio che seguì permise di udire un cinguettio: sul ramo s’era di nuovo posato l’usignolo!

184 La sua mitezza

Abba Paolo aveva il vizio, no, la santa abitudine di soffermarsi sulle singole parole delle letture della Liturgia. Una domenica si soffermò su questa frase: «Mettiamolo alla prova con violenze e tormenti, per conoscere la sua mitezza». Era scosso pensando a che cuore avevano quelli che dicevano queste cose. “Bisogna essere crudeli a parlare in questo modo. E il bello è che hanno fatto proprio così: hanno torturato Gesù. E poi solo un pagano ha riconosciuto la sua mitezza”. “No, anche tu l’hai riconosciuta, ammirata e imitata”. È intervenuto abba Gregorio, attento ai pensieri dei fratelli e attento a non lasciare la Parola di Dio nel passato. Egli immaginava i pensieri di abba Paolo, e così li ha completati e indirizzati. “Quanto dicono le Scritture non rimane nel passato, sta succedendo oggi, in questo momento. Quante persone vengono messe alla prova con violenze e tormenti! Quelli che appartengono a Gesù vengono manifestati proprio in questo modo. Si distinguono da come portano la croce e pregano per coloro che si divertono a buttarla sulle loro spalle”. Abba Paolo osservò Gregorio per vedere la sua pace e il suo sorriso. Infatti, dal tono di voce si poteva percepire che quel che diceva l’aveva vissuto.

185 Cordicelle 1/2

Cercavano abba Felice, ed è buon segno: ci sono persone che aprono il Vangelo e pregano per ricevere la grazia di comprenderlo, e poi qualcuno che sciolga i dubbi. Ecco da lui una signora con la domanda: “Gesù ha cacciato i venditori dal tempio. Quei venditori però vendevano gli animali che servivano ai sacrifici che la gente voleva offrire a Dio. Essi facevano un grande servizio a chi arrivava nel tempio. Non è stato esagerato Gesù?”. L’abba, per grazia, conosceva il nostro Dio e Padre, e aveva amore vero per Gesù. Poté perciò dire: “Gesù conosce il Padre e ama perciò il tempio. Questo è chiamato casa di preghiera, cioè luogo che deve aiutare a conoscere e godere l’amore del Padre. Quelli che vedevano il tempio occupato da animali in vendita, cosa dovevano pensare? Certamente che il Padre ha bisogno di soldi, non del nostro cuore”. L’abba, prima di continuare, guardò se quella signora l’ascoltava, e se comprendeva. (continua)

186 Cordicelle 2/2

(segue) Abba Felice continuò rivolto a quella donna: “Lascerai che Gesù cacci gli animali dal tempio, e lascerai pure che svuoti la tua mente dai pensieri di tipo commerciale, per esempio: «Dirò un rosario, andrò a Messa, farò un fioretto, così Dio dovrà ascoltarmi e fare quello che io gli chiedo. Reciterò un altro rosario, così Dio non permetterà che io mi ammali. Domani andrò a due Messe, così Dio guarirà mia nipote dalla anoressia e mia zia dalla depressione». E ancora: «Come mai Dio non mi ha ascoltato, benché io abbia fatto un lungo pellegrinaggio?»”. La signora si mostrò confusa: era proprio quella la sua preghiera. L’abba continuò: “Vuoi che Gesù usi anche con te la frusta di cordicelle? Chi prega, non fa contratti con Dio, non gli fa ricatti, non gli fa l’elenco dei mali, che spesso sono frutto di peccato. Chi prega seriamente, desidera essere aiutato ad ascoltare la Parola del Padre, cioè Gesù, e ad offrire a lui il proprio tempo e le proprie facoltà ed energie, per rendere presente il suo Regno. In questo modo il mondo potrà diventare tutto tempio di Dio”. Chissà se ha capito, comunque la signora ringraziò e salutò, chiedendo all’abba il sostegno della sua preghiera e la grazia di poterlo incontrare ancora. Nonostante tutto un po’ di pace l’aveva ricevuta. L’abba glielo promise e le donò la benedizione col nome della santissima Trinità.

187 I Regni 1/2

Un discepolo si rivolse ad abba Agapito: “Abba, Gesù è intervenuto con forza a denunciare i falsi orientamenti dei farisei e degli scribi. Perché non ha mai pronunciato un «guai» rivolto a Cesare e nemmeno a Erode? Essi facevano soffrire tutto il popolo, come ben sappiamo. Solo una volta ha detto un generico «Guai al mondo per gli scandali» (Mt 18,7). Sorrise abba Agapito, terminò il suo lavoro e invitò il discepolo a sedere accanto a lui. “Grazie per questa domanda. Gesù si occupava del Regno dei cieli. Sapeva di essere stato mandato dal Padre per questo. I farisei e gli scribi ritenevano di farne parte di diritto ed erano ammirati da tutti come religiosi esemplari, ma il loro comportamento talora somigliava a quello dei regni del mondo. Gesù si sentiva in dovere di mettere in guardia i suoi, che li stimavano, e così erano influenzati dal loro esempio: per questo li rimproverava con durezza”. Tacque un attimo, lasciando intendere che voleva dire ancora qualcosa. (continua)

188 I Regni 2/2

(segue) Il discepolo aggiustò la sedia e rasserenò il volto. L’abba gli disse: “Tutti intuivano invece che i regni del mondo sono il luogo dove opera e cresce il peccato. Non c’era bisogno che Gesù dicesse che il mondo è lontano da Dio: lo sapevano già. Chi è del mondo non conosce né gusta né diffonde l’amore del Padre. Nei regni del mondo deve crescere e distinguersi il regno dei cieli. Non sarebbe servito a nulla rimproverare Pilato ed Erode. Essi non sarebbero stati in grado né di accettare né di comprendere Gesù”. Il discepolo interruppe: “Può essere che Gesù abbia avuto paura a dire una parola contro i potenti?”.No, Gesù non aveva paura, era solo prudente”, disse con sicurezza l’abba, e continuando: “Prudente come i serpenti, pur sapendo che i suoi giorni erano contati dal Padre e nessuno li avrebbe potuti accorciare. Aveva nel cuore l’avvertimento: «Non tenterai il Signore tuo Dio»”. E concluse: “Figlio mio, ci aiuteremo con la preghiera, e Gesù sarà con noi”.

189 Pantaloni

Uscito un uomo dalla cella di abba Macario, il discepolo chiese all’abba: “Non è sposato quell’uomo?”. “Perché me lo chiedi?”, rispose l’abba. E il discepolo: “Mia mamma faceva indossare pantaloni e camicia stirati al papà, quando usciva per recarsi da qualcuno. Lei voleva che lui facesse bella figura, e così guadagnava stima anche lei di donna attenta e ordinata. A quest’uomo invece nessuno ha stirato né pantaloni né camicia”. L’abba, compiaciuto, rispose: “Vedo che sei molto attento. È vero, oggi ci sono donne che non amano i mariti, o mariti che non ubbidiscono alle mogli. La tua attenzione è preziosa. Tu sarai così attento anche alla tua voce, alle tue parole, ai tuoi gesti, alle tue azioni, così da far fare bella figura a colui che ti ama, a Gesù. È lui che stira i tuoi pensieri e i tuoi sentimenti! Che non si debba dire che lui non ti ha rivestito, che non ti ama, o che tu non l’ascolti”. Dopo un po’ nella cella si sentì canticchiare.

190 Fedeltà

Un uomo pensieroso si sentiva in dovere di confessare il proprio peccato. Venne da abba Gregorio e cominciò: “Ho tradito mia moglie, abba. Ma devi sapere che da lei non ho soddisfazione, non mi fa mai una carezza. Quest’altra donna invece mi copre di attenzioni, mi stima, apprezza il mio lavoro. Con lei mi sento consolato”. “Vuoi dire che ti ritieni giustificato?”, continuò l’abba. E quello: “A dire il vero non ci vedo molto male”. Si raccolse in preghiera abba Gregorio, costringendo anche quell’uomo a rientrare in sé. Poi disse: “Amico mio, tu non stai solo tradendo tua moglie. Stai distruggendo la pace e la fede dei tuoi figli, fai soffrire i tuoi genitori e tutti i tuoi familiari, anche quelli di tua moglie e persino quelli della donna gentile che finge di amarti. Anzi, stai introducendo il diavolo nella Chiesa santa di Dio. Obblighi Dio a non considerarti più suo fedele, perché sei diventato infedele a lui e alla missione che ti ha affidato. Tua moglie forse non sa, ma percepisce, ed è già condizionata dal tuo peccato: non può accarezzare uno che porta il diavolo in casa”. Triste, l’uomo guardò gli occhi di Gregorio: brillavano di verità. La confessione divenne inizio di conversione.

191 Mano, piede, occhio

Abba Paolo rifletteva senza concludere. La Parola che lo turbava era: “Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala”. Pensava che Gesù avesse non solo esagerato, ma anche ironizzato, così per il piede e per l’occhio. Diceva tra sé: “È Parola divina, ma come accettarla? Nessuno l’ha realizzata, infatti non si è mai sentito che un cristiano si sia tagliato una mano o un piede o si sia cavato un occhio per ubbidire a Gesù”. Confidò i suoi dubbi ad abba Giuseppe. Questi lo rasserenò, ma gli mise altre pulci in tutt’e due le orecchie: “La Parola di Gesù è sempre più vera di quel che pensiamo. Tagliare la mano che significa? Con quella mano non potresti più far nulla: «Se la mano ti scandalizza, tagliala» può significare che se il lavoro che fai ti allontana da Gesù, dovrai smetterlo, e, se non è volontà di Dio, eviterai di accarezzare la persona che stai avvicinando. «Se il tuo piede ti scandalizza, taglialo»: cioè eviterai di andare in quei luoghi dove trovi pericoli per la tua fede. «Se il tuo occhio di scandalizza, cavalo»: eviterai cioè di leggere o guardare o osservare ciò che non aiuta la tua intimità con il Signore, ciò che potrebbe disturbare la purezza del tuo cuore o del tuo corpo». Abba Paolo lo guardò stralunato: “Non avevo questa intelligenza”, disse, e abba Giuseppe rispose: “Questa te la dà Gesù quando lo ami con tutto il cuore!”. Si salutarono e fecero il segno di croce.

192 Da voi stessi

Abba Filippo fu attorniato da un gruppetto di giovani. Avrebbe desiderato parlare loro di Gesù, ma faceva gran fatica a dialogare con loro: notava che erano succubi di abitudini, opinioni e parole che usavano senza senso critico. “Perché credete queste cose? Pensate siano ragionevoli?”, disse con forza. E uno di loro: “Certo abba, così dicono tutti, anche alla televisione”. L’abba si accorse che mancavano di notizie sicure, di conoscenze elementari, e per questo si fidavano ciecamente di chi guida le opinioni verso mete prefissate da chi ha qualche interesse. Il discepolo, che assisteva al dialogo, disse poi al suo abba: “Hai fatto fatica, abba, a parlare con quei giovani. Pareva ti ritenessero un extraterrestre”. Di rimando Filippo: “Proprio così. Non sono abituati a pensare e a ragionare con la propria testa. Non si informano, non cercano, non studiano. Prendono per oro colato quel che sentono dire da chi li vuol sfruttare. Mi ricordo che anche Gesù ha dovuto dire: «E perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?»” (Lc 12,57), e lo disse per difendere i discepoli dal prendere ad esempio nientemeno che i farisei (Mt 16,1). “È vero, abba”, osservò il discepolo: “ma per giudicare da se stessi, cioè per discernere ciò che viene dal Padre e ciò che viene dal serpente, è necessario almeno conoscere la Parola di Dio, i desideri di Gesù, la bellezza della sua vita, e avere qualche nozione sicura del creato”. Ritiratisi nella cella, pregarono benedicendo quei giovani e tutti i loro coetanei.

Pendolo

Amma Margherita fu interrogata da una ragazza, seria e timida: “Ho un’amica che interroga un pendolo o delle carte da gioco per sapere se assumere una medicina o se mangiare una cosa o se incontrare una persona. Posso farlo anch’io?”. L’amma fu sorpresa. Non s’aspettava una domanda del genere da una ragazza cristiana. Sorrise, e disse: “Chi fa queste cose si dimentica di essere dotato di intelligenza, o non è stato abituato ad adoperarla. La tua amica non ha stima del proprio ragionamento, e nemmeno del tuo”. Stava in silenzio la ragazza, attenta. Allora l’amma continuò: “Chi si dimentica del Creatore di tutte le cose, e che solo lui sa come funzionano, cercherà cianfrusaglie. Chi si dimentica di avere un Padre, non andrà da lui per interrogarlo. E non penserà nemmeno che potrebbe interrogare chi è in dialogo con lui ogni giorno”! Visto che la ragazza taceva ancora, l’amma disse: “Secondo te, cosa può sapere un oggetto penzolante o una carta colorata? Chi li interroga è astuto, ti dirà quel che vuole lui e t’ingannerà. E se indovina qualcosa, è segno che è in combutta col diavolo, che alcune cose le sa, e le dice quando vuole attirare la fiducia per ingannare meglio”. A questo punto la ragazza dice: “Allora non mi devo fidare di chi fa queste cose?”. “Certo che no”, sbotta sicura Margherita, “se non vuoi diventare schiava di un uomo o di una donna e se non vuoi offendere Gesù. Solo di lui ti puoi fidare, e di chi porta la sua croce”. E l’amma aiutò la ragazza a pregare.

194 Allibito

Sono allibito: sto leggendo un libro di storia. Un papa, a capo dell’esercito, entrò in una città a cavallo, spada in mano. Come avranno fatto i cristiani di quella città e quelli di tutto il mondo a rimanere cristiani? Non si sono scandalizzati?”, diceva tra sé e sé abba Silvano. Non riusciva più nemmeno a pregare. Diceva: “Un papa! E forse alcuni prelati erano con lui! Se il mio papa oggi facesse così, uscirei dalla Chiesa, non sopporterei una cosa del genere”. Andò a cercare abba Cristoforo, attese che terminasse la preghiera e poi gli presentò il suo dilemma. Abba Cristoforo ascoltò con attenzione, chinò il capo, lo alzò al crocifisso appeso alla parete. Lentamente disse: “Fratello mio, i cristiani sanno che Pietro pianse amaramente dopo il canto del gallo. Sanno pure che ricevette da Paolo un forte rimprovero, che veniva da parte di Gesù. Le chiavi del regno dei cieli tuttavia rimasero nelle sue mani tutt’e due le volte”. Abba Silvano ascoltò, poi avrebbe voluto protestare, ma abba Cristoforo lo prevenne: “Gesù è il Signore, Gesù è seduto alla destra del Padre, Gesù è il pane che ci nutre, Gesù è il fuoco che ci riscalda con il suo Spirito, Gesù è la luce che illumina i nostri passi, Gesù è l’acqua che ci disseta, Gesù è il pastore che guida il gregge e Gesù è la vite cui sono uniti i tralci. Se colui che tiene in mano le chiavi inciampa e cade, attendiamo che Gesù lo rialzi e gli ridia forza, ma rimaniamo al suo fianco”. Abba Silvano si riebbe. Farfugliò: “Se io mi allontanassi dalla Chiesa, la vite perderebbe solo un tralcio, ma quel tralcio morirebbe, non avrebbe più linfa per vivere e portare frutto. Ho capito: continuerò a pregare in unità con tutti i fratelli, anche quando soffrono scandalo”. Insieme pregarono la Salve Regina, madre di misericordia.

195 Amore e amore 1/3

Due giovani studenti incrociarono, senza volerlo, abba Cristoforo. Non intendevano interrogarlo, ma fu lui a cominciare: “Da dove venite, ragazzi? Siete stati a scuola oggi? Avete imparato qualcosa di bello?”. Presi così alla sprovvista, dissero: “Sì, abba. Ti farà piacere che oggi ben due professori ci hanno parlato dell’amore. Ci hanno convinti che ogni forma di amore è positiva e degna di essere vissuta”. Abba Cristoforo non aveva mai tenuto il prosciutto sugli occhi, e perciò subodorò qualche stranezza, e volle approfondire, per aiutare quei giovani: “Che cosa intendete dicendo «ogni forma di amore»? Sapete che alla parola «amore» si attribuiscono vari significati, e non tutti sono indice di amore divino?”. Uno dei ragazzi, più immediato, spiegò all’abba la lezione di uno dei professori: “Ci ha detto che l’amore è sempre cosa buona. Un uomo che ama un altro uomo compie un’azione degna di sé. Una donna che ama un’altra donna rende il mondo più bello. Tre uomini che amano una donna fanno solo il bene. E fa il bene anche un giovane che ama una donna anziana. Se un uomo sposato, oltre sua moglie, ama la segretaria, non fa nulla di male, perché l’amore è sempre buono”. Rimase inorridito abba Cristoforo degli insegnamenti impartiti a scuola a ragazzi che non hanno ancora maturato un discernimento. Lasciò perdere i suoi impegni e si trattenne con loro: glielo stava chiedendo Gesù stesso. (continua)

196 Amore e amore 2/3

(segue) “Siete contenti se vi dico anch’io qualcosa?”, chiese abba Cristoforo ai due studenti, che nel frattempo furono raggiunti da altri tre. “Certo, abba. Noi ascoltiamo anche te, che da quel che si dice, di amore te ne intendi”, disse uno di loro. Silenziosamente, senza che essi se ne accorgessero, l’abba pregò nel suo cuore e invocò la Madre di tutti. “Di amore me ne intendo, sì. Io chiamo amore il donarsi. Chi, gratuitamente, perde tempo per un altro, impegna le proprie energie, esercita pazienza e sopportazione, perdona e ascolta, questi esercita amore. Per dirla in breve, amore è vivere allo stesso modo con cui Dio si rapporta con noi. Per «Dio» intendo la persona che Gesù ci ha fatto conoscere con il nome di «Padre». Ce l’ha fatto conoscere anche con le parole, ma soprattutto amandoci, perché Dio è amore. Immagino che voi conoscete Gesù”. Uno dei cinque intervenne: “Non siamo abituati a questo linguaggio, ma pare interessante”. L’abba ringraziò e continuò: “Avete mai sentito parlare di due cosiddetti comandamenti? Il primo: «Amerai il tuo Dio con tutto il cuore e con tutte le forze», e il secondo: «Amerai il prossimo tuo come te stesso»?”. Due di loro risposero: “Si, vagamente ricordo di aver udito queste parole, ma non le capisco”. L’abba si sentì ancor più impegnato. Doveva arrivare Gesù in mezzo a loro. (continua)

197 Amore e amore 3/3

(segue) Abba Cristoforo si lisciò la barba e cercò di spiegarsi: “I vostri professori, se avete riferito bene, hanno usato il termine amare per indicare solo rapporti sessuali, ma non è detto che i rapporti sessuali siano tutti amore. Potrebbero essere atti di violenza, trasgressioni, prevaricazioni, perversioni, che generano ingiustizie e sofferenze. I due comandamenti che ho ricordato devono stare sempre insieme, come le due facce di una moneta. Questo significa che tu ami Dio soltanto quando ami il prossimo, cioè doni a lui il tuo tempo e le tue attenzioni per rendergli bella la vita. E ami il prossimo solo quando ubbidisci a Dio. Quando chiami amore del prossimo un gesto che non è bello agli occhi di Dio, ti inganni e inganni colui che dici di amare. Se il tuo atto di amore non fosse bello agli occhi di Dio, sarebbe egoismo. Vi pare che mi spiego?”. I quattro tacevano. L’abba allora continuò: “Gli esempi di amore che vi hanno portato i professori sono tutti disgustosi agli occhi di Dio, Padre di Gesù Cristo. Non sono affatto amore, bensì egoistica ricerca del piacere. Non danno gioia a nessuno e invece fanno soffrire molti”. E, dopo un attimo di silenzio: “Per conoscere l’amore guarderemo sempre a Gesù, anche quando porta la croce e si lascia inchiodare ad essa. Quando qualcuno vi parla di amore, pensate a lui, e non vi lascerete ingannare”. Dissero: “Verremo ancora da te, e ci parlerai di Gesù”. Abba Cristoforo li ringraziò e tornò ai suoi impegni dimenticati.

198 Uomo solo

“«Non è bene che l’uomo sia solo», disse Dio volendo completare Adamo nella sua umanità. Adamo infatti non poteva vivere la vita di Dio se non avesse potuto amare né essere amato, se non avesse potuto ascoltare né essere ascoltato, se non avesse potuto offrire ad un altro il proprio tempo e le proprie fatiche”. Questo l’aveva detto abba Cristoforo in un sermone. Un uomo, che aveva ascoltato con desiderio, intervenne: “Abba, hai detto bene che la vita di Dio può essere vissuta da noi uomini quando ci amiamo. E se la moglie fa soffrire l’uomo fino al punto da fargli desiderare di rimanere solo?”.È vero, quando l’uomo e la donna seguono i propri desideri, le sofferenze si rincorrono nella loro casa”, completò l’abba. Cercò di aggiungere ancora qualcosa sul significato delle parole: «Non è bene che l’uomo sia solo». Disse: “Potremmo tradurre questa frase anche così: Non è bene che l’uomo si consideri padrone. Allora sarebbe davvero solo, e non sarebbe mai contento. L’uomo dovrà considerarsi parte di una comunione che non può scindere: e questo avverrà quando si ritiene servo”. L’uomo che ascoltava, per vedere se aveva capito, provò a dire: “Se rompe quella comunione sarebbe come un chiodo spezzato, come un uovo senza guscio, come una sedia senza sedile”. L’abba si complimentò, e aggiunse: “Se uno dei due diventa per l’altro una croce, colui che sopporta maturerà fino a diventare profezia e rivelazione dell’amore che Dio nutre per gli uomini ribelli. Non è bene, cioè non è volere di Dio, che l’uomo si consideri padrone nemmeno di se stesso, perché diventerebbe oppressore degli altri, e non sarebbe vero uomo”. Il grazie fu reciproco, e sincero.

199 Stanchezza

Abba Michele parlava con gioia con le persone che lo interrogavano riguardo la vita spirituale, cioè la vita con Dio. Lo avvicinò una donna che ogni giorno si recava in chiesa per fermarsi a lungo a pregare. Gli disse: “Abba, qualche volta mi stanco a pregare. So che pregare è importante, ma a volte, non so cosa mi capiti, oltre alle distrazioni, mi viene addosso una malavoglia che non vorrei. C’è una parola per aiutarmi?”. L’abba la osservò con i suoi occhi limpidi e gioiosi. Semplicemente le disse: “Quando preghi, prevale la fede o l’interesse?”. La donna, sorpresa: “Che cosa intendi, abba? Non capisco”. E lui: “Se preghi perché vuoi ricevere qualcosa, cioè se la tua preghiera è chiedere, domandare, supplicare, saresti mossa da interesse. In questo caso è logico che ti stanchi, perché tu stessa sei il centro della tua attenzione, e il pensarci ti sfinisce. Qualora invece la tua preghiera fosse un desiderio di immergerti nel cuore di Dio Padre, e di rimanervi immersa, allora saresti mossa da fede che si trasforma in amore. L’amore non si stanca di amare! Questa era la preghiera che impegnava Gesù per molte ore diurne e notturne. Non si stancava, anzi, cresceva in lui il desiderio di prolungarla”. La donna, con umiltà e compunzione, iniziò un nuovo modo di pregare. Non era più una donna devota, perché divenne una sorella gioiosa.

200 Monti e colli

Un uomo attento e gioioso venne da abba Gregorio con questa osservazione: “Abba, abbiamo cantato: «Monti e colli lodate il Signore» (Dn 3,75). Come fanno i monti a lodare Dio?”. L’abba sorrise, si accarezzò la barba e disse: “Certo, i monti non cantano. Siamo noi uomini che cantiamo le lodi di Dio. Ma questa contrapposizione ci aiuta in molte occasioni. Persone intelligenti e persone semplici, grandi e piccoli, istruiti e ignoranti, professori e studenti, geometri e operai, genitori e figli, tutti insomma, anche se diversi, allo stesso modo possiamo avvicinarci all’amore del Padre nostro. Egli non farà preferenze tra la nostra voce forte e quella più debole, quella acuta e quella grave, quella melodiosa e quella gracidante”. Si convinse quell’uomo che Dio apprezza il canto e la preghiera dei monaci come quella dei semplici fedeli, e per di più nessuno sa chi dei due può essere paragonato ai monti e chi ai colli!

201 Due testimonianze

Una signora tutta pepe pensava di mettere in difficoltà amma Mariarosa. Approfittò di un momento in cui s’erano adunate alcune signore per congratularsi con l’amma per il suo compleanno, e disse: “Ho un problema, amma. Non riesco a comprendere i modi di fare di Dio. Infatti, Erode Antipa mise in prigione l’apostolo Giacomo, e dopo poco lo fece decapitare con grande soddisfazione dei capi ebrei. Voleva fare lo stesso con Pietro, ma, prima del giorno fissato per eseguire la sentenza, intervenne un angelo ad aprirgli le porte e i cancelli del carcere (Atti 12,2-12). Come mai non è stato mandato un angelo anche per liberare Giacomo?”. Che cosa poteva dire amma Mariarosa? “Tutt’e due gli apostoli hanno testimoniato Gesù Salvatore. La Chiesa aveva bisogno di tutt’e due le testimonianze. Noi non dobbiamo insegnare al Signore, e nemmeno agli angeli”. Così l’amma visse la sua fede, l’abbandono al Padre, l’amore a Gesù e alla Chiesa. Così anch’ella divenne testimone, lasciandosi guidare dallo Spirito Santo.

202 Veleno

Amma Mariarosa rivide quella signora dalla lingua acuta; ne approfittò per dirle: “Sai, cara figliola, che a Sant’Antonio di Padova è stata avvelenata la minestra, e non è morto? E invece il Beato Antonio Rosmini per lo stesso motivo è morto? Tutt’e due cantano le lodi di Dio insieme, con gioia. L’uno nella vita e l’altro nella morte sono stati testimoni di Gesù. Inoltre, quando saremo in Paradiso, troveremo chi, punto dalla serpe, non è morto, come Paolo a Malta (Atti 28,3-6), e chi invece è morto. E ci sarà anche chi ha accettato il veleno che gli è stato fatto assumere, e chi, con la benedizione, ne ha spezzato la ciotola. E tutti e due canteranno con gioia, danzando insieme. Ciò che unisce gli uomini beati non è la serpe o il veleno, ma il Signore Gesù. E ciò che divide gli uomini non sono le cose belle o brutte, buone o cattive, ma ancora Gesù: è lui il «segno contraddetto» (Lc 2,34)”. La signora ascoltava attenta. Mariarosa volle concludere: “Davanti a Gesù gli uomini si dividono, ma dietro a lui si uniscono”.Questo non lo capisco”, disse la donna. Allora l’amma: “Chi si mette davanti a Gesù per insegnargli, diventa Satana (Mt 16,23), il divisore o diavolo, e chi invece sta dietro a lui per imparare, ama anche i suoi nemici”. Il silenzio aiutò la donna a pensare, e l’amma a pregare.

203 Scacciare spiriti impuri

Abba Gregorio intratteneva alcuni giovani venuti nel deserto. Erano giovani del mondo, e, dal loro modo di fare, si vedeva che non conoscevano il dominio di sé. Egli disse loro: “Gesù ha dato ai suoi discepoli, che poi chiamò apostoli, una facoltà particolare. Dice l’evangelista Matteo: «Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli» (10,1). Gradireste voi avere questa facoltà?”. Non sapevano che dire quei giovani. Un risolino, qualche sguaiatezza, qualche scherzo di un dito puntato verso l’amico. Allora l’abba continuò: “Tra quei discepoli c’era anche Giuda, quello che lo avrebbe tradito per una manciata di denaro. Anche lui aveva ricevuto la facoltà di scacciare spiriti impuri. Pensava che quegli spiriti avrebbero potuto disturbare solo gli altri, e non si accorgeva che invece si erano radicati anche nel suo cuore. Avrebbe potuto e dovuto usare quella facoltà per sé stesso, e non l’ha fatto”. Non tutti, ma alcuni di quei giovani si fecero seri. Uno in particolare aveva capito qualcosa: “Abba, vuoi dire che devo guardarmi dentro? Che dentro di me può esserci qualcosa che disturba la mia libertà? E che io stesso posso disfarmi di questo intralcio?”. “No, tu non riuscirai, ma Gesù riuscirà, quando tu gli aprirai le porte del cuore. Egli, presente in te, ti renderà vigilante, puro, umile e libero”. Così abba Gregorio concluse la conversazione, lasciandoli tutti pensierosi.

204 Gallo e galline

Abba Teodoro raccontava al suo discepolo qualche ricordo d’infanzia: “Talvolta la mamma mi diceva: «Va’ all’università delle galline»! Io mi avvicinavo al pollaio, ma non udivo né vedevo nulla, se non il gallo pettoruto con la cresta rossa e le galline intente a beccare sassolini e grano. Dopo molto tempo arrivai a capire che con quella frase mia madre voleva farmi notare che certi miei ragionamenti non stavano né in cielo né in terra, tant’erano da somari. Persino le galline avrebbero potuto farmi da maestre!”. Ingenuamente il discepolo chiese: “Abba, dalle galline hai mai imparato qualcosa?”. Sì, adesso sto imparando. Osservando come la forma della cresta del gallo e la forma e i colori delle sue penne sono diversi da quelli delle galline, e non sentendo mai il gallo cantare per aver deposto l’uovo, capisco che nel pollaio non sono arrivati i condizionamenti culturali e sociali, che invece certuni vedono presenti tra gli umani”. Era serio abba Teodoro, e non volle udire altre domande: avrebbe mandato anche il suo discepolo a quella università. Preferiva parlare di Gesù e raccontare le parabole del suo regno: erano discorsi molto più fruttiferi.

205 Un cammello?

«È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio» (Mt 19,24). Queste parole hanno sconcertato abba Filippo, benché non fosse la prima volta che le udiva, e benché lui avesse già rinunciato a tutto per vivere nel deserto. Diceva a voce alta, come dialogando col suo angelo custode: “Gesù vuol dire che è praticamente impossibile che un ricco accetti di vivere le beatitudini. Non sarà capace”. In quel mentre passava abba Fiorenzo, lo udì e gli disse: “Sei preoccupato, abba Filippo?”. E questi: “Sto pensando ad alcuni miei amici: non faranno parte del regno di Dio, perché amano le loro ricchezze e ne cercano altre. Le usano per divertirsi e per vantarsi di macchine lussuose”. Abba Fiorenzo si fece serio: “La loro amicizia per te è tentazione, è amicizia menzognera. Tu pregherai perché il Signore conceda loro nausea della vita che vivono. Anzi, perché conceda loro di invidiare la tua gioia e la tua pace. Tu sai che ciò che agli uomini è impossibile, è possibile a Dio: lo ha affermato Gesù stesso. Lui, grazie alla tua preghiera, potrà concedere loro un cuore nuovo, in modo che usino le ricchezze per iniziative d’amore. Prenderanno esempio dalle donne facoltose che seguivano Gesù, e da Zaccheo, che lo ha ospitato”. Abba Filippo iniziò a sperare, e a pregare con fiducia. L’amicizia dei suoi amici poteva essere salvata e diventare vera.

206 Colline fiorite

Abba Gregorio si trovò nei pasticci. Un uomo desiderava confessare a lui i propri peccati. Quando furono soli, questi disse: “Abba, chiedo perdono a Dio perché mi compiaccio quando riesco a vedere le colline fiorite e il burrone che le separa”. L’abba rimase di stucco: “Non devi chiedere perdono quando ammiri le bellezze della natura, anzi! Dio manifesta la sua grandezza nella magnificenza della sua creazione”. L’uomo comprese che l’abba non lo aveva capito: “Abba, le colline che mi procurano tentazione sono quelle messe bene in vista dalle donne lasciando scorgere il burrone sotto il loro mento. Chiedo a Dio Padre di perdonarmi, perché, compiacendomi, i miei pensieri vengono disturbati e i miei desideri distorti e offuscati. Ho bisogno dello Spirito del Signore risorto, e della pace che lui ha dato ai discepoli”. L’abba lo assolse da questi e da altri peccati, anche quelli nascosti ai suoi occhi, e poi lo congedò dicendo: “Quando vedi colline fiorite, tieni presente la croce di Gesù, che è morto per tutti e per tutte. E non precipiterai nel burrone!”. Con gioia quell’uomo salutò ringraziando, e si fermò davanti al capitello per aggiustare i suoi pensieri e i suoi desideri.

207 Contare

Gli abba uscivano dalla chiesa gioiosi e consolati per le parole divine udite e per il Pane santo che li ha nutriti. Uno dei discepoli, davanti ad abba Felice osservò: “Che significa, abba, la preghiera del salmo: «Insegnaci a contare i nostri giorni» (Sal 90,12)? Di solito contiamo gli anni!”. Udì la domanda abba Silvano: “Gli anni sono lunghi, figlio mio. Il tempo di cui tener conto sono le ore e i giorni”. E poi abba Paolo: “Questa preghiera ci aiuta a render grazie per ogni giorno che passa: lo calcoliamo come dono immeritato”. Visto che ognuno diceva la sua, s’intromise anche abba Timoteo: “Anche il nostro sguardo al futuro viene orientato da questo salmo: ci disponiamo ad offrirci a Gesù per riempire tutto il tempo con la sua Parola, per essere suoi annunciatori, per far vedere al mondo la sua presenza”. Finalmente si fece silenzio, tanto che poté intervenire anche l’interrogato, abba Felice: “Impara a contare i giorni chi tiene conto che oggi potrebbe essere l’ultimo. E così li illumina tutti con lo Spirito Santo, li veste di umiltà, li benedice con la carità, li riempie di misericordia”. Il discepolo fu arricchito oltre il previsto, anzi, si mise a riflettere per aggiungere anche lui qualcosa di suo al salmo così pregno di sapienza. Così ragionava: “I giorni sono come le ciliegie sul vassoio. Ne prendi una, gusti il sapore, ne prendi un’altra, sempre una alla volta. Con letizia, anche se di ognuna sputi l’osso. Ogni giorno è bello, è dono di Dio, anche se ogni giorno t’accorgi di dover chiedere perdono!”. Fece una breve passeggiata da solo, per gustare tutto.

208 Vedere

Abba Fiorenzo aveva un discepolo alquanto sbadato. Gli parve importante insegnargli a tener gli occhi aperti come Gesù. Perciò lo interrogò: “Perché è detto che Gesù, «Vedendo le folle, ne sentì compassione» (Mt 9,36)? Perché non si dice invece che, vedendo le folle, gioì per così grande afflusso, e nemmeno che si compiacque per essere ricercato come nessun altro?”. Il discepolo rispose: “È vero abba, Gesù avrebbe potuto compiacersi ed essere contento, come noi quando vediamo che vengono in molti a riempire la cella quando tu istruisci il popolo”. Abba Fiorenzo si rese conto che erano davvero miopi gli occhi del suo discepolo, perciò disse: “Riusciremo anche noi a vedere gli uomini come li vedeva Gesù?”. E il discepolo: “Gesù avrà visto come tutti, o no?”. Allora l’abba: “Non come gli uomini ciechi, ma come il Padre. Egli vedeva che tutti quelli che venivano a lui soffrivano, erano privi di un riferimento sicuro, non conoscevano lo scopo del vivere e del morire, non vedevano il volto buono del Padre che è nei cieli, non si difendevano dalle tentazioni degli spiriti impuri. Gesù non vedeva folle, ma peccatori, vedeva malati, persone prive di gioia e di comunione, persone da distogliere dalla menzogna che circola nel mondo”. Fecero ambedue il segno di croce e si inginocchiarono in silenzio per lasciarsi convertire gli occhi.

209 Inferno e diavolo

Abba Fiorenzo rispondeva ad alcune donne. Avevano paura dell’inferno, quello destinato agli altri, e si lamentavano di sentirne parlar poco nei sermoni domenicali. Una di loro disse tutta infervorata: “Nemmeno del diavolo si parla più. Io ho paura di lui, so che lui si mette in tutti gli angoli per assalire le anime e mandarle in perdizione”. L’abba sorrise benevolmente. Non pareva spaventato per nulla, e invece con dolce sicurezza e forte tenerezza confidò come lui affrontava queste terribili problematiche. Raccontò: “So che Gesù mi ama, e godo del suo amore. Con Pietro devo sempre dirgli: «Tu lo sai che io ti voglio bene». Cerco anche di trasformare il mio volergli bene in amore, come lui chiede. Ricordo che un santo abba diceva: «Chi ama Gesù, è già in Paradiso». Chi è in Paradiso non si interessa dell’inferno. L’inferno mette paura a chi non ama, ma chi ama non ha nulla da temere, perché «nell’amore non c’è timore» (1Gv 4,18). Chi vive con Gesù, poi, spaventa il diavolo, non perché fa qualcosa contro di lui, ma perché Gesù stesso presente in lui lo tiene lontano. Non mi interesso più perciò del diavolo né dell’inferno. Se ne interessano quelli che non amano”. Quelle donne non seppero dire altro, anzi, si dimostrarono sconcertate.

210 La guarigione

Il discepolo di abba Silvano si lamentava. Gli pareva di non star bene, di non essere al suo posto, di non avere quanto avrebbe desiderato, era insomma sofferente. Che cosa avrebbe potuto fare lui, suo abba, per il giovane? Ogni tentativo rimaneva senza frutto, sia la visita dal medico, sia l’incontro con altri discepoli, sia qualche dono inaspettato. Finalmente l’abba ebbe una luce, che non veniva dalle lamentele del discepolo, ma dalla fiamma di un cero durante la preghiera notturna. Colse l’occasione di una parola di lamento accompagnata da una smorfia eloquente del discepolo per dirgli con dolcezza e forza di verità: “Gesù nel cuore è la guarigione vera”. Il discepolo rimase folgorato. Gesù nel cuore? Gli pareva di averlo, e invece no, lo aveva solo nella mente. Iniziò a tenere Gesù nel cuore, prima a fatica, senza saper come fare, poi sempre più intensamente, accogliendo più seriamente la santa Eucaristia. Senza accorgersi, le lamentele diventavano più deboli, poi più rare, poi sparirono. Iniziò a fiorire il sorriso, poi la riconoscenza, finalmente la lode: “Benedetta la Madre del mio Signore, e benedetto il Frutto del suo grembo, Gesù!”. La gioia invase tutto il deserto come un vento leggero che non si sapeva donde venisse.

211 Vitello d’oro

Davanti alla cella di abba Giovanni un uomo ebbe l’ispirazione di bussare. Si aprì la porta, entrò e… bevve il bicchier d’acqua che profumava di amore tenero e vero. Dischiuse poi il suo cuore: “Abba, mi chiedo perché nel mondo ci sia così tanta sofferenza: c’è chi dice che la colpa è di Dio. Anch’io ho qualche dolore e molta sofferenza nella mia casa”. Giovanni lo guardò con amore e provò a rispondere: “Vedi, fratello, noi uomini siamo creature di Dio. Quando gli obbediamo, tutto procede verso un compimento, verso la perfezione della vita nella pace e nella gioia per tutti. Se non obbediamo a Dio significa che seguiamo idoli”. Lo interruppe quell’uomo: “Cosa sono? Sono statuette?”. “No, sono il rovescio di Dio, il rovescio del Padre”. Di nuovo quel signore: “Che cosa vuoi dire?”.Chi segue gli idoli” spiegò l’abba “segue l’istinto, che è egoista. E cerca l’oro per fondere il vitello, cioè la ricchezza per esercitare il potere. Così peccarono gli ebrei nel deserto. La ricchezza ti pare buona, perché ti rende potente, ma quando sei potente schiacci gli altri. Ecco da dove viene la sofferenza nel mondo. Viene dal peccato che si intrufola nelle case e nei cortili, persino nei palazzi, e così chi dovrebbe servire, si diverte a comandare. Il peccato è proprio questo: guardare se stessi invece di vedere il Padre di tutti con il suo amore infinito”. Quell’uomo ringraziò e ricevette col capo chino la benedizione dell’abba.

212 Richieste

Abba Domenico desiderava rivolgersi a Gesù come i due figli di Zebedeo, che gli dissero: «Vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Aveva varie richieste importanti. Però, dopo aver sentito la risposta di Gesù ai due fratelli, divenne tentennante. Non era più così sicuro delle sue certezze, e diceva a Gesù: “Chiederai anche a me di bere al tuo calice? Era molto amaro. Chiederai anche a me di essere battezzato del tuo battesimo, che fu un battesimo nel sangue? Troppo difficile!”. Queste parole non se ne andavano dalla sua mente e le richieste importanti restavano lì. Udì parole dolci: chi le pronunciava? Gesù in persona sussurrò: “Figlio mio, tu mi hai dato la vita. Ed io godo che sia mia. Ora posso fare di te ciò che voglio io. Sta certo che non voglio il tuo male, ma la salvezza di molti. Le tue richieste le conosco già, e già sono davanti al Padre. Egli deciderà quali realizzare e quali no. Tu godrai dei sì e dei no che riceverai”. Abba Domenico si voltò per vedere chi parlava: non c’era nessuno. Allora capì, e ringraziò Gesù dicendo: “Ora so che mi ami. Eccomi, sono davvero tuo!”. Asciugò una lacrima.

Magia o fede?

Abba Teofilo venne da abba Cristoforo con una domanda speciale. Dopo il saluto fraterno, disse: “Abba, oggi ero incerto se benedire l’acqua e l’olio e il sale e i lumini, come chiedeva una signora che diceva di adoperare tutte queste cose per la sua casa, per suo marito, per il letto dei suoi figli, per difendersi dai vicini di casa e dai malefici di qualche altra persona. Che cosa avresti fatto tu?”. Abba Cristoforo non si scompose: conosceva queste richieste e sapeva distinguere le manie religiose, che rasentano o includono la magia, dalla fede vera. Chiuse gli occhi per ricevere luce dall’alto, poi rispose: “Fai bene a dubitare e a voler discernere le domande dei fedeli. Tutte le cose benedette sono dono di grazia, e Dio le adopera per la salvezza dei suoi figli. Il mantello di Gesù, il grembiule e i fazzoletti di San Paolo, il sale di Eliseo e l’olio che Samuele teneva nel corno, furono tutti doni preziosi di Dio per i suoi fedeli. Anche quelle che benedici tu, se usate con vera fede, saranno dono del Padre. Se invece venissero usate come un toccasana che non porta a conversione, resterebbero senza frutto, anzi, lascerebbero chi le usa nel paganesimo e farebbero crescere il suo fanatismo”. Come fai a discernere?”, chiese ancora Teofilo. “Cerco di vedere o farmi raccontare in che modo vive chi fa la richiesta. Se la sua vita è in sintonia con le beatitudini del Signore, se cerca di essere testimone di Gesù e se la sua fede è disinteressata, allora benedico tutto con gioia”. Fu soddisfatto abba Teofilo, e tornò alla sua cella rasserenato.

214 Fiore

Abba Germano si confidò col discepolo di abba Terenzio. “Sono molto contento. Ho notato un fiore che vedevo tutti i giorni entrando nel giardino del deserto. Oggi mi parve nuovo, come non lo avessi mai visto. E infatti era la prima volta che, invece che con i miei occhi, lo vedevo con queste parole: «Tutto è stato fatto per mezzo di lui». L’ho ammirato come plasmato dalle dita di Gesù, tanto che mi sono messo a cantare un canto di benedizione al Signore”. E il discepolo: “Grazie, abba. Dovrò fare così anch’io. Sarò capace di imparare?”. E Germano riprese: “C’era poi una pietra, la vidi con le parole: «Tutto è stato fatto… in vista di lui». Rimasi sbalordito e mi dissi: Come può essere? Questa pietra mi vuol portare a contemplare Gesù, a godere di lui, della sua stabilità, della sua forza e della gratuità della sua presenza. Le forme e i colori dei fiori riescono a parlarmi di colui che è «il più bello tra i figli dell’uomo»! La durezza e la staticità della pietra fanno crescere la mia fiducia in lui e nella sua Parola! I miei occhi non sono più quelli di prima. Gioisci anche tu con me”. E i due non seppero più parlare, tanto erano colmi di stupore.

215 Non più pane

Il discepolo di abba Terenzio incontrò nuovamente abba Germano. Questi volle confidare ancora qualcosa di bello al giovane, che vedeva bisognoso di affinare la sua vita interiore: “Sono stato nella chiesa del nostro deserto. C’era un abba che celebrava la santa Liturgia. Ebbi un sussulto, quando vidi il pane alzato dalle mani segnate dal Crisma benedetto e profumato. Era pane, ma non più pane, infatti da esso uscivano le parole sante e misteriose: «Il mio Corpo»! e ancora: Mangialo, mangialo, è il mio Corpo: sarai guarito da ogni male, sparirà la tua tristezza, sarai perdonato, sarai rinnovato, avrai forza, riceverai vita, guariranno le tue ginocchia e camminerai danzando!”. Il discepolo stupito invidiò l’abba e volle, da quel giorno, essere più attento, non solo durante la Liturgia, ma anche durante la sua preghiera.

216 Pane che parla

Il discepolo di abba Terenzio si mise a percorrere la stessa strada del giorno precedente, desideroso di incontrare ancora abba Germano. Infatti, fu accontentato. Questa volta l’abba gli rivelò: “Figliolo mio, da quando vidi il Pane alzato che mi parlava, i miei occhi non sono più gli stessi, non vedono nulla più come prima. Mi pare di essere guarito da una profonda cecità. Guardo un filo d’erba, un albero, una pietra, un fiore, incontro un uomo, un bambino, una famiglia, inciampo in un sasso, e i miei occhi cosa vedono? Sempre un pezzetto di paradiso. Sì, il paradiso è nel mio cuore, da quando ho ascoltato il Pane santo che era cielo e terra insieme, dono del Dio amore fatto uomo. Il paradiso non l’aspetto più, è già qui, dove cammino, dove lavoro, dove fatico, dove canto, dove ascolto una voce, e persino dove dormo: l’ho mangiato!”. Lo stupore dell’attento discepolo non era più meravigliato. Dentro di sé cominciava a cantare, persino senza accorgersi: “Alleluia!”.

217 Occhi aperti

La settimana seguente, ecco un nuovo incontro imprevisto ma provvidenziale di abba Germano con il discepolo di abba Terenzio. Questa volta fu il discepolo a chiedere: “Che cos’hai visto oggi, abba? I tuoi occhi sono aperti alle cose di Dio”. Al che fu felice l’abba di dire: “Sì, ho visto una nuvola. Nascosto nella nuvola sorrideva il mio Dio, il Padre del Signore nostro Gesù Cristo. Quella nuvola divenne preziosa per me, perché mi nascondeva, anzi, mi rivelava il mio Amore amante e amato”. E il discepolo: “Una nuvola? Strano, stranissimo”. E l’abba: “Non è strano per nulla. Mosè entrò nella nube per parlare con Dio. Gesù stesso fu avvolto da una nuvola sul santo monte, quando si udì la voce che diceva: «Questi è il Figlio mio prediletto: ascoltatelo». E ancora una nube nascose agli occhi degli apostoli Gesù sul monte degli ulivi mentre saliva in alto. Quando vedo una nube so che là può essere presente il mio Signore, che desidera sempre parlarmi e dirmi che non si dimentica di me e di noi tutti”. Il discepolo alzò lo sguardo e cominciò a cercare anche lui la nube per immergersi in essa e in essa aprire occhi e orecchie per vedere e udire le cose meravigliose del paradiso.

218 La tastiera

Abba Germano confidò ancora ai discepoli che si sono riuniti attorno a lui: “Oggi ho visto muoversi le dita su una tastiera, e i miei orecchi udivano suoni dolci e gravi, lenti e veloci, uniti in un’armonia e in una melodia che dava gioia e pace, leggerezza e soavità. Dita benedette e sante. Ho provato anch’io con le mie dita a fare altrettanto, ma ahimè, dovetti smettere subito. Non erano i suoni, non erano le dita, ma io non ero capace di muoverle abbassandole e alzandole in modo da rallegrare l’udito. Allora compresi che non basta avere le dita. E così ho compreso che non basta saper leggere perché il Libro doni Sapienza, e non è sufficiente correre alla chiesa per pregare, non è sufficiente dire belle parole a Dio per rallegrarlo, non è sufficiente dire di amare per consolare un sofferente. È necessaria esercizio prolungato, fatica perseverante, amore in tutto quel che si fa”. I discepoli ascoltavano, e, sgranando gli occhi, rimanevano sbalorditi. L’abba disse ancora: “La vita è un dono, e usarla con frutto è fatica. Gesù ha fatto questa fatica, e sta portando frutto in tutto il mondo”. Bastava così per quel giorno!

219 Ciechi

Alcuni giovani vollero infastidire abba Gregorio. Lo fermarono al suo ritorno dalla Liturgia, prima che entrasse nella cella. Uno di loro, con fare sornione, ironizzò: “Sei soddisfatto, abba? Hai fatto un bel sermone? Che hai detto a quelle vecchiette che ti leccano i piedi?”. L’abba avrebbe voluto rispondere per le rime, ma poi ricordò la pazienza e la misericordia di Gesù: “Volete che vi ripeta qualcosa?”. Un altro, pronto, esclamò: “Sì, sarei curioso di sapere”. Allora Gregorio ebbe una felice ispirazione: “Lo rimproveravano perché tacesse”. Attese la loro reazione, che non si fece attendere. “Chi è colui che doveva tacere e chi erano quelli che lo rimproveravano?”. Allora l’abba: “Era un mendicante, perché cieco. Mendicava spiccioli per vivere, ma mendicava anche l’amore di qualcuno che lo accompagnasse, e le attenzioni di chi gli lavasse gli indumenti e di chi ascoltasse le sue piccole e grandi pene, soprattutto quelle causate da chi lo derideva”. Non si sono accorti che parlava di loro. Continuò: “Avrebbe mendicato anche luce, ma quella nessuno gliela dava”. “E chi è che lo faceva tacere?”, chiesero in coro. “Erano ragazzi come voi. Ma lui gridava per farsi sentire da uno di cui aveva saputo che aveva la luce, anzi, era la luce”. Tacevano. “Voi siete ciechi come quello, ma voi siete anche muti. Non gridate come lui. Se volete vi presento colui che il cieco voleva incontrare, ma dovete venire con desiderio. Vi aspetto alle quattro del pomeriggio”. Si guardarono: verranno? Sì, quasi tutti.

220 Ritorno

Non li aspettava, abba Gregorio, e invece quei giovani vennero, ed egli si rallegrò. Anche il cieco di cui aveva parlato loro, Bartimeo, non attese che Gesù andasse da lui. Infatti «Gesù si fermò». Gesù volle che il cieco facesse la fatica di farsi accompagnare e di venire. Egli venne e, grazie alla fede espressa di nuovo pubblicamente, aprì gli occhi. Questi giovani apriranno gli occhi? Gregorio li salutò, e poi: “Mantengo la mia promessa. Il cieco che gridava ha incontrato un uomo povero, Gesù di Nazaret. Era incamminato verso Gerusalemme, dove lo attendeva la croce. Si fermò ad ascoltare il mendicante che chiedeva pietà. Questi desiderava la luce che nessuno, nemmeno il suo benefattore più generoso, avrebbe potuto dargli. La domandò esplicitamente a quel Gesù, che stava incontrando per la prima volta e che sapeva essere di stirpe regale, di regalità divina. E Gesù non fu avaro. «Va’, la tua fede ti ha salvato», gli disse, e il cieco rimase abbagliato dalla luce del volto di Gesù. Non vide altro, tanto che decise di non andarsene, ma di seguire quell’uomo che diceva di recarsi là dove i grandi lo avrebbero deriso, condannato e ucciso. Ormai quel Gesù era diventato la sua vita, per cui valeva la pena anche morire”. I giovani ascoltarono, e ascoltarono anche il seguito. Non si aspettavano di sentir parlare di sofferenza e morte, ma il linguaggio della croce è più convincente di ogni altro, come del resto ebbe a scoprire Paolo di Tarso. Dissero ad abba Gregorio: “Possiamo venire ancora?”. Per Gregorio non fu un nuovo lavoro, ma una nuova gioia.

221 Da te si allontana

Abba Serafino s’immergeva così bene nella recita dei salmi, che rischiava di impararli a memoria. Sapeva che sono Parola di Dio, e quindi che non ci può essere preghiera migliore. Essa non è solo compresa dal Padre, ma anche a lui gradita, perché viene dal suo Spirito. Qualche volta si fermava a riflettere, infatti non sempre comprendeva tutte le frasi e il loro significato spirituale. Un giorno incontrò abba Gregorio e si confidò con lui. Gli disse: “Dimmi, abba. Che significa: «Ecco, si perderà chi da te si allontana» (Sal 73,27)?”. Abba Gregorio non si fece ripetere due volte la domanda, e con gioia rispose: “«Senza di me non potete far nulla». «Se il tralcio non rimane unito alla vite, si secca, viene gettato nel fuoco e lo bruciano». La pecora che scappa dal pastore, si ritrova smarrita e obbliga il pastore a lasciare le altre sui monti per andare a cercarla con fatica e pericolo. Il lupo che trova la pecora senza pastore, la rapisce e la sbrana. Rimanere in Gesù, con lui, non è solo salvezza per noi, bensì anche frutto generoso per tutti gli altri, infatti dice egli stesso: «Chi rimane in me porta molto frutto»”. Fu soddisfatto abba Serafino, ringraziò e continuò lungo il suo cammino a ripetere quei salmi che aveva trattenuto nella memoria.

222 Peccato mortale

Amma Rosetta stava passeggiando alla brezza della sera. L’avvicinò una signora con volto serio. Le disse: “Amma, come mai nessuno dice più che non frequentare l’Eucaristia di domenica è peccato mortale? Ti sei accorta anche tu che le chiese non si riempiono più!”. L’amma rimase in silenzio un attimo, poi disse la sua riflessione. “È vero quello che dici. Anch’io ho questa domanda. Ma ho compreso che l’aver ripetuto per secoli che è peccato mortale, non è stato d’aiuto. Avremmo fatto un bel lavoro se per secoli avessimo detto invece i benefici della Messa domenicale”. Il volto della signora divenne un punto interrogativo. Allora l’amma: “Sì, la paura non attira nessuno. Coloro che sanno che durante la santa Liturgia sono avvolti dallo Spirito Santo, chi si accorge di venir riempito di grazia e di celestiale fortezza, chi comprende che la propria presenza è sostegno alla fede di molti, soprattutto dei piccoli, questi vi si reca con gioia e affronta anche difficoltà serie e distanze chilometriche. Il movente dev’essere l’amore”. Avrebbe voluto dire molte altre cose l’amma, ma la signora rimaneva fissata sul peccato mortale. Le ripeté il proverbio: “Il cavallo viene attirato più dalla biada che spinto dalla frusta. E poi… quando una persona ama Gesù, ha quest’amore che lo spinge, lo attira, lo anima. Chi ama Gesù, non solo la domenica, ma anche ogni altro giorno possibile corre per incontrarlo, ascoltarlo, farsi accarezzare da lui, mangiarlo. E anche per incontrare e incoraggiare i suoi fratelli”. Parlarono ancora a lungo, e il peccato mortale cedette il posto a Gesù.

223 Città e villaggi

Gesù «Percorreva città e villaggi», per annunciare il regno dei cieli incontrando malati e infermi. Abba Paolo meditava tra sé: “Le città e i villaggi, che cosa sono?”. Confidò ad abba Gregorio il suo pensiero. L’abba, amico di Dio, lo aiutò: “Città e villaggi sono i luoghi abitati dagli uomini, tutti peccatori, spesso idolatri, ripiegati su di sé. Città e villaggi sono quindi i luoghi della sofferenza e dell’inquietudine, luoghi della paura dove s’intrufola e si moltiplica il peccato. Gesù, che ha la misericordia del Padre da distribuire, ‘deve’ entrare nelle città e nei villaggi. Là sono ammassate le miserie umane. Là c’è bisogno di salvezza, di ogni tipo di salvezza”. Abba Paolo fu illuminato dallo Spirito Santo: “Allora «città e villaggi» sono anche il nostro deserto. Qui Gesù è venuto, ha visto e incontrato, ha guarito e perdonato, ha salvato e risollevato. Deve però venire ancora, perché io sono ancora peccatore. «Vieni, Signore Gesù»”. Abba Gregorio ripeté sottovoce questa breve preghiera, ricordando: “È la preghiera che sigilla tutte le Scritture, la preghiera della Chiesa Sposa che invoca la presenza dello Sposo. Lo invoca perché senza di lui non ci sarebbe vita, senza di lui sarebbe assente l’amore”. La ripeterono insieme, tre volte.

224 Benedizione

Abba Giuseppe fu avvicinato da un uomo semplice, un contadino del deserto. L’abba gli disse: “Perché ogni volta che mi incontri mi chiedi la benedizione?”. Quell’uomo povero rispose con pace e con gioia: “Tu sei un ministro di Gesù, il mio Signore!”. E l’abba: “È vero, e con questo?”. “Donandomi la benedizione tu invochi su di me il Nome del Signore, quel Nome che è stato pronunciato da Maria e da Giuseppe, e anche dal cieco e dal ladrone in croce. Quando il suo Nome si posa su di me, e il suono di quel Nome mi entra negli orecchi, io ricevo forza per perseverare nel mio compito e per offrire la fatica del mio lavoro. E inoltre tu fai su di me il segno della croce: essa diventa sostegno della mia speranza e della mia carità. Ogni volta che mi benedici ricevo sollievo, come se iniziasse una vita nuova per me”. Questa risposta rallegrò abba Giuseppe, che si sentì aiutato a rinverdire la propria fede, ricevette gioia e fiducia nella propria preghiera, e anche coraggio nell’esercitare il ministero.

225 Paura

Gesù, parlò varie volte della paura. Amma Maria Rosa ebbe l’ispirazione di parlarne con amma Michela: “Perché Gesù esorta i suoi discepoli a non avere paura? La paura è una reazione normale per gli uomini”. Michela ascoltava e leggeva volentieri i santi vangeli e tutte le Scritture. Rispose: “Non solo Gesù raccomanda di non avere paura. Molte volte i profeti e tutti gli Scritti sacri esortano a prendere sul serio la presenza e l’amore di Dio, nostro alleato; l’avere paura significherebbe diffidare di lui e non tener conto della sua alleanza. Quest’esortazione è scritta tante volte quanti sono i giorni dell’anno”. Amma Maria Rosa replicò: “Allora, se capisco bene, si tratta di vivere la nostra fede”. “Proprio così”, continuò amma Michela: “Chi ha paura dimentica in tasca o nel cassetto la propria fede, come dimenticasse la chiave di casa: non sa più dove andare”. E poi aggiunse: “A Gesù preme anche la salute dei suoi discepoli. Egli sa che la paura genera malattie sia fisiche che, più spesso ancora, psichiche. Chi ha paura infatti non s’abbandona alle braccia del Padre, e comincia a vivere di nuovo la vita senza Dio, come quand’era pagano. E allora sono guai”. Tutt’e due le amma si abbracciarono e poi cantarono insieme: “Tu sei il mio pastore, non manco di nulla. Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me” (Sal 23).

226 Lontano

Abba Timoteo stava leggendo il Vangelo e improvvisamente si fermò e ripeté ad alta voce le parole: “Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio»”.Che cos’hai notato di particolare?”, gli chiese un discepolo. “Ho notato la saggezza dello scriba e il termine usato da Gesù: «non sei lontano dal regno». E il discepolo: “La risposta dello scriba riferiva i comandamenti dell’amore. Chi conosce questi comandamenti, che sono sapienza divina, dovrebbe già essere nel Regno dei cieli”. “E invece no”, esclamò l’abba: “La beatitudine non sta nel conoscere. Chi è che arriva al regno di Dio? Colui che vive l’amore con il Figlio di Dio, con Gesù e come Gesù”. E aggiunse: “Ammiro la delicatezza di Gesù, che non volle ferire lo scriba. Non gli disse infatti che non è ancora arrivato, ma che non è lontano, come dire sei già sulla buona strada. Gli basterebbe accogliere Gesù non solo come Maestro, ma anche come Signore”. Il discepolo mormorò: “Nemmeno io sono lontano, ma ho ancora un po’ di strada da fare. Gesù, battezzami nel tuo Spirito!”.

227 Santi e Sante

Abba Fiorenzo amava i santi di Dio. Li amava tutti, in particolare quelli circondati dalla luce osservata da tutta la Chiesa. Chiamava per nome quelli che conosceva, uno ad uno, con un amore che li convinceva ad ascoltarlo. “Avvicinatevi tutti” diceva, “avvicinatevi a tutti i fedeli di Gesù”. In particolare essi godevano e si radunavano quando, ubbidendo alle parole pronunciate dall’abba, il Corpo di Cristo e il suo Sangue facevano diventare Cielo l’altare su cui l’abba li posava. Pareva che l’abba li vedesse tutti quei santi: “Siete qui, voi, amici di Gesù! Siete qui con me, ma io vi mando là, in quella casa, vi mando là al parco giochi dei bambini, e là dove sono riuniti gli uomini che si dimenticano di venire ad adorare e ascoltare il vostro Signore. Santi e sante, grazie che non vi dimenticate di noi. Noi abbiamo qui il Corpo di Cristo, più reale di quello che vedete voi in Cielo, perciò venite, accorrete, c’è il posto per voi”. I Santi ubbidivano, e si mettevano in fila attorno all’altare, si inginocchiavano, curvavano il capo e lo sollevavano alzando mani e braccia come in una danza felice. Gesù riceveva onore dalla loro gioia. A tutti gli uomini e le donne presenti pareva che l’abba li guardasse, mentre essi vedevano soltanto, sul suo volto, il riflesso del loro splendore.

228 Addormentati

Il discepolo di abba Fortunato si recò là dove erano stati deposti gli abba nell’attesa del giorno della risurrezione. Tornando gli disse: “Il luogo della sepoltura dei nostri abba mi attrae. Ci vado volentieri. Mi sono chiesto il perché di questa attrazione”. Fortunato lì per lì non seppe rispondere. Verso sera gli disse: “Figlio mio, dei nostri abba diciamo che «si sono addormentati», come è scritto dei patriarchi nelle Sacre Scritture. Se si sono addormentati significa che sono ancora presenti: non parlano come prima, non odono come noi, non vedono con gli occhi morti, ma ci sono lì con una presenza che solo Dio nostro Padre conosce, e la vivifica. La fede che hanno vissuto, l’amore che li ha animati, la speranza che li ha sostenuti, in modo a noi misterioso trasmettono anche a te vita e pace e sollievo. Per questo quel luogo ti attrae”. Il discepolo ringraziò, e chiese ancora: “Perché chi ci comunica la morte di qualcuno dice che «è mancato»?”. L’abba gli rispose: “Nel mondo i credenti cercano di tenere nascosta la nostra fede santissima, trovando espressioni che non disturbino la «fede atea» di altri. Noi cercheremo di usare parole che diano gioia a Gesù, che ci ascolta sempre, per farlo conoscere come il Risorto”. Il discepolo ringraziò, e continuò ad affidare al Padre gli abba addormentati e «riuniti ai loro padri».

229 Maledizioni

Quando arrivò da amma Serena era piuttosto ansiosa. Riuscì a dire: “Amma, sai cosa mi succede? Non riesco più a dormire e mi va male tutto, il lavoro non rende, e mio marito non mi ama quasi più. Mi hanno detto che mia suocera mi ha fatto una fattura: vuole che io muoia. Puoi pregare tu per lei?”. “No, io prego per te”, rispose l’amma. Al che la signora: “Perché? Non mi credi? È lei che mi vuol male, perciò ha bisogno di un castigo da parte di Dio”. Amma Serena accompagnò la signora dove le attendeva una sedia ciascuna. “Che la fattura sia stata fatta o no, non importa. Importante è che tu non permetta a maledizioni, fatture e malefici di attecchire nella tua anima e nel tuo corpo”. La signora: “Che vuoi dire, amma?”. “Voglio dire che sei tu che ti devi convertire. Le maledizioni, quando vengono pronunciate, e i malefici, quando fossero effettuati, ti fanno del male perché nel tuo cuore non c’è nessuno che li possa rendere innocui”, rispose l’amma. E quella: “Non ti capisco, amma”. Se nel tuo cuore ci fosse Gesù, «il più forte», se nei tuoi pensieri ci fosse la sua Parola, se sulle tue labbra fiorisse la preghiera del suo Nome, non avresti paura, e nessun maleficio attecchirebbe. Se vuoi cavartela, ti convertirai tu. Tu amerai tua suocera; amarla, capisci? Forse non è vero che ha fatto fare fatture: te l’ha detto chi ci vuol guadagnare. Ma anche fosse, è con l’amore che permetti a Gesù di vincere il male dentro e fuori di te. Comincerai tu ad accogliere seriamente Gesù”. L’amma aveva finito di per sé, ma dovette ripetere varie volte l’insegnamento: credere alla maldicenza è più facile, anche perché fa ritenere che siano gli altri i colpevoli da convertire.

230 Vestiti

Abba Paolo desiderava comprendere la Parola di Dio. Quando lesse le parole di Gesù riguardo al vestito vecchio e nuovo, si fermò. “Perché il Signore fa ricorso a questo esempio?”, si disse. Lesse e rilesse tutto il brano. Finalmente Gesù stesso intervenne: “Vedi, il vestito è ciò che hai scelto di far vedere all’esterno. Chi ti guarda, vede il vestito, che rispecchia quel che tu sei, il tuo stile di vita. Vestito vecchio è ciò che rivela la tua vita prima del mio arrivo nel tuo cuore. Eri tutto attento a osservare regole, a evitare peccati e tutto ciò che non poteva essermi gradito. Con quel vestito potevi dire: Dio è contento di me, oppure: Dio mi castiga, e avevi paura. E giudicavi gli altri perché li ritenevi peggiori di te”. Abba Paolo si guardò attorno. Era solo. Dunque Gesù stesso gli parlava. “Vestito nuovo sono i tuoi nuovi modi di vivere da quando mi hai conosciuto e mi hai accolto. Adesso non hai tempo per pensare ai peccati, perché pensi a me, ti occupi della mia parola, la trovi interessante, bella e preziosa; la custodisci nel cuore e nella mente. Addirittura cerchi qualcuno con cui parlarne, e parli in modo da farmi conoscere. Inoltre ti rechi volentieri nella chiesa e ascolti con attenzione l’abba che spiega il mio Vangelo. Sai di essere sempre peccatore, perciò vieni anche a chiedermi perdono senza paura. Inoltre, non pensi nemmeno di continuare come prima, aggiungendo qualcosa alle abitudini precedenti. Quello che indossi adesso è un vestito proprio nuovo. Infatti, non riesci a giudicare nessuno, perché comunque sai che io sono morto per lui”. Abba Paolo gioì. Comprese anche le parole del suo patrono San Paolo: “Spogliatevi dell’uomo vecchio e rivestitevi di Cristo Gesù”.

231 Otri

Abba Paolo volle comprendere anche l’accenno di Gesù agli otri. Non sapeva cosa fossero. Lo chiese ad abba Cristoforo, che disse: “Sono recipienti, grandi sacchi di pelle di capra, cuciti tanto bene, che possono contenere anche acqua o latte o vino”. Paolo lo ringraziò e continuò la sua meditazione. Intervenne ancora il Signore stesso: “La pelle dell’otre vecchio è rinsecchita. Puoi metterci solo il vino vecchio, che non si gonfia più. Vino vecchio è una vita con regole precise, osservanze che non vanno oltre una certa misura: comportamento tipico di chi vive con i paraocchi, disposto a divenire persino fanatico. Così erano i farisei che si ritenevano a posto”. “E l’otre nuovo?” pensò abba Paolo. “La pelle dell’otre nuovo è fresca, elastica, si può dilatare. Potresti metterci persino il mosto che, per diventare vino nuovo, ha bisogno di fermentare, e quindi si gonfia. Se vivi con me, non hai regole precise, perché l’unica regola sono io e il mio amore; ascolterai me. Chi ama inventa sempre qualcosa di nuovo. Infatti, a chi ama le regole stanno strette. Chi incontra me non è mai fermo: cerca persone da amare, e nuovi modi di spargere amore. Egli vive la vita di Dio, che è amare, sempre e soltanto amore. Se invece volessi vivere con me mantenendo le regole del passato, ti troverai a disagio, ti stuferai e mi abbandonerai. L’otre vecchio si spacca”. Abba Paolo rimase stupito, rinnovò la sua adesione al Signore Gesù, e cominciò ad accettare i cambiamenti imprevisti nei programmi delle giornate, per farsi guidare dall’amore a Gesù e non dalle regole.

232 Peccatore?

Abba Fiorenzo stava sistemando le scope e gli stracci nell’armadio. Per non perdere tempo prezioso, continuava a ruminare una pagina del Vangelo (Lc 7,36-50). Tra sé e sé ripassava le varie scene e diceva: “Simone, tu giudichi la donna per i suoi peccati. Sei davvero un bravo giudice. Ti permetti di giudicare anche colui che lei tocca; lei lo fa per dargli segni di amore puro, purissimo. Gli asciuga i piedi con i capelli, dopo averli bagnati con le proprie lacrime. E, se non bastasse, li bacia con la sua bocca. Vorresti cacciar via quella donna? Chi rimarrebbe per amare il Signore?”. Chiude l’armadio e s’avvia all’uscita. “Simone, rimanderesti quella donna sul marciapiede? La rimetteresti in balia degli uomini che saprebbero solo sfruttarne il corpo comprandolo per un momento?”. Fiorenzo si sedette, stanco dopo il lavoro. “E tu, Gesù, che cos’hai detto? Ah sì, hai detto: Questa donna, che sta trafficando intorno ai miei piedi, mi vuol bene. La giudico anch’io, ma di lei giudico l’amore. Non la riconsegno agli uomini, è degna del Paradiso. La consegno al Padre mio, che le darà un premio perché nel suo cuore c’è un tesoro. Ci sei ancora, Simone? Tu hai amato poco: che facciamo con te? Non ti sei ancora accorto di me? Perché mi hai invitato a pranzo? Solo perché ho fame? Non perché io sia il tuo Signore? Non perché io possa perdonare anche te? Delitti non ne hai commessi, è vero, ma sei peccatore peggiore dei peccatori, perché sei senza un Salvatore”. Abba Fiorenzo iniziava a versare lacrime. Anch’egli si sapeva peccatore e desiderava ardentemente: “Vieni, Signore Gesù, vieni tu a giudicarmi”.

233 Una sola volta

Amma Filomena tornava in fretta dalla festa del suo Signore risorto. Voleva raggiungere la cella per continuare a lodare e ringraziare d’aver potuto mangiare la Vita eterna. Si fermò attenta e contenta, quando la raggiunse la voce di una ragazza che le correva dietro: “Amma, amma, fermati. Dimmi una cosa. Oggi il lettore ha proclamato queste parole: «Per gli uomini è stabilito che muoiano una sola volta» (Eb 9,27), mentre alcune mie amiche mi dicono che ci reincarneremo, anzi, che anche questa nostra vita è la reincarnazione di qualcun altro. Io avrei vissuto delle vite precedenti che condizionano anche questa vita, e questa prepara quelle future”. Amma Filomena si fermò e guardò la ragazza con tenerezza: “La vita che tu vivi adesso è nelle mani del Signore. Tu consegnerai a lui i minuti e le ore di questa vita. Nella vita di oggi tu accogli l’amore del tuo Dio e Padre, e ora condividi con Gesù la croce e la gloria. Le altre vite sono fantasia: se arrivassero davvero, sarai preparata ad offrire anche quelle al tuo Signore Gesù? Egli è morto sulla croce per te solo una volta, e solo una volta per te è risorto”. La ragazza ringraziò per la risposta, e iniziò a offrirsi a Gesù. Iniziò una conversione che le servirà, non per una o due o tre vite future, ma per l’eternità!

234 Genitori sofferenti

Due genitori vennero in cerca di amma Miriam. Avevano un peso sul cuore che non riuscivano a portare più da soli. “Amma, nostro figlio ha deciso di convivere con la sua fidanzata. A noi spiace moltissimo e soffriamo, perché non cercano la benedizione del Signore. Siamo certi che vivranno una vita priva della forza di amare e priva della gioia, che sono frutto solo dello Spirito Santo. Come potremo comportarci con loro? Non condividiamo questa loro decisione. Temiamo di non essere capaci di entrare nella loro abitazione. Che cosa dici tu, amma?”. Amma Miriam si raccolse in preghiera. Quando finalmente aprì la bocca, disse: “Capisco la vostra sofferenza. È santa, è una spada nella vostra anima. Anche a me questa notizia provoca dolore. La vostra domanda «come potremo comportarci?» non ha risposta. Lo chiederete di volta in volta allo Spirito Santo”. Si guardarono i due genitori, ma l’amma riprese: “Considererete vostro figlio come un estraneo. Se nella sua casa, al posto di lui ci fossero due induisti, andreste da loro casomai ne avessero bisogno?”. “Certamente che sì, e li aiuteremmo”, risposero i due sposi. L’amma aggiunse: “Così aiuterete anche vostro figlio e la sua ragazza. Chissà che, grazie al vostro amore disinteressato e al vostro dolore offerto a Dio, non arrivi la luce e la pace nella loro casa, e tra vent’anni cerchino la benedizione del Signore Gesù e della sua Madre santissima!”. I due sposi sorrisero e pregarono in silenzio.

235 Umile Serva

Amma Gabriella si recò nel luogo dove era esposta l’icona della Madre di Dio chiamata “Umile Serva”. Pregò lungo tutto il tragitto, chiedendo la grazia di diventare umile come avrebbe desiderato Gesù. Da qualche giorno infatti si era accorta, parlando con alcune donne, che in lei era ancora viva la radice dell’orgoglio. Le veniva spontaneo parlare di se stessa, e, parlando di sé, di vantarsi, di desiderare che gli altri le fossero riconoscenti, che la lodassero e raccontassero i suoi meriti. Da molti, molti anni era così. Come mai solo ora se n’è accorta? Quando arrivò davanti all’icona, ecco, anche amma Paola venerava la Madre di Dio con il bambino sorridente. “Benvenuta, amma Gabriella. Anche tu vuoi imparare l’umiltà?”, le dice sottovoce. “Sì” rispose Gabriella, “chiedi anche tu all’Umile Serva che io guarisca. Il mio male è profondo ed è rimasto nascosto a me stessa. E forse le radici più grosse sono ancora segrete”. Se vuoi guarire”, confida amma Paola, “non parlare di te stessa, ammira i doni che Dio ha seminato negli altri, e per te cerca le umiliazioni: questo non piace al diavolo. È lui l’orgoglioso e il superbo: se ne andrà via e starà lontano da te”. La Madre di Dio godeva di queste due amma e poteva cominciare a considerarle sue figlie.

236 Dallo schermo

Alcuni giovani vennero dal mondo a far visita agli abba: per alcuni giorni li aiutavano nel lavoro e con loro recitavano i salmi, anzi, imparavano persino a cantarli. Arrivò il giorno del Signore. Uno degli abba disse a tutti: “Oggi Gesù è risorto: andiamo tutti a nutrirci della Parola e del Pane!”. Si alzarono, ma due dei giovani, rimasti seduti, dissero: “Noi siamo abituati a vedere e ascoltare tutto dallo schermo”. Abba Felice volle aiutarli: “Siete abituati cioè a ricevere senza donare? Non sapete che chi riceve senza donare è senza vita come il Mar Morto?”. Non capirono quei due, ma abba Felice uscì. Mentre indossava il cappuccio, intervenne abba Timoteo: “Se state qui davanti allo schermo udrete qualche bella parola, godrete di ciò che fanno gli altri, ma voi non riceverete Spirito Santo. Quando noi torneremo vi troveremo vuoti e pigri, come adesso. E per di più non avrete donato nulla agli altri fedeli: non avrete dato sostegno alla loro fede, né alimentato l’amore della Chiesa, e nessuno di voi avrà ricevuto gioia da ciò che Dio ha operato; vi sentirete quasi inutili, forse dannosi, perché di certo qualcuno si scandalizzerà per la vostra assenza”. I due si guardarono, non dissero nulla, misero le scarpe e raggiunsero gli altri già in strada. Quel giorno Gesù poté gioire.

237 Cronico

Lo sapevano gli abba che esistono malattie croniche da cui è difficile guarire. “La mia malattia è cronica, abba”, disse abba Silvano ad abba Fulgenzio, che lo ascoltava incuriosito. “Mi dispiace”, gli rispose questi, “farai diventare cronica anche la tua pazienza, e la tua offerta generosa al Padre? Anche le piaghe di Gesù sono croniche”. “Che vuoi dire, abba?” chiese stupito Silvano. “Vedi, le piaghe dei chiodi di Gesù e quella della lancia sono ancora aperte, si sono cronicizzate sul corpo glorioso del Signore. Egli le mostrò dopo otto giorni a Tommaso, e le mostra ancora oggi anche a te”. Rimasero a bocca chiusa tutt’e due per mezz’ora, come si fa in cielo. Poi abba Silvano: “Non mi lamenterò più delle mie malattie. Farò diventare cronica la gioia di appartenere a Gesù!”. Cantarono insieme il più bell’alleluia che avessero udito i cori degli angeli.

238 È mio amico

Una signora del villaggio venne da amma Filotea per farle conoscere il suo bambino. Questa ringraziò la donna e chiese al bambino: “Senti, amico mio, tu che sei figlio di Dio, vuoi bene a Gesù?”. E il bambino con un sorriso splendente e occhi gioiosi: “Si, amma, è mio amico”. L’amma sorrise, guardò la madre e poi disse al piccolo: “I tuoi compagni non sono tutti come te. Cerca di stare vicino a quello più cattivo, perché vicino a te conoscerà Gesù, cambierà e diventerà buono”. La mamma fremette, e disse all’amma: “Io gli ho sempre raccomandato di evitare l’amicizia di certi compagni che bestemmiano e mentono”. E l’amma: “Tuo figlio ha Gesù nel cuore, e Gesù cerca i peccatori per stare con loro, così che possano convertirsi. Incoraggia tuo figlio ad essere missionario. La Madre di Dio lo proteggerà e lo guiderà”. Il bambino si mise a saltellare tutto contento: ha saputo che Gesù aveva fiducia di lui, come un amico vero.

239 Bambino consolatore

Mamma e figlioletto stavano davanti all’icona della Madre di Dio detta «Consolazione dei miseri». Quand’ecco arriva vicino a loro amma Teresa, anche lei in preghiera. Dopo un po’ il bambino chiede: “Mamma, noi abbiamo finito le dieci Ave Maria. Hanno finito di flagellare Gesù? Io le dicevo in fretta perché i soldati finissero prima”. Sorrise amma Teresa, vide l’amore di Gesù avvolgere il piccolo e gli disse: “Sì, i soldati hanno finito, ma ora preparano la corona di spine da mettergli sul capo, e intanto lo deridono e gli sputano in faccia. Ma quando tu preghi, Gesù ha una gioia grande nel cuore e sopporta più facilmente quel dolore”. “Mamma, continuiamo a pregare finchè Gesù sarà solo contento”. E continuarono senza fatica, anzi, con un amore che pervadeva tutte le ossa di madre e figlio, tanto da unirli per farli diventare un cuor solo. Maria «Consolazione dei miseri» oggi è lei stessa consolata.

240 Sole e luna

«Il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte» (Mc 13,24). Tutte le amma avevano ascoltato queste parole, ma non sapevano che erano importanti anche per loro. Una di esse si azzardò a dire: “Queste parole spaventano. Non si potrebbe fare a meno di leggerle?”. Amma Margherita, sorpresa e spiaciuta, disse: “No, sorella, sono Parola di Gesù. Noi abbiamo difficoltà a comprenderla, ma lui vuole dirci qualcosa di importante”. Amma Sofia intervenne: “Ho sentito da un abba che sole, luna e stelle erano venerati come idoli dal mondo. Ciò che il mondo ritiene importante non dà luce alla nostra vita. Quando arriva Gesù ce ne accorgiamo”. Amma Margherita disse: “Grazie, amma Sofia. È vero. Quando una persona comincia a conoscere, ad ascoltare e amare Gesù, si accorge che tutto ciò che il mondo ritiene necessario è spesso inutile, e talora anche dannoso. Sono così anche «le potenze che sono nei cieli», opinioni o ideologie sparse su tutta la terra: Gesù, con la sua croce, le sconvolge”. Tutte le amma si rallegrarono.

241 Luce dall’alto

Una signora con le lacrime agli occhi così si è espressa ad amma Loretta: “Amma, mio marito è strano. Me ne sono accorta da un po’ di tempo, ma oggi ho scoperto perché: è diventato buddista. Che cosa devo fare?”. L’amma, lì per lì, non seppe cosa dire, e allora si mise a pregare, com’è consuetudine per le amma e gli abba nel deserto. La luce infatti deve venire dall’alto, dall’alto della croce di Gesù. Poi le disse: “Tuo marito ti fa vivere in mezzo al mondo nemico di Dio Padre e Figlio. Vuole allontanare dalla tua casa lo Spirito Santo”. “Sì, amma, non sento più comunione con lui, è come fosse un estraneo, anzi, peggio, un nemico che mi perseguita”. L’amma capì benissimo, perché anche lei prima di cercare il deserto aveva frequentato ambienti simili a quello. “Tu, figlia di Dio, vivi nel cuore l’amicizia di Gesù. Darai a tuo marito l’amore che Gesù offriva ai peccatori, quando sedeva a tavola con loro. Offrirai le sue offese e le sue impazienze come fossero espressione di una malattia. Infatti è grave malattia la situazione di tuo marito. Ha bisogno del medico: con la tua pazienza e carità lo farai stare vicino a lui. Fallo «sperando contro ogni speranza», cioè contro ogni evidenza. I miracoli verranno dopo”. La signora chiese l’assicurazione delle preghiere dell’amma e passò da abba Fulgenzio per ottenere la benedizione nel nome di Gesù.

242 Rallegrati

Vieni con me a pregare?”, chiese amma Rosa ad una signora che le aveva confidato le sue pene. “Certo, vengo nella tua cella”. “No”, replicò amma Rosa, “oggi andiamo fuori, all’aperto”. Camminarono un po’ in silenzio, un po’ chiacchierando. Ecco un bel luogo nel bosco. “Qui, in questo luogo, una donna vide colei che io non vedo mai, la Madre di Dio. Venne a darle consolazione in un momento di dura prova, e oggi è ancora qui per dare consolazione a te”. “Ma io non la vedo, non vedo nulla”, disse la donna. “Meglio per te se non vedi, ma credi. Credi insieme a me che la Madre di Gesù sofferente ti vede, ti guarda, ti osserva, ti ascolta e ti accompagna”. Si guardarono in silenzio. Poi amma Rosa disse e ripeté: “Rallegrati, piena di grazia, il Signore è con te”. Nessuno vide nulla, ma nel cuore delle due donne, di amma Rosa e della signora sofferente, entrò la pace. “Prega per noi peccatori”, dissero insieme, sapendo che il peccato non era uscito dalle scarpe e nemmeno dagli orecchini né dal foulard che la donna portava al collo. “Prega per noi, peccatori”, non finì mai di ripetere nemmeno amma Rosa: il peccato infatti si nascondeva anche nelle sue pentole e nella toppa dove inseriva ogni sera la chiave per chiudere fuori dalla porta la paura del mondo. La preghiera di Maria intanto giungeva al cuore di Gesù.

243 Matrimonio in chiesa

Marito e moglie, quasi anziani, vennero appositamente a far visita ad un’amma nel deserto. La prima che incontrarono fu amma Rita. Dopo un saluto cordiale confidarono la loro gioia: “Amma, sai che nostra figlia ha finalmente deciso di sposarsi? E vuole celebrare il matrimonio in chiesa! Siamo molto contenti”. Amma Rita stava per condividere la loro gioia, ma le venne un dubbio. Aveva già avuto una delusione l’anno precedente, perciò chiese con delicatezza: “Vostra figlia ha trovato un giovane credente? E lei è una ragazza che prega?”. I genitori, con sincerità: “A dire il vero né l’uno né l’altro frequentano la chiesa. Sono ragazzi moderni. Non sappiamo se preghino in cuor loro: insieme, no di sicuro”. L’amma disse seriamente: “Cominciamo noi a pregare per loro. Se è così, celebrare il matrimonio in chiesa è solo fumo negli occhi. Nella loro casa non ci sarà Spirito Santo. Preghiamo che comincino a conoscere e amare Gesù, che riversi in loro il suo Spirito: allora avranno anche il suo frutto, la fedeltà e la vera comunione. Se vi chiedono consiglio, avviateli da qualcuno che li aiuti a credere, a conoscere il Signore Gesù, a pregare insieme”. I due stavano per andarsene col volto triste. L’amma li trattenne: “Voi genitori avete un ruolo fondamentale. Iniziate voi ad essere contenti di Gesù, ma contenti davvero. Sarete un esempio luminoso”. Iniziarono a sorridere, si presero a braccetto e salutarono l’amma con gioia.

244 Già in Paradiso

Abba Federico era a letto molto sofferente. Venne abba Francesco a trovarlo. “Attendi un momento”, disse il discepolo, “l’infermiere gli sta facendo la medicazione”. Quando finalmente poté entrare, il malato gli disse: “Benvenuto, fratello. Come stai?”. Piuttosto, tu come stai? Mi hanno raccontato che hai sofferto dolori atroci”, disse Francesco. Sto come Dio vuole, sto benissimo nelle sue mani santissime”, confidò Federico, e continuò: “Tu sai che ho consegnato me stesso, anche il mio corpo, al Signore Gesù. Quindi le mie membra sono sue. Quando il mio corpo soffre, è Gesù che soffre: lo diceva anche uno dei santi abba. Le mie sofferenze sono sue, sono dentro le sue piaghe gloriose, quindi redimono il mondo. E poi, che gioia!, la sua Madre santissima, come stava ai piedi della croce, sta qui ora accanto a me!”. Abba Francesco rimase edificato. Non voleva più uscire. Gli pareva d’essere già in Paradiso. Quando incontrava qualche abba o discepolo che si lamentava per qualsiasi cosa, gli diceva: “Vai a trovare abba Federico. Siediti accanto a lui”. Le pietre del deserto danzavano e persino l’aria cantava la gioia degli angeli, perché le piaghe di Gesù erano vive ed emanavano raggi purissimi che riscaldavano i cuori.

245 Viene la rabbia

Un bambino raccontava ad abba Angelo, chinatosi ad ascoltare la sua vocina: “Sai abba, qualche volta mi prende un nervoso e mi arrabbio. La mamma mi ha detto che allora io dico parolacce e forse anche bestemmie. Ma io voglio bene a Gesù. E tu, abba, vuoi bene a Gesù?”. Stupito per questa inaspettata domanda, l’abba attese a rispondere, quindi disse: “Sai, caro bambino, io so che Gesù mi vuol tanto bene. Io provo a ubbidirgli tutti i giorni, e sono contento che ci sia”. Il bambino allora riprese: “Abba, cosa devo fare quando mi viene la rabbia che non vorrei avere?”. Abba Angelo sorrise: “Tu allora chiamerai Gesù, che verrà ad aiutarti. Ma se sei contento, adesso gli chiedo anch’io che allontani da te quello che suggerisce le parolacce e le bestemmie”. “Il diavolo? Io non lo voglio vicino a me”, disse il piccolo. L’abba allora lo benedisse con parole nuove e forti, e poi pregò la Madre di Dio insieme con lui. E il bambino, con un sospiro di sollievo: “Sai, abba, che Gesù è proprio buono, e anche bello!”. Si strinsero la mano forte forte. La mamma ringraziò l’abba, anche lei rasserenata e rassicurata dall’amore per Gesù di suo figlio.

246 Ingannare

Abba Fiorenzo raccomandava ai discepoli: “State attenti a quelli che vi vogliono ingannare!”. Gli chiesero: “Come possono fare, abba? Noi siamo radicati nella tradizione dei Vangeli e della Chiesa”. Allora l’abba, serio: “Proprio per questo ci proveranno. Come riescono a convincervi che i vostri pantaloni non sono più di moda, così vi convinceranno che alcuni peccati saranno di moda”. Ascoltavano dubbiosi. Replicarono: “Quali peccati, abba?”. E lui: “Uno solo: rubare. Vi dimostreranno che è di moda rubare tempo alla preghiera, quindi portar via l’amore da dare ai fratelli, rimuovere l’affetto che spetta riservare alla sposa e ai figli, spostare il denaro riservato ai poveri. Lasciata la preghiera, saranno moda i peccati sessuali: li chiameranno amore. Questi furti renderanno poi semplice l’uccidere, cominciando dai piccoli che devono nascere, chiamare misericordia il dare il veleno a chi non trova il senso della vita, dichiareranno meritorio il ribellarsi, e il mentire sana furbizia”. “Ci aiuterai tu a difenderci?”, chiesero i giovani. Non darete fiducia a nessuno, solo a Gesù, e avrete Maria accanto alla vostra croce”. L’abba concluse con la preghiera “Sotto il tuo mantello” e diede la benedizione che usa dare la Chiesa santa di Dio.

247 Risposte all’on. Pilato

Amma Federica voleva rispondere al posto di Gesù. Udì la domanda: “Sei tu il re dei Giudei?”. Era solenne, posta nientemeno che da Pilato, il governatore imperiale. “Che cosa posso risponderti, on. Pilato? Se ti rispondo «sì», non mi credi, o mi metti in prigione. Se ti rispondo «no», è menzogna. Devo prima spiegarti cosa significa essere re per i Giudei. Lo capirai, Pilato? Ti chiedo: chi è stato a dirti che io sono re? L’hai capito tu, o te l’ha suggerito qualcuno, uno che mi ama o uno che mi odia? Chi mi ama sa che per i Giudei è re colui che serve un Dio che è Padre, e i suoi sudditi li tratta da figli aiutandoli a vivere tra di loro come fratelli. Questo re non fa soffrire nessuno, e, se qualcuno soffre, lo vuole consolare. Se invece te l’ha detto chi mi odia, voleva farti credere che cerco di occupare il tuo posto”. L’amma era quasi soddisfatta, ma udì l’altra domanda: “Che cosa hai fatto?”. Allora, Pilato, non mi credi? Comunque ti rispondo, anche se ci vorrebbe un giorno intero per dirti tutto quel che ho fatto. Se tu lo sapessi, ti inginocchieresti davanti a me. Ho ubbidito fino a trent’anni a Maria e Giuseppe, con vera umiltà. Ho percorso le strade che tu hai tenuto in sesto, ho guarito molti dei tuoi sudditi, ho dato da mangiare a una folla senza chiederti nemmeno un sussidio. Ho amato persino i tuoi soldati, e ad uno ho guarito il figlio morente. Dovresti darmi un premio. Una medaglia d’onore sarebbe poco. Tu non puoi darmi ciò che meriterei, ma nemmeno lo voglio: mi ricompenserà il Padre mio”. Amma Federica avrebbe continuato, ma la chiamarono a servire il pranzo.

248 Scala

Abba Giuseppe si recò in un luogo particolare. Là vide anche amma Filotea, il discepolo di abba Germano e quello di abba Gregorio. C’erano pure molti altri uomini e donne con qualche bambino. Pareva pregassero con le ginocchia più che con la bocca. In ginocchio salivano una scala di legno. Ad ogni gradino si fermavano in silenzio qualche istante. Poi un altro gradino. Nessuno osava fiatare, nemmeno i bambini. Gli abba, le amma, gli uomini e le donne, un’unica preghiera silenziosa obbligava Gesù ad ascoltarli. La sua immagine era lassù, sulla croce, in cima alla scala. Egli ascoltava dicendo tra sé: “Questi vengono a soffrire con me. Ecco, offrono la vita al Padre con me. Vedono mia Madre, e ne è consolata”. Abba Giuseppe disse al suo ritorno in cella: “Quella è preghiera, quella è lezione! Là si riceve e si dona amore”. La sua cella divenne piccola, i suoi digiuni di poco valore, le sue veglie desiderabili. Tutto il mondo è una scala, una scala santa.

249 Noè

Abba Fortunato con la testa china stava seduto sul muretto esterno della cella. Si scosse come di soprassalto quando gli si avvicinò abba Filippo: “Dormivi, abba?”, gli disse ridendo. “No, assistevo alla preparazione dell’arca”. “Ah, come? Stavi dialogando con Noè?”, iniziò scherzando abba Filippo. E Fortunato: “Proprio così. Noè parlava, e io continuavo ad ascoltare”. Allora il suo interlocutore, incuriosito: “Posso udire anch’io?”. “A dire il vero Noè non parla con me, ma con i suoi concittadini. È occupato con arnesi e legname e risponde alle provocazioni che riceve. Egli prova a dire qualcosa per svegliare il sonno spirituale che tiene chiusi tutti quelli che incontra. Dice: «Mi aiuti a tagliare queste assi?». «Cosa ne fai?, possiamo sapere?». «Mi preparo un rifugio galleggiante, per ripararmi dal castigo che incombe su noi peccatori». «Ah, ah! Non ci saranno castighi, illuso!». E lui continua a lavorare. Ad un altro dice: «Accogli almeno tu l’invito del mio Dio a convertirti, e sarai salvato con la tua famiglia. Arriverà la pioggia che annegherà tutti». Quello di rimando gli grida: «Teorie, teorie! Smettila con le tue teorie». Poi tu mi hai distolto. Non so come continuerà”. Abba Filippo si allontanò dicendo: “Ti lascio continuare l’ascolto”. E rimase serio, cominciando a pregare con fervore, perché davvero il mondo non cercava più la voce di Dio e si dimenticava persino della croce di Gesù risorto.

250 Umiltà

Il discepolo di abba Terenzio radunò alcuni giovani per incontrare l’abba e ascoltare le sue ispirate parole. Si sono accordati di fargli una sola domanda: “Abba, che cos’è l’umiltà?”. L’abba sapeva che solo Gesù avrebbe potuto rispondere, perché lui ha esperienza, e da lui anche noi possiamo imparare. Tuttavia cercò, come poteva, di essere un pochino umile per dire: “Umiltà non è una cosa che possiamo possedere, anzi, direi che l’umiltà non esiste. Esistono le persone umili. Maria era umile: con verità diceva d’essere una semplice e povera serva di Dio. Tu sarai umile quando sarai vero, e sarai vero quando saprai di essere peccatore: allora non ti vanterai, e nemmeno pretenderai più nulla, né cercherai di sostenere diritti”. Tacevano. Allora aggiunse: “Quando sei vero perché sai d’essere peccatore, sei umile come Gesù”. Il discepolo intervenne: “Ma Gesù non era peccatore!”. E l’abba: “È vero: Gesù non era peccatore, ma ha preso su di sé i nostri peccati. Li considerava suoi. Un’umiltà più bella non esiste, e nemmeno esiste un amore più santo di quest’amore umile!”. Accolsero volentieri la proposta di entrare in chiesa per mettersi ai piedi della croce in silenzio adorante.

251 Apparizioni

Una donna si lamentava con amma Margherita. Diceva: “Perché la Madre di Dio non mi appare mai? Vorrei che mi apparisse almeno in sogno. Del resto, io sono una buona cristiana”. L’amma si trovò in difficoltà al sentire queste parole. Con pazienza, disse: “Cara sorella mia, Maria appare dove ci sono grandi peccatori da salvare. Se ti apparisse, umiliati subito: è segno che sei bisognosa di salvezza. Anzi, sarà segno che tutta la terra dove abiti ha bisogno di conversione. Avresti coraggio di chiamare i tuoi parenti, i tuoi concittadini, le tue amiche a convertirsi?”. La signora, stralunata, taceva. Non desiderava più che le apparisse la Madre di Dio? L’amma aggiunse: “La Madre di Dio potrebbe apparirti quando sarai disposta a soffrire per lei e per Gesù. Ma intanto comincia a chiamare tutti a convertirsi, come ti fosse già apparsa”. Sconcertata, la donna chiese all’amma di pregare insieme con lei l’Ave Maria.

252 Inferno e paradiso

Abba Terenzio provava a dire qualcosa sull’umiltà ad alcuni giovani venuti nel deserto. Erano piuttosto orgogliosi, come ognuno può ricordare dalla propria esperienza di vita nel mondo. Per cominciare, disse: “L’orgoglioso è come il diavolo. Se anche riuscissi a portare un diavolo in paradiso, si sentirà peggio che all’inferno. Non sopporterebbe l’umiltà dei santi. L’umile invece è come un santo: se lo porti all’inferno, continuerà ad amare come fosse in paradiso”. I giovani ascoltavano stralunati. Qualcuno di loro non sapeva cos’è l’inferno, né tanto meno il paradiso! È davvero difficile la strada per imparare l’umiltà!

253 Angeli, sì o no?

Abba Fedele parlava volentieri degli angeli. A chi lo visitava, ricordava: “Interroga spesso il tuo angelo custode. Sai che gli angeli intervengono per rammentare una Parola di Dio o un dovere dimenticato?”. Un signore, uno di quelli che sanno il fatto proprio anche su questioni cosiddette teologiche, s’infastidì: “Ma abba, pensi ancora agli angeli? Non sai che sono semplicemente dei modi di dire? Sono parole da bambini, solo per dire che Dio ci guarda uno per uno personalmente!”. L’abba lo guardò, e disse: “Gesù ci ha esortato a convertirci diventando come bambini, altrimenti non entreremo con lui. I bambini non postano tutto sotto la ragione, e tu invece vorresti fare proprio così. Non sai che la nostra vita è fatta anche di altre dimensioni? Se spieghi tutto solo con la ragione, dimentichi cose molto importanti, come lo Spirito Santo. E queste dimenticanze ti fanno diventare gnostico, il che significa orgoglioso e superbo. Preferisco essere come i bambini: rimarrà anche in me l’umiltà di Gesù e di Maria; lei un angelo l’ha udito, e gli ha creduto. E Gesù da angeli è stato annunciato ai pastori, servito nel deserto e consolato nel Getsemani. Anche Pietro ha avuto a che fare con un angelo, che l’ha condotto fuori dal carcere di Erode”. Non seppe dir nulla quell’uomo, e Fedele lo esortò all’umiltà semplice e fiduciosa dei piccoli.

254 Sfuggire

Abba Lorenzo prendeva sempre sul serio la Parola di Dio, soprattutto quella dei santi Vangeli. Un giorno udì questa: “Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere”. Iniziò subito a pregare ripetendo i salmi che ricordava a memoria. Anche di notte trascorreva del tempo immergendosi nella preghiera del cuore. Quella parola “sfuggire” lo teneva però un pochino in ansia. Diceva: “Da un giorno all’altro potrebbe «accadere» qualcosa, qualcosa da «sfuggire»”. Quando vide passare abba Fiorenzo, lo fermò e gli manifestò il suo dilemma. Abba Fiorenzo era noto tra tutti gli abba perché mai si agitava, né si lasciava prendere dal panico o dall’ansia. Ebbene, egli sorrise, e benevolmente disse: “Noi siamo del Signore Gesù. Gli abbiamo consegnato la vita. Lui sa cosa succederà, lui non ha mai smesso di curarsi dei suoi, più che dei passeri, di cui pure si occupa. Lui è alla destra del Padre, perciò che pensieri ti fai? Ci affidiamo e ci fidiamo dei suoi occhi, delle sue mani, del suo cuore e del suo braccio potente. E, se proprio temi ancora, ci fidiamo delle sue orecchie, che sono sempre aperte, come le tue: lo preghiamo e gli ripetiamo quello che già sa, che siamo figli suoi. Pregheremo vegliando e così sarà lui a farci sfuggire i pericoli”. Abba Lorenzo lo ringraziò, lo pregò di condividere la camomilla che aveva già preparato. Da allora non gli fu più necessaria!

255 Gioia e trepidazione

Amma Rita stava stendendo il bucato nel giardino della sua cella, quando qualcuno bussò alla porta. Una signora col volto pieno di gioia: “Amma, voglio condividere con te una bella notizia. Il nostro santo Vescovo tra alcune settimane imporrà le mani a mio figlio. La mia gioia è grande, ma anche la mia trepidazione. Prego che il Signore gli doni fedeltà e umiltà. Hai una parola da dirmi per lui?”. Amma Rita si raccolse con gli occhi chiusi, e, con le mollette in mano, disse: “Condivido la tua gioia: è una gioia di tutta la Chiesa. Condivido anche la tua trepidazione. Pregheremo perché tuo figlio cerchi e trovi un abba che per molti anni sappia ascoltare i suoi progressi spirituali”. E poi, aperti gli occhi, aggiunse: “E pregheremo pure perché non ceda alla tentazione di essere commediante”. Sorpresa, la madre del giovane chiese: “Che cosa vuoi dire con questo, amma?”. L’amma si spiegò: “Sarebbe bello che quando tuo figlio sarà all’altare di Dio e leggerà le preghiere della Chiesa, egli percepisca di essere tutto rivolto al Padre. E che quando dirà sul pane: «Questo è il mio Corpo», comprenda che il Corpo di Gesù è anche il corpo suo. E che quando dirà: «Il Signore sia con voi», sia lo Spirito del Signore a raggiungere i fedeli, e non un qualche accento di vanità”. Tornò a sorridere, e aggiunse: “Il Signore Gesù ascolterà la tua preghiera, che sarà anche mia. Non dire nulla a tuo figlio, dì tutto soltanto a Gesù, che gli manderà il suo Spirito Santo”. Si scambiarono il bacio santo e recitarono insieme il Padre nostro, senza trepidazione.

256 Elogi

Abba Cristoforo si trattenne in conversazione santa con altri abba nel deserto, sul quale finalmente si stese una nube promettente acqua preziosa. Un abba disse: “Un uomo che passava di qui ha pronunciato un elogio sperticato per la nostra vita e per le parole che ha udito da alcuni di noi, e per la carità delle amma”. Un altro abba disse: “Invece io, passando in città, udii delle persone che tra loro parlavano di noi. Uno lamentava il fatto che la nostra vita pare un rimprovero alla ricchezza. Un altro diceva che siamo troppo severi con i giovani, dato che non approviamo tutte le loro abitudini. Una signora sputava fuoco contro un’amma: questa le aveva detto che il suo attaccamento al figlio era esagerato e lo avrebbe rovinato”. Abba Cristoforo sorrideva, soddisfatto. Gli chiesero: “Perché, abba, sei contento?”. Rispose: “Quando di una persona si sentono solo elogi, è indizio spiacevole. Quella persona non sarebbe «segno di contraddizione» (Lc 2,34). Non ricordate che, quando sono iniziati gli elogi rivolti a Gesù, sono iniziate pure le inimicizie contro di lui?”. Tutti gli abba si rasserenarono e resero grazie a Dio.

257 Benedire

Un gentiluomo si recò a far visita ad abba Gregorio. Lo trovò intento a raccogliere erbacce dal suo giardino. Disse: “Mi daresti una benedizione perché io possa servire il Signore e anche ricuperare in salute?”. Abba Gregorio lasciò il suo lavoro accogliendo volentieri la richiesta. Era abituato a benedire, perché aveva sperimentato lui stesso l’efficacia della preghiera degli uomini di Dio, e perciò riteneva grande atto di amore ogni benedizione per chi la desiderasse. Si raccolse, alzò le mani, com’è detto che faceva Gesù, e pronunciò parole sante invocando la grazia del Padre e del Figlio. Quell’uomo, ringraziando, disse: “Abba, sai che mentre mi benedicevi provai brividi in tutto il corpo ed una bellissima emozione? Di certo era lo Spirito Santo!”. Abba Gregorio sorrise, si fece serio, e disse: “No, buon uomo. Lo Spirito Santo non si manifesta così. Non lasciarti ingannare. Se è arrivato lo Spirito Santo, lo vedrai da come pregherai volentieri e gradirai il silenzio; da come amerai tua moglie; da come offrirai le sofferenze e ti spenderai per la Chiesa santa di Dio con umiltà. I frutti della presenza dello Spirito li ha elencati San Paolo (Gal 5,22), e non sono né brividi né emozioni. Queste sono reazioni psichiche”. Non pareva del tutto soddisfatto il gentiluomo, ma ringraziò, lasciando che l’abba continuasse a sradicare erbacce.

258 In casa e fuori casa

Amma, mia figliola mi ha chiesto come mai con me e con lei e i fratelli il papà si arrabbia, grida e pretende, e invece fuori casa è buono con tutti, tanto che molti lo stimano e lo cercano. Non so che cosa risponderle. Mi potresti aiutare?”, disse una mamma venuta nel deserto appositamente. Amma Filomena alzò il capo fissando il cielo, poi disse: “Tuo marito è capace di amare, ma il suo amore viene dal suo buon cuore invece che dalla sua fede”. La mamma rispose: “Che vuoi dire, amma? Non ti capisco nemmeno io”. Allora l’amma: “Quando un uomo ubbidisce a Gesù, ama sempre. Quando invece ubbidisce al suo buon cuore, ama per farsi voler bene e quando si sente accettato, cioè per interesse, quindi per egoismo. Questo egoismo si manifesta solo in casa, dove ritiene che l’amore degli altri per lui sia dovuto”. E continuò: “Alla bambina dì soltanto che pregherete insieme perché il papà si ricordi di ascoltare Gesù”. E si raccolsero tutt’e due rivolte alla Madre di Dio per ottenere per il marito lo Spirito Santo, e la custodia dallo scandalo per i figli.

259 La porta

Preoccupato, il discepolo manifestò ad Abba Marco il proprio disappunto: “Abba, mi sono accorto che la porta della tua cella sta marcendo. Ha preso tanto sole e acqua, e i cardini cigolano arrugginiti”. “Non ti preoccupare, figliolo, la porta è stretta”, rispose l’abba. “Che cosa vuoi dire, abba? La porta della tua cella è larga quanto basta”. E Marco: “Ti ripeto che la porta è stretta. Anche tu passerai la porta stretta. Per passarla lasciamo tutto qui, anche la porta della cella”. Il discepolo non capiva, o non voleva capire: “Abba, vuoi che provo a sistemare la porta?”. “Lascia al mondo la preoccupazione per la porta. Il mondo l’adopera per difendersi, per nascondersi, per custodirsi. Noi abbiamo la porta stretta”, rivelò l’abba. Il discepolo cercava qualche attrezzo per aggiustare la porta. “Vieni qui figlio mio. Non preoccuparti per la ruggine: nel mondo le porte sono larghe, e si spalancano per quelli che voltano le spalle alla nostra porta, che è la croce di Gesù. Questa è la porta dei santi, stretta e senza cardini. È sempre aperta. Ci fa arrivare a vedere Dio, nostro Padre”. Il discepolo portò la destra alla fronte e fece un segno di croce come mai l’aveva fatto.

260 Conoscere i peccati

Abba Silvano tornò dopo aver viaggiato in una terra abitata da persone ferventi, dedite a Dio, che però non conoscevano il nostro Signore e Salvatore Gesù. Raccontava: “Quelle buone persone chiedono perdono a Dio per i peccati dell’anno. Non li dicono a nessuno, perché nemmeno essi sanno quale loro azione sia peccato. Un giorno prefissato uccidono un animale, consacrandolo al loro Dio, e poi, sicuri d’aver così ricevuto il perdono, continuano a vivere come sempre hanno vissuto”. L’abba raccontò anche altro agli abba attenti, ammirato per il fervore che aveva visto. Abba Cristoforo commentò: “Non sanno quali azioni sono peccato, perciò non possono ravvedersi. Non conoscono la conversione, non possono conoscere nemmeno il progresso spirituale. Potessimo noi raccontare loro l’amore del Padre nostro e il perdono del nostro Gesù! Conoscerebbero anche i peccati e si ravvedrebbero, e la loro vita familiare e sociale cambierebbe radicalmente. Conoscerebbero anch’essi la gioia e l’amore reciproco”. Abba Silvano ebbe un sussulto: “È proprio vero: presso di loro non ho visto la gioia e nemmeno l’amore gratuito”. Gli abba, pensierosi, si dissero l’un l’altro: “È una grande grazia conoscere Gesù e poter confessare i propri peccati, e ricevere il perdono senza dover uccidere animali”. Qualcuno manifestò anche il desiderio chiamato missionario.

261 La Parola

Abba Giovanni sapeva di aver ricevuto al battesimo il nome Giovanni Battista, anche se poi, a cominciare da sua mamma, lo hanno chiamato solo Giovanni. Era contento di quel nome, e ogni volta che lo incrociava nel Vangelo, si sentiva importante. Avrebbe desiderato partecipare alla missione del suo protettore, e, quando udiva la frase «La parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto» (Lc 3,2), si interrogava: “Questa cosa vale anche per me? Come fa la Parola di Dio a venire su una persona? È necessario vivere nel deserto perché questo avvenga?”. Le sue domande erano vere, serie, e suscitavano desideri santi. Disse tutto ad abba Cristoforo, che ascoltò con pace volendo essere d’aiuto alla fede del fratello. Gli disse. “La Parola di Dio viene anche su di te, ti avvolge e t’invade. Non ti occorre un deserto speciale, ti basta quello del tuo cuore. Esso si è già spogliato delle cose del mondo, quando lo hai consegnato a Gesù, il Figlio del Dio vivente. Nel tuo cuore non c’è vanità, né orgoglio, né ricerca di ambizione. Tu stesso potrai vedere se la Parola è su di te: siediti in un angolo della tua cella, pronuncia il nome santo di Gesù, continua a farlo, e ripetilo ancora. Se non ti stanchi, la Parola di Dio è su di te. Potrai parlare di Gesù a chi entra nel tuo deserto, e sarai come Giovanni Battista, che a tutti quelli che vedeva offriva l’immagine dell’agnello di Dio immolato”. Giovanni si nascose iniziando subito a ripetere: “Gesù, Gesù, Gesù,…”; dal volto traspariva una crescente letizia in lui.

262 Superiori a sé

Il discepolo di abba Silvano si divertiva a interpretare con impegno la Parola di Dio. Non si accontentava di ascoltarla, e poi di viverla. Sapeva, o almeno così riteneva, che la Parola ha significati non immediatamente afferrabili. Avvenne che il suo abba, volendo formare i discepoli, insistette a ripetere le parole dell’apostolo: “Ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso” (Fil 2,3). Ebbene, quel discepolo, prima di mettere in pratica questa parola, volle convincersi d’averla compresa con intelligenza, e cominciò a ragionare con la propria testa, tanto che durante una discussione disse: “L’apostolo intendeva dire che io devo considerare gli altri inferiori a me stesso”. Gli chiesero: “Come mai dici così?”. E lui, con coraggio e sicumera: “Se ciascuno deve considerare gli altri superiori a sé, voi dovete considerare me superiore a voi. Potete negarlo”. Dovette intervenire l’abba a calmare le acque dicendo: “Figlio mio, corri in paradiso a interpretare la Parola di Dio, alla scuola degli umili. La tua interpretazione è luciferina”. Lasciarono quel discepolo in chiesa ad adorare il Signore, e quel giorno nemmeno lo chiamarono per il pranzo.

263 La chiave

Il discepolo interrogò abba Gregorio: “Che significa il rimprovero di Gesù: «Avete tolto la chiave della conoscenza»”? (Lc 11,52). Gioì l’abba per questa domanda. Riflettere sulla Parola del Signore per lui era una grazia. Rispose: “Gesù stava rimproverando farisei e dottori della Legge. Per «chiave della conoscenza», pare che Gesù abbia inteso la misericordia, che egli usava verso tutti, ma che essi non sopportavano. Infatti tenevano distanti i peccatori, e così non permettevano loro di conoscere il vero volto del Padre, che rimaneva sconosciuto per il popolo. La misericordia poi è anche la chiave che apre la conoscenza di noi stessi e degli altri.”. Mentre il discepolo rifletteva per comprendere, l’abba cercava di spiegarsi: “Quando io godo della misericordia di Dio, so di essere peccatore, bisognoso di salvezza. Grazie a questa conoscenza vera di me stesso, divento umile, altrimenti sarei orgoglioso e superbo, e vedrei gli altri sempre inferiori a me. Per questo ho detto che la misericordia è la chiave che apre la conoscenza di noi stessi e degli altri”. Il discepolo stava zitto, e l’abba disse ancora: “La misericordia di Dio è Gesù. Gli scribi vollero togliere Gesù dal mondo. Ma mentre lo toglievano alzandolo sulla croce, gli davano l’occasione di rivelare e realizzare pienamente la misericordia divina per noi peccatori”. Tutt’e due alzarono lo sguardo dicendo insieme: “Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me, peccatore”.

264 Gratuità

C’è una parola nel vangelo che lasciava abba Fortunato senza parole. Quando la udiva pareva andare in estasi. Era questa: “Gratuitamente” (Mt 10,8). Il suo discepolo non aveva il coraggio di interrogare l’abba, che, inaspettatamente, disse: “Gesù ha usato questa parola per dirci tutto di Dio, del Padre suo”. Il discepolo rimase ancor più meravigliato, e chiese: “Come mai, abba, dici così?”. L’abba terminò i suoi lavori, si raccolse come fosse in preghiera, poi chiamò il discepolo: “Quando parliamo di Dio, parliamo di amore. L’amore è sempre gratuito. Se non fosse gratuito non sarebbe amore. Dicendo «gratuitamente» diciamo i segreti dell’amore divino, diciamo che c’è per noi e com’è l’amore del Padre e l’obbedienza del Figlio e la comunione dello Spirito Santo. E noi, tutto quello che siamo, e quelle doti che abbiamo ricevuto, sono dono di Dio, amore gratuito. Qualunque cosa noi facciamo, gioiosa o faticosa, se è gratuita è divina, se invece ci attendiamo gratificazione, ricompensa o lode, è mondana”. Rimaneva muto il discepolo attento. L’abba concluse: “Quando i nostri desideri e le nostre azioni sono gratuite, si realizza il regno dei cieli qui sulla terra. E assaporiamo una fetta di paradiso”. Quindi porse al discepolo un grappolo d’uva, il frutto preferito dal Signore Gesù Cristo. Egli lo ricevette con riconoscenza, come lo riceveva Gesù dalle mani di Maria, la Madre sua, la Vergine Tuttasanta.

265 La polvere

Abba Silvano ripeteva queste parole: «Se qualcuno non dà ascolto alle vostre parole, scuotete la polvere dai vostri piedi» (Mt 10,14). Le ripeteva a voce alta perché non le capiva, ma avrebbe voluto comprendere la sapienza che Gesù aveva nascosto in esse. Chissà quante volte le ha ripetute, finché s’accorse che abba Gregorio si era fermato in silenzio davanti alla porta per ascoltare. “Chi è che non ti ascolta, abba Silvano?”, disse Gregorio. Uscì Silvano, sorpreso di essere stato scoperto, ma anche contento di vedere un abba proprio in quel momento: “Mi pare ci sia un po’ di mistero in queste parole, abba, non ti pare?”.Sì, fratello, c’è il mistero del nostro peccato. Quante volte Gesù scuote la polvere dai suoi piedi dovendo uscire dalla mia cella! Quando mi vanto della mia intelligenza, e quando in me do spazio ad un giudizio contro chi manifesta ignoranza di Dio o desideri mondani, allora Gesù scuote la polvere. Lo fa in modo delicato, tanto che io nemmeno mi accorgo”. Era compunto abba Gregorio nel dire queste cose, le diceva sul serio. Allora Silvano capì perché quelle parole l’avevano tenuto occupato: doveva arrivare anche lui alla compunzione e alla conversione. Ne ringraziò il suo Signore Gesù.

266 Soggezione

Abba Timoteo non riusciva a continuare a leggere la pagina che inizia così: “Gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni…” (Mc 10,35). Pensava: “Non erano forse vicini a Gesù quei due discepoli? Erano stati chiamati tra i primi, e il Signore se li teneva appresso anche nei momenti più importanti della sua missione”. E gli sorgeva questo dubbio: “Avranno avuto soggezione? È mai possibile che Gesù abbia fatto soggezione?”. Riferì questi pensieri ad abba Cristoforo. Questi gli sussurrò: “Il tuo dubbio ha sfiorato anche me, ma ho trovato risposta contemplando l’incontro del Signore con i bambini che correvano a lui. I bambini non lo avrebbero cercato se avesse fatto soggezione. Questa l’avevano gli adulti, a causa del peccato”. “Come sarebbe a dire?” replicò Timoteo. E Cristoforo: “Noi, peccatori, anche senza accorgerci, siamo impastati di egoismo. Trovandoci davanti a chi invece è impastato di amore, ci sentiamo inferiori. Così veniamo colti da soggezione. Non è lui che fa soggezione, ma siamo noi che ce la creiamo”. Allora Timoteo, chinando il capo, disse: “È vero. Di fronte a qualche abba sento soggezione, ma devo riconoscere che succede quando sono occupato dai problemi quotidiani che non sfiorano la fede di quell’abba, anzi, la fanno risplendere”. Un profondo inchino l’uno verso l’altro fu il loro saluto riconoscente.

267 Il bastone

Abba Marino teneva sempre in mano un bastone. Aveva preso l’abitudine in seguito ad un incidente. Non era più necessario, ma la paura di cadere giustificava ai suoi occhi questa inutile usanza. Glielo fece notare abba Felice: “Abba Marino, quando abbandonerai la paura?”. Rispose: “Non ho paura, ho solo un’abitudine. Mi sono affezionato a questo bastone, che…, non si sa mai!”. Col suo tipico sorriso Felice non si arrese: “Ti è più cara la paura che non il tuo Signore Gesù!”. Sorpreso da questa inattesa osservazione quegli chiese: “Come mai dici così? Dubiti della mia fede?”. Felice rispose con delicatezza amabile: “No, non dubito affatto della tua fede. Sarebbe bello tuttavia che essa divenisse più visibile, più efficace nel testimoniare la gioia per Gesù, e nel lasciar vedere che lui solo riempie il tuo cuore. Quel bastone inutile attira attenzione a te, ai tuoi mali ora inesistenti, e fa dimenticare il tuo amore al Signore nostro e liberatore”. Ci vollero ancora tre giorni, tre giorni di fatica interiore e di piccole decisioni. Quando scomparve il bastone, gioia e sorriso tornarono sul volto e nelle mani di abba Marino.

268 Angustiarsi?

Abba Sergio sorrise e parve addirittura allegro. Gli altri, non abituati a vederlo così, si meravigliarono e gli chiesero come mai un tale cambiamento. Rispose: “Non avete ascoltato? La pace di Dio supera l’intelligenza! Io, anche se sono poco dotato di questa facoltà, posso godere della pace di Dio che mi custodisce in Cristo Gesù”. Gli abba lo ammirarono e si girarono verso abba Gregorio. S’aspettavano che dicesse qualcosa riguardo alla Parola dell’apostolo che ha dato gioia ad abba Sergio (Fil 4,7). Sentendosi interpellato, disse: “È vero: non è la nostra intelligenza che ci salva. Al di sopra di essa sta la pace di Dio. E ha fatto bene abba Sergio a prendere sul serio la Parola. Infatti San Paolo esorta: «Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti». Quando ciò che succede fa prevedere disgrazie e sofferenze mettendo paura o disperazione, conviene affidarsi a questa Parola. Dio ascolta ed esaudisce chi si consegna a lui con fiducia, come sappiamo da molti interventi del nostro Signore Gesù. La sua pace è la risposta alla fiducia che riponiamo in lui anche nelle circostanze incomprensibili e imprevedibili”. Al vedere il volto di abba Sergio ancora sereno e gioioso, furono tutti contenti. Qualcuno rifletteva, preghiera approfondire la propria conversione a Gesù Signore.

269 Ubbidienza

Un discepolo si rivolse al suo abba mentre zappettavano nel piccolo giardino della loro cella. “Posso farti una domanda, abba?” “Dì pure, ti ascolto”, rispose abba Paolo. E quegli: “Perché i discepoli di Gesù si rivolgevano a lui chiamandolo «Maestro»? Mi fa una certa impressione questa parola”. Abba Paolo continuò a zappettare ancora mezz’ora. Finalmente aprì la bocca: “Lo chiamavano così perché non avevano fede. La loro relazione con lui era ancora mondana, terrena, mossa dalle abitudini dei peccatori. Essi davano sì importanza alla bontà dei suoi insegnamenti, ma erano essi stessi che li giudicavano buoni. Li trovavano adatti con la loro intelligenza o con l’esperienza della propria umanità, cioè si fidavano di se stessi”. Il discepolo smise di zappare, tant’era attento ad ascoltare l’abba: “Quei discepoli erano come noi. Ritenevano che l’intelligenza fosse l’unica fonte di sapienza e l’unico movente della vita. Non avevano ancora compreso che la sapienza di Dio non si fonda sul ragionamento degli uomini. E non avevano sperimentato che l’obbedienza è la benedizione della vita. Quando lo compresero chiamarono Gesù «Signore». Anche noi lo chiamiamo in verità «Signore» solo quando gli ubbidiamo” (Mt 7,21.23). Tacquero ambedue, attendendo occasioni per ubbidire al Signore.

270 Prima evangelizzare

Era serio e triste il discepolo di abba Cristoforo mentre interrogava il suo abba: “Abba, due uomini sulla strada davanti a me parlavano di amore, ma mi parve di intuire che ambedue nascondessero in questa parola il proprio adulterio. Non ho avuto modo di intervenire, ma ora chiedo a te: perché l’adulterio viene chiamato amore?”. L’abba non sapeva se essere triste per quanto avviene nel mondo, o se essere lieto per la domanda del discepolo, che così si manifestava discepolo del Signore. Gli rispose: “Chiamano amore l’atto sessuale. Non conoscono il Padre nostro che è nei cieli. E calpestano il primo dei dieci comandamenti”. Il discepolo interruppe: “Ma sono il sesto e il nono quelli che…”. È vero”, continuò l’abba, “ma tutti si basano sul primo: «Non avrai altro Dio che me». Chi s’avvia all’adulterio, anche solo col desiderio, ha rinnegato il Padre e ha fatto del piacere il proprio dio”. Il discepolo allora disse: “È per questo motivo che, prima di insegnare i comandamenti, è necessario far conoscere l’amore del Padre, che ci rende gioiosi quando ci comportiamo da figli veri come Gesù?”. Annuì col capo l’abba e invitò il discepolo a cantare insieme a lui il Gloria al Padre.

271 Riservatezza

Amma Caterina non aveva studiato né aveva specializzazione alcuna. Ella lo sapeva, e quindi, se parlava, lo faceva con semplicità e umiltà. Alcune donne s’intrattenevano volentieri con lei, anche su questioni a prima vista difficili. Le chiesero: “Amma, perché Gesù, a quelli che guariva, spesso raccomandava di non dir nulla, che nessuno venisse a saperlo?”. Caterina, con naturalezza, come fosse la cosa più ovvia al mondo, rispose: “Gesù non voleva plagiare nessuno”. Ed esse: “Sarebbe a dire? Non comprendiamo”. Allora l’amma, con la lentezza tipica di chi deve spiegare una cosa semplice: “Gesù voleva che tutti lo conoscessero non per sentito dire, ma per averlo visto e incontrato di persona. Se racconti i prodigi di Gesù a chi non l’ha mai visto, questi potrebbe accontentarsi e non cercherà di incontrarlo. Convinto di saperne abbastanza, si permetterà di giudicare tutti, abba compresi, ma non profumerà né di carità né di prudenza, nemmeno di mitezza né di gioia. Se non avrà portato per un pezzo di strada la sua croce, se non avrà ricevuto né la carezza del suo perdono né rimproveri da lui, se non avrà speso tempo in silenzio per udire la sua voce, se non saprà cosa sia la conversione, non lo conosce. Se almeno si sentisse salvato da lui, canterebbe alleluia! Anche voi, prima di parlarne, vi assicurerete di essere morte al mondo con lui”. Regnò un momento prolungato di silenzio, e Gesù divenne più importante agli occhi di quelle donne.

272 Davide e il gigante

Quando abba Cristoforo raccontava episodi della Sacra Scrittura, ascoltavano tutti avvinti. Ed ecco che sulla scena entra Davide deciso ad affrontare il gigante (1Sam 17): “Il re di Israele è ammutolito: o quel ragazzo o nessuno. Infatti gli eroi sono preda della paura che la statura del gigante incute. Il ragazzo è Davide. «Devi almeno indossare la mia corazza e impugnare la spada», gli grida il re Saul: «Serviranno a difenderti». Il ragazzo si lascia coprire della corazza. Ma il suo peso gli blocca gambe e braccia. Persino il cervello gli diventa pesante, e la lingua fa fatica a muoversi per dire: «No, no, roba da paurosi. Io sono libero, io sono di Dio, voglio correre e saltare. Il mio è anche il vostro Dio, di lui mi fido, di lui vi fiderete anche voi». Gli tolsero la corazza, e il ragazzo, correndo come danzando, raccolse cinque ciottoli dall’acqua del torrente, proprio cinque, come i cinque rotoli della Parola, e con uno raggiunse lo scopo. Un solo tiro di fionda da ragazzi, e quella Parola si conficcò nella fronte del gigante. La sua spada fece il resto. Tanto vale la fiducia nel nostro Dio”. E Cristoforo continuò: “E voi non adoperate la fionda? C’è anche davanti a voi un Golia, è lì che teme la vostra danza. Al posto della corazza e della spada, impugnerete la Parola pronunciata da Dio e la lancerete senza esitare. Cadrà il bullo per il vostro ciottolo raccolto dall’acqua del torrente del vostro Battesimo”. L’abba tacque. Tutti ammutoliti come Saul, non volevano alzarsi per andarsene. Sono ancora là, in silenzio. Ognuno deve decidere cosa fare.

273 Di nuovo il gigante

La gente era già attenta quando arrivò abba Cristoforo. Disse: “È avanti negli anni ed è diventato re ormai da un pezzo il ragazzo di allora. Golia è ancora davanti a lui. Stavolta non fa paura come un gigante, ma è seducente, ha sembianze di donna (2Sam 11-12). È bella, più bella, sapete perché? Si è tolta le vesti per lavarsi. Questa volta Davide non cerca il sesto ciottolo. Ne basterebbe solo uno, quello della sesta Parola, per vincere. Golia oggi, con la nudità della donna, vince la battaglia, e Davide, pur portando il titolo regale, viene sconfitto. Invece di tagliare la testa al nuovo Golia, la fa tagliare al marito di Betsabea, figlia di Eliàm. Non si è accorto della sconfitta, anzi, canta vittoria per il piacere di un vizio seducente. Dovrà intervenire Natan, lo strano profeta che, per non correre rischi, inventa parabole. Racconta la parabola della pecora del povero, cucinata per il riccone. Così risveglia la memoria al re sconfitto. Ora questi sa d’aver fatto «ciò che è male agli occhi di Dio». Ciò che pareva bene ai suoi occhi, era male, doppio male, agli occhi del suo Dio. Non ha perso la santità Davide: questa lo ha reso umile, fino a gridare davanti a tutti: «Pietà di me, o Dio, nel tuo amore; nella tua grande misericordia cancella la mia iniquità»”. Abba Cristoforo inaugurò un altro silenzio che rese tutti attenti a guardare dentro di sé, per individuare le vittorie del proprio Golia.

274 I leoni

Alcuni discepoli si riunirono nella cella di abba Cristoforo. Uno gli chiese: “Parlaci di Daniele, il profeta nascosto nella fossa con i leoni” (Dan 14,28ss). L’abba sorrise e disse: “Tutto di Daniele fu profezia, le parole e la vita. Per immergersi nel cuore di Dio si volgeva verso Gerusalemme e così annunciava l’incarnazione del Signore. In lui poi era presente l’amore fedele del Padre, e per questo è stato gettato nella fossa, dove ha vissuto la passione del Figlio, e l’uscire da essa fu annunzio della risurrezione del Signore e dei suoi fedeli”. I discepoli erano attenti. Uno disse: “Il re lo gettò nella fossa perché rimase fedele a Dio, e lo fece risalire perché Dio si è manifestato chiudendo le fauci dei leoni affamati”. Un altro azzardò: “Gli imperatori di Roma perfezionarono quella fossa rendendola spettacolo col gettare ai leoni i nostri fratelli. Questo spettacolo terminò con l’imperatore conquistato dalla nostra santissima fede”. Il discepolo seduto accanto a lui sussurrò: “Se la nostra fede svanisse, torneranno questi spettacoli, abba?”. Tu l’hai detto”, rispose Cristoforo. Due discepoli sbarrarono gli occhi impauriti, ma altri tre, umili e lieti, intonarono il canto: “Eccomi, eccomi…” con quel che segue, fino a “sarò tuo testimone, Gesù!”.

275 Letizia

Ad abba Marco si piantavano nella memoria delle parole della Bibbia. Egli poi le ripeteva volentieri. Un giorno iniziò a pronunciare ad alta voce: “«Ecco, io vengo per fare la tua volontà» (Eb 10,9)”. E, dentro di sé, aggiungeva: “Sei tu, Gesù, che continui a pronunciare questa Parola, e non smetti mai. E tu la pronunci con gioia. Il Padre ti ascolta e si compiace di te. Da ora non ti lascio solo: la ripeto anch’io: «Io, Marco, vengo, o Dio, per fare la tua Volontà»”. Egli riceveva gioia da questo pregare, e tutti si accorgevano della sua letizia, tanto che ne dovette dar ragione a qualche altro abba, e pure ad alcuni uomini e donne che lo fermavano sulla via: “Quando il tuo desiderio è fare la volontà del Padre, sei unito a Gesù. E il Padre si compiace anche di te come di lui. Vuoi essere la gioia di Dio? Dì spesso: «Ecco, io vengo per fare la tua volontà»”. Era una preghiera facile, una preghiera vera, che cambiava la vita a chi la pronunciava, e cambiava il mondo che lo circondava.

276 Rebecca e il velo

Amma Giuseppa dialogava con una sorella. Questa le disse: “Sapresti dirmi perché Rebecca, quando vide l’uomo che sarebbe stato il suo futuro sposo, è scesa dal cammello condotto dal servo di Abramo?” (Gen 24,63-65). L’amma, benché colta di sorpresa, non si stupì, e disse: “Tu sai che la donna ha la missione di stare a fianco dell’uomo. Stando sul cammello le pareva di essergli superiore, perciò scese, con umiltà”. La sorella continuò: “E perché poi, quando gli fu detto che quello sarebbe stato il suo sposo, si coprì il volto col velo?”. Per Giuseppa non era un mistero: “Non ricordi che Adamo ha visto il volto di Eva soltanto quando, per volere di Dio, ella era già la sua sposa? Così Rebecca doveva essere vista dallo sposo solo nella stanza nuziale, dopo essersi scambiati il sì eterno con anima e corpo. Era importante per loro accogliersi reciprocamente come dono di Dio, e non come conquista del proprio discernimento: questo spesso è sprovveduto e inesperto”. Udì il dialogo anche amma Felicita, che intervenne: “È un mistero grande il matrimonio! L’amore di Dio precede quello degli uomini. Lo precede anche se essi non lo sanno e anche quando non lo vorrebbero ammettere. L’amore degli sposi, se non è menzogna, viene sempre dall’Alto”. Un silenzio di stupore avvolse le tre donne; senza accordarsi, esclamarono: “Vieni, Signore Gesù!”.

277 Inferno

Il discepolo di abba Timoteo lo interrogò: “Qualcuno voleva convincermi che Dio non manda mai nessuno all’inferno. Io non volevo credere”. Al che l’abba: “Perché non volevi crederlo? Dio ama tutti i suoi figli, anche quando sono peccatori. La sua misericordia ha mandato Gesù per salvare tutti”. Sconcertato, il discepolo rispose: “Allora, perché c’è l’inferno? O, come dice qualcuno, è vero che nemmeno esiste?”. L’abba si fece serio: “L’inferno esiste, ma solo per chi lo vuole. Nessuno ci va per volere di Dio, ma ci va perché rifiuta il Paradiso che il Padre offre anche ai grandi peccatori, come l’ha offerto Gesù al ladrone umiliato sulla croce”. Il discepolo si rasserenò, e l’abba gli disse ancora: “Pregheremo e offriremo sacrifici per i grandi peccatori. Ce lo propone anche la Madre santissima di Gesù: anche lei è preoccupata per loro. E pure noi stessi, che non possiamo essere sicuri della nostra perseveranza fino alla fine, continueremo a dirle: «Madre di Dio, prega per noi, peccatori»”. Insieme recitarono l’Ave Maria.

278 Fiammifero

Amma Filomena rispondeva ai dubbi e ai miraggi di una ragazza: “L’amore è come il fiammifero. Il fiammifero l’accendi quando lo adoperi. Se lo provi prima, quando poi ti serve non si accende più. Comprendi?”. “Sì, amma, ho capito, è proprio così”, disse la giovane. “Riesci a tirare le conseguenze?”, chiese l’amma. “Quali?”, chiese con sorpresa la ragazza. Allora Filomena aggiunse: “L’amore per il ragazzo non lo proverai prima, se non vuoi restarne privata. Lo amerai quando lo amerai per sempre. Se provi prima, quando sarà ora di amarlo davvero, il tuo fiammifero non si accenderà più. Starai sempre vicina alla fiamma dove potrai attingere il fuoco dell’amore, in modo da essere un fiammifero sempre nuovo, perché la capacità di amare a te non la darà il fidanzato. Starai vicina al nostro Dio e al suo Figlio Gesù.”. La ragazza capì qualcosa, e ora sta pensando a tirare le conseguenze.

  

279 I ciottoli

Abba Pietro camminava a testa bassa sull’acciottolato della stradina. Lo incontrò abba Silvano: “Cosa fai, abba? Stai contando i sassi?”. “Sì”, rispose. “Quanti ne hai contati?”, continuò Silvano. E lui: “Non ho ancora finito. Ho cominciato a contare quelli che io ho lanciato con le mie parole, con le domande indiscrete, con le risposte superficiali, con i giudizi che non mi competevano, con le pretese di vario tipo, con osservazioni offensive…”. “Basta, basta”, interruppe Silvano, “fermati pure. E cosa fai con questi sassi?”. Pietro spiegò: “Li metto tutti nella carriola, nella carriola di Gesù. È l’unica che li può contenere tutti. Lui poi li porterà dove vuole”. Sorpreso Silvano chiese ancora: “Conti anche i sassi che ti hanno colpito, quelli che ti sono stati tirati dagli altri?”. “No, quelli non li posso contare. Li ho già consegnati man mano che arrivavano. Chissà, forse li conta Gesù stesso, ma a me questo non deve interessare”, rispose con gioia e con pace. E tutt’e due furono lieti di essere stati aiutati dai ciottoli della strada a donarsi una confidenza costruttiva, in cui Gesù era sia al primo che all’ultimo posto.

280 Fiori e frutti

Abba Manuel, appena giunto nel deserto, privo dell’esperienza del silenzio, osservava tutto con attenzione. Un giorno disse all’abba: “Ci sono fiori che sono belli per pochi giorni, poi appassiscono. Ce ne sono altri che rimangono belli, anzi, meravigliosi per vari mesi prima di marcire. Come mai questa differenza?”. Abba Fiorenzo lo guardò, poi gli disse: “Guarda ancora, e vedrai. I fiori che ti offrono per poco la loro bellezza, ti offriranno poi dei frutti oppure dei semi. I fiori che si fanno ammirare per molto tempo, non ti daranno nulla”. “Osserverò, rispose Manuel. “Osservalo soprattutto per te”, disse abba Fiorenzo. Manuel restò colpito, e non diede più importanza al vestito, alle scarpe, al cappello e ad ogni altra esteriorità, per poter offrire ai fratelli gesti umili, attimi di pace, servizi concreti per amore di Gesù.

281 In ginocchio

Gli abba in chiesa trascorsero lungo tempo in ginocchio o seduti, guardando nella penombra il Pane illuminato. Era il Pane della benedizione, che avevano anche mangiato. Esso attirava il loro sguardo, e insieme il cuore. Nessuno fiatava. Era il silenzio che parlava, o meglio qualcuno nel silenzio, e comunicava chissà quali luci e chissà che desideri. Uno dei discepoli disse poi ad uno degli abba: “Perché? Perché ci siamo fermati in silenzio?”. Meravigliato, l’abba esclamò: “Tu solo non hai udito? Da quel Pane vengono voci forti che rintronano nel cuore: «Io ti amo, e tu ami me? Mi hai mangiato: perciò Io sono presente anche in te. Mi lascerai vivere in te. Sarai anche tu pane silenzioso come sono io. Saprai tacere per comunicare con il tuo silenzio? Ti lascerai mangiare anche tu dal peccatore? Mi porti nel cuore come Maria mi portava nel grembo? Mi custodisci come mi custodiva Giuseppe quand’ero bambino?»”. L’abba avrebbe continuato, ma ritenne che il discepolo poteva da solo udire queste e altre voci di Gesù.

282 Gioia

Abba Felice sorrideva a tutti con tanta pace. Un giovane, subito dopo la celebrazione, lo interrogò: “Perché, abba, sei contento? È forse perché hai visto molte persone in chiesa?”. L’abba rispose: “No, amico mio, il numero dei fedeli è solo motivo provvisorio di gioia. Essi sono tutti peccatori e potrebbero essere venuti per motivi mondani e non per amore di Gesù”. Il giovane allora di nuovo: “E allora, abba, cosa c’è che ti dà gioia?”. “La fonte della mia gioia sta nella Parola che abbiamo udito: «Noi saremo simili a lui, perché lo vedremo»” (1Gv 3,2). Il giovane replicò: “Ebbene, che c’è di speciale?”. Felice, ancora sorridente, rivelò: “Non è forse bello che io possa essere simile a Dio Padre, quindi in grado di amare tutti gratuitamente? E di essere così non perché mi sforzo con fatiche speciali, ma semplicemente perché lo guardo? È facile guardarlo. Lo vedo fissando il volto di Gesù, il Figlio suo. Mi sono innamorato di lui, e mi pare che lui lo sia di me. Per questo sono contento.”. Il giovane cominciò a sorridere: anche lui vedeva Gesù in croce, e anche lui cominciava a somigliare al Padre.

283 Umiltà

Due frequentatori degli abba stavano chiacchierando. “Hai visto ieri quell’uomo che, per ricevere il Pane santo, a differenza di tutti gli altri, non lo voleva prendere se non in ginocchio? Che devozione!”, disse il primo. E l’altro: “Al vederlo, mi è venuto alla mente quel tale che alle nozze del figlio del Re per distinguersi da tutti non aveva accettato l’abito nuziale, come gli altri. La vera devozione è umile e si adegua alle abitudini dell’assemblea dei figli di Dio a cui partecipa. Inoltre chissà se nel suo cuore c’era anche l’impulso a condannare quelli che stavano in piedi!”. Dissero: “Raccontiamo al nostro abba, e sentiamo cosa dice lui”. Quando l’abba ebbe ascoltato, sussurrò: “In effetti il discernimento è necessario: si può ammirare la devozione, ma se essa non fosse umile e obbediente, non sarebbe gradita a Dio. E se apparisse o diventasse vanagloria o orgoglio, sarebbe segno che qualcosa non funziona. Tuttavia la vostra umiltà vi impedirà di giudicare. E soprattutto non condannerete nessuno, che sarebbe peggio di una falsa devozione”. I discepoli ringraziarono e rimasero in pace. Gesù rimase al suo posto nel loro cuore.

284 Come in paradiso

I discepoli di abba Lorenzo si comunicavano le loro impressioni: “Sai, passando nella città mi ha preso lo sgomento al vedere tanta gente di tutti i colori e di tutte le razze: cinesi, africani, indiani, arabi, vietnamiti e altri ancora. La nostra nazione non è più quella di alcuni anni fa”. L’altro disse: “È inconsueto questo cambiamento. La nostra cultura potrebbe scomparire e le nostre abitudini fare posto a insicurezze e incomprensioni”. Il primo ribatté: “E non possiamo fare nulla. Nessuno può mandar via nessuno, non sarebbe quello il volere del Signore nostro Gesù Cristo, che è il Salvatore di tutti”. Il loro abba li udiva e intervenne: “La nostra nazione somiglia sempre più al Paradiso. Là ci sono tutti i colori, tutte le razze, tutte le nazioni e tutte le culture, anche quelle del passato. Oggi qui ci viene concesso di anticipare il Paradiso. Ringraziamo il Signore di questo dono, e soprattutto di poter far conoscere il nostro unico Signore e Salvatore Gesù a molti che ancora non sanno che è venuto ed è tra noi”. I discepoli gioirono per questa rivelazione, che ha cambiato i loro occhiali.

285 Superstizione

Abba Gregorio si intratteneva volentieri su fatti raccontati nelle Sacre Scritture. E desiderava che i suoi discepoli avessero familiarità con essi. Un giorno chiese loro: “Perché Rachele prese con sé gli idoli di suo padre Labano?” (Gen 31,30-35). Uno di loro rispose: “Aveva nostalgia, e tenne con sé un ricordo di casa”. Un altro aggiunse: “È difficile abbandonare le superstizioni”. L’abba aggiunse: “La sposa di Giacobbe non conosceva ancora il Dio del suo sposo. Questi non era stato in grado di farglielo conoscere, e soprattutto di farglielo amare. Se la nostra vita non fa conoscere e amare il Signore Gesù, avremo attorno a noi persone superstiziose e legate alla magia, schiave di idoli inutili e dannosi, illusori e deludenti, attaccate a cose morte che succhiano loro la vita. Le terranno con sé, nascoste persino sotto il sedere, come fece Rachele. Quegli oggetti impediscono la comunione santa e gioiosa dei figli di Dio”. I discepoli furono lieti di capire che le Scritture servono a guardarci attorno e a impostare il nostro amore per il Signore Gesù e per i fratelli.

286 Conversione

Mentre abba Filippo terminava la preghiera, alcuni discepoli confabulavano tra loro. Uno disse: “Ho letto l’episodio di Noè (Gn 6,5ss). Mi ha colpito che il patriarca, mentre costruiva l’arca, venisse deriso e definito artefice di complotti. Si accorsero che era ispirato da Dio solo quando s’avvidero di non avere nemmeno una scialuppa per raggiungerlo. Ormai era tardi. Essi affogavano, mentre gli animali erano in salvo”. Un altro intervenne: “E Giona, il profeta, fu come Noè? Gridava: «Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta!» (Gio 3,4). Salì sul colle per godersi lo spettacolo della distruzione, ma così non avvenne. Infatti la conversione del re e di tutto il popolo scongiurò la sciagura. Persino gli animali, spogliati delle bardature e delle pettorine, parteciparono al digiuno. Il profeta rimase con un palmo di naso. Era stata falsa la sua denuncia?”. Abba Filippo ha udito, e aggiunse: “E che dire di Gesù? Ben due volte avvertì: «Se non vi convertite, perirete tutti» (Lc 13,3.5), e versò lacrime al vedere la città che non si convertiva per riconoscerlo (Lc 19,41). E quella città quarant’anni dopo ebbe davvero a soffrire l’indicibile”. Rimasero tutti in silenzio, con un desiderio nuovo di amare Gesù, e di farlo seriamente.

287 Il tempio

Abba Gregorio teneva una conversazione sul Vangelo secondo Matteo. Un discepolo chiese: “Come mai Erode è stato chiamato «il Grande»? Non è lui che ha compiuto numerosi misfatti?”. L’abba, rispondendo, poté completare la sua istruzione: “Erode ha avviato la ricostruzione del Tempio di Gerusalemme. Lo ha ampliato ed abbellito, riscuotendo il plauso dei capi ebrei, nonostante fosse eccessivamente narcisista. Con quel titolo, lo adularono”. Un altro discepolo: “La sua opera è stata grande davvero?”. Gregorio continuò: “Agli occhi degli uomini fu un’opera imponente. Agli occhi di Dio fu un segno di quella che lui stava compiendo. Infatti proprio quando Erode iniziò la ristrutturazione del tempio, Dio Padre provvide alla nascita di Maria. In lei sarebbe stato presente non un segno di Dio, ma Dio stesso, la pienezza del suo amore divenuto uomo. Edificava così il Tempio vero, compiendo ciò che promise a Davide (2Sam 7,5-15)! Ma Dio volle che anche il tempio di Erode servisse per manifestare Gesù” (Lc 2,21ss; 41ss; 19,45ss). I discepoli si affezionarono ancor più a Maria, ammirarono la previdenza e la provvidenza del Padre, che ha fatto coincidere l’inizio del tempio di pietra con l’inizio di quello che avrebbe accolto il corpo di Gesù.

288 Il Nome

Abba Bartolomeo si entusiasmava, lasciando tutti stupiti. Sorpreso mentre pareva danzassse in fondo alla chiesa vuota, abba Francesco gli chiese: “Che cosa ti dà gioia, abba?”. E lui, ancor più lieto disse, quasi cantando: “«Gli fu messo nome Gesù», così sta scritto, così avvenne. Non ci trovo nulla di nuovo”, sbottò Francesco. E lui: “È vero, nulla di nuovo, eppure tutto nuovo. Gesù è un nome nuovo, sempre nuovo, e non è solo un nome. Gesù è promessa, è realizzazione, ed è pure profezia. Capisci che «Dio mi salva»? Anzi, mi ha salvato, continua a salvarmi e mi salverà ancora!”. Stupito Francesco lo guardava. “Quando Gesù è qui con me, io sono tutto per Dio Padre e di fronte a tutti gli uomini. Egli è mio alleato: non ho timore nemmeno di te, né del tuo stupore, neanche del tuo problema”, continuò Bartolomeo. E ancora: “Quel Bambino che morirà in croce ha un nome, come ce l’ho io. Gliel’hanno dato facendogli versare sangue per circonciderlo, e gli è rimasto e gli rimane per me. Gli costa quel nome, è bello, è forte, è incisivo. Riempie il cuore della Madre sua e la mente di Giuseppe. Non è forse degno di riempire i miei desideri e le mie membra?”. Francesco taceva, anzi, disse fra sé: “Sarà…!”. E intanto Bartolomeo iniziò a cantare: “Jesu dulcis memoria”, con quel che segue.

289 Mistero nel mistero

«In principio era il Verbo». I discepoli degli abba conoscevano queste parole, le avevano udite spesso e le usavano, ma le comprendevano? Abba Gregorio si preoccupava che essi non le pronunciassero senza conoscerne il senso. Li radunò, e chiese loro: “Queste parole hanno cambiato la vostra vita?”. I discepoli tentavano di dire qualcosa, ma senza riuscirci. Allora l’abba: “Giovanni con queste parole ci ha voluti portare in paradiso. E in paradiso le parole sono ineffabili. Dicendo «in principio» ci rivela che il fondamento di tutto, proprio di tutto, è sempre stato ed è ancora e sarà sempre il Verbo. «Il Verbo», che si è fatto carne, cioè uomo, è tutto ciò che Dio Padre vuole comunicare e donare, quindi tutto il suo amore perfetto. «Era presso Dio» cioè era ed è sempre proteso ad immergersi nell’amore del Padre”. Il silenzio era diventato palpabile. Avevano capito? “Capirete qualcosa quando poggerete il vostro capo sul petto di Gesù. Allora ogni creatura vi rivelerà un aspetto di quell’amore che è Dio. Guarderete un fiore, un uccello, una roccia, un bambino, un vecchio, e sorgerà in voi amore. Non sarete più capaci di odiare e nemmeno di essere indifferenti. Diventerete anche voi Dio, come figli suoi”. Capirono solo che il silenzio li avrebbe istruiti, perché ciascuno e tutti erano mistero dentro il mistero, un mistero riempito da Gesù.

290 Maria

Abba Ilario amava Maria, la Santa Vergine. Un giorno la contemplava mentre arrivava in Giudea per visitare la parente di cui le aveva parlato l’angelo, Elisabetta. Abba Filippo, vedendolo assorto, gli chiese: “Che cosa stai meditando?”. “Sto osservando Elisabetta sull’uscio a cui ha bussato Maria. Come la vide, non pensò a lei, ma al bambino che quella portava in grembo; infatti la chiamò «Madre del mio Signore». E nei tre mesi trascorsi insieme, quel «Signore» nascosto attirava tutto il suo amore, più del bambino che lei stessa nutriva nel grembo”. Filippo lo interruppe: “È vero: Elisabetta lo ha chiamato «mio Signore»!”. E Ilario: “Come faceva Elisabetta ad amare il suo Signore, cioè il suo Dio? Ad amare cioè quel Bimbo nascosto? Per amare il suo Dio amava Maria: la ascoltava, la interrogava, pregava insieme a lei, le chiedeva dei servizi, badava che avesse cibo e bevanda, e che potesse riposare!”. Tutt’e due gli abba furono consolati da questa conversazione: si resero conto che amando Maria adoravano Gesù, il Figlio di Dio!

291 Gloria e pace

Alcuni abba con i discepoli si preparavano a cantare. Abba Bartolomeo guidava; propose il canto degli Angeli: “Ora cantiamo «Gloria a Dio nel più alto dei cieli», con una melodia che fa invidia agli angeli stessi!”. Grazie”, disse abba Fedele, “saremo attenti però, perché Dio guarda soprattutto il nostro cuore”. Furono soddisfatti i discepoli, e ci fu chi chiese ad abba Gregorio: “Dicci qualcosa sulle parole di questo canto”. Abba Gregorio iniziò: “Quando vivremo in modo da glorificare Dio, arriverà la pace sulla terra. La pace nelle case, nei paesi e nelle città giunge quando gli uomini alzano lo sguardo e il cuore al Padre che ha mandato Gesù”. Erano attenti tutti, e allora continuò: “Anche voi non sognatevi che nel deserto, nelle famiglie e nei cuori ci sia pace, se non renderemo presente l’amore del Padre e del Figlio: questa è la gloria di Dio da cui, come da sorgente, sgorga la pace”. Cantarono con attenzione, sottovoce, obbedienti ai cenni di abba Bartolomeo. E gli angeli vedevano il Padre e Gesù soddisfatti per i cuori di quegli uomini, e godevano della pace che si diffondeva sulla terra. Gli abba poi cercavano l’occasione per ripetersi l’un l’altro: “Se dai gloria a Dio arriva la pace!” oppure: “Se vuoi la pace, dà gloria a Dio con l’obbedienza!”.

292 Ubbidire

Abba Gregorio era preoccupato per i suoi discepoli. Non erano pronti ad ubbidire. Infatti, quando chiedeva loro un servizio, qualcuno rispondeva: “Sarebbe meglio invece fare in quest’altro modo!”. Egli diceva: “Ubbidire è un atto di fede in Dio. Voi vorreste farlo diventare un ragionamento umano”. I discepoli non capivano. Allora l’abba usò un esempio evangelico: “Che cosa disse Gesù quando i discepoli gli chiesero: «Accresci in noi la fede»?”. Uno rispose: “Ha detto: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: Sradicati e vai a piantarti nel mare, ed esso vi obbedirebbe» (Lc 17,6). Allora Gregorio: “Voi gli avreste risposto: “Gesù, che ci fa un gelso nel mare? sarebbe meglio dirgli: «Dacci subito i tuoi frutti»”. E così disubbidireste a Gesù stesso, e non vedreste i suoi prodigi. Chi ubbidisce, dona la propria fiducia a Dio, che può compiere ciò che a noi pare impossibile. Chi ubbidisce a se stesso, resiste a Dio”. Abba Gregorio dovette ripetere spesso quest’insegnamento. Le resistenze sono molte infatti, anche nel deserto. Per accogliere la Parola di Gesù e fare la sua volontà è necessario il rinnegamento di sé.

293 Rivelazione

Abba Paolo leggeva a voce alta: “Cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere” (Is 60,3). Se il ministro della regina di Etiopia avesse letto questa Scrittura, avrebbe cercato qualcuno che, come Filippo, gli avesse spiegato chi è così luminoso, da essere cercato dalle genti e dai re! Quando abba Paolo incontrò abba Martino, si avvide d’essere come l’etiope. Confidò a lui il suo desiderio. Martino gli rispose: “Il profeta continua a rivelare il nostro Signore Gesù Cristo: questi occupa tutti i suoi pensieri e dà significato alle sue azioni. La luce del volto di Gesù non si spegne mai. È una luce che sarà presente sul cammino di tutte le genti. Quando vedranno un barlume di questa luce la cercheranno con desiderio e abbandoneranno i loro idoli, ritenuti fino allora veraci e preziosi. E i re? Anche i re impareranno a regnare quando sorgerà Gesù, ed essi lo vedranno servire con amore e distribuire il pane a quelli che l’avevano ascoltato, alzando occhi e mani al cielo. Ogni re inizierà con lui ad essere vero re, e non più tiranno e dominatore”. Abba Paolo disse: “Ora continuo da solo a leggere. Ti ringrazio abba Martino, mi hai aiutato ad aprire gli occhi e a godere della luce che sorge dall’alto”. I due abba si salutarono comunicandosi con gioia il desiderio di amare Gesù.

294 Libertà…

Una mamma venne col bambino per incontrare amma Serafina, che aveva fama di saper parlare ai bambini. Il figlioletto aveva portato con sé una macchinina per giocare, mentre la mamma diceva: “Questo mio figlio fa domande per me difficili”. E, rivolgendosi a lui: “Dì all’amma quello che hai detto a me a pranzo”. Il bambino non se lo fece ripetere: “La maestra ha detto che lei è libera. E anche la mamma del mio amico ha detto che bisogna essere liberi. Che cosa vuol dire ‘liberi’?”. L’amma sorrise, e poi: “Benissimo! ‘Libero’ è una parola importante. Tu vuoi sapere cosa intendono gli uomini con questa parola, o come la intende Gesù?”. Il bambino non seppe rispondere. Non sapeva che le parole possono essere intese diversamente. Allora l’amma continuò: “Gli uomini dicono che è libero chi può fare quel che vuole. Allora tu dirai che sei libero quando puoi fare i tuoi capricci, anche andare a giocare invece che andare a scuola o invece che fare i compiti”. “Ho capito”, disse il bambino, “e per Gesù cosa vuol dire?”. L’amma guardò il crocifisso prima di rispondere: “Gesù è libero quando porta la croce. Per lui è libero chi ama, chi sa rinunciare a cose buone e belle per aiutare un altro. Per Gesù tu sei libero quando vinci la voglia di giocare e ubbidisci alla mamma”. Il piccolo guardò la mamma, e disse: “Qualche volta sono libero!”. Si salutarono con affabilità: per quel giorno era abbastanza.

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295 Domenica

Un uomo molto occupato negli affari del mondo venne nel deserto perché aveva sentito parlare di abba Cristoforo. Gli disse: “Abba, sono molto impegnato e spesso sono fuori casa. Ovviamente non mi resta tempo per la chiesa. Mio figlio, che ora va a scuola, mi pone domande che mi creano imbarazzo. Ieri, per esempio, mi ha chiesto: «Perché c’è un giorno che si chiama domenica? La mamma ha detto che vuol dire ‘giorno del Signore’. È per questo che in quel giorno non mi porti a scuola?». Potresti tu, abba, aiutarmi a dargli una risposta?”. Abba Cristoforo guardò l’uomo con compassione, perché si accorse che i suoi affari lo avevano svuotato interiormente tanto da rischiare di lasciar vuoti anche i figli. Cominciò a dire: “Hai una sola possibilità per rispondere a tuo figlio. Non gli dirai nulla, nemmeno io ti posso imbeccare. Domenica prossima lo porterai in chiesa all’ora in cui i cristiani si riuniscono. Proverai a pregare anche tu, ad ascoltare, a cantare, ad alzarti in piedi e ad inginocchiarti. Quando tutti usciranno dalla chiesa, tu ti fermerai ancora un po’. Dirai a tuo figlio: «Adesso preghiamo noi due soli» e reciterai il Padre nostro con lui. Sarà un giorno di gioia per Gesù, il Signore”. Dopo un minuto di silenzio: “Potrai poi dire a tuo figlio: ecco perché questo giorno si chiama domenica! E lui capirà”. Quell’uomo, timidamente, aprì il cuore: “Potresti confessarmi, abba?”.

296 Lacci dei sandali

I discepoli di abba Cristoforo non conoscevano ancora bene le Sacre Scritture. Si permettevano perciò di interrogare il loro abba, persino durante i pasti. “Abba, abbiamo sentito Giovanni il Battezzatore che parlava di Gesù. Fin che dice: «Viene colui che è più forte di me», capisco. Gesù è più forte nell’amore e quindi i demoni hanno paura di lui più che di Giovanni. Ma quando dice: «A cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali», non capisco. Che c’entrano i sandali?”. Abba Cristoforo smise di portare la forchetta alla bocca. Non era facile spiegare lì per lì. Tuttavia ci provò: “I sandali c’entrano... «Slegare i lacci» significava togliere i sandali a qualcuno. Lo poteva fare chi accettava di sposare una donna al posto di colui che ne aveva diritto, ma la rifiutava. Questi doveva essere scalzato con un rito ufficiale. Giovanni dichiara che lui non poteva e non voleva prendere il posto di Gesù, lo Sposo”.Ma Gesù non si è sposato!”, ribatté il discepolo. “Non si è sposato, ma rappresenta Dio, lo Sposo del popolo d’Israele. Gesù ha amato gli uomini fino a dare la vita per loro, come farebbe un vero sposo per la sposa! Così parlano i profeti”. Riprese la forchetta, e i discepoli pure, lasciando un lungo silenzio prima della prossima domanda.

297 Cristianesimo

Come fate a distinguere il tempo e i luoghi del cristianesimo dai tempi e dai luoghi senza di esso? Qual è la differenza più significativa che si nota ancora oggi?”, chiese abba Felice ad un gruppo di giovani che lo deridevano per la barba fluente e per la croce che gli pendeva sul petto. Non seppero rispondere, o, meglio, avevano solo risposte superficiali destinate a suscitare il riso. “Diccelo, abba. Forse non lo sai nemmeno tu!”, e scoppiarono in una risata. “Ve lo dico di certo. Quando non c’era il cristianesimo c’erano i mercati degli schiavi. Sulla piazza, nei giorni stabiliti, potevi assistere alla compravendita di ragazzi, giovani, uomini, donne, legati con catene e mezzi nudi. I razziatori facevano lauti guadagni. Man mano che la gente si convertiva a Gesù, gli acquirenti diminuivano, e quindi il mercato stesso è scomparso. E voi ora non siete in pericolo”. Seriamente uno disse: “Vorresti dire che anche noi potremmo essere venduti e acquistati?”. Abba Felice: “Certamente: man mano la gente si allontana da Gesù, la libertà diventa diritto di pochi, e questi pochi compreranno gli altri. Pare che il gioco sia iniziato. I giovani sono i più ambiti, valgono di più”. È tornata la serietà sui loro volti e non ebbero coraggio di continuare. Cominciarono a capire il perché di alcune novità che succedevano nel mondo attorno a loro. “Ricordatevi di Gesù”, ammonì con dolcezza abba Felice.

298 Liberi

Si faceva un gran parlare di libertà. Chi sosteneva che siamo schiavi e chi diceva che non c’è mai stata una libertà così protetta. Mentre tutti erano occupati con questi discorsi, abba Cristoforo fu raggiunto dall’uomo d’affari che aveva un figlio capace di fare domande. “Abba, mio figliolo mi ha chiesto: «Papà, sono libero io? E la mamma è libera? E tu, sei libero?»”. L’abba avrebbe preferito parlare direttamente con quel bambino, ma dovette fare buon viso a cattivo gioco. Non che il gioco fosse cattivo, ma più impegnativo sì. Disse: “Chiederai al bambino se la mamma gli sorride quando lui si sveglia al mattino. Gli dirai che quel sorriso è segno di grande libertà. Gli chiederai se lui ringrazia Gesù per essergli stato vicino come un amico nei momenti di paura. Se dirà che ringrazia sempre il Signore, gli dirai: «Tu sei libero». Per quanto riguarda te, gli dirai che tu ti sei fermato da me a confessare i tuoi peccati. Questo è segno di vera e sublime libertà”. Gli rispose: “Non capisco tutto nemmeno io, abba”. E quegli: “Chi è schiavo non sorride, non ringrazia, non chiede perdono. Queste sono azioni delle persone veramente libere, che amano Gesù, che ha detto: «Se il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero» (Gv 8,38). L’uomo disse: “Allora confessami ancora, abba”, e iniziò a chiedere perdono a Gesù per altri peccati che gli avevano fatto perdere la libertà. Poi se ne andò pensieroso, ma sereno.

299 Gedeone

Conoscete la storia di Gedeone?” (Gd 7,2), chiese abba Gregorio ai discepoli. Chi si, chi no. Allora raccontò: “Gedeone doveva combattere contro nemici potenti per liberare il popolo dalle loro razzie. Raccolse uomini e ne arrivarono molti. Gran parte di loro però avevano paura. Chi ha paura non aiuta, si disse, e li mandò a casa. Ne rimasero pochi, ma per i gusti di Dio erano ancora troppi. Con un semplice stratagemma fece un test psicologico senza che essi se ne accorgessero, e così ne rimasero solo trecento. «Sono abbastanza», gli disse Dio in persona, «se si fidano di me per ubbidire a te»”. “Perché ci racconti questa storia, abba? Ormai siamo nel Nuovo Testamento!”, disse uno intelligente. Con un sorriso soddisfatto l’abba spiegò: “Gesù si comportò proprio come Gedeone. Quando si vide seguito da una folla numerosa (Lc 14,25ss), anche lui sottopose tutti ad un test psicologico”. “Questa poi non l’ho mai sentita!”, ribatté il discepolo presuntuoso. Allora l’abba: “Non è forse un test decisivo questo?: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo». È il test che voi affronterete con sincerità. Gesù l’aspetta”. Rimasero tutti senza parole per un bel po’ di tempo.

300 Acqua

Quando i discepoli si riunirono nella cella di abba Daniele, uno di loro esordì: “Che bello guardare Pietro che, sceso dalla barca in mezzo al lago, posa i piedi sull’acqua. Chissà che emozione!”. Un altro aggiunse: “Proprio bello quell’evento. Quando Pietro tiene gli occhi fissi su Gesù, nemmeno s’accorge che sotto i suoi piedi si muove l’acqua. Essa lo porta come un fuscello: tanto vale e opera la nostra santissima fede, fiduciosa nella Parola del Signore”. Un terzo disse: “Sì, finchè Pietro ubbidisce alla fede, l’acqua lo sostiene, ma quando, sentendo il vento e vedendo le onde, egli ubbidisce al ragionamento, viene la paura, e allora la stessa acqua lo inghiottisce!”. Questa volta abba Daniele non aggiunse nulla. Gioì udendo il dialogo che avrebbe aiutato i discepoli del deserto a vivere in modo degno della chiamata ad essere santi! Avrebbero ubbidito sempre alla fede in Gesù?

301 Grandi

Le domande dei bambini sono importanti più per gli adulti che per loro. Gli adulti sono tali solo di nome, se in loro non è cresciuta la sapienza di Dio. Per questo devono ricorrere a qualche abba o a qualche amma del deserto. Questi sono in ascolto della Parola che non passerà mai, e per tale motivo sanno rispondere anche ai bambini. Venne una mamma da amma Caterina, venne tirandosi dietro la sua bambina, quella che non finiva di farle domande. “Amma, vuoi rispondere tu alla mia piccola?”, sussurrò la mamma. La bambina allora, con grande coraggio, disse: “Alcuni dicono che io sono piccola, altre volte che io sono grande. Gli uomini sono sempre tutti grandi, e anche la mamma e le zie. Tu sei grande o piccola?”. Caterina fu sorpresa da questa domanda inaspettata. Che cosa rispose? “Anche tua mamma dice che io sono grande, ma Gesù dice che io sono piccola. Chi ha ragione?”. E la bambina: “Per me ha ragione sempre Gesù. Tu allora sei piccola. Come me!”. Le due donne ‘grandi’ si guardarono, e la mamma chiese: “Adesso, amma, ti faccio anch’io una domanda: i grandi del mondo, perché sono detti grandi?”. “Lo si dice a torto. Sono grandi davvero quelli che sanno portare fino alla fine la loro croce con Gesù. Chi la rifiuta o la vende, come puoi chiamarlo grande? Chi si scosta da Gesù perché lui ha la croce, non è grande, anzi, è meno della polvere”. Si guardò dentro la donna, in silenzio prese per mano la bambina, e salutò riconoscente.

302 Vita profetica

Abba Gregorio voleva che i suoi discepoli conoscessero le Sacre Scritture, fonte di sapienza e saggezza, ordine e costanza. Chiese loro: “Come mai Giuseppe andò a portare il pane ai suoi dieci fratelli? (Gen 37,13) A suo padre, che lo mandava, avrebbe potuto dire: «I miei fratelli non mi vogliono bene. Perché mi mandi da loro?». Uno rispose: “Era ingenuo, non aveva ancora prudenza”. Un altro: “Si era dimenticato della gelosia e dell’invidia che manifestarono quando raccontò loro i suoi sogni”. Visto che le risposte erano povere, Gregorio disse: “La vita di Giuseppe era profetica. Chi poteva portare ai suoi fratelli l’amore del padre loro, se non chi per loro era disposto a morire, addirittura per mano loro? Giuseppe era sicuro che suo padre Giacobbe lo mandava ad amarli, e che, se ubbidiva, non lo avrebbe lasciato in loro potere. Infatti, per dare a noi l’amore vero ed eterno, chi è venuto? È venuto colui che per noi si è offerto, ed è morto perché noi stessi l’abbiamo venduto alla morte!”. I discepoli impararono che ogni Scrittura deve essere letta alla luce della vita e della morte e della risurrezione di Gesù.

303 Gioia

Vari abba ogni domenica prendevano un pasto insieme. Una volta abba Gaudenzio e abba Felice si offrirono a preparare il pranzo, che doveva essere di festa. Si accorsero troppo tardi che mancava il vino. Che fare? Felice propose: “Chiediamo alla Madre di Gesù di donarci la gioia!”. Gaudenzio accettò la proposta, e insieme si rivolsero alla Madre di tutti gli abba con questa richiesta insolita. Quando tutti erano seduti a tavola, abba Gregorio disse ad alta voce: “«La madre di Gesù gli disse: Non hanno vino» (Gv 2,3). Ella lo potrebbe ripetere anche oggi!”. Nessuno si scompose, abituati com’erano a non lamentarsi della povertà. Abba Gaudenzio per aiutare i fratelli dichiarò: “Maria a Cana fu l’unica ad accorgersi della tristezza dei commensali. Solo lei infatti conosceva la gioia, da quando l’angelo le aveva detto: «Rallegrati!» per il Figlio che riceveva in grembo. Per questo non è andata a ordinare fiaschi o damigiane, bensì fece conoscere il Figlio. Sapeva che è lui la fonte della vera gioia”. Allora Felice, sorridendo: “Gesù è il nostro vino spumeggiante. Alleluia! La sua gioia inondi i vostri cuori, fratelli!”. Tutti sorrisero, e con letizia mangiarono tutto come fratelli, senza vino, ma condividendo le gioie della vita di fede, di carità e di unione che il Signore Gesù donava loro.

304 Le carte

Un uomo con volto sofferente incontrò abba Giuseppe, che l’accolse con gioia, desideroso di influenzarlo con la propria serenità. Ma quell’uomo gli disse: “Sai, abba, mia madre mi leggeva le carte, indovinava sempre, e allora le cose andavano bene. Ora mia madre è morta, e tutto mi va a rovescio. Conosci qualcuno che possa leggermi le carte al posto di mia madre?”. Rimase di stucco abba Giuseppe. Rispose: “Sai perché adesso le cose ti vanno male su tutti i fronti? Si potrebbe pensare che colui che ti beneficava ti stia chiedendo il conto. Tua madre era ingannata e ingannava. Non erano le sue carte che ti parlavano. Chi crede che le carte parlano, non è capace di ragionare. Tu sei stato plagiato, hai rinunciato a usare l’intelligenza, e adesso non te la sai cavare. In questa vicenda c’entra in vari modi il nemico di Dio e dell’uomo. Ti impediva di rivolgerti al Padre che sta nei cieli. Tu hai ubbidito all’idolatria e hai coltivato l’incredulità”. “Che posso fare adesso?”, chiese imbarazzato quell’uomo. “Pentiti, chiederai perdono a Gesù, ti rimetterai alla sua scuola cercando aiuto da un abba, rinnegherai con decisione ogni magia. E ti disporrai a prendere con responsabilità ogni decisione che riguardi la tua vita. Io ti posso aiutare con la mia preghiera e con la benedizione del Signore. Tra qualche settimana ritornerai a raccontarmi come vivi”. Pregarono insieme: «Padre nostro che sei nei cieli», e abba Giuseppe lo benedisse con tenerezza invocando su di lui il nome santo di Gesù..

305 Rabbie

Cercava un abba per confessare i peccati e ricevere il perdono del Signore Gesù. Era un ragazzo di dodici anni. L’abba lo ascoltò con attenzione. Ecco uno dei peccati frequenti che preoccupavano il ragazzo: “Abba, mi sono arrabbiato con i genitori e i miei fratelli, e molte volte anche con i miei amici. Chiedo perdono a Gesù, e a te, e a te chiedo consiglio come fare”. L’abba non sgridò il ragazzo. Gli disse: “Sai che a Gesù non fanno problema quelli che si arrabbiano? Ha scelto due di questi per farli suoi discepoli”: Il ragazzo lo guardò stupito. “Sì, Giacomo e Giovanni, due fratelli, hanno ricevuto da Gesù il soprannome di ‘figli del tuono’, tanto il loro arrabbiarsi era rumoroso. Se t’arrabbi significa che sai reagire, che non sei una pappa molla. Questo va bene. Puoi però dominare le tue rabbie. Invece di adirarti per cose da nulla, o per il tuo egoismo, fallo per cose che meritano. Per esempio, arrabbiati per le cose che impediscono il Regno di Dio”. Il ragazzo ricevette il perdono e poi manifestò con gli occhi il desiderio di ascoltare ancora. L’abba ne approfittò per chiacchierare di cose serie con il giovinetto che aveva l’età di Gesù quando divenne un grattacapo per i suoi genitori.

306 Pungiglione

Abba Gregorio confidò ad uno dei discepoli: “Abba Silvio mi ha affibbiato un soprannome. Quell’abba di certo non mi voleva offendere!”. Il discepolo, stupito e incuriosito: “Sono indiscreto se ti chiedo quale soprannome ti ha donato?”. Attese un attimo, poi sorridendo: “Mi chiama: «il pungiglione di Dio»”. Il discepolo, con gioia: “È bello! Tu, abba, ricordi spesso che Gesù è colui per mezzo del quale tutto è stato fatto e in vista del quale tutto esiste. Per qualcuno le tue parole sono più che gradite, per qualche altro sembrano un rimprovero che sveglia memorie assopite di peccati dimenticati. Il soprannome è azzeccato, e anche bello!”. Gregorio ringraziò il discepolo che aveva avuto il suo medesimo sentire: “Dio non ha pungiglioni, e non vuole offendere. Semmai un pungiglione Dio lo usa per introdurre l’amore per Gesù là dove ancora non c’è, a costo di far soffrire un po’!”. Insieme, alzando gli occhi al cielo, pregarono: “Vieni, Signore Gesù!”.

  

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