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OMELIE / Omelie IT

16 ago 2015
16/08/2015 - 20ª Domenica del T.O. - B

16/08/2015 - 20ª Domenica del T.O. - B

1ª lettura Prv 9,1-6 * dal Salmo 33 * 2ª lettura Ef 5,15-20 * Vangelo Gv 6,51-58

Ci sono parole e frasi che abbiamo udito o pronunciato molte volte: sono divenute frasi fatte. Riteniamo di averle anche capite, ma non ci dicono nulla per la vita. Tra queste vi possono essere pure alcune parole pronunciate da Gesù. Forse anche le parole di oggi hanno fatto questa fine. Quando dico “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna”, so che è Parola di Gesù, ma non ci faccio più caso: sono troppo abituato ad udirla. Ora però voglio cercare di comprendere a cosa si riferiva il Signore con questa frase e le altre simili, che hanno tanto scandalizzato i Giudei. Perché io non mi scandalizzo? Perché a me non viene da rifiutare queste parole? Che significa mangiare e bere, e che vuol dire carne e sangue? Che s’intende per vita eterna?
Anzitutto cerco di comprendere che ciò che pensava Gesù non aveva nulla a che vedere con il cannibalismo. Gesù non ha pensato a cose del genere. “Carne e sangue” e mangiare e bere per lui erano termini che dovevano evocare realtà e azioni connesse alla nostra vita interiore e al nostro rapporto con Dio. Egli era abituato a fare trasposizioni come queste, frequenti nelle sue parabole e nei suoi discorsi o colloqui. Quando mangio o bevo qualcosa introduco nella mia persona o nella mia vita un’altra realtà, che poi diventa un tutt’uno con me e mi dà energia, salute e forza per pensare e decidere e compiere le mie azioni. “La mia carne” e “il mio sangue” le intendo così: quello che io sono concretamente e quello che mi muove nell’interno, oppure la mia vita in tutte le sue dimensioni di concretezza e di motivazioni. Dire carne e sangue richiama poi la loro separazione, come la carne e il sangue degli animali dei sacrifici che venivano offerti nel tempio di Gerusalemme. Con queste due parole Gesù allude o profetizza il suo sacrificio, la sua offerta della vita tramite la morte cruenta. In tal modo il nostro mangiare e bere, cioè nutrirci della concretezza della sua vita e nutrirci della sua sapienza interiorizzando le sue motivazioni, si colora della possibilità, anzi, della certezza di procedere in modo da offrire anche noi la vita.
La Parola pronunciata da Gesù si conclude con una certezza: “ha la vita eterna”. Diventare un tutt’uno con Gesù, vivere nutriti e quindi sostenuti da lui, dal suo amore, dalla sua sapienza e dalle sue motivazioni, significa vivere davvero. “Vita eterna” esprime un concetto che supera il significato della vita biologica: è il vivere interiore, in comunione con Dio, con il Padre nostro e Padre di tutti; indica che l’esistere ha valore e significato di vivere davvero con gioia e con frutto. È un vivere in cui il valore delle singole azioni che si compiono, raggiunge un significato che supera il tempo e tutte le valutazioni umane. Vivere con Gesù e di Gesù è finalmente vivere, avere uno scopo, essere un dono di Dio per l’umanità anche se non si sanno fare grandi cose, anche se non realizziamo opere ammirate dagli uomini. Vivere di Gesù e vivere con lui è vita “eterna”!
Abbiamo udito alcune righe dal libro dei Proverbi: anche con quelle poche parole il Signore ci ha fatto comprendere che è suo desiderio e sua volontà che la nostra vita cresca a dimensioni più alte delle sole dimensioni naturali e fisiologiche. Dio, con la sua sapienza, ha preparato un edificio ove accoglierci a banchetto, ove ci invita a mangiare pane e vino, un pane e un vino che danno nuovo valore alla nostra vita e ci fanno partecipare all’intelligenza vera, quella di Dio. È facile intravedere in quelle parole un’allusione o profezia dell’Eucaristia, sacramento del corpo e del sangue di cui parlava Gesù e che lui stesso ci porge nei segni del pane e del vino.
L’esortazione di San Paolo poi è una conseguenza di tutto questo mistero e del misterioso dono che l’amore del Padre ci offre. Se ci nutriamo del corpo e del sangue del nostro Signore Gesù Cristo, se sorge in noi la vita eterna, faremo molta attenzione a come viviamo, “non da stolti, ma da saggi, facendo buon uso del tempo”. Vivendo la “vita eterna”, tutto cambia a questo mondo. Saremo vigilanti a realizzare quanto diventa manifestazione dell’amore del Padre, e tra noi ci aiuteremo a tenere lo sguardo rivolto al traguardo finale. Ci potremo aiutare in tanti modi: l’apostolo ci suggerisce di incontrarci a cantare insieme le lodi di Dio meditando i Salmi o altre preghiere, soprattutto a coltivare la riconoscenza. A Dio Padre possiamo e dobbiamo sempre dire grazie, perché è lui che continua a donarci la vita e a offrirci Gesù, che, quando lo accogliamo, rende la nostra vita “eterna”, cioè piena e santa, gioiosa e capace di comunione con i fratelli. Insieme a loro avremo anche luce e forza per comportarci da veri saggi in un mondo che ci vorrebbe trascinare alla stoltezza. Cantando le lodi di Dio ci aiutiamo a nutrirci del pane della vera vita, di Gesù, nostra vita eterna!

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